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Magistero integrale di Benedetto XVI per la Settima di Preghiera unità Cristiani

Ultimo Aggiornamento: 13/01/2017 11:48
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13/01/2017 11:04
 
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BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 22 gennaio 2006

Cari fratelli e sorelle!

L'odierna Domenica si colloca a metà della "Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani", che ogni anno si celebra dal 18 al 25 gennaio. Si tratta di un'iniziativa, nata agli inizi del secolo scorso, che ha conosciuto un positivo sviluppo diventando sempre più un momento ecumenico di riferimento, in cui i cristiani delle diverse confessioni in tutto il mondo pregano e riflettono, a partire da uno stesso testo biblico. Quest'anno il brano prescelto è tratto dal capitolo diciottesimo del Vangelo di Matteo, nel quale sono riportati alcuni insegnamenti di Gesù riguardanti la comunità dei discepoli. Tra l'altro, Egli afferma: "Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18, 19-20).

Quanta fiducia e quanta speranza infondono queste parole del Signore Gesù! In particolare, esse spronano i cristiani a domandare insieme a Dio quella piena unità fra di loro, per la quale Cristo stesso, con accorata insistenza, pregò il Padre nell'Ultima Cena (cfr Gv 17, 11.21.23). Si capisce bene, allora, quanto sia importante che noi cristiani invochiamo il dono dell'unità con perseverante costanza. Se lo facciamo con fede, possiamo essere certi che la nostra richiesta sarà esaudita. Non sappiamo come, né quando, perché non spetta a noi conoscerlo, ma non dobbiamo dubitare che un giorno saremo "una cosa sola", come Gesù e il Padre sono uniti nello Spirito Santo.

La preghiera per l'unità costituisce l'anima del movimento ecumenico che, grazie a Dio, progredisce nel mondo intero. Certo, non mancano le difficoltà e le prove, ma anche queste non sono prive di utilità spirituale, perché ci spingono ad esercitare la pazienza e la perseveranza e a crescere nella carità fraterna. Dio è amore, e solo convertendoci a Lui ed accettando la sua Paola ci troveremo tutti uniti nell'unico Corpo mistico di Cristo. L'espressione, "Dio è amore", che in latino suona "Deus caritas est", è il titolo della mia prima Enciclica, che sarà pubblicata mercoledì prossimo 25 gennaio, festa della Conversione di San Paolo. Sono lieto che ciò coincida con la conclusione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani: quel giorno mi recherò nella Basilica di San Paolo per presiedere i Vespri, ai quali prenderanno parte anche i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. La Vergine Maria, Madre della Chiesa, interceda per noi.


Dopo l'Angelus:

Cinquecento anni or sono, il 22 gennaio 1506, il Papa Giulio II accoglieva e benediceva il primo contingente di Guardie Svizzere, venute a Roma per assicurare la difesa della sua persona e del Palazzo Apostolico. Nasceva così la Guardia Svizzera Pontificia, che vediamo in tutta la sua bellezza qui radunata davanti a noi in Piazza San Pietro. Grazie per il vostro servizio di cinquecento anni! Nel ricordare quello storico evento, sono lieto di salutare quanti oggi compongono questo benemerito Corpo, al quale, in segno di apprezzamento e di riconoscenza, imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica.

Fra le tante preoccupazioni per la situazione internazionale, il mio pensiero ritorna oggi all'Africa ed in particolare alla Costa d'Avorio, ove persistono gravi tensioni fra le varie componenti sociali e politiche del Paese. A tutti rivolgo un invito a proseguire nel dialogo costruttivo, in vista della riconciliazione e della pace. Affido queste intenzioni all'intercessione della Vergine Santa, tanto amata dal popolo ivoriano.

Infine saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli di Villa Cappella in Diocesi di Mantova. A tutti auguro una buona domenica.



ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 21 gennaio 2007

 

Cari fratelli e sorelle!

L’odierna domenica cade durante la "Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani", che, com’è noto, si celebra ogni anno, nel nostro emisfero, tra il 18 ed il 25 gennaio. Per il 2007 il tema è un’espressione tratta dal Vangelo di Marco, e riferisce la meraviglia della gente per la guarigione del sordomuto operata da Gesù: "Fa udire i sordi e fa parlare i muti!" (Mc 7,37). Ho intenzione di commentare più diffusamente questo tema biblico il prossimo 25 gennaio, festa liturgica della Conversione di san Paolo, quando, in occasione della conclusione della "Settimana di preghiera", presiederò alle ore 17,30 la celebrazione dei Vespri nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Vi attendo numerosi a tale incontro liturgico, poiché l’unità si fa soprattutto pregando, e più la preghiera è corale, più è gradita al Signore.

Quest’anno il progetto iniziale per la "Settimana", adattato poi dal Comitato Misto internazionale, è stato preparato dai fedeli di Umlazi, in Sud Africa, città molto povera, dove l’aids ha assunto proporzioni di pandemia e dove ben poche sono le speranze umane. Ma Cristo risorto è speranza per tutti. Lo è specialmente per i cristiani. Eredi di divisioni avvenute in epoche passate, essi hanno voluto in questa circostanza lanciare un appello: Cristo può tutto, egli "fa udire i sordi e fa parlare i muti" (Mc 7,37), è capace cioè di infondere nei cristiani il desiderio ardente di ascoltare l’altro, di comunicare con l’altro e di parlare insieme a lui il linguaggio dell’amore reciproco.

La Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani ci ricorda così che l’ecumenismo è un’esperienza dialogica profonda, un ascoltarsi parlarsi, un conoscersi meglio; è un compito che tutti possono svolgere, specialmente per quanto riguarda l’ecumenismo spirituale, basato sulla preghiera e la condivisione per ora possibile tra i cristiani. Auspico che l’anelito per l’unità, tradotto in preghiera e fraterna collaborazione per alleviare le sofferenze dell’uomo, possa diffondersi sempre più a livello delle parrocchie e dei movimenti ecclesiali e tra gli Istituti religiosi. Colgo l’occasione per ringraziare la Commissione ecumenica del Vicariato di Roma e i parroci della città che incoraggiano i fedeli a celebrare la "Settimana". Più in generale sono riconoscente a quanti, in ogni parte del mondo, con convinzione e costanza pregano e operano per l’unità. Maria, Madre della Chiesa, aiuti tutti i fedeli a lasciarsi intimamente aprire da Cristo alla comunicazione reciproca nella carità e nella verità, per diventare in Lui un cuore solo e un’anima sola (cfr At 4,32).

 


Dopo l'Angelus:

La Diocesi di Roma celebra oggi la Giornata della scuola cattolica. Rivolgo il mio cordiale saluto alla folta rappresentanza di dirigenti, docenti, genitori e alunni qui presenti e lo estendo a tutti coloro che vivono e lavorano nelle scuole cattoliche romane. Cari amici, come dice efficacemente il tema della Giornata, gli istituti scolastici cattolici si pongono al servizio della crescita integrale della persona: "cuore, intelligenza e libertà". Vi rinnovo l'espressione del mio apprezzamento per il lavoro che svolgete, cercando sempre di coniugare la qualità dell'istruzione con l'impegno educativo. Per questo vi incoraggio e vi sostengo con la mia preghiera.

[Saluto tutti i polacchi. In questa settimana in modo particolare preghiamo per l’unità dei cristiani. Secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II, continuando l’opera di Paolo VI e Giovanni Paolo II, portiamo avanti la preghiera, nonché l’impegno alla reciproca conoscenza e alla comune ricerca della Verità, affinché siamo uno in Cristo. Lo Spirito Santo, fonte dell’unità, colmi i vostri cuori di grazia e di benedizione.]

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i promotori del progetto "Cambia gioco", che nella città di Lecce hanno invitato i bambini ad abbandonare le armi-giocattolo. Mi congratulo per questa iniziativa e vorrei allargare l'appello: preserviamo l'infanzia dal contagio della violenza!

A tutti auguro una buona domenica.



ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 20 gennaio 2008

 

Grazie. Cari fratelli e sorelle, vogliamo pregare insieme l'Angelus.

Due giorni fa abbiamo iniziato la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, durante la quale cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti, coscienti che le loro divisioni costituiscono un ostacolo all'accoglienza del Vangelo, implorano insieme dal Signore, in modo ancora più intenso, il dono della piena comunione. Questa provvidenziale iniziativa nacque cento anni fa, quando Padre Paul Wattson diede avvio all'"Ottavario" di preghiera per l'unità di tutti i discepoli di Cristo. Per questo oggi sono presenti in Piazza San Pietro, tra tanti di voi, i figli e le figlie spirituali del Padre Wattson, i Frati e le Suore dell'Atonement, che saluto cordialmente e che incoraggio a proseguire nella loro speciale dedizione alla causa dell'unità. Abbiamo tutti il dovere di pregare e di operare per il superamento di ogni divisione tra i cristiani rispondendo all'anelito di Cristo "Ut unum sint". La preghiera, la conversione del cuore, il rafforzamento dei vincoli di comunione formano l'essenza di questo movimento spirituale, che ci auguriamo possa condurre presto i discepoli di Cristo alla comune celebrazione dell'Eucaristia, manifestazione della loro unità.

Il tema biblico di quest'anno è significativo: "Pregate continuamente" (1 Ts 5, 17). San Paolo si rivolge alla comunità di Tessalonica, che viveva al suo interno contrasti e conflitti, per richiamare con forza alcuni atteggiamenti fondamentali, tra i quali spicca appunto la preghiera incessante. Con questo suo invito, egli vuole far comprendere che dalla nuova vita in Cristo e nello Spirito Santo proviene la capacità di superare ogni egoismo, di vivere insieme in pace e in unione fraterna, di portare ognuno, di buon grado, i pesi e le sofferenze degli altri. Non dobbiamo mai stancarci di pregare per l'unità dei cristiani! Quando Gesù, durante l'ultima Cena, pregò affinché i suoi "siano una cosa sola", aveva in mente una finalità precisa: "perché il mondo creda" (Gv 17, 21). La missione evangelizzatrice della Chiesa passa dunque per il cammino ecumenico, il cammino dell'unità di fede, della testimonianza evangelica e dell'autentica fraternità.

Come ogni anno, mi recherò venerdì prossimo, 25 gennaio, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura per concludere, con i Vespri solenni, la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani. Invito i romani e i pellegrini a unirsi a me ed ai cristiani delle Chiese e Comunità ecclesiali che prenderanno parte alla celebrazione per invocare da Dio il dono prezioso della riconciliazione tra tutti i battezzati. La santa Madre di Dio, della quale oggi si ricorda l'apparizione ad Alfonso Ratisbonne nella chiesa di sant'Andrea delle Fratte, ottenga dal Signore per tutti i suoi discepoli l'abbondanza dello Spirito Santo, in modo che insieme possiamo raggiungere la perfetta unità ed offrire così la testimonianza di fede e di vita di cui il mondo ha urgente bisogno. .


Dopo L'Angelus:

Cari amici, desidero adesso anzitutto salutare i giovani universitari, che sono tanti - grazie per la presenza - i professori e voi tutti che siete venuti oggi così numerosi in Piazza San Pietro per partecipare alla preghiera dell'Angelus e per esprimermi la vostra solidarietà; è bello vedere questa comune fraternità della fede, grazie per questo. Un pensiero di saluto va anche ai molti altri che si uniscono a noi spiritualmente.
Vi ringrazio di cuore, cari amici; ringrazio il Cardinale Vicario che si è fatto promotore di questo momento di incontro. Come sapete, avevo accolto molto volentieri il cortese invito che mi era stato rivolto ad intervenire giovedì scorso all'inaugurazione dell'anno accademico della "Sapienza - Università di Roma" ed ho lavorato con grande gioia al mio discorso. Conosco bene questo Ateneo, lo stimo e sono affezionato agli studenti che lo frequentano: ogni anno in più occasioni molti di essi vengono ad incontrarmi in Vaticano, insieme ai colleghi delle altre Università. Purtroppo, com'è noto, il clima che si era creato ha reso inopportuna la mia presenza alla cerimonia. Ho soprasseduto mio malgrado, ma ho voluto comunque inviare il testo che avevo preparato nei giorni dopo Natale per questa occasione.
All'ambiente universitario, che per lunghi anni è stato il mio mondo, mi legano l'amore per la ricerca della verità, per il confronto, per il dialogo franco e rispettoso delle reciproche posizioni. Tutto ciò è anche missione della Chiesa, impegnata a seguire fedelmente Gesù, Maestro di vita, di verità e di amore. Come professore, per così dire, emerito che ha incontrato tanti studenti nella sua vita, vi incoraggio tutti, cari universitari, ad essere sempre rispettosi delle opinioni altrui e a ricercare, con spirito libero e responsabile, la verità e il bene. A tutti e a ciascuno rinnovo l'espressione della mia gratitudine, assicurando il mio affetto e la mia preghiera.

Saluto ora i responsabili, dirigenti, docenti, genitori e alunni delle scuole cattoliche, convenuti in occasione della Giornata della scuola cattolica, che la Diocesi di Roma celebra quest'oggi. Nell'educazione alla fede dei ragazzi e dei giovani, un compito importante è affidato anche alla scuola cattolica: vi incoraggio, pertanto, a continuare nel vostro lavoro che pone al centro il Vangelo, con un progetto educativo che punta alla formazione integrale della persona umana. Nonostante le difficoltà che incontrate, proseguite dunque con coraggio e fiducia in questa vostra missione, coltivando una costante passione educativa e un generoso impegno a servizio delle nuove generazioni.

 

[Saluto cordialmente tutti i polacchi. In questi giorni chiediamo al Signore una grazia particolare: il dono dell’unità dei cristiani. Per riceverlo bisogna pregare sempre. Che la preghiera rivolta a Dio da parte vostra nello spirito dell’unità – nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle comunità religiose – sia la testimonianza della fede e della carità, di cui il mondo ha tanto bisogno. Dio vi benedica tutti.]

E finalmente ritorniamo a tutti i presenti  di  lingua  italiana.

Ancora una volta con un grande grazie. Saluto adesso in particolare il gruppo romano della Gioventù Ardente  Mariana e la delegazione della Polizia Municipale di Modugno, venuta in occasione della memoria  del  patrono San Sebastiano. A tutti auguro una buona domenica.

Grazie a voi tutti per questa manifestazione di solidarietà. A tutti voi una buona settimana. Andiamo avanti in questo spirito di fraternità, di amore per la verità e per la libertà, nell'impegno comune per una società fraterna e tollerante. Grazie a voi tutti.



FESTA DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO
E CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA 
PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI

BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 25 gennaio 2009

 

Cari fratelli e sorelle!

Nel Vangelo di questa Domenica risuonano le parole della prima predicazione di Gesù in Galilea: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo" (Mc 1,15). E proprio oggi, 25 gennaio, si fa memoria della "Conversione di san Paolo". Una coincidenza felice – specialmente in questo Anno Paolino – grazie alla quale possiamo comprendere il vero significato della conversione evangelica – metànoia – guardando all’esperienza dell’Apostolo. Per la verità, nel caso di Paolo, alcuni preferiscono non usare il termine conversione, perché – dicono - egli era già credente, anzi ebreo fervente, e perciò non passò dalla non-fede alla fede, dagli idoli a Dio, né dovette abbandonare la fede ebraica per aderire a Cristo. In realtà, l’esperienza dell’Apostolo può essere modello di ogni autentica conversione cristiana.

Quella di Paolo maturò nell’incontro col Cristo risorto; fu questo incontro a cambiargli radicalmente l’esistenza. Sulla via di Damasco accadde per lui quello che Gesù chiede nel Vangelo di oggi: Saulo si è convertito perché, grazie alla luce divina, "ha creduto nel Vangelo". In questo consiste la sua e la nostra conversione: nel credere in Gesù morto e risorto e nell’aprirsi all’illuminazione della sua grazia divina. In quel momento Saulo comprese che la sua salvezza non dipendeva dalle opere buone compiute secondo la legge, ma dal fatto che Gesù era morto anche per lui – il persecutore – ed era, ed è, risorto. Questa verità, che grazie al Battesimo illumina l’esistenza di ogni cristiano, ribalta completamente il nostro modo di vivere. Convertirsi significa, anche per ciascuno di noi, credere che Gesù "ha dato se stesso per me", morendo sulla croce (cfr Gal 2,20) e, risorto, vive con me e in me. Affidandomi alla potenza del suo perdono, lasciandomi prendere per mano da Lui, posso uscire dalle sabbie mobili dell’orgoglio e del peccato, della menzogna e della tristezza, dell’egoismo e di ogni falsa sicurezza, per conoscere e vivere la ricchezza del suo amore.

Cari amici, l’invito alla conversione, avvalorato dalla testimonianza di san Paolo, risuona oggi, a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, particolarmente importante anche sul piano ecumenico. L’Apostolo ci indica l’atteggiamento spirituale adeguato per poter progredire nella via della comunione. "Non ho certo raggiunto la mèta – egli scrive ai Filippesi –, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù" (Fil 3,12). Certo, noi cristiani non abbiamo ancora conseguito la mèta della piena unità, ma se ci lasciamo continuamente convertire dal Signore Gesù, vi giungeremo sicuramente. La Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa una e santa, ci ottenga il dono di una vera conversione, perché quanto prima si realizzi l’anelito di Cristo: "Ut unum sint". A Lei affidiamo l’incontro di preghiera che presiederò questo pomeriggio nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, ed a cui parteciperanno, come ogni anno, i rappresentanti delle Chiese e Comunità ecclesiali presenti a Roma.


Dopo l'Angelus:

Ricorre oggi la Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra, iniziata 55 anni fa da Raoul Follereau. La Chiesa, sulle orme di Gesù, ha sempre un’attenzione particolare per le persone segnate da questa malattia, come testimonia anche il messaggio diffuso qualche giorno fa dal Pontificio Consiglio della Pastorale della Salute. Mi rallegro che le Nazioni Unite, con una recente Dichiarazione dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani, abbiano sollecitato gli Stati alla tutela dei malati di lebbra e dei loro familiari. Da parte mia, assicuro ad essi la mia preghiera e rinnovo l’incoraggiamento a quanti lottano con loro per la piena guarigione e un buon inserimento sociale.

[Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi. Commemoriamo oggi la conversione di San Paolo Apostolo. In questo giorno particolarmente eloquente è per noi l’appello di Cristo: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo" (Mc 1,15). Sul cammino della realizzazione di quest’invito accompagni tutti la grazia e la benedizione di Dio.]

Saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti da Pistoia e da Scandicci. A tutti auguro una buona domenica.

Ed ora liberiamo le colombe della pace portate dai ragazzi di Roma.



ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 24 gennaio 2010

(Video)

  

Cari fratelli e sorelle!

Tra le letture bibliche dell’odierna liturgia vi è il celebre testo della Prima Lettera ai Corinzi in cui san Paolo paragona la Chiesa al corpo umano. Così scrive l’Apostolo: “Come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito” (1 Cor 12,12-13). La Chiesa è concepita come il corpo, di cui Cristo è il capo, e forma con Lui un tutt’uno. Tuttavia ciò che all’Apostolo preme comunicare è l’idea dell’unità nella molteplicità dei carismi, che sono i doni dello Spirito Santo. Grazie ad essi, la Chiesa si presenta come un organismo ricco e vitale, non uniforme, frutto dell’unico Spirito che conduce tutti ad unità profonda, assumendo le diversità senza abolirle e realizzando un insieme armonioso. Essa prolunga nella storia la presenza del Signore risorto, in particolare mediante i Sacramenti, la Parola di Dio, i carismi e i ministeri distribuiti nella comunità. Perciò, è proprio in Cristo e nello Spirito che la Chiesa è una e santa, cioè un’intima comunione che trascende le capacità umane e le sostiene.

Mi piace sottolineare questo aspetto mentre stiamo vivendo la “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”, che si concluderà domani, festa della Conversione di San Paolo. Secondo la tradizione, nel pomeriggio celebrerò i Vespri nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, con la partecipazione dei Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali presenti a Roma. Invocheremo da Dio il dono della piena unità di tutti i discepoli di Cristo e, in particolare, secondo il tema di quest’anno, rinnoveremo l’impegno di essere insieme testimoni del Signore crocifisso e risorto (cfr Lc 24,48). La comunione dei cristiani, infatti, rende più credibile ed efficace l’annuncio del Vangelo, come affermò lo stesso Gesù pregando il Padre alla vigilia della sua morte: “Che siano una sola cosa … perché il mondo creda” (Gv 17,21).

Infine, cari amici, desidero ricordare la figura di san Francesco di Sales, la cui memoria liturgica ricorre il 24 gennaio. Nato in Savoia nel 1567, egli studiò il diritto a Padova e a Parigi e, chiamato dal Signore, divenne sacerdote. Si dedicò con grande frutto alla predicazione e alla formazione spirituale dei fedeli, insegnando che la chiamata alla santità è per tutti e che ciascuno – come dice san Paolo con il paragone del corpo – ha il suo posto nella Chiesa. San Francesco di Sales è patrono dei giornalisti e della stampa cattolica. Alla sua spirituale assistenza affido il Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che firmo ogni anno in questa occasione e che ieri è stato presentato in Vaticano.

La Vergine Maria, Madre della Chiesa, ci ottenga di progredire sempre nella comunione, per trasmettere la bellezza di essere una cosa sola nell’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

___________________

saluti.....
A tutti buona domenica....



ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 23 gennaio 2011

(Video)

 

Cari fratelli e sorelle!

In questi giorni, dal 18 al 25 gennaio, si sta svolgendo la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani. Quest’anno essa ha per tema un passo del libro degli Atti degli Apostoli, che riassume in poche parole la vita della prima comunità cristiana di Gerusalemme: “Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli, nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2,42). E’ molto significativo che questo tema sia stato proposto dalle Chiese e Comunità cristiane di Gerusalemme, riunite in spirito ecumenico. Sappiamo quante prove debbono affrontare i fratelli e le sorelle della Terra Santa e del Medio Oriente. Il loro servizio è dunque ancora più prezioso, avvalorato da una testimonianza che, in certi casi, è arrivata fino al sacrificio della vita. Perciò, mentre accogliamo con gioia gli spunti di riflessione offerti dalle Comunità che vivono a Gerusalemme, ci stringiamo intorno ad esse, e questo diventa per tutti un ulteriore fattore di comunione.

Anche oggi, per essere nel mondo segno e strumento di intima unione con Dio e di unità tra gli uomini, noi cristiani dobbiamo fondare la nostra vita su questi quattro “cardini”: la vita fondata sulla fede degli Apostoli trasmessa nella viva Tradizione della Chiesa, la comunione fraterna, l’Eucaristia e la preghiera. Solo in questo modo, rimanendo saldamente unita a Cristo, la Chiesa può compiere efficacemente la sua missione, malgrado i limiti e le mancanze dei suoi membri, malgrado le divisioni, che già l’apostolo Paolo dovette affrontare nella comunità di Corinto, come ricorda la seconda Lettura biblica di questa domenica, dove dice: “Vi esorto, fratelli ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire” (1,10). L’Apostolo, infatti, aveva saputo che nella comunità cristiana di Corinto erano nate discordie e divisioni; perciò, con grande fermezza, aggiunge: “E’ forse diviso il Cristo?” (1,13). Così dicendo, egli afferma che ogni divisione nella Chiesa è un’offesa a Cristo; e, al tempo stesso, che è sempre in Lui, unico Capo e Signore, che possiamo ritrovarci uniti, per la forza inesauribile della sua grazia.

Ecco allora il richiamo sempre attuale del Vangelo di oggi: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17). Il serio impegno di conversione a Cristo è la via che conduce la Chiesa, con i tempi che Dio dispone, alla piena unità visibile. Ne sono un segno gli incontri ecumenici che in questi giorni si moltiplicano in tutto il mondo. Qui a Roma, oltre ad essere presenti varie Delegazioni ecumeniche, inizierà domani una sessione di incontro della Commissione per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Antiche Chiese Orientali. E dopodomani concluderemo la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani con la solenne celebrazione dei Vespri nella festa della Conversione di San Paolo. Ci accompagni sempre, in questo cammino, la Vergine Maria, Madre della Chiesa.


Dopo l'Angelus:

[Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi. Il Vangelo odierno ci ricorda due chiamate di Gesù: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” e: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. La conversione, la sequela di Cristo e la testimonianza sul suo regno si compiano continuamente nella nostra vita! Dio vi benedica!]

Rivolgo infine il mio saluto cordiale ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli provenienti da Amalfi e da Acerenza. A tutti auguro una buona domenica e una buona settimana!



ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 22 gennaio 2012

[Video]

   

Cari fratelli e sorelle!

L’odierna domenica cade nel mezzo della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che si celebra dal 18 al 25 gennaio. Invito cordialmente tutti ad unirsi alla preghiera che Gesù ha rivolto al Padre alla vigilia della sua passione: “Che siano una sola cosa, perché il mondo creda” (Gv 17,21). Quest’anno, in particolare, la nostra meditazione nella Settimana di preghiera per l’unità fa riferimento ad un brano della Prima Lettera di san Paolo ai Corinzi, dal quale si è formulato il motto: Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo nostro Signore (cfr 1 Cor 15,51-58). Siamo chiamati a contemplare la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, cioè la sua risurrezione, come un evento che trasforma radicalmente quanti credono in Lui e apre loro l’accesso ad una vita incorruttibile e immortale. Riconoscere e accogliere la forza trasformante della fede in Gesù Cristo sostiene i cristiani anche nella ricerca della piena unità tra di loro.

Quest’anno i sussidi per la Settimana di preghiera per l’unità sono stati preparati da un gruppo polacco. In effetti, la Polonia ha conosciuto una lunga storia di lotte coraggiose contro varie avversità e ha ripetutamente dato prova di grande determinazione, animata dalla fede. Per questo le parole che formano il tema sopra ricordato, hanno una risonanza ed una incisività particolari in Polonia. Nel corso dei secoli, i cristiani polacchi hanno spontaneamente intuito una dimensione spirituale nel loro desiderio di libertà ed hanno compreso che la vera vittoria può giungere solo se accompagnata da una profonda trasformazione interiore. Essi ci ricordano che la nostra ricerca di unità può essere condotta in maniera realistica se il cambiamento avviene innanzitutto in noi stessi e se lasciamo agire Dio, se ci lasciamo trasformare ad immagine di Cristo, se entriamo nella vita nuova in Cristo, che è la vera vittoria. L’unità visibile di tutti i cristiani è sempre opera che viene dall’alto, da Dio, opera che chiede l’umiltà di riconoscere la nostra debolezza e di accogliere il dono. Però, per usare un’espressione che ripeteva spesso il Beato Papa Giovanni Paolo II, ogni dono diventa anche impegno. L’unità che viene da Dio esige dunque il nostro quotidiano impegno di aprirci gli uni agli altri nella carità.

Da molti decenni, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani costituisce un elemento centrale nell’attività ecumenica della Chiesa. Il tempo che dedicheremo alla preghiera per la piena comunione dei discepoli di Cristo ci permetterà di comprendere più profondamente come saremo trasformati dalla sua vittoria, dalla potenza della sua risurrezione. Mercoledì prossimo, come è consuetudine, concluderemo la Settimana di preghiera con la solenne celebrazione dei Vespri della Festa della Conversione di San Paolo, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, alla quale saranno presenti anche i rappresentanti delle altre Chiese e Comunità cristiane. Vi attendo numerosi a tale incontro liturgico per rinnovare insieme la nostra preghiera al Signore, fonte dell’unità. Affidiamola fin da ora, con filiale fiducia, all’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa.


Dopo l'Angelus:

[Rivolgo il mio saluto a tutti i Polacchi. Radunati per la preghiera dell’Angelus, imploriamo oggi l’unità dei cristiani. Fiduciosi nell’aiuto di Dio, rivolgiamo questa preghiera nell’umiltà dello spirito, aperti al dialogo, alla collaborazione e all’unità. I nostri cuori siano trasformati dalla grazia di Cristo risorto che prega per noi, la sua Chiesa, affinché siamo una cosa sola. Benedico di cuore le vostre iniziative ecumeniche.]

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in modo particolare ai gruppi parrocchiali e alle famiglie, ed auguro a tutti una buona domenica! Buona domenica, buona settimana a tutti voi!



ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 20 gennaio 2013

[Video]

 

Cari fratelli e sorelle!

Oggi la liturgia propone il Vangelo delle nozze di Cana, un episodio narrato da Giovanni, testimone oculare del fatto. Tale episodio è stato collocato in questa domenica che segue immediatamente il tempo di Natale perché, insieme con la visita dei Magi d’oriente e con il Battesimo di Gesù, forma la trilogia dell’epifania, cioè della manifestazione di Cristo. Quello delle nozze di Cana è infatti «l’inizio dei segni» (Gv 2,11), cioè il primo miracolo compiuto da Gesù, con il quale Egli manifestò in pubblico la sua gloria, suscitando la fede dei suoi discepoli. Richiamiamo brevemente ciò che accadde durante quella festa di nozze a Cana di Galilea. Accadde che venne a mancare il vino, e Maria, la Madre di Gesù, lo fece notare a suo Figlio. Egli le rispose che non era ancora giunta la sua ora; ma poi seguì la sollecitazione di Maria e, fatte riempire d’acqua sei grandi anfore, trasformò l’acqua in vino, un vino eccellente, migliore del precedente. Con questo “segno”, Gesù si rivela come lo Sposo messianico, venuto a stabilire con il suo popolo la nuova ed eterna Alleanza, secondo le parole dei profeti: «Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te» (Is 62,5). E il vino è simbolo di questa gioia dell’amore; ma esso allude anche al sangue, che Gesù verserà alla fine, per sigillare il suo patto nuziale con l’umanità.

La Chiesa è la sposa di Cristo, il quale la rende santa e bella con la sua grazia. Tuttavia questa sposa, formata da esseri umani, è sempre bisognosa di purificazione. E una delle colpe più gravi che deturpano il volto della Chiesa è quella contro la sua unità visibile, in particolare le storiche divisioni che hanno separato i cristiani e che non sono state ancora superate. Proprio in questi giorni, dal 18 al 25 gennaio, si svolge l’annuale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, un momento sempre gradito ai credenti e alle comunità, che risveglia in tutti il desiderio e l’impegno spirituale per la piena comunione. In tal senso è stata molto significativa la veglia che ho potuto celebrare circa un mese fa, in questa Piazza, con migliaia di giovani di tutta Europa e con la comunità ecumenica di Taizé: un momento di grazia in cui abbiamo sperimentato la bellezza di formare in Cristo una cosa sola. Incoraggio tutti a pregare insieme affinché possiamo realizzare «Quello che esige il Signore da noi» (cfr Mi 6,6-8), come dice quest’anno il tema della Settimana; un tema proposto da alcune comunità cristiane dell’India, che invitano ad impegnarsi con decisione verso l’unità visibile tra tutti i cristiani, e a superare, come fratelli in Cristo, ogni tipo di ingiusta discriminazione. Venerdì prossimo, al termine di queste giornate di preghiera, presiederò i Vespri nella Basilica di San Paolo fuori le mura, alla presenza dei Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali.

Cari amici, alla preghiera per l’unità dei cristiani vorrei aggiungere ancora una volta quella per la pace, perché, nei diversi conflitti purtroppo in atto, cessino le ignobili stragi di civili inermi, abbia fine ogni violenza, e si trovi il coraggio del dialogo e del negoziato. Per entrambe queste intenzioni, invochiamo l’intercessione di Maria Santissima, mediatrice di grazia.


Dopo l'Angelus

[Saluto cordialmente tutti i Polacchi. È in corso la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il suo tema è ispirato da alcune parole del profeta Michea: “Quel che il Signore esige da noi” (cfr. Mi 6,8). La nostra risposta sia la preghiera, il sincero dialogo ecumenico, la ricerca della verità, i gesti di reciproca intesa e di riconciliazione. Lo Spirito Santo ci unisca nella comune professione della fede e faccia che “tutti siamo una cosa sola” (cfr. Gv 17,21). Benedico di cuore le vostre aspirazioni ecumeniche.]

E infine saluto i pellegrini di lingua italiana, le famiglie, i fedeli di diverse parrocchie, di associazioni e di movimenti. A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Grazie. Bona domenica!




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/01/2017 11:12
 
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BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 18 gennaio 2006

 

Meditazione sulla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

«Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà» (Mt 18,19). Questa solenne assicurazione di Gesù ai suoi discepoli sostiene anche la nostra preghiera. Ha inizio oggi la ormai tradizionale «Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani», appuntamento importante per riflettere sul dramma della divisione della comunità cristiana e domandare assieme a Gesù stesso «che tutti siano una cosa sola affinché il mondo creda» (Gv 17,21). Lo facciamo oggi anche noi qui, in sintonia con una grande moltitudine nel mondo. In effetti, la preghiera «per l’unione di tutti» coinvolge in forme, tempi e modi diversi cattolici, ortodossi e protestanti, accomunati dalla fede in Gesù Cristo, unico Signore e Salvatore.

La preghiera per l’unità fa parte di quel nucleo centrale che il Concilio Vaticano II chiama «l’anima di tutto il movimento ecumenico» (Unitatis redintegratio, 8), nucleo che comprende appunto le preghiere pubbliche e private, la conversione del cuore e la santità di vita. Questa visione ci riporta al centro del problema ecumenico che è l’obbedienza al Vangelo per fare la volontà di Dio con il suo aiuto necessario ed efficace. Il Concilio lo ha esplicitamente segnalato ai fedeli dichiarando: «Con quanta più stretta comunione essi saranno – saremo – uniti con il Padre, con il Verbo e con lo Spirito Santo, con tanta più intima e facile azione potranno accrescere le mutue relazioni fraterne» (ibid., 7).

Gli elementi che, nonostante la divisione permanente congiungono ancora i cristiani, sostengono la possibilità di elevare una preghiera comune a Dio. Questa comunione in Cristo sorregge tutto il movimento ecumenico e indica lo scopo stesso della ricerca dell’unità di tutti i cristiani nella Chiesa di Dio. Ciò distingue il movimento ecumenico da ogni altra iniziativa di dialogo e di rapporti con altre religioni e ideologie. Anche in questo era stato preciso l’insegnamento del decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II: «A questo movimento per l’unità, chiamato ecumenico, partecipano quelli che invocano la Trinità e professano la fede in Gesù Signore e Salvatore» (ibid., 1). Le preghiere comuni che si svolgono nel mondo intero particolarmente in questo periodo, oppure attorno alla Pentecoste, esprimono inoltre la volontà di comune impegno per il ristabilimento della piena comunione di tutti i cristiani. Queste preghiere comuni «sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell’unità» (ibid., 8). Con tale affermazione il Concilio Vaticano II interpreta in sostanza quanto dice Gesù ai suoi discepoli ai quali assicura che se due si accorderanno sulla terra per chiedere qualcosa al Padre che è nei cieli, egli la concederà «perché» dove due o tre sono riuniti nel suo nome egli è in mezzo a loro. Dopo la resurrezione egli assicura ancora che sarà sempre con loro «tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). E’ la presenza di Gesù nella comunità dei discepoli e nella loro stessa preghiera, che ne garantisce l’efficacia. Tanto da promettere che «tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo» (Mt 18,18).

Ma non ci limitiamo ad impetrare. Possiamo anche ringraziare il Signore per la nuova situazione faticosamente creata dalle relazioni ecumeniche tra i cristiani nella ritrovata fraternità per i forti legami di solidarietà stabiliti, per la crescita della comunione e per le convergenze realizzate – certamente in modo diseguale – tra i vari dialoghi. Il futuro sta davanti a noi. Il Santo Padre Giovanni Paolo II di felice memoria – che tanto ha fatto e sofferto per la questione ecumenica – ci ha opportunamente insegnato che «riconoscere quanto Dio ha già concesso è la condizione che ci predispone a ricevere quei doni ancora indispensabili per condurre a compimento l’opera ecumenica dell’unità» (Ut unum sint, 41). Pertanto, fratelli e sorelle, continuiamo a pregare perché siamo consci che la santa causa del ristabilimento dell’unità dei cristiani supera le nostre povere forze umane e che l’unità in definitiva è dono di Dio.

Al termine della catechesi, il Santo Padre ha annunciato la pubblicazione della Sua prima Enciclica, dal titolo: "Deus caritas est":

In questo senso e con tali sentimenti mi recherò sulle orme di Papa Giovanni Paolo II martedì prossimo, 25 gennaio, festa della conversione dell'Apostolo delle Genti, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura per pregare con i fratelli ortodossi e protestanti: pregare per ringraziare di quanto il Signore ci ha concesso; pregare perché il Signore ci guidi sulle orme dell'unità.

Nello stesso giorno, il 25 gennaio, inoltre sarà finalmente pubblicata la mia prima Enciclica, il cui titolo è già conosciuto "Deus caritas est", "Dio è amore". Il tema non è immediatamente ecumenico, ma il quadro e il sottofondo sono ecumenici, perché Dio e il nostro amore sono la condizione dell'unità dei cristiani. Sono la condizione della pace nel mondo.

In questa Enciclica vorrei mostrare il concetto di amore nelle sue diverse dimensioni. Oggi, nella terminologia che si conosce, "amore" appare spesso molto lontano da quanto pensa un cristiano se parla di carità. Da parte mia, vorrei mostrare che si tratta di un unico movimento con diverse dimensioni. L'"eros", questo dono dell'amore tra uomo e donna, viene dalla stessa fonte della bontà del Creatore, come pure la possibilità di un amore che rinuncia a sé in favore dell'altro. L'"eros" si trasforma in "agape" nella misura in cui i due si amano realmente e uno non cerca più se stesso, la sua gioia, il suo piacere, ma cerca soprattutto il bene dell'altro. E così questo, che è "eros", si trasforma in carità, in un cammino di purificazione, di approfondimento. Dalla famiglia propria si spalanca verso la più grande famiglia della società, verso la famiglia della Chiesa, verso la famiglia del mondo.

Cerco anche di dimostrare come l'atto personalissimo che ci viene da Dio sia un unico atto di amore. Esso deve anche esprimersi come atto ecclesiale, organizzativo. Se è realmente vero che la Chiesa è espressione dell'amore di Dio, di quell'amore che Dio ha per la sua creatura umana, deve essere anche vero che l'atto fondamentale della fede che crea e unisce la Chiesa e ci dà la speranza della vita eterna e della presenza di Dio nel mondo, genera un atto ecclesiale. In pratica la Chiesa, anche come Chiesa, come comunità, in modo istituzionale, deve amare.

E questa cosiddetta "Caritas" non è una pura organizzazione, come altre organizzazioni filantropiche, ma necessaria espressione dell'atto più profondo dell'amore personale con cui Dio ci ha creati, suscitando nel nostro cuore la spinta verso l'amore, riflesso del Dio Amore che ci rende sua immagine.

Prima che il testo fosse pronto e tradotto è passato del tempo. Adesso mi sembra un dono della Provvidenza, il fatto che proprio nel giorno nel quale pregheremo per l'unità dei cristiani il testo sia pubblicato. Spero che esso possa illuminare e aiutare la nostra vita cristiana.

 


Saluti:

Il mio pensiero va, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Cari amici, durante questi giorni di preghiera per l’unità dei cristiani invito voi, cari giovani, ad essere ovunque, specialmente nei confronti dei vostri coetanei, apostoli di fedele adesione al Vangelo; chiedo a voi, cari malati, di offrire le vostre sofferenze per la piena comunione di tutti i discepoli di Cristo; esorto voi, cari sposi novelli, a diventare sempre più un cuor solo ed un’anima sola, vivendo il “comandamento dell’amore” all’interno delle vostre famiglie.

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 17 gennaio 2007

 

Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani

Cari fratelli e sorelle!

Ha inizio domani la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che concluderò personalmente nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, il prossimo 25 gennaio, con la celebrazione dei Vespri, a cui sono invitati anche i rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali di Roma. I giorni dal 18 al 25 gennaio, e in altre parti del mondo, la settimana attorno alla Pentecoste - sono un tempo forte di impegno e di preghiera da parte di tutti i cristiani, i quali possono avvalersi dei sussidi elaborati congiuntamente dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e dalla Commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Ho potuto avvertire quanto sia sentito il desiderio dell’unità negli incontri che ho avuto con vari rappresentanti di Chiese e Comunità ecclesiali lungo questi anni e, in modo molto commovente, nella recente visita al Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, ad Istanbul in Turchia. Su queste ed altre esperienze, che hanno dilatato il mio cuore alla speranza, tornerò più lungamente mercoledì prossimo. Il cammino dell’unità resta certamente lungo e non facile; occorre tuttavia non scoraggiarsi e continuare a percorrerlo contando in primo luogo sul sicuro sostegno di Colui che, prima di partire per il cielo, ha promesso ai suoi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). L’unità è dono di Dio e frutto dell’azione del suo Spirito. Per questo è importante pregare. Più ci avviciniamo a Cristo convertendoci al suo amore, più ci avviciniamo anche gli uni agli altri.

In alcuni Paesi, tra cui l’Italia, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani viene fatta precedere dalla Giornata di riflessione ebraico-cristiana, che si celebra proprio quest’oggi, 17 gennaio. Da ormai quasi due decenni la Conferenza Episcopale italiana dedica questa Giornata all’ebraismo con lo scopo di promuoverne la conoscenza e la stima e per incrementare il rapporto di reciproca amicizia tra la comunità cristiana e quella ebraica, rapporto che si è sviluppato positivamente dopo il Concilio Vaticano II e dopo la storica visita del Servo di Dio Giovanni Paolo II alla Sinagoga Maggiore di Roma. Anche l’amicizia ebraico-cristiana, per crescere ed essere fruttuosa, deve fondarsi sulla preghiera. Invito pertanto tutti a rivolgere quest’oggi un’insistente invocazione al Signore perché ebrei e cristiani si rispettino, si stimino e collaborino insieme per la giustizia e la pace nel mondo.

Quest’anno il tema biblico proposto alla comune riflessione e preghiera in questa “Settimana” è: “Fa sentire i sordi e fa parlare i muti” (Mc 7, 31-37). Sono parole tratte dal Vangelo di Marco e si riferiscono alla guarigione di un sordomuto da parte di Gesù. In questa breve pericope, l’evangelista narra che il Signore, dopo aver posto le dita negli orecchi e dopo aver toccato con la saliva la lingua del sordomuto, operò il miracolo dicendo: “Effatà” che significa “Apriti!”. Riacquistato l’udito e riavuto il dono della parola, quell’uomo suscitò l’ammirazione degli altri raccontando quanto gli era capitato. Ogni cristiano, spiritualmente sordo e muto a causa del peccato originale, con il Battesimo riceve il dono del Signore che mette le sue dita sulla sua faccia, e così, tramite la grazie del Battesimo, diventa capace di ascoltare la parola di Dio e di proclamarla ai fratelli. Anzi, a partire da quel momento è suo compito maturare nella conoscenza e nell’amore di Cristo così da poter annunziare e testimoniare efficacemente il Vangelo.

Questo tema, mettendo in luce due aspetti della missione di ogni comunità cristiana - l’annuncio del Vangelo e la testimonianza della carità – sottolinea anche quanto sia importante tradurre il messaggio di Cristo in concrete iniziative di solidarietà. Ciò favorisce il cammino dell’unità, perché si può dire che ogni sollievo, pur piccolo, che i cristiani recano insieme alla sofferenza del prossimo, contribuisce a rendere più visibile anche la loro comunione e la loro fedeltà al comando del Signore. La preghiera per l’unità dei cristiani non può tuttavia limitarsi a una settimana all’anno. L’invocazione corale al Signore perché sia Egli a realizzare, nei tempi e nei modi a Lui solo noti, la piena unità di tutti i suoi discepoli deve estendersi ad ogni giorno dell’anno. Inoltre l’armonia di intenti nella diaconia per alleviare le sofferenze dell’uomo, la ricerca della verità del messaggio di Cristo, la conversione e la penitenza, sono tappe obbligate attraverso le quali ogni cristiano degno di questo nome deve unirsi al fratello per implorare il dono dell’unità e della comunione. Vi esorto, dunque, a trascorrere questi giorni in un clima di orante ascolto dello Spirito di Dio, perché si compiano significativi passi sulla via della comunione piena e perfetta fra tutti i discepoli di Cristo. Ce l’ottenga la Vergine Maria, che invochiamo come Madre della Chiesa e sostegno di tutti i cristiani, sostegno del nostro cammino verso Cristo.

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Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Oggi celebriamo la memoria liturgica di sant'Antonio Abate, insigne padre del monachesimo, maestro di vita spirituale e modello sublime di vita cristiana. Il suo esempio aiuti voi, cari giovani, a seguire Cristo senza compromessi; sostenga voi, cari malati, nei momenti di sconforto e di prova; e stimoli voi, sposi novelli, a non trascurare la preghiera nella vita di ogni giorno.



UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 23 gennaio 2008

 

 

 

Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani

Cari fratelli e sorelle,

stiamo celebrando la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che si concluderà venerdì prossimo, 25 gennaio, festa della Conversione dell’apostolo Paolo. I cristiani delle varie Chiese e Comunità ecclesiali si uniscono in questi giorni in una corale invocazione per chiedere al Signore Gesù il ristabilimento della piena unità tra tutti i suoi discepoli. E’ una concorde implorazione fatta con un’anima sola e un cuore solo rispondendo all’anelito stesso del Redentore, che nell’Ultima Cena si è rivolto al Padre con queste parole: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,20-21). Chiedendo la grazia dell’unità, i cristiani si uniscono alla preghiera stessa di Cristo e si impegnano ad operare attivamente perché l’intera umanità lo accolga e lo riconosca come solo Pastore ed unico Signore, e possa così sperimentare la gioia del suo amore.

Quest’anno la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani assume un valore e un significato particolari, perché ricorda i cento anni dal suo inizio. Quando fu avviata, si trattò in effetti di un’intuizione veramente feconda. Fu nel 1908: un anglicano americano, poi entrato nella comunione della Chiesa cattolica, fondatore della “Society of the Atonement” (Comunità dei frati e delle suore dell’Atonement), Padre Paul Wattson, assieme ad un altro episcopaliano, Padre Spencer Jones, lanciò l’idea profetica di un ottavario di preghiere per l’unità dei cristiani. L’idea venne accolta con favore dall’Arcivescovo di New York e dal Nunzio Apostolico. L’appello a pregare per l’unità fu poi esteso, nel 1916, all’intera Chiesa cattolica grazie all’intervento del mio venerato Predecessore, il Papa Benedetto XV, con il Breve Romanorum Pontificum. L’iniziativa, che intanto aveva suscitato non poco interesse, andò prendendo piede ovunque progressivamente e, con il tempo, sempre più precisò la propria struttura evolvendosi nel suo svolgimento grazie anche all’apporto dell’Abbé Couturier (1936). Quando poi soffiò il vento profetico del Concilio Vaticano II si avvertì ancor più l’urgenza dell’unità. Dopo l’Assise conciliare proseguì il cammino paziente della ricerca della piena comunione fra tutti i cristiani, cammino ecumenico che di anno in anno ha trovato proprio nella Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani uno dei momenti più qualificanti e proficui. A cento anni dal primo appello a pregare insieme per l’unità, è ormai diventata una tradizione consolidata questa Settimana di Preghiera, conservando lo spirito e le date scelte all’inizio da Padre Wattson. Egli le aveva infatti scelte per il loro carattere simbolico. Il calendario del tempo prevedeva per il 18 gennaio la festa della Cattedra di S. Pietro, che è saldo fondamento e sicura garanzia di unità dell’intero popolo di Dio, mentre il 25 gennaio, allora come oggi, la liturgia celebra la festa della conversione di San Paolo. Mentre rendiamo grazie al Signore per questi cento anni di preghiera e di impegno comune tra tanti discepoli di Cristo, ricordiamo con riconoscenza l’ideatore di questa provvidenziale iniziativa spirituale, il Padre Wattson e, insieme a lui, coloro che l’hanno promossa ed arricchita con i loro apporti, facendola diventare patrimonio comune di tutti i cristiani.

Ricordavo poc’anzi che al tema dell’unità dei cristiani il Concilio Vaticano II ha dedicato grande attenzione, specialmente con il Decreto sull’ecumenismo (Unitatis redintegratio), nel quale, tra l’altro, vengono sottolineati con forza il ruolo e l’importanza della preghiera per l’unità. La preghiera, osserva il Concilio, sta nel cuore stesso di tutto il cammino ecumenico. “Questa conversione del cuore e questa santità di vita insieme con le preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani, si devono ritenere come l’anima di tutto il movimento ecumenico” (UR, 8). Grazie proprio a questo ecumenismo spirituale – santità della vita, conversione del cuore, preghiere private e pubbliche -, la comune ricerca dell’unità ha registrato in questi decenni un grande sviluppo, che si è diversificato in molteplici iniziative: dalla reciproca conoscenza al contatto fraterno fra membri di diverse Chiese e Comunità ecclesiali, da conversazioni sempre più amichevoli a collaborazioni in vari campi, dal dialogo teologico alla ricerca di concrete forme di comunione e di collaborazione. Ciò che ha vivificato e continua a vivificare questo cammino verso la piena comunione tra tutti i cristiani è innanzitutto la preghiera. “Pregate continuamente” (1Ts 5,17) è il tema della Settimana di quest’anno; è al tempo stesso l’invito che non cessa mai di risuonare nelle nostre comunità, perchè la preghiera sia la luce, la forza, l’orientamento dei nostri passi, in atteggiamento di umile e docile ascolto del nostro comune Signore.

In secondo luogo, il Concilio pone l’accento sulla preghiera comune, quella che viene congiuntamente elevata da cattolici e da altri cristiani verso l’unico Padre celeste. Il Decreto sull’ecumenismo afferma in proposito: “Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell’unità” (UR, 8). E ciò perché, nella preghiera comune, le comunità cristiane si pongono insieme di fronte al Signore e, prendendo coscienza delle contraddizioni generate dalla divisione, manifestano la volontà di ubbidire alla sua volontà ricorrendo fiduciosi al suo onnipotente soccorso. Il Decreto aggiunge poi che tali preghiere “sono una genuina manifestazione dei vincoli con i quali i cattolici sono ancora congiunti con i fratelli disgiunti (seiuncti)” (ibid.). La preghiera comune non è quindi un atto volontaristico o puramente sociologico, ma è espressione della fede che unisce tutti i discepoli di Cristo. Nel corso degli anni si è instaurata una feconda collaborazione in questo campo e dal 1968 l’allora Segretariato per l’unità dei cristiani, divenuto poi Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e il Consiglio Ecumenico delle Chiese preparano insieme i sussidi della Settimana di Preghiera per l’Unità, che vengono poi divulgati congiuntamente nel mondo coprendo zone che non si sarebbero mai raggiunte operando da soli.

Il Decreto conciliare sull’ecumenismo fa riferimento alla preghiera per l’unità quando, proprio alla fine, afferma che il Concilio è consapevole che “questo santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unità della Chiesa di Cristo, una e unica, supera le forze e le doti umane. Perciò ripone tutta la sua speranza nell’orazione di Cristo per la Chiesa” (UR, 24). E’ la consapevolezza dei nostri limiti umani che ci spinge all’abbandono fiducioso nelle mani del Signore. A ben vedere, il senso profondo di questa Settimana di Preghiera è proprio quello di appoggiarsi saldamente sulla preghiera di Cristo, che nella sua Chiesa continua a pregare perchè “tutti siano una cosa sola… perché il mondo creda…” (Gv 17,21). Oggi sentiamo fortemente il realismo di queste parole. Il mondo soffre per l’assenza di Dio, per l’inaccessibilità di Dio, ha desiderio di conoscere il volto di Dio. Ma come potrebbero e possono, gli uomini di oggi, conoscere questo volto di Dio nel volto di Gesù Cristo se noi cristiani siamo divisi, se uno insegna contro l’altro, se uno sta contro l’altro? Solo nell’unità possiamo mostrare realmente a questo mondo – che ne ha bisogno – il volto di Dio, il volto di Cristo. E’ anche evidente che non con le nostre proprie strategie, con il dialogo e con tutto quello che facciamo – che pure è tanto necessario – possiamo ottenere questa unità. Quello che possiamo ottenere è la nostra disponibilità e capacità ad accogliere questa unità quando il Signore ce la dona. Ecco il senso della preghiera: aprire i nostri cuori, creare in noi questa disponibilità che apre la strada a Cristo. Nella liturgia della Chiesa antica, dopo l’omelia, il Vescovo o il presidente della celebrazione, il celebrante principale, diceva: “Conversi ad Dominum”. Quindi egli stesso e tutti si alzavano e si volgevano verso Oriente. Tutti volevano guardare verso Cristo. Solo se convertiti, solo in questa conversione verso Cristo, in questo comune sguardo a Cristo, possiamo trovare il dono dell’unità.

 

Possiamo dire che è stata la preghiera per l’unità ad animare e ad accompagnare le varie tappe del movimento ecumenico, specialmente a partire dal Concilio Vaticano II. In questo periodo la Chiesa cattolica è entrata in contatto con le varie Chiese e Comunità ecclesiali d’Oriente e d’Occidente con diverse forme di dialogo, affrontando con ciascuna quei problemi teologici e storici sorti nel corso dei secoli e stabilitisi come elementi di divisione. Il Signore ha fatto sì che tali amichevoli relazioni abbiano migliorato la reciproca conoscenza, abbiano intensificato la comunione rendendo, al tempo stesso, più chiara la percezione dei problemi che restano aperti e che fomentano la divisione. Oggi, in questa Settimana, rendiamo grazie a Dio che ha sostenuto e illuminato il cammino sinora percorso, cammino fecondo che il Decreto conciliare sull’ecumenismo descriveva come “sorto per impulso della grazia dello Spirito Santo” e “ogni giorno più ampio” (UR, 1).

 

Cari fratelli e sorelle, raccogliamo l’invito a “pregare senza stancarsi”, che l’apostolo Paolo rivolgeva ai primi cristiani di Tessalonica, comunità che lui stesso aveva fondato. E proprio perché aveva saputo che vi erano sorti dei dissensi, volle raccomandare di essere pazienti con tutti, di guardarsi dal rendere male per male, cercando invece sempre il bene tra di loro e con tutti, e restando lieti in ogni circostanza, lieti perché il Signore è vicino. I consigli che San Paolo dava ai Tessalonicesi possono ispirare anche oggi il comportamento dei cristiani nell’ambito delle relazioni ecumeniche. Soprattutto egli dice: “Vivete in pace tra voi” e poi: “Pregate continuamente, in ogni cosa rendete grazie” (cfr 1Ts 5,13.18). Accogliamo anche noi questa pressante esortazione dell’Apostolo sia per ringraziare il Signore per i progressi compiuti nel movimento ecumenico, sia per impetrare la piena unità. La Vergine Maria, Madre della Chiesa, ottenga per tutti i discepoli del suo divin Figlio di poter vivere quanto prima in pace e nella carità reciproca, così da rendere una convincente testimonianza di riconciliazione davanti al mondo intero, per rendere accessibile il volto di Dio nel volto di Cristo, che è il Dio-con-noi, il Dio della pace e dell’unità. Amen.

Rivolgo poi un pensiero ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Celebreremo domani la memoria liturgica di san Francesco di Sales, patrono della stampa cattolica. Vescovo di Ginevra in un periodo di gravi conflitti, egli fu uomo di pace e di comunione. Maestro di vita spirituale, egli ha insegnato che la perfezione cristiana è accessibile ad ogni persona. Cari giovanimalati e sposi novelli, per intercessione di san Francesco di Sales vivete anche voi la vostra vocazione nelle concrete condizioni in cui vi trovate, confidando nell'amore di Dio che sempre ci accompagna.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/01/2017 11:18
 
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BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 21 gennaio 2009

 

Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani

Cari fratelli e sorelle!

Domenica scorsa è iniziata la “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”, che si concluderà domenica prossima, festa della Conversione di san Paolo apostolo. Si tratta di una iniziativa spirituale quanto mai preziosa, che va estendendosi sempre più tra i cristiani, in sintonia e, potremmo dire, in risposta all’accorata invocazione che Gesù rivolse al Padre nel Cenacolo, prima della sua Passione: “Che siano una cosa sola, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato (Gv 17, 21). Ben quattro volte, in questa preghiera sacerdotale, il Signore chiede che i suoi discepoli siano “una cosa sola”, secondo l’immagine dell’unità tra il Padre e il Figlio. Si tratta di una unità che può crescere soltanto sull’esempio del donarsi del Figlio al Padre, cioè uscendo da sé e unendosi a Cristo. Due volte, inoltre, in questa preghiera, Gesù aggiunge come scopo di questa unità: perché il mondo creda. La piena unità è quindi connessa alla vita e alla missione stessa della Chiesa nel mondo. Essa deve vivere una unità che può derivare solo dalla sua unità con Cristo, con la sua trascendenza, quale segno che Cristo è la verità. E’ questa la nostra responsabilità: che sia visibile nel mondo il dono di una unità in virtù della quale si renda credibile la nostra fede. Per questo è importante che ogni comunità cristiana prenda consapevolezza dell’urgenza di operare in tutti i modi possibili per giungere a questo obiettivo grande. Ma, sapendo che l’unità è innanzitutto “dono” del Signore, occorre al tempo stesso implorarla con instancabile e fiduciosa preghiera. Solo uscendo da noi e andando verso Cristo, solo nella relazione con Lui possiamo diventare realmente uniti tra di noi. E’ questo l’invito che, con la presente “Settimana”, viene rivolto ai credenti in Cristo di ogni Chiesa e Comunità ecclesiale; ad esso, cari fratelli e sorelle, rispondiamo con pronta generosità.

Quest’anno, la “Settimana di preghiera per l’unità” propone alla nostra meditazione e preghiera queste parole tratte dal libro del profeta Ezechiele: “Che formino una cosa sola nella tua mano” (37,17). Il tema è stato scelto da un gruppo ecumenico della Corea, e riveduto poi per la divulgazione internazionale dal Comitato Misto per la Preghiera formato da rappresentanti del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e del Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra. Il processo stesso di preparazione è stato un fecondo e stimolante esercizio di vero ecumenismo.

Nel brano del libro del profeta Ezechiele, da cui è tratto il tema, il Signore ordina al profeta di prendere due legni, uno come simbolo di Giuda e delle sue tribù e l’altro come simbolo di Giuseppe e di tutta la casa d’Israele unita a lui, e gli chiede di “accostarli”, in modo da formare un solo legno, “una cosa sola” nella sua mano. Trasparente è la parabola dell’unità. Ai “figli del popolo”, che domanderanno spiegazione, Ezechiele, illuminato dall’Alto, dirà che il Signore stesso prende i due legni e li accosta, in modo che i due regni con le rispettive tribù, tra loro divise, diventino “una cosa sola nella sua mano”. La mano del profeta, che accosta i due legni, viene considerata come la mano stessa di Dio che raccoglie e unifica il suo popolo e finalmente l’intera umanità. Possiamo applicare le parole del profeta ai cristiani, nel senso di un’esortazione a pregare, a lavorare facendo tutto il possibile perché si compia l’unità di tutti i discepoli di Cristo, a lavorare affinché la nostra mano sia strumento della mano unificante di Dio. Questa esortazione diventa particolarmente commovente ed accorata nelle parole di Gesù dopo l’Ultima Cena. Il Signore desidera che l’intero suo popolo cammini – e vede in questo la Chiesa del futuro, dei secoli futuri – con pazienza e perseveranza verso il traguardo della piena unità. Impegno questo, che comporta adesione umile e docile obbedienza al comando del Signore, il quale lo benedice e lo rende fecondo. Il profeta Ezechiele ci assicura che sarà proprio Lui, il nostro unico Signore, l’unico Dio, a raccoglierci nella “sua mano”.

Nella seconda parte della lettura biblica si approfondiscono il significato e le condizioni dell’unità delle varie tribù in un solo regno. Nella dispersione tra le genti, gli Israeliti avevano conosciuto culti erronei, avevano maturato concezioni di vita sbagliate, avevano assunto costumi alieni dalla legge divina. Ora il Signore dichiara che non si contamineranno più con gli idoli dei popoli pagani, con i loro abomini, con tutte le loro iniquità (cfr Ez 37, 23). Richiama la necessità di liberarli dal peccato, di purificare il loro cuore. “Li libererò da tutte le ribellioni – afferma –, li purificherò”. E così “saranno il mio popolo ed io sarò il loro Dio” (Ibid.). In questa condizione di rinnovamento interiore, essi “seguiranno i miei comandamenti, osserveranno le mie leggi, e le metteranno in pratica”. Ed il testo profetico si conclude con la promessa definitiva e pienamente salvifica: “Farò con loro un’alleanza di pace … Porrò il mio santuario, cioè la mia presenza, in mezzo a loro” (Ez 37,26).

La visione di Ezechiele diviene particolarmente eloquente per l’intero movimento ecumenico, perché pone in luce l’esigenza imprescindibile di un autentico rinnovamento interiore in tutti i componenti del Popolo di Dio che il Signore solo può operare. A questo rinnovamento dobbiamo essere aperti anche noi, perché anche noi, dispersi tra i popoli del mondo, abbiamo imparato usanze molto lontane dalla Parola di Dio. “Siccome ogni rinnovamento della Chiesa – si legge nel Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II - consiste essenzialmente nell’accresciuta fedeltà alla sua vocazione, questa è senza dubbio la ragione del movimento verso l’unità” (UR, 6), cioè la maggiore fedeltà alla vocazione di Dio. Il decreto sottolinea poi la dimensione interiore della conversione del cuore. “Ecumenismo vero – aggiunge - non c’è senza interiore conversione, perché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stesso e dal pieno esercizio della carità” (UR, 7). La “Settimana di preghiera per l’unità” diviene, in tal modo, per tutti noi stimolo a una conversione sincera e a un ascolto sempre più docile della Parola di Dio, a una fede sempre più profonda.

La “Settimana” è anche occasione propizia per ringraziare il Signore per quanto ha concesso di fare sinora “per accostare”, gli uni agli altri, i cristiani divisi, e le stesse Chiese e Comunità ecclesiali. Questo spirito ha animato la Chiesa cattolica, la quale, nell’anno appena trascorso, ha proseguito, con salda convinzione e radicata speranza, a intrattenere relazioni fraterne e rispettose con tutte le Chiese e Comunità ecclesiali di Oriente e di Occidente. Nella varietà delle situazioni, talvolta più positive e talora con maggiori difficoltà, si è sforzata di non venire mai meno all’impegno di compiere ogni sforzo tendente alla ricomposizione della piena unità. Le relazioni fra le Chiese e i dialoghi teologici hanno continuato a dare segni di convergenze spirituali incoraggianti. Io stesso ho avuto la gioia di incontrare, qui in Vaticano e nel corso dei miei viaggi apostolici, cristiani provenienti da ogni orizzonte. Ho accolto con viva gioia per tre volte il Patriarca Ecumenico Sua Santità Bartolomeo I ed, evento straordinario, lo abbiamo sentito prendere la parola, con fraterno calore ecclesiale e con convinta fiducia verso l’avvenire, durante la recente assemblea del Sinodo dei Vescovi. Ho avuto il piacere di ricevere i due Catholicoi della Chiesa Apostolica Armena: Sua Santità Karekin II di Etchmiazin e Sua Santità Aram I di Antelias. E infine ho condiviso il dolore del Patriarcato di Mosca per la dipartita dell’amato fratello in Cristo, il Patriarca Sua Santità Alessio II, e continuo a restare in comunione di preghiera con quei nostri fratelli che si preparano ad eleggere il nuovo Patriarca della loro veneranda e grande Chiesa ortodossa. Ugualmente mi è stato dato di incontrare rappresentanti delle varie Comunioni cristiane di Occidente, con i quali prosegue il confronto sull’importante testimonianza che i cristiani devono dare oggi in modo concorde, in un mondo sempre più diviso e posto di fronte a tante sfide di carattere culturale, sociale, economico ed etico. Di questo e di tanti altri incontri, dialoghi, e gesti di fraternità che il Signore ci ha concesso di poter realizzare, rendiamo insieme a Lui grazie con gioia.

Cari fratelli e sorelle, cogliamo l’opportunità che la “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” ci offre per chiedere al Signore che proseguano e, se possibile, si intensifichino l’impegno e il dialogo ecumenico. Nel contesto dell’Anno Paolino, che commemora il bimillenario della nascita di san Paolo, non possiamo non rifarci anche a quanto l’Apostolo Paolo ci ha lasciato scritto a proposito dell’unità della Chiesa. Ogni mercoledì vado dedicando la mia riflessione alle sue lettere e al suo prezioso insegnamento. Riprendo qui semplicemente quanto egli scrive rivolgendosi alla comunità di Efeso: “Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef 4,4-5). Facciamo nostro l’anelito di san Paolo, che ha speso la sua vita interamente per l’unico Signore e per l’unità del suo mistico Corpo, la Chiesa, rendendo, con il martirio, una suprema testimonianza di fedeltà e di amore a Cristo.

Seguendo il suo esempio e contando sulla sua intercessione, ogni comunità cresca nell’impegno dell’unità, grazie alle varie iniziative spirituali e pastorali e alle assemblee di preghiera comune, che di solito si fanno più numerose e intense in questa “Settimana”, facendoci già pregustare, in un certo modo, il giorno dell’unità piena. Preghiamo perchè tra le Chiese e le Comunità ecclesiali continui il dialogo della verità, indispensabile per dirimere le divergenze, e quello della carità che condiziona lo stesso dialogo teologico e aiuta a vivere insieme per una testimonianza comune. Il desiderio che ci abita in cuore è che si affretti il giorno della piena comunione, quando tutti i discepoli dell’unico nostro Signore potranno finalmente celebrare insieme l’Eucaristia, il sacrificio divino per la vita e la salvezza del mondo. Invochiamo la materna intercessione di Maria, perché aiuti tutti i cristiani a coltivare un più attento ascolto della Parola di Dio e una più intensa preghiera per l’unità.

 

Un pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Celebriamo oggi la memoria liturgica di sant’Agnese, vergine e martire, che nonostante la giovanissima età ha affrontato coraggiosamente la morte per amore del Signore e avendo in lei “gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”, l’Agnello immolato e vincitore. Cari giovani, cari malati e cari sposi novelli, per intercessione di sant’Agnese possiate anche voi vivere la vostra vocazione e le concrete condizioni in cui vi trovate come autentiche vie di santità.


UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 20 gennaio 2010
  

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Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani

Cari fratelli e sorelle!

Siamo al centro della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, un’iniziativa ecumenica, che si è andata strutturando ormai da oltre un secolo, e che attira ogni anno l’attenzione su un tema, quello dell’unità visibile tra i cristiani, che coinvolge la coscienza e stimola l’impegno di quanti credono in Cristo. E lo fa innanzitutto con l’invito alla preghiera, ad imitazione di Gesù stesso, che chiede al Padre per i suoi discepoli “Siano uno, affinché il mondo creda” (Gv 17,21). Il richiamo perseverante alla preghiera per la piena comunione tra i seguaci del Signore manifesta l’orientamento più autentico e più profondo dell’intera ricerca ecumenica, perché l’unità, prima di tutto, è dono di Dio. Infatti, come afferma il Concilio Vaticano Secondo: “il santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unica Chiesa di Cristo, una e unica, supera tutte le forze umane” (Unitatis Redintegratio, 24). Pertanto, oltre al nostro sforzo di sviluppare relazioni fraterne e promuovere il dialogo per chiarire e risolvere le divergenze che separano le Chiese e le Comunità ecclesiali, è necessaria la fiduciosa e concorde invocazione al Signore.

Il tema di quest’anno è preso dal Vangelo di san Luca, dalle ultime parole del Risorto ai suoi discepoli “Di questo voi siete testimoni” (Lc 24,48). La proposta del tema è stata chiesta dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, in accordo con la Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, ad un gruppo ecumenico della Scozia. Un secolo fa la Conferenza Mondiale per la considerazione dei problemi in riferimento al mondo non cristiano ebbe luogo proprio ad Edimburgo, in Scozia, dal 13 al 24 giugno 1910. Tra i problemi allora discussi vi fu quello della difficoltà oggettiva di proporre con credibilità l’annuncio evangelico al mondo non cristiano da parte dei cristiani divisi tra loro. Se ad un mondo che non conosce Cristo, che si è allontanato da Lui o che si mostra indifferente al Vangelo, i cristiani si presentano non uniti, anzi spesso contrapposti, sarà credibile l’annuncio di Cristo come unico Salvatore del mondo e nostra pace? Il rapporto fra unità e missione da quel momento ha rappresentato una dimensione essenziale dell’intera azione ecumenica e il suo punto di partenza. Ed è per questo specifico apporto che quella Conferenza di Edimburgo rimane come uno dei punti fermi dell’ecumenismo moderno. La Chiesa Cattolica, nel Concilio Vaticano II, riprese e ribadì con vigore questa prospettiva, affermando che la divisione tra i discepoli di Gesù “non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura” (Unitatis Redintegratio, 1).

In tale contesto teologico e spirituale si situa il tema proposto in questa Settimana per la meditazione e la preghiera: l’esigenza di una testimonianza comune a Cristo. Il breve testo proposto come tema “Di questo voi siete testimoni” è da leggere nel contesto dell’intero capitolo 24 del Vangelo secondo Luca. Ricordiamo brevemente il contenuto di questo capitolo. Prima le donne si recano al sepolcro, vedono i segni della Risurrezione di Gesù e annunciano quanto hanno visto agli Apostoli e agli altri discepoli (v. 8); poi lo stesso Risorto appare ai discepoli di Emmaus lungo il cammino, appare a Simon Pietro e successivamente, agli “Undici e agli altri che erano con loro” (v. 33). Egli apre la mente alla comprensione delle Scritture circa la sua Morte redentrice e la sua Risurrezione, affermando che “nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati” (v. 47). Ai discepoli che si trovano “riuniti” insieme e che sono stati testimoni della sua missione, il Signore Risorto promette il dono dello Spirito Santo (cfr v. 49), affinché insieme lo testimonino a tutti i popoli. Da tale imperativo – “Di tutto ciò”, di questo voi siete testimoni (cfr Lc 24,48) -, che è il tema di questa Settimana per l’unità dei cristiani, nascono per noi due domande. La prima: cosa è “tutto ciò”? La seconda: come possiamo noi essere testimoni di “tutto ciò”?

Se vediamo il contesto del capitolo, “tutto ciò” vuole dire innanzitutto la Croce e la Risurrezione: i discepoli hanno visto la crocifissione del Signore, vedono il Risorto e così cominciano a capire tutte le Scritture che parlano del mistero della Passione e del dono della Risurrezione. “Tutto ciò” quindi è il mistero di Cristo, del Figlio di Dio fattosi uomo, morto per noi e risorto, vivo per sempre e così garanzia della nostra vita eterna.

Ma conoscendo Cristo – questo è il punto essenziale - conosciamo il volto di Dio. Cristo è soprattutto la rivelazione di Dio. In tutti i tempi, gli uomini percepiscono l’esistenza di Dio, un Dio unico, ma che è lontano e non si mostra. In Cristo questo Dio si mostra, il Dio lontano diventa vicino. “Tutto ciò” è quindi, soprattutto col mistero di Cristo, Dio che si è fatto vicino a noi. Ciò implica un’altra dimensione: Cristo non è mai solo; Egli è venuto in mezzo a noi, è morto solo, ma è risorto per attirare tutti sé. Cristo, come dice la Scrittura, si crea un corpo, riunisce tutta l’umanità nella sua realtà della vita immortale. E così, in Cristo che riunisce l’umanità, conosciamo il futuro dell’umanità: la vita eterna. Tutto ciò, quindi, è molto semplice, in ultima istanza: conosciamo Dio conoscendo Cristo, il suo corpo, il mistero della Chiesa e la promessa della vita eterna.

Veniamo ora alla seconda domanda. Come possiamo noi essere testimoni di “tutto ciò”? Possiamo essere testimoni solo conoscendo Cristo e, conoscendo Cristo, anche conoscendo Dio. Ma conoscere Cristo implica certamente una dimensione intellettuale - imparare quanto conosciamo da Cristo - ma è sempre molto più che un processo intellettuale: è un processo esistenziale, è un processo dell'apertura del mio io, della mia trasformazione dalla presenza e dalla forza di Cristo, e così è anche un processo di apertura a tutti gli altri che devono essere corpo di Cristo. In questo modo, è evidente che conoscere Cristo, come processo intellettuale e soprattutto esistenziale, è un processo che ci fa testimoni. In altre parole, possiamo essere testimoni solo se Cristo lo conosciamo di prima mano e non solo da altri, dalla nostra propria vita, dal nostro incontro personale con Cristo. Incontrandolo realmente nella nostra vita di fede diventiamo testimoni e possiamo così contribuire alla novità del mondo, alla vita eterna. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dà un'indicazione anche per il contenuto di questo “tutto ciò”. La Chiesa ha riunito e riassunto l'essenziale di quanto il Signore ci ha donato nella Rivelazione, nel “Simbolo detto niceno-costantinopolitano, il quale trae la sua grande autorità dal fatto di essere frutto dei primi due Concili Ecumenici (325 e 381)” (CCC, n. 195). Il Catechismo precisa che questo Simbolo ”è tuttora comune a tutte le grandi Chiese dell’Oriente e dell’Occidente” (Ibid.). In questo Simbolo quindi si trovano le verità di fede che i cristiani possono professare e testimoniare insieme, affinché il mondo creda, manifestando, con il desiderio e l’impegno di superare le divergenze esistenti, la volontà di camminare verso la piena comunione, l’unità del Corpo di Cristo.

La celebrazione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani ci porta a considerare altri aspetti importanti per l’ecumenismo. Innanzitutto, il grande progresso realizzato nelle relazioni tra Chiese e Comunità ecclesiali dopo la Conferenza di Edimburgo di un secolo fa. Il movimento ecumenico moderno si è sviluppato in modo così significativo da diventare, nell’ultimo secolo, un elemento importante nella vita della Chiesa, ricordando il problema dell’unità tra tutti i cristiani e sostenendo anche la crescita della comunione tra loro. Esso non solo favorisce i rapporti fraterni tra le Chiese e le Comunità ecclesiali in risposta al comandamento dell’amore, ma stimola anche la ricerca teologica. Inoltre, esso coinvolge la vita concreta delle Chiese e delle Comunità ecclesiali con tematiche che toccano la pastorale e la vita sacramentale, come, ad esempio, il mutuo riconoscimento del Battesimo, le questioni relative ai matrimoni misti, i casi parziali di comunicatio in sacris in situazioni particolari ben definite. Nel solco di tale spirito ecumenico, i contatti sono andati allargandosi anche a movimenti pentecostali, evangelici e carismatici, per una maggiore conoscenza reciproca, benchè non manchino problemi gravi in questo settore.

La Chiesa cattolica, dal Concilio Vaticano II in poi, è entrata in relazioni fraterne con tutte le Chiese d’Oriente e le Comunità ecclesiali d’Occidente, organizzando, in particolare, con la maggior parte di esse, dialoghi teologici bilaterali, che hanno portato a trovare convergenze o anche consensi in vari punti, approfondendo così i vincoli di comunione. Nell’anno appena trascorso i vari dialoghi hanno registrato positivi passi. Con le Chiese Ortodosse la Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico ha iniziato, nell’XI Sessione plenaria svoltasi a Paphos di Cipro nell’ottobre 2009, lo studio di un tema cruciale nel dialogo fra cattolici e ortodossi: Il ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio, cioè nel tempo in cui i cristiani di Oriente e di Occidente vivevano nella piena comunione. Questo studio si estenderà in seguito al secondo millennio. Ho già più volte chiesto la preghiera dei cattolici per questo dialogo delicato ed essenziale per l’intero movimento ecumenico. Anche con le Antiche Chiese ortodosse d’Oriente (copta, etiopica, sira, armena) l’analoga Commissione Mista si è incontrata dal 26 al 30 gennaio dello scorso anno. Tali importanti iniziative attestano come sia in atto un dialogo profondo e ricco di speranze con tutte le Chiese d’Oriente non in piena comunione con Roma, nella loro propria specificità.

Nel corso dell’anno passato, con le Comunità ecclesiali di Occidente si sono esaminati i risultati raggiunti nei vari dialoghi in questi quarant’anni, soffermandosi, in particolare, su quelli con la Comunione Anglicana, con la Federazione Luterana Mondiale, con l’Alleanza Riformata Mondiale e con il Consiglio Mondiale Metodista. Al riguardo, il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani ha realizzato uno studio per enucleare i punti di convergenza a cui si è giunti nei relativi dialoghi bilaterali, e segnalare, allo stesso tempo, i problemi aperti su cui occorrerà iniziare una nuova fase di confronto.

Tra gli eventi recenti, vorrei menzionare la commemorazione del decimo anniversario della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, celebrato insieme da cattolici e luterani il 31 ottobre 2009, per stimolare il proseguimento del dialogo, come pure la visita a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, il Dottor Rowan Williams, il quale ha avuto anche colloqui sulla particolare situazione in cui si trova la Comunione Anglicana. Il comune impegno di continuare le relazioni e il dialogo sono un segno positivo, che manifesta quanto sia intenso il desiderio dell’unità, nonostante tutti i problemi che si oppongono. Così vediamo che c’è una dimensione della nostra responsabilità nel fare tutto ciò che è possibile per arrivare realmente all’unità, ma c’è l’altra dimensione, quella dell’azione divina, perché solo Dio può dare l’unità alla Chiesa. Una unità “autofatta” sarebbe umana, ma noi desideriamo la Chiesa di Dio, fatta da Dio, il quale quando vorrà e quando noi saremo pronti, creerà l’unità. Dobbiamo tenere presente anche quanti progressi reali si sono raggiunti nella collaborazione e nella fraternità in tutti questi anni, in questi ultimi cinquant’anni. Allo stesso tempo, dobbiamo sapere che il lavoro ecumenico non è un processo lineare. Infatti, problemi vecchi, nati nel contesto di un’altra epoca, perdono il loro peso, mentre nel contesto odierno nascono nuovi problemi e nuove difficoltà. Pertanto dobbiamo essere sempre disponibili per un processo di purificazione, nel quale il Signore ci renda capaci di essere uniti.

Cari fratelli e sorelle, per la complessa realtà ecumenica, per la promozione del dialogo, come pure affinché i cristiani nel nostro tempo possano dare una nuova testimonianza comune di fedeltà a Cristo davanti a questo nostro mondo, chiedo la preghiera di tutti. Il Signore ascolti l’invocazione nostra e di tutti i cristiani, che in questa settimana si eleva a Lui con particolare intensità.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli, che oggi vorrei esortare a tradurre in atteggiamenti concreti la preghiera per l’unità dei cristiani. Questi giorni di riflessione costituiscano per voi, cari giovani, un invito ad essere ovunque operatori di pace e di riconciliazione; per voi, cari ammalati, un momento propizio ad offrire le vostre sofferenze per una comunione dei cristiani sempre più piena; e per voi, cari sposi novelli, l’occasione per vivere ancor più la vostra vocazione speciale con un cuore solo ed un’anima sola.



UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 19 gennaio 201
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Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani

Cari fratelli e sorelle,

stiamo celebrando la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, nella quale tutti i credenti in Cristo sono invitati ad unirsi in preghiera per testimoniare il profondo legame che esiste tra loro e per invocare il dono della piena comunione. È provvidenziale il fatto che, nel cammino per costruire l’unità, venga posta al centro la preghiera: questo ci ricorda, ancora una volta, che l’unità non può essere semplice prodotto dell’operare umano; essa è anzitutto un dono di Dio, che comporta una crescita nella comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Il Concilio Vaticano II dice: “Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell'unità e costituiscono una manifestazione autentica dei vincoli con i quali i cattolici rimangono uniti con i fratelli separati: «Poiché dove sono due o tre adunati nel nome mio [dice il Signore], ci sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).” (Decr. Unitatis Redintegratio, 8). Il cammino verso l’unità visibile tra tutti i cristiani abita nella preghiera, perché fondamentalmente l’unità non la “costruiamo” noi, ma la “costruisce” Dio, viene da Lui, dal Mistero trinitario, dall’unità del Padre con il Figlio nel dialogo d’amore che è lo Spirito Santo e il nostro impegno ecumenico deve aprirsi all’azione divina, deve farsi invocazione quotidiana dell’aiuto di Dio. La Chiesa è sua e non nostra.

Il tema scelto quest’anno per la Settimana di Preghiera fa riferimento all’esperienza della prima comunità cristiana di Gerusalemme, così come è descritta dagli Atti degli Apostoli; abbiamo sentito il testo: “Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2,42). Dobbiamo considerare che già al momento della Pentecoste lo Spirito Santo discende su persone di diversa lingua e cultura: ciò sta a significare che la Chiesa abbraccia sin dagli inizi gente di diversa provenienza e, tuttavia, proprio a partire da tali differenze, lo Spirito crea un unico corpo. La Pentecoste come inizio della Chiesa segna l’allargamento dell’Alleanza di Dio a tutte le creature, a tutti i popoli e a tutti i tempi, perché l’intera creazione cammini verso il suo vero obiettivo: essere luogo di unità e di amore.

Nel brano citato degli Atti degli Apostoli, quattro caratteristiche definiscono la prima comunità cristiana di Gerusalemme come luogo di unità e di amore e san Luca non vuol solo descrivere una cosa del passato. Ci offre questo come modello, come norma della Chiesa presente, perché queste quattro caratteristiche devono sempre costituire la vita della Chiesa. Prima caratteristica, essere unita e ferma nell’ascolto dell’insegnamento degli Apostoli, poi nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Come ho detto, questi quattro elementi sono ancora oggi i pilastri della vita di ogni comunità cristiana e costituiscono anche l’unico solido fondamento sul quale progredire nella ricerca dell’unità visibile della Chiesa.

Anzitutto abbiamo l’ascolto dell’insegnamento degli Apostoli, ovvero l’ascolto della testimonianza che essi rendono alla missione, alla vita, alla morte e risurrezione del Signore. È ciò che Paolo chiama semplicemente il “Vangelo”. I primi cristiani ricevevano il Vangelo dalla bocca degli Apostoli, erano uniti dal suo ascolto e dalla sua proclamazione, poiché il vangelo, come afferma S. Paolo, “è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rm 1,16). Ancora oggi, la comunità dei credenti riconosce nel riferimento all’insegnamento degli Apostoli la norma della propria fede: ogni sforzo per la costruzione dell’unità tra tutti i cristiani passa pertanto attraverso l’approfondimento della fedeltà al depositum fidei trasmessoci dagli Apostoli. Fermezza nella fede è il fondamento della nostra comunione, è il fondamento dell’unità cristiana.

Il secondo elemento è la comunione fraterna. Al tempo della prima comunità cristiana, come pure ai nostri giorni, questa è l’espressione più tangibile, soprattutto per il mondo esterno, dell’unità tra i discepoli del Signore. Leggiamo negli Atti degli Apostoli che i primi cristiani tenevano ogni cosa in comune e chi aveva proprietà e sostanze le vendeva per farne parte ai bisognosi (cfr At 2,44-45). Questa condivisione delle proprie sostanze ha trovato, nella storia della Chiesa, modalità sempre nuove di espressione. Una di queste, peculiare, è quella dei rapporti di fraternità e di amicizia costruiti tra cristiani di diverse confessioni. La storia del movimento ecumenico è segnata da difficoltà e incertezze, ma è anche una storia di fraternità, di cooperazione e di condivisione umana e spirituale, che ha mutato in misura significativa le relazioni tra i credenti nel Signore Gesù: tutti siamo impegnati a continuare su questa strada. Secondo elemento, quindi, la comunione, che innanzitutto è comunione con Dio tramite la fede; ma la comunione con Dio crea la comunione tra di noi e si esprime necessariamente in quella comunione concreta della quale parlano gli Atti degli Apostoli, cioè la condivisione. Nessuno nella comunità cristiana deve avere fame, deve essere povero: questo è un obbligo fondamentale. La comunione con Dio, realizzata come comunione fraterna, si esprime, in concreto, nell’impegno sociale, nella carità cristiana, nella giustizia.

Terzo elemento: nella vita della prima comunità di Gerusalemme essenziale era il momento della frazione del pane, in cui il Signore stesso si rende presente con l’unico sacrificio della Croce nel suo donarsi completamente per la vita dei suoi amici: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi … questo è il calice del mio Sangue … versato per voi”. “La Chiesa vive dell'Eucaristia. Questa verità non esprime soltanto un'esperienza quotidiana di fede, ma racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa” (Giovanni Paolo II, Enc. Ecclesia de Eucharistia, 1). La comunione al sacrificio di Cristo è il culmine della nostra unione con Dio e rappresenta pertanto anche la pienezza dell’unità dei discepoli di Cristo, la piena comunione. Durante questa settimana di preghiera per l’unità è particolarmente vivo il rammarico per l’impossibilità di condividere la stessa mensa eucaristica, segno che siamo ancora lontani dalla realizzazione di quell’unità per cui Cristo ha pregato. Tale dolorosa esperienza, che conferisce anche una dimensione penitenziale alla nostra preghiera, deve diventare motivo di un impegno ancora più generoso da parte di tutti affinché, rimossi gli ostacoli alla piena comunione, giunga quel giorno in cui sarà possibile riunirsi intorno alla mensa del Signore, spezzare insieme il pane eucaristico e bere allo stesso calice.

Infine, la preghiera - o come dice san Luca le preghiere - è la quarta caratteristica della Chiesa primitiva di Gerusalemme descritta nel libro degli Atti degli Apostoli. La preghiera è da sempre l’atteggiamento costante dei discepoli di Cristo, ciò che accompagna la loro vita quotidiana in obbedienza alla volontà di Dio, come ci attestano anche le parole dell’apostolo Paolo, che scrive ai Tessalonicesi nella sua prima lettera: “State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi” (1Ts 5, 16-18; cfr. Ef 6,18). La preghiera cristiana, partecipazione alla preghiera di Gesù, è per eccellenza esperienza filiale, come ci attestano le parole del Padre Nostro, preghiera della famiglia - il “noi” dei figli di Dio, dei fratelli e sorelle - che parla al Padre comune. Porsi in atteggiamento di preghiera significa pertanto anche aprirsi alla fraternità. Solo nel “noi” possiamo dire Padre Nostro. Apriamoci dunque alla fraternità, che deriva dall’essere figli dell’unico Padre celeste, ed essere disposti al perdono e alla riconciliazione.

Cari Fratelli e Sorelle, come discepoli del Signore abbiamo una comune responsabilità verso il mondo, dobbiamo rendere un servizio comune: come la prima comunità cristiana di Gerusalemme, partendo da ciò che già condividiamo, dobbiamo offrire una forte testimonianza, fondata spiritualmente e sostenuta dalla ragione, dell’unico Dio che si è rivelato e ci parla in Cristo, per essere portatori di un messaggio che orienti e illumini il cammino dell’uomo del nostro tempo, spesso privo di chiari e validi punti di riferimento. E’ importante, allora, crescere ogni giorno nell’amore reciproco, impegnandosi a superare quelle barriere che ancora esistono tra i cristiani; sentire che esiste una vera unità interiore tra tutti coloro che seguono il Signore; collaborare il più possibile, lavorando assieme sulle questioni ancora aperte; e soprattutto essere consapevoli che in questo itinerario il Signore deve assisterci, deve aiutarci ancora molto, perché senza di Lui, da soli, senza il “rimanere in Lui” non possiamo fare nulla (cfr Gv 15,5).

Cari amici, è ancora una volta nella preghiera che ci troviamo riuniti - particolarmente in questa settimana - insieme a tutti coloro che confessano la loro fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio: perseveriamo nella preghiera, siamo uomini della preghiera, implorando da Dio il dono dell’unità, affinché si compia per il mondo intero il suo disegno di salvezza e di riconciliazione. Grazie.

Saluto ora i giovani, i malati, e gli sposi novelli. Cari amici, vi invito a pregare per l’unità dei cristiani. Tutti voi che, con giovanile freschezza, o con sofferta donazione, o con lieto amore sponsale vi impegnate ad amare il Signore nel quotidiano adempimento del vostro dovere, contribuite all’edificazione della Chiesa e alla sua opera evangelizzatrice. Pregate, dunque, perché tutti i cristiani accolgano la chiamata del Signore all’unità della fede nell’unica sua Chiesa.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 18 gennaio 2012

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Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani 

Cari fratelli e sorelle!

Inizia oggi la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani che, da oltre un secolo, viene celebrata ogni anno da cristiani di tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, per invocare quel dono straordinario per cui lo stesso Signore Gesù ha pregato durante l’Ultima Cena, prima della sua passione: “Perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). La pratica della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani fu introdotta nel 1908 da Padre Paul Wattson, fondatore di una comunità religiosa anglicana che entrò in seguito nella Chiesa cattolica. L’iniziativa ricevette la benedizione del Papa san Pio X e fu poi promossa dal Papa Benedetto XV, che ne incoraggiò la celebrazione in tutta la Chiesa cattolica con il Breve Romanorum Pontificum, del 25 febbraio 1916.

L’ottavario di preghiera fu sviluppato e perfezionato negli anni trenta del secolo scorso dall’Abbé Paul Couturier di Lione, che sostenne la preghiera “per l’unità della Chiesa così come vuole Cristo e conformemente agli strumenti che Lui vuole”. Nei suoi ultimi scritti, l’Abbé Couturier vede tale Settimana come un mezzo che permette alla preghiera universale di Cristo di “entrare e penetrare nell’intero Corpo cristiano”; essa deve crescere fino a diventare “un immenso, unanime grido di tutto il Popolo di Dio”, che chiede a Dio questo grande dono. Ed è precisamente nella Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani che l’impulso impresso dal Concilio Vaticano II alla ricerca della piena comunione tra tutti i discepoli di Cristo trova ogni anno una delle sue più efficaci espressioni. Questo appuntamento spirituale, che unisce cristiani di tutte le tradizioni, accresce la nostra consapevolezza del fatto che l’unità verso cui tendiamo non potrà essere solo il risultato dei nostri sforzi, ma sarà piuttosto un dono ricevuto dall’alto, da invocare sempre.

Ogni anno i sussidi per la Settimana di Preghiera vengono preparati da un gruppo ecumenico di una diversa regione del mondo. Vorrei soffermarmi su questo punto. Quest’anno, i testi sono stati proposti da un gruppo misto composto da rappresentanti della Chiesa cattolica e del Consiglio Ecumenico Polacco, che comprende varie Chiese e Comunità ecclesiali del Paese. La documentazione è stata poi rivista da un comitato composto da membri del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Anche questo lavoro fatto insieme in due tappe è un segno del desiderio di unità che anima i cristiani e della consapevolezza che la preghiera è la via primaria per raggiungere la piena comunione, perché uniti verso il Signore andiamo verso l'unità. Il tema della Settimana di quest’anno - come abbiamo sentito - è preso dalla Prima Lettera ai Corinzi: - “Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore” (cfr 1 Cor 15,51-58), la sua vittoria ci trasformerà. E questo tema è stato suggerito dall’ampio gruppo ecumenico polacco che ho citato, il quale, riflettendo sulla propria esperienza come nazione, ha voluto sottolineare quanto forte sia il sostegno della fede cristiana in mezzo a prove e sconvolgimenti, come quelli che hanno caratterizzato la storia della Polonia. Dopo ampie discussioni è stato scelto un tema incentrato sul potere trasformante della fede in Cristo, in particolare alla luce dell’importanza che essa riveste per la nostra preghiera in favore dell’unità visibile della Chiesa, Corpo di Cristo. Ad ispirare questa riflessione sono state le parole di san Paolo che, rivolgendosi alla Chiesa in Corinto, parla della natura temporanea di ciò che appartiene alla nostra vita presente, segnata anche dall’esperienza di “sconfitta” del peccato e della morte, in confronto a ciò che porta a noi la “vittoria” di Cristo sul peccato e sulla morte nel suo Mistero pasquale.

La storia particolare della nazione polacca, che ha conosciuto periodi di convivenza democratica e di libertà religiosa, come nel XVI secolo, è stata segnata, negli ultimi secoli, da invasioni e disfatte, ma anche dalla costante lotta contro l’oppressione e dalla sete di libertà. Tutto questo ha indotto il gruppo ecumenico a riflettere in maniera più approfondita sul vero significato di “vittoria” - che cosa è la vittoria - e di “sconfitta”. Rispetto alla “vittoria” intesa in termini trionfalistici, Cristo ci suggerisce una strada ben diversa, che non passa attraverso il potere e la potenza. Egli infatti afferma: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” (Mc 9,35). Cristo parla di una vittoria attraverso l’amore sofferente, attraverso il servizio reciproco, l’aiuto, la nuova speranza e il concreto conforto donati agli ultimi, ai dimenticati, ai rifiutati. Per tutti i cristiani, la più alta espressione di tale umile servizio è Gesù Cristo stesso, il dono totale che fa di Se stesso, la vittoria del suo amore sulla morte, nella croce, che splende nella luce del mattino di Pasqua. Noi possiamo prendere parte a questa “vittoria” trasformante se ci lasciamo noi trasformare da Dio, solo se operiamo una conversione della nostra vita e la trasformazione si realizza in forma di conversione. Ecco il motivo per cui il gruppo ecumenico polacco ha ritenuto particolarmente adeguate per il tema della propria meditazione le parole di San Paolo: “Tutti saremo trasformati” dalla vittoria di Cristo, nostro Signore” (cfr 1 Cor  15,51-58).

La piena e visibile unità dei cristiani, a cui aneliamo, esige che ci lasciamo trasformare e conformare, in maniera sempre più perfetta, all’immagine di Cristo. L’unità per la quale preghiamo richiede una conversione interiore, sia comune che personale. Non si tratta semplicemente di cordialità o di cooperazione, occorre soprattutto rafforzare la nostra fede in Dio, nel Dio di Gesù Cristo, che ci ha parlato e si è fatto uno di noi; occorre entrare nella nuova vita in Cristo, che è la nostra vera e definitiva vittoria; occorre aprirsi gli uni agli altri, cogliendo tutti gli elementi di unità che Dio ha conservato per noi e sempre nuovamente ci dona; occorre sentire l’urgenza di testimoniare all’uomo del nostro tempo il Dio vivente, che si è fatto conoscere in Cristo.

Il Concilio Vaticano II ha posto la ricerca ecumenica al centro della vita e dell’operato della Chiesa: “Questo santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all’opera ecumenica” (Unitatis redintegratio, 4). Il beato Giovanni Paolo II ha sottolineato la natura essenziale di tale impegno, dicendo: “Questa unità, che il Signore ha donato alla sua Chiesa e nella quale egli vuole abbracciare tutti, non è un accessorio, ma sta al centro stesso della sua opera. Né essa equivale ad un attributo secondario della comunità dei suoi discepoli. Appartiene invece all’essere stesso di questa comunità” (Enc. Ut unum sint, 9). Il compito ecumenico è dunque una responsabilità dell’intera Chiesa e di tutti i battezzati, che devono far crescere la comunione parziale già esistente tra i cristiani fino alla piena comunione nella verità e nella carità. Pertanto, la preghiera per l’unità non è circoscritta a questa Settimana di Preghiera, ma deve diventare parte integrante della nostra orazione, della vita orante di tutti i cristiani, in ogni luogo e in ogni tempo, soprattutto quando persone di tradizioni diverse s’incontrano e lavorano insieme per la vittoria, in Cristo, su tutto ciò che è peccato, male, ingiustizia, violazione della dignità dell’uomo.

Da quando il movimento ecumenico moderno è nato, oltre un secolo fa, vi è sempre stata una chiara consapevolezza del fatto che la mancanza di unità tra i cristiani impedisce un annuncio più efficace del Vangelo, perché mette in pericolo la nostra credibilità. Come possiamo dare una testimonianza convincente se siamo divisi? Certamente, per quanto riguarda le verità fondamentali della fede, ci unisce molto più di quanto ci divide. Ma le divisioni restano, e riguardano anche varie questioni pratiche ed etiche, suscitando confusione e diffidenza, indebolendo la nostra capacità di trasmettere la Parola salvifica di Cristo. In questo senso, dobbiamo ricordare le parole del beato Giovanni Paolo II, che nella sua Enciclica Ut unum sint parla del danno causato alla testimonianza cristiana e all’annuncio del Vangelo dalla mancanza di unità (cfr nn. 98, 99). E’ una grande sfida questa per la nuova evangelizzazione, che può essere più fruttuosa se tutti i cristiani annunciano insieme la verità del Vangelo di Gesù Cristo e danno una risposta comune alla sete spirituale dei nostri tempi.

Il cammino della Chiesa, come quello dei popoli, è nelle mani del Cristo risorto, vittorioso sulla morte e sull’ingiustizia che Egli ha portato e ha sofferto a nome di tutti. Egli ci fa partecipi della sua vittoria. Solo Lui è capace di trasformarci e renderci, da deboli e titubanti, forti e coraggiosi nell’operare il bene. Solo Lui può salvarci dalle conseguenze negative delle nostre divisioni. Cari fratelli e sorelle, invito tutti ad unirsi in preghiera in modo più intenso durante questa Settimana per l’Unità, perché cresca la testimonianza comune, la solidarietà e la collaborazione tra i cristiani, aspettando il giorno glorioso in cui potremo professare insieme la fede trasmessa dagli Apostoli e celebrare insieme i Sacramenti della nostra trasformazione in Cristo. Grazie.

Porgo, inoltre, un cordiale saluto ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Invito voi, cari giovani, a testimoniare sempre con generosità la vostra fede in Cristo, che illumina il cammino della vita. Sia la fede un costante conforto nella sofferenza di tutti voi, cari malati. E per voi, cari sposi novelli, la luce di Cristo sia guida efficace nella vostra esistenza familiare.


UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 23 gennaio 2013

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"Io credo in Dio"

Cari fratelli e sorelle,

in quest’Anno della fede, vorrei iniziare oggi a riflettere con voi sul Credo, cioè sulla solenne professione di fede che accompagna la nostra vita di credenti. Il Credo comincia così: “Io credo in Dio”. E’ un’affermazione fondamentale, apparentemente semplice nella sua essenzialità, ma che apre all’infinito mondo del rapporto con il Signore e con il suo mistero. Credere in Dio implica adesione a Lui, accoglienza della sua Parola e obbedienza gioiosa alla sua rivelazione. Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, «la fede è un atto personale: è la libera risposta dell’uomo all’iniziativa di Dio che si rivela» (n. 166). Poter dire di credere in Dio è dunque insieme un dono – Dio si rivela, va incontro a noi – e un impegno, è grazia divina e responsabilità umana, in un’esperienza di dialogo con Dio che, per amore, «parla agli uomini come ad amici» (Dei Verbum, 2), parla a noi affinché, nella fede e con la fede, possiamo entrare in comunione con Lui.

Dove possiamo ascoltare Dio e la sua parola? Fondamentale è la Sacra Scrittura, in cui la Parola di Dio si fa udibile per noi e alimenta la nostra vita di “amici” di Dio. Tutta la Bibbia racconta il rivelarsi di Dio all’umanità; tutta la Bibbia parla di fede e ci insegna la fede narrando una storia in cui Dio porta avanti il suo progetto di redenzione e si fa vicino a noi uomini, attraverso tante luminose figure di persone che credono in Lui e a Lui si affidano, fino alla pienezza della rivelazione nel Signore Gesù.

Molto bello, a questo riguardo, è il capitolo 11 della Lettera agli Ebrei, che abbiamo appena sentito. Qui si parla della fede e si mettono in luce le grandi figure bibliche che l’hanno vissuta, diventando modello per tutti i credenti. Dice il testo nel primo versetto: «La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (11,1). Gli occhi della fede sono dunque capaci di vedere l’invisibile e il cuore del credente può sperare oltre ogni speranza, proprio come Abramo, di cui Paolo dice nella Lettera ai Romani che «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (4,18).

Ed è proprio su Abramo, che vorrei soffermarmi e soffermare la  nostra attenzione, perché è lui la prima grande figura di riferimento per parlare di fede in Dio: Abramo il grande patriarca, modello esemplare, padre di tutti i credenti (cfr Rm 4,11-12). La Lettera agli Ebrei lo presenta così: «Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso» (11,8-10).

L’autore della Lettera agli Ebrei fa qui riferimento alla chiamata di Abramo, narrata nel Libro della Genesi, il primo libro della Bibbia. Che cosa chiede Dio a questo patriarca? Gli chiede di partire abbandonando la propria terra per andare verso il paese che gli mostrerà, «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Gen 12,1). Come avremmo risposto noi a un invito simile? Si tratta, infatti, di una partenza al buio, senza sapere dove Dio lo condurrà; è un cammino che chiede un’obbedienza e una fiducia radicali, a cui solo la fede consente di accedere. Ma il buio dell’ignoto – dove Abramo deve andare – è rischiarato dalla luce di una promessa; Dio aggiunge al comando una parola rassicurante che apre davanti ad Abramo un futuro di vita in pienezza: «Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome… e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,2.3).

La benedizione, nella Sacra Scrittura, è collegata primariamente al dono della vita che viene da Dio e si manifesta innanzitutto nella fecondità, in una vita che si moltiplica, passando di generazione in generazione. E alla benedizione è collegata anche l’esperienza del possesso di una terra, di un luogo stabile in cui vivere e crescere in libertà e sicurezza, temendo Dio e costruendo una società di uomini fedeli all’Alleanza, «regno di sacerdoti e nazione santa» (cfr. Es 19,6).

Perciò Abramo, nel progetto divino, è destinato a diventare «padre di una moltitudine di popoli» (Gen 17,5; cfr Rm 4,17-18) e ad entrare in una nuova terra dove abitare. Eppure Sara, sua moglie, è sterile, non può avere figli; e il paese verso cui Dio lo conduce è lontano dalla sua terra d’origine, è già abitato da altre popolazioni, e non gli apparterrà mai veramente. Il narratore biblico lo sottolinea, pur con molta discrezione: quando Abramo giunge nel luogo della promessa di Dio: «nel paese si trovavano allora i Cananei» (Gen 12,6). La terra che Dio dona ad Abramo non gli appartiene, egli è uno straniero e tale resterà sempre, con tutto ciò che questo comporta: non avere mire di possesso, sentire sempre la propria povertà, vedere tutto come dono. Questa è anche la condizione spirituale di chi accetta di seguire il Signore, di chi decide di partire accogliendo la sua chiamata, sotto il segno della sua invisibile ma potente benedizione. E Abramo, “padre dei credenti”, accetta questa chiamata, nella fede. Scrive san Paolo nella Lettera ai Romani: «Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza. Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo – aveva circa cento anni – e morto il seno di Sara. Di fronte alla promessa di Dio non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento»(Rm 4,18-21).

La fede conduce Abramo a percorrere un cammino paradossale. Egli sarà benedetto ma senza i segni visibili della benedizione: riceve la promessa di diventare grande popolo, ma con una vita segnata dalla sterilità della moglie Sara; viene condotto in una nuova patria ma vi dovrà vivere come straniero; e l’unico possesso della terra che gli sarà consentito sarà quello di un pezzo di terreno per seppellirvi Sara (cfr Gen 23,1-20). Abramo è benedetto perché, nella fede, sa discernere la benedizione divina andando al di là delle apparenze, confidando nella presenza di Dio anche quando le sue vie gli appaiono misteriose.

Che cosa significa questo per noi? Quando affermiamo: “Io credo in Dio”, diciamo come Abramo: “Mi fido di Te; mi affido a Te, Signore”, ma non come a Qualcuno a cui ricorrere solo nei momenti di difficoltà o a cui dedicare qualche momento della giornata o della settimana. Dire “Io credo in Dio” significa fondare su di Lui la mia vita, lasciare che la sua Parola la orienti ogni giorno, nelle scelte concrete, senza paura di perdere qualcosa di me stesso. Quando, nel Rito del Battesimo, per tre volte viene richiesto: “Credete?” in Dio, in Gesù Cristo, nello Spirito Santo, la santa Chiesa Cattolica e le altre verità di fede, la triplice risposta è al singolare: “Credo”, perché è la mia esistenza personale che deve ricevere una svolta con il dono della fede, è la mia esistenza che deve cambiare, convertirsi.  Ogni volta che partecipiamo ad un Battesimo dovremmo chiederci come viviamo quotidianamente il grande dono della fede.

Abramo, il credente, ci insegna la fede; e, da straniero sulla terra, ci indica la vera patria. La fede ci rende pellegrini sulla terra, inseriti nel mondo e nella storia, ma in cammino verso la patria celeste. Credere in Dio ci rende dunque portatori di valori che spesso non coincidono con la moda e l’opinione del momento, ci chiede di adottare criteri e assumere comportamenti che non appartengono al comune modo di pensare. Il cristiano non deve avere timore di andare “controcorrente” per vivere la propria fede, resistendo alla tentazione di “uniformarsi”. In tante nostre società Dio è diventato il “grande assente” e al suo posto vi sono molti idoli, diversissimi idoli e soprattutto il possesso e l’”io” autonomo. E anche i notevoli e positivi progressi della scienza e della tecnica hanno indotto nell’uomo un’illusione di onnipotenza e di autosufficienza, e un crescente egocentrismo ha creato non pochi squilibri all’interno dei rapporti interpersonali e dei comportamenti sociali.

Eppure, la sete di Dio (cfr. Sal 63,2) non si è estinta e il messaggio evangelico continua a risuonare attraverso le parole e le opere di tanti uomini e donne di fede. Abramo, il padre dei credenti, continua ad essere padre di molti figli che accettano di camminare sulle sue orme e si mettono in cammino, in obbedienza alla vocazione divina, confidando nella presenza benevola del Signore e accogliendo la sua benedizione per farsi benedizione per tutti. È il mondo benedetto della fede a cui tutti siamo chiamati, per camminare senza paura seguendo il Signore Gesù Cristo. Ed è un cammino talvolta difficile, che conosce anche la prova e la morte, ma che apre alla vita, in una trasformazione radicale della realtà che solo gli occhi della fede sono in grado di vedere e gustare in pienezza.

Affermare “Io credo in Dio” ci spinge, allora, a partire, ad uscire continuamente da noi stessi, proprio come Abramo, per portare nella realtà quotidiana in cui viviamo la certezza che ci viene dalla fede: la certezza, cioè, della presenza di Dio nella storia, anche oggi; una presenza che porta vita e salvezza, e ci apre ad un futuro con Lui per una pienezza di vita che non conoscerà mai tramonto. Amen.


Infine, un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Venerdì prossimo celebreremo la Festa della Conversione di San Paolo. Cari giovani, l’Apostolo Paolo sia per voi modello di integrità di vita e di radicalità nella fede. Cari ammalati, offrite le vostre sofferenze per la causa dell’unità della Chiesa di Cristo. E voi, cari sposi novelli, ispiratevi alla vita dell’Apostolo delle genti, riconoscendo il primato a Dio e al suo amore nella vostra vita familiare. Grazie e auguri a tutti voi.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/01/2017 11:28
 
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CELEBRAZIONE DEI VESPRI 
NELLA FESTA DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO
A CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA 
PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Patriarcale Basilica di San Paolo fuori le Mura
Mercoledì, 25 gennaio 2006   

 

Cari fratelli e sorelle!

In questo giorno, nel quale si celebra la conversione dell'apostolo Paolo, concludiamo, riuniti in fraterna assemblea liturgica, l'annuale Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. È significativo che la memoria della conversione dell'Apostolo delle genti coincida con la giornata finale di questa importante Settimana, in cui con particolare intensità domandiamo a Dio il dono prezioso dell'unità tra tutti i cristiani, facendo nostra l'invocazione che Gesù stesso elevò al Padre per i suoi discepoli: "Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17, 21). L'aspirazione di ogni Comunità cristiana e di ogni singolo fedele all'unità e la forza per realizzarla sono un dono dello Spirito Santo e vanno di pari passo con una sempre più profonda e radicale fedeltà al Vangelo (cfr Enc. Ut unum sint, 15). Ci rendiamo conto che alla base dell'impegno ecumenico c'è la conversione del cuore, come afferma chiaramente il Concilio Vaticano II: "Ecumenismo vero non c'è senza interiore conversione; poiché il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall'abnegazione di se stessi e dalla liberissima effusione della carità" (Decr. Unitatis redintegratio, 7).

Deus caritas est (1 Gv 4, 8.16), Dio è amore. Su questa solida roccia poggia tutta intera la fede della Chiesa. In particolare, si basa su di essa la paziente ricerca della piena comunione tra tutti i discepoli di Cristo: fissando lo sguardo su questa verità, culmine della divina rivelazione, le divisioni, pur mantenendo la loro dolorosa gravità, appaiono superabili e non ci scoraggiano. Il Signore Gesù, che con il sangue della sua Passione ha abbattuto "il muro di separazione" dell'"inimicizia" (Ef 2, 14), non mancherà di concedere a quanti lo invocano con fede la forza per rimarginare ogni lacerazione. Ma occorre sempre ripartire da qui: Deus caritas est. Al tema dell'amore ho voluto dedicare la mia prima Enciclica, che proprio oggi è stata pubblicata e questa felice coincidenza con la conclusione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani ci invita a considerare questo nostro incontro, ma, ben più in là, tutto il cammino ecumenico nella luce dell'amore di Dio, dell'Amore che è Dio. Se già sotto il profilo umano l'amore si manifesta come una forza invincibile, che cosa dobbiamo dire noi, che "abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi" (1 Gv 4, 16)? L'amore vero non annulla le legittime differenze, ma le armonizza in una superiore unità, che non viene imposta dall'esterno, ma che dall'interno dà forma, per così dire, all'insieme. È il mistero della comunione, che come unisce l'uomo e la donna in quella comunità d'amore e di vita che è il matrimonio, così forma la Chiesa quale comunità d'amore, componendo in unità una multiforme ricchezza di doni, di tradizioni. Al servizio di tale unità d'amore è posta la Chiesa di Roma che, secondo l'espressione di sant'Ignazio di Antiochia, "presiede alla carità" (Ad Rom 1, 1). Davanti a voi, cari fratelli e sorelle, desidero oggi rinnovare l'affidamento a Dio del mio peculiare ministero petrino, invocando su di esso la luce e la forza dello Spirito Santo, affinché favorisca sempre la fraterna comunione tra tutti i cristiani.

Il tema dell'amore lega in profondità le due brevi letture bibliche dell'odierna liturgia vespertina. Nella prima, la carità divina è la forza che trasforma la vita di Saulo di Tarso e ne fa l'Apostolo delle genti. Scrivendo ai cristiani di Corinto, san Paolo confessa che la grazia di Dio ha operato in lui l'evento straordinario della conversione: "Per grazia di Dio sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana" (1 Cor 15, 10). Da una parte sente il peso di essere stato di ostacolo alla diffusione del messaggio di Cristo, ma nel contempo vive nella gioia di avere incontrato il Signore risorto e di essere stato illuminato e trasformato dalla sua luce. Egli conserva una costante memoria di quell'evento che ha cambiato la sua esistenza, evento talmente importante per la Chiesa intera che negli Atti degli Apostoli vi si fa riferimento ben tre volte (cfr At 9, 3-9; 22, 6-11; 26, 12-18). Sulla via di Damasco, Saulo sentì lo sconvolgente interrogativo: "Perché mi perseguiti?". Caduto a terra e interiormente turbato, domandò: "Chi sei, o Signore?", ottenendo quella risposta che è alla base della sua conversione: "Io sono Gesù, che tu perseguiti" (At 9, 4-5). Paolo comprese in un istante ciò che avrebbe espresso poi nei suoi scritti, che la Chiesa forma un corpo unico di cui Cristo è il Capo. Così, da persecutore dei cristiani diventò l'Apostolo delle genti.

Nel brano evangelico di Matteo, che poc'anzi abbiamo ascoltato, l'amore opera come principio che unisce i cristiani e fa sì che la loro preghiera unanime venga esaudita dal Padre celeste. Dice Gesù: "Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà" (Mt 18, 19). Il verbo che l'evangelista usa per "si accorderanno" è synphōnēsōsin: c'è il riferimento ad una "sinfonia" dei cuori. È questo che ha presa sul cuore di Dio. L'accordo nella preghiera risulta dunque importante ai fini del suo accoglimento da parte del Padre celeste. Il chiedere insieme segna già un passo verso l'unità tra coloro che chiedono. Ciò non significa certamente che la risposta di Dio venga in qualche modo determinata dalla nostra domanda. Lo sappiamo bene: l'auspicato compimento dell'unità dipende in primo luogo dalla volontà di Dio, il cui disegno e la cui generosità superano la comprensione dell'uomo e le sue stesse richieste ed attese. Contando proprio sulla bontà divina, intensifichiamo la nostra preghiera comune per l'unità, che è un mezzo necessario e quanto mai efficace, come ha ricordato Giovanni Paolo II nell'Enciclica Ut unum sint: "Sulla via ecumenica verso l'unità, il primato spetta senz'altro alla preghiera comune, all'unione orante di coloro che si stringono insieme attorno a Cristo stesso" (n. 22).

Analizzando poi più profondamente questi versetti evangelici, comprendiamo meglio la ragione per cui il Padre risponderà positivamente alla domanda della comunità cristiana: "Perché - dice Gesù - dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro". È la presenza di Cristo che rende efficace la preghiera comune di coloro che sono riuniti nel suo nome. Quando i cristiani si raccolgono per pregare, Gesù stesso è in mezzo a loro. Essi sono uno con Colui che è l'unico mediatore tra Dio e gli uomini. La Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II si riferisce proprio a questo passo del Vangelo per indicare uno dei modi della presenza di Cristo: "Quando la Chiesa prega e canta i Salmi, è presente Lui che ha promesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io  sono in mezzo a loro" (Mt 18, 20)" (Sacrosanctum Concilium, 7).

Commentando questo testo dell'evangelista Matteo, san Giovanni Crisostomo si chiede: "Ebbene, non ci sono due o tre che si riuniscono nel suo nome? Ci sono - egli risponde - ma raramente" (Omelie sul Vangelo di Matteo, 60, 3). Questa sera provo un'immensa gioia nel vedere una così nutrita ed orante assemblea, che implora in modo "sinfonico" il dono dell'unità. A tutti e a ciascuno rivolgo il mio cordiale saluto. Saluto con particolare affetto i fratelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali di questa Città, uniti nell'unico battesimo, che ci fa membra dell'unico Corpo mistico di Cristo. Sono appena trascorsi 40 anni da quando, proprio in questa Basilica, il 5 dicembre del 1965, il Servo di Dio Paolo VI, di felice memoria, celebrò la prima preghiera comune, a conclusione del Concilio Vaticano II, con la solenne presenza dei Padri conciliari e la partecipazione attiva degli Osservatori delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. In seguito, l'amato Giovanni Paolo II ha continuato con perseveranza la tradizione di concludere qui la Settimana di preghiera.

Sono certo che questa sera entrambi ci guardano dal Cielo e si uniscono alla nostra preghiera. Fra coloro che prendono parte a questa nostra assemblea vorrei specialmente salutare e ringraziare il gruppo dei delegati di Chiese, di Conferenze Episcopali, di Comunità cristiane e di organismi ecumenici che avviano la preparazione della Terza Assemblea Ecumenica Europea, in programma a Sìbiu, in Romania, nel settembre del 2007, sul tema: "La luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnovamento e unità in Europa". Sì, cari fratelli e sorelle, noi cristiani abbiamo il compito di essere, in Europa e tra tutti i popoli, "luce del mondo" (Mt 5, 14). Voglia Iddio concederci di raggiungere presto l'auspicata piena comunione. La ricomposizione della nostra unità darà maggiore efficacia all'evangelizzazione. L'unità è la nostra comune missione; è la condizione perché la luce di Cristo si diffonda più efficacemente in ogni angolo del mondo e gli uomini si convertano e siano salvati. Quanta strada sta dinanzi a noi! Eppure non perdiamo la fiducia, anzi con più lena riprendiamo il cammino insieme. Cristo ci precede e ci accompagna. Noi contiamo sulla sua indefettibile presenza; da Lui umilmente e instancabilmente imploriamo il prezioso dono dell'unità e della pace. Amen

   

CELEBRAZIONE DEI VESPRI 
NELLA FESTA DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO
A CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA 
PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica di San Paolo fuori le Mura
Giovedì, 25 gennaio 2007

 

Cari fratelli e sorelle!

Durante la “Settimana di preghiera”, che questa sera si conclude, si è intensificata, nelle varie Chiese e Comunità ecclesiali del mondo intero, la comune invocazione al Signore per l’unità dei cristiani. Abbiamo meditato insieme sulle parole del vangelo di Marco proclamate poc’anzi: “Fa udire i sordi e fa parlare i muti” (Mc 7,37), tema biblico proposto dalle Comunità cristiane del Sud Africa. Le situazioni di razzismo, di povertà, di conflitto, di sfruttamento, di malattia, di sofferenza, nelle quali esse si trovano, per la stessa impossibilità di farsi comprendere nei propri bisogni, suscitano in loro un acuta esigenza di ascoltare la parola di Dio e di parlare con coraggio. Essere sordomuto, non poter cioè né ascoltare né parlare, non può infatti essere un segno di mancanza di comunione e un sintomo di divisione? La divisione e l’incomunicabilità, conseguenza del peccato, sono contrarie al disegno di Dio. L’Africa ci ha offerto quest’anno un tema di riflessione di grande importanza religiosa e politica, perché “parlare” e “ascoltare” sono condizioni essenziali per costruire la civiltà dell’amore.

Le parole “Fa udire i sordi e fa parlare i muti” costituiscono una buona notizia, che annuncia la venuta del Regno di Dio e la guarigione dalla incomunicabilità e dalla divisione. Questo messaggio si ritrova in tutta la predicazione e l’opera di Gesù, il quale attraversava villaggi, città e campagne, e dovunque giungeva “ponevano gli infermi nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano” (Mc 6,56). La guarigione del sordomuto, su cui abbiamo meditato in questi giorni, avviene mentre Gesù, lasciata la regione di Tiro, si dirige verso il lago di Galilea, attraversando la cosiddetta “Decapoli”, territorio multi–etnico e plurireligioso (cfr Mc 7,31). Una situazione emblematica anche per i nostri giorni. Come altrove, pure nella Decapoli presentano a Gesù un malato, un uomo sordo e difettoso nel parlare (moghìlalon) e lo pregano di imporgli le mani, perché lo considerano un uomo di Dio. Gesù conduce il sordomuto lontano dalla folla, e compie dei gesti che significano un contatto salvifico – pone le dita nelle orecchie, tocca con la propria saliva la lingua del malato –, e poi, volgendo lo sguardo al cielo, comanda: “Apriti!”. Pronuncia questo comando in aramaico (“Effatà”), verosimilmente la lingua delle persone presenti e dello stesso sordomuto, espressione che l’evangelista traduce in greco (dianoìchthēti). Le orecchie del sordo si aprirono, si sciolse il nodo della sua lingua: “e parlava correttamente” (orthōs). Gesù raccomanda che non si dica nulla del miracolo. Ma più lo raccomandava, “più essi ne parlavano” (Mc 7,36). Ed il commento meravigliato di quanti avevano assistito ricalca la predicazione di Isaia per l’avvento del Messia: “Fa udire i sordi e fa parlare i muti” (Mc 7,37).

Il primo insegnamento che traiamo da questo episodio biblico, richiamato anche nel rito del battesimo, è che, nella prospettiva cristiana, l’ascolto è prioritario. Al riguardo Gesù afferma in modo esplicito: “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 11,28). Anzi, a Marta preoccupata per tante cose, Egli dice che “una sola è la cosa di cui c’è bisogno” (Lc 10,42). E dal contesto risulta che questa unica cosa è l’ascolto ubbidiente della Parola. Perciò l’ascolto della parola di Dio è prioritario per il nostro impegno ecumenico. Non siamo infatti noi a fare o ad organizzare l’unità della Chiesa. La Chiesa non fa se stessa e non vive di se stessa, ma della parola creatrice che viene dalla bocca di Dio. Ascoltare insieme la parola di Dio; praticare la lectio divina della Bibbia, cioè la lettura legata alla preghiera; lasciarsi sorprendere dalla novità, che mai invecchia e mai si esaurisce, della parola di Dio; superare la nostra sordità per quelle parole che non si accordano con i nostri pregiudizi e le nostre opinioni; ascoltare e studiare, nella comunione dei credenti di tutti i tempi; tutto ciò costituisce un cammino da percorrere per raggiungere l’unità nella fede, come risposta all’ascolto della Parola.

Chi si pone all’ascolto della parola di Dio può e deve poi parlare e trasmetterla agli altri, a coloro che non l’hanno mai ascoltata, o a chi l’ha dimenticata e sepolta sotto le spine delle preoccupazioni e degli inganni del mondo (cfr Mt 13,22). Dobbiamo chiederci: noi cristiani, non siamo diventati forse troppo muti? Non ci manca forse il coraggio di parlare e di testimoniare come hanno fatto coloro che erano i testimoni della guarigione del sordomuto nella Decapoli? Il nostro mondo ha bisogno di questa testimonianza; attende soprattutto la testimonianza comune dei cristiani. Perciò l’ascolto del Dio che parla implica anche l’ascolto reciproco, il dialogo tra le Chiese e le Comunità ecclesiali. Il dialogo onesto e leale costituisce lo strumento imprescindibile della ricerca dell’unità. Il Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II ha sottolineato che se i cristiani non si conoscono reciprocamente non sono neppure immaginabili dei progressi sulla via della comunione. Nel dialogo infatti ci si ascolta e si comunica; ci si confronta e, con la grazia di Dio, si può convergere sulla sua Parola accogliendone le esigenze, che sono valide per tutti.

Nell’ascolto e nel dialogo i Padri conciliari non hanno intravisto un’utilità indirizzata esclusivamente al progresso ecumenico, ma hanno aggiunto una prospettiva riferita alla stessa Chiesa cattolica: “Da questo dialogo – afferma il testo del Concilio - apparirà anche più chiaramente quale sia la vera situazione della Chiesa cattolica” (Unitatis redintegratio, 9). E’ indispensabile certo “esporre con chiarezza tutta la dottrina” per un dialogo che affronti, discuta e superi le divergenze esistenti tra i cristiani, ma al tempo stesso “il modo ed il metodo di enunciare la fede cattolica non deve in alcun modo essere di ostacolo al dialogo con i fratelli” (ibid., 11). Bisogna parlare correttamente (orthōs) e in modo comprensibile. Il dialogo ecumenico comporta l’evangelica correzione fraterna e conduce a un reciproco arricchimento spirituale nella condivisione delle autentiche esperienze di fede e di vita cristiana. Perché ciò avvenga occorre implorare senza stancarsi l’assistenza della grazia di Dio e l’illuminazione dello Spirito Santo. E’ quanto i cristiani del mondo intero hanno fatto durante questa speciale “Settimana”, o faranno nella Novena che precede la Pentecoste, come pure in ogni circostanza opportuna, elevando la loro fiduciosa preghiera affinché tutti i discepoli di Cristo siano una cosa sola, e affinché, nell’ascolto della Parola, possano dare una testimonianza concorde agli uomini e alle donne del nostro tempo.

In questo clima di intensa comunione desidero rivolgere il mio cordiale saluto a tutti i presenti: al Signor Cardinale Arciprete di questa Basilica, al Signor Cardinale Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e agli altri Cardinali, ai venerati Fratelli nell’Episcopato e nel sacerdozio, ai Monaci benedettini, ai religiosi e alle religiose, ai laici che rappresentano l’intera comunità diocesana di Roma. In modo speciale vorrei salutare i fratelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali che prendono parte alla celebrazione, rinnovando la significativa tradizione di concludere insieme la “Settimana di Preghiera”, nel giorno in cui commemoriamo la folgorante conversione di san Paolo sulla via di Damasco. Sono lieto di sottolineare che il sepolcro dell’Apostolo delle genti, presso il quale ci troviamo, è stato recentemente oggetto di indagini e di studi, in seguito ai quali si è voluto renderlo visibile ai pellegrini, con un opportuno intervento sotto l’altare maggiore. Per questa importante iniziativa esprimo le mie congratulazioni. All’intercessione di san Paolo, infaticabile costruttore dell’unità della Chiesa, affido i frutti dell’ascolto e della testimonianza comune che abbiamo potuto sperimentare nei molti incontri fraterni e dialoghi avvenuti nel corso del 2006, tanto con le Chiese d’Oriente quanto con le Chiese e Comunità ecclesiali in Occidente. In questi eventi è stato possibile percepire la gioia della fraternità, insieme alla tristezza per le tensioni che permangono, conservando sempre la speranza che ci infonde il Signore. Ringraziamo quanti hanno contribuito ad intensificare il dialogo ecumenico con la preghiera, con l’offerta della loro sofferenza e con la loro infaticabile azione. E’ soprattutto al nostro Signore Gesù Cristo che rendiamo fervide grazie per tutto. La Vergine Maria faccia sì che quanto prima possa realizzarsi l’ardente anelito di unità del suo divin Figlio: “Che tutti siano una cosa sola… affinché il mondo creda” (Gv 17,21). Amen.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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CELEBRAZIONE DEI VESPRI 
NELLA FESTA DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO
A CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA 
PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica di San Paolo fuori le Mura
Venerdì, 25 gennaio 2008

 

Cari fratelli e sorelle,

la festa della Conversione di San Paolo ci pone nuovamente alla presenza di questo grande Apostolo, scelto da Dio per essere il suo "testimone davanti a tutti gli uomini" (At 22,15). Per Saulo di Tarso, il momento dell’incontro con Cristo risorto sulla via di Damasco segnò la svolta decisiva della vita. Si attuò allora la sua completa trasformazione, una vera e propria conversione spirituale. In un istante, per intervento divino, l’accanito persecutore della Chiesa di Dio si ritrovò cieco brancolante nel buio, ma con nel cuore ormai una grande luce che lo avrebbe portato, di lì a poco, ad essere un ardente apostolo del Vangelo. La consapevolezza che solo la grazia divina aveva potuto realizzare una simile conversione non abbandonò mai Paolo. Quando egli aveva già dato il meglio di sé, consacrandosi instancabilmente alla predicazione del Vangelo, scrisse con rinnovato fervore: "Ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me" (1 Cor 15,10). Infaticabile come se l’opera della missione dipendesse interamente dai suoi sforzi, San Paolo fu tuttavia animato sempre dalla profonda persuasione che tutta la sua forza proveniva dalla grazia di Dio operante in lui.

Questa sera, le parole dell’Apostolo sul rapporto tra sforzo umano e grazia divina risuonano colme di un significato del tutto particolare. A conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, siamo ancor più coscienti di quanto l’opera della ricomposizione dell’unità, che richiede ogni nostra energia e sforzo, sia comunque infinitamente superiore alle nostre possibilità. L’unità con Dio e con i nostri fratelli e sorelle è un dono che viene dall’Alto, che scaturisce dalla comunione d’amore tra Padre, Figlio e Spirito Santo e che in essa si accresce e si perfeziona. Non è in nostro potere decidere quando o come questa unità si realizzerà pienamente. Solo Dio potrà farlo! Come San Paolo, anche noi riponiamo la nostra speranza e fiducia "nella grazia di Dio che è con noi". Cari fratelli e sorelle, questo vuole implorare la preghiera che insieme eleviamo al Signore, affinché sia Lui a illuminarci e sostenerci nella costante nostra ricerca di unità.

Ed ecco allora assumere il suo valore più pieno l’esortazione di Paolo ai cristiani di Tessalonica: "Pregate continuamente" (1 Ts 5,17), che è stata scelta come tema della Settimana di preghiera di quest’anno. L’Apostolo conosce bene quella comunità nata dalla sua attività missionaria, e nutre per essa grandi speranze. Ne conosce sia i meriti che le debolezze. Tra i suoi membri, infatti, non mancano comportamenti, atteggiamenti e dibattiti suscettibili di creare tensioni e conflitti, e Paolo interviene per aiutare la comunità a camminare nell’unità e nella pace. Alla conclusione dell’epistola, con una bontà quasi paterna, egli aggiunge una serie di esortazioni molto concrete, invitando i cristiani a favorire la partecipazione di tutti, a sostenere i deboli, ad essere pazienti, a non rendere male per male ad alcuno, a cercare sempre il bene, ad essere sempre lieti e a rendere grazie in ogni circostanza (cfr 1 Ts 5,12-22). Al centro di queste esortazioni, pone l’imperativo "pregate continuamente". Gli altri ammonimenti perderebbero infatti forza e coerenza, se non fossero sostenuti dalla preghiera. L’unità con Dio e con gli altri si costruisce innanzitutto mediante una vita di preghiera, nella costante ricerca della "volontà di Dio in Cristo Gesù verso di noi" (cfr 1 Ts 5,18).

L’invito rivolto da San Paolo ai Tessalonicesi è sempre attuale. Davanti alle debolezze ed ai peccati che impediscono ancora la piena comunione dei cristiani, ognuna di queste esortazioni ha mantenuto la sua pertinenza, ma ciò è particolarmente vero per l’imperativo "pregate continuamente". Che cosa diventerebbe il movimento ecumenico senza la preghiera personale o comune, affinché "tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, sei in me ed io in te" (Gv 17,21)? Dove trovare lo "slancio supplementare" di fede, di carità e di speranza di cui ha oggi un particolare bisogno la nostra ricerca dell’unità? Il nostro desiderio di unità non dovrebbe limitarsi ad occasioni sporadiche, ma divenire parte integrante di tutta la nostra vita di preghiera. Sono stati uomini e donne formati nella Parola di Dio e nella preghiera gli artigiani della riconciliazione e dell’unità in ogni fase della storia. È il cammino della preghiera che ha aperto la strada al movimento ecumenico, così come lo conosciamo oggi. A partire dalla metà del XVIII secolo, sono emersi difatti vari movimenti di rinnovamento spirituale, desiderosi di contribuire per mezzo della preghiera alla promozione dell’unità dei cristiani. Fin dall’inizio, gruppi di cattolici, animati da personalità religiose di spicco, hanno partecipato attivamente a simili iniziative. La preghiera per l’unità è stata sostenuta anche da miei venerati Predecessori, come Papa Leone XIII, il quale, già nel 1895, raccomandava l’introduzione di una novena di preghiera per l’unità dei cristiani. Questi sforzi, compiuti secondo le possibilità della Chiesa del tempo, intendevano attuare la preghiera pronunciata da Gesù stesso nel Cenacolo "perché tutti siano una cosa sola" (Gv 17,21). Non esiste pertanto un ecumenismo genuino che non affondi le sue radici nella preghiera.

Quest’anno celebriamo il centesimo anniversario dell’"Ottavario per l’unità della Chiesa", divenuto in seguito "Settimana di Preghiera per l’unità dei Cristiani". Cento anni fa, Padre Paul Wattson, all’epoca ancora ministro episcopaliano, ideò un ottavario di preghiera per l’unità, che fu celebrato per la prima volta a Graymoor (New York) dal 18 al 25 gennaio 1908. Questa sera, è con grande gioia che rivolgo il mio saluto al Ministro Generale e alla delegazione internazionale dei Fratelli e delle Sorelle francescani dell’Atonement, Congregazione fondata da Padre Paul Wattson e promotrice della sua eredità spirituale. Negli anni trenta del secolo scorso, l’ottavario di preghiera conobbe importanti adattamenti dietro impulso soprattutto dell’Abbé Paul Couturier di Lione, anch’egli grande promotore dell’ecumenismo spirituale. Il suo invito a "pregare per l’unità della Chiesa così come Cristo la vuole e secondo i mezzi che Lui vuole", permise a cristiani di tutte le tradizioni di unirsi in una sola preghiera per l’unità. Rendiamo grazie a Dio per il grande movimento di preghiera che, da cento anni, accompagna e sostiene i credenti in Cristo nella loro ricerca di unità. La barca dell’ecumenismo non sarebbe mai uscita dal porto se non fosse stata mossa da quest’ampia corrente di preghiera e spinta dal soffio dello Spirito Santo.

Congiuntamente alla Settimana di preghiera, molte comunità religiose e monastiche hanno invitato ed aiutato i loro membri a "pregare continuamente" per l’unità dei cristiani. In questa occasione che ci vede riuniti, ricordiamo in particolare la vita e la testimonianza di Suor Maria Gabriella dell’Unità (1914-1936), suora trappista del monastero di Grottaferrata (attualmente a Vitorchiano). Quando la sua superiora, incoraggiata dall’Abbé Paul Couturier, invitò le sorelle a pregare e a fare dono di sé per l’unità dei cristiani, Suor Maria Gabriella si sentì immediatamente coinvolta e non esitò a dedicare la sua giovane esistenza a questa grande causa. Oggi stesso ricorre il venticinquesimo anniversario della sua beatificazione da parte del mio predecessore, Papa Giovanni Paolo II. Quell’evento ebbe luogo in questa Basilica precisamente il 25 gennaio 1983, durante la celebrazione di chiusura della Settimana di Preghiera per l’Unità. Nella sua omelia, il Servo di Dio ebbe a sottolineare i tre elementi su cui si costruisce la ricerca dell’unità: la conversione, la croce e la preghiera. Su questi tre elementi si fondarono anche la vita e la testimonianza di Suor Maria Gabriella. L’ecumenismo ha un forte bisogno, oggi come ieri, del grande "monastero invisibile" di cui parlava l’Abbé Paul Couturier, di quella vasta comunità di cristiani di tutte le tradizioni che, senza clamore, pregano ed offrono la loro vita affinché si realizzi l’unità.

Inoltre, da quarant’anni esatti, le comunità cristiane di tutto il mondo ricevono per la Settimana meditazioni e preghiere preparate congiuntamente dalla Commissione "Fede e Costituzione" del Consiglio Ecumenico delle Chiese e dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Questa felice collaborazione ha permesso di ampliare il vasto circolo di preghiera e preparare i suoi contenuti in maniera più adeguata. Questa sera, saluto cordialmente il Rev. Dott. Samuel Kobia, Segretario Generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, che è venuto a Roma per unirsi a noi nel centenario della Settimana di preghiera. Sono lieto per la presenza dei membri del "Gruppo Misto di Lavoro", che saluto con affetto. Il Gruppo Misto è lo strumento di cooperazione tra la Chiesa cattolica ed il Consiglio Ecumenico delle Chiese nella nostra ricerca comune di unità. E, come ogni anno, rivolgo il mio saluto fraterno anche ai vescovi, ai sacerdoti, ai pastori delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali che hanno qui a Roma i loro rappresentanti. La vostra partecipazione a questa preghiera è espressione tangibile dei legami che ci uniscono in Cristo Gesù: "Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20).

In questa storica Basilica, il 28 giugno prossimo, si aprirà l’anno consacrato alla testimonianza e all’insegnamento dell’apostolo Paolo. Che il suo instancabile fervore nel costruire il Corpo di Cristo nell’unità ci aiuti a pregare incessantemente per la piena unità di tutti i cristiani! Amen!



CELEBRAZIONE DEI SECONDI VESPRI 
NELLA FESTA DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO
A CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA 
PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica di San Paolo fuori le Mura
Domenica, 25 gennaio 2009

 

Cari fratelli e sorelle,

è grande ogni volta la gioia di ritrovarci presso il sepolcro dell’apostolo Paolo, nella memoria liturgica della sua Conversione, per concludere la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani. Vi saluto tutti con affetto. In modo particolare saluto il Cardinale Cordero Lanza di Montezemolo, l’Abate e la Comunità dei monaci che ci ospitano. Saluto pure il Cardinale Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Con lui saluto i Signori Cardinali presenti, i Vescovi e i Pastori delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali, qui convenuti stasera. Una parola di speciale riconoscenza va a quanti hanno collaborato nella preparazione dei sussidi per la preghiera, vivendo in prima persona l’esercizio del riflettere e confrontarsi nell’ascolto gli uni degli altri e, tutti insieme, della Parola di Dio.

 

La conversione di san Paolo ci offre il modello e ci indica la via per andare verso la piena unità. L’unità infatti richiede una conversione: dalla divisione alla comunione, dall’unità ferita a quella risanata e piena. Questa conversione è dono di Cristo risorto, come avvenne per san Paolo. Lo abbiamo sentito dalle stesse parole dell’Apostolo nella lettura poc’anzi proclamata: “Per grazia di Dio sono quello che sono” (1 Cor 15,10). Lo stesso Signore, che chiamò Saulo sulla via di Damasco, si rivolge ai membri della sua Chiesa – che è una e santa – e chiamando ciascuno per nome domanda: perché mi hai diviso? perché hai ferito l’unità del mio corpo? La conversione implica due dimensioni. Nel primo passo si conoscono e riconoscono nella luce di Cristo le colpe, e questo riconoscimento diventa dolore e pentimento, desiderio di un nuovo inizio.

Nel secondo passo si riconosce che questo nuovo cammino non può venire da noi stessi. Consiste nel farsi conquistare da Cristo. Come dice san Paolo: “ … mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo” (Fil 3,12). La conversione esige il nostro sì, il mio “correre”; non è ultimamente un’attività mia, ma dono, un lasciarsi formare da Cristo; è morte e risurrezione. Perciò san Paolo non dice: “Mi sono convertito”, ma dice “sono morto” (Gal 2,19), sono una nuova creatura. In realtà, la conversione di san Paolo non fu un passaggio dall’immoralità alla moralità – la sua moralità era alta -, da una fede sbagliata ad una fede corretta – la sua fede era vera, benché incompleta -, ma fu l’essere conquistato dall’amore di Cristo: la rinuncia alla propria perfezione, fu l’umiltà di chi si mette senza riserva al servizio di Cristo per i fratelli. E solo in questa rinuncia a noi stessi, in questa conformità con Cristo possiamo essere uniti anche tra di noi, possiamo diventare “uno” in Cristo. E’ la comunione col Cristo risorto che ci dona l’unità.

 

Possiamo osservare un’interessante analogia con la dinamica della conversione di san Paolo anche meditando sul testo biblico del profeta Ezechiele (37,15-28) prescelto quest’anno come base della nostra preghiera. In esso, infatti, viene presentato il gesto simbolico dei due legni riuniti in uno nella mano del profeta, che con questo gesto rappresenta l’azione futura di Dio. E’ la seconda parte del capitolo 37, che nella prima parte contiene la celebre visione delle ossa aride e della risurrezione d’Israele, operata dallo Spirito di Dio. Come non notare che il segno profetico della riunificazione del popolo d’Israele viene posto dopo il grande simbolo delle ossa aride vivificate dallo Spirito? Ne deriva uno schema teologico analogo a quello della conversione di san Paolo: al primo posto sta la potenza di Dio, che col suo Spirito opera la risurrezione come una nuova creazione. Questo Dio, che è il Creatore ed è in grado di risuscitare i morti, è anche capace di ricondurre all’unità il popolo diviso in due. Paolo – come e più di Ezechiele – diventa strumento eletto della predicazione dell’unità conquistata da Gesù mediante la croce e la risurrezione: l’unità tra i giudei e i pagani, per formare un solo popolo nuovo. La risurrezione di Cristo quindi estende il perimetro dell’unità: non solo unità delle tribù di Israele, ma unità di ebrei e pagani (cfr Ef 2; Gv 10,16); unificazione dell’umanità dispersa dal peccato e ancor più unità di tutti i credenti in Cristo.

 

La scelta di questo brano del profeta Ezechiele la dobbiamo ai fratelli della Corea, i quali si sono sentiti fortemente interpellati da questa pagina biblica, sia in quanto coreani, sia in quanto cristiani. Nella divisione del popolo ebreo in due regni si sono rispecchiati come figli di un’unica terra, che le vicende politiche hanno separato, parte al nord e parte al sud. E questa loro esperienza umana li ha aiutati a comprendere meglio il dramma della divisione tra i cristiani. Ora, alla luce di questa Parola di Dio che i nostri fratelli coreani hanno scelto e proposto a tutti, emerge una verità piena di speranza: Dio promette al suo popolo una nuova unità, che deve essere segno e strumento di riconciliazione e di pace anche sul piano storico, per tutte le nazioni. L’unità che Dio dona alla sua Chiesa, e per la quale noi preghiamo, è naturalmente la comunione in senso spirituale, nella fede e nella carità; ma noi sappiamo che questa unità in Cristo è fermento di fraternità anche sul piano sociale, nei rapporti tra le nazioni e per l’intera famiglia umana. E’ il lievito del Regno di Dio che fa crescere tutta la pasta (cfr Mt 13,33). In questo senso, la preghiera che eleviamo in questi giorni, riferendoci alla profezia di Ezechiele, si è fatta anche intercessione per le diverse situazioni di conflitto che al presente affliggono l’umanità. Là dove le parole umane diventano impotenti, perché prevale il tragico rumore della violenza e delle armi, la forza profetica della Parola di Dio non viene meno e ci ripete che la pace è possibile, e che dobbiamo essere noi strumenti di riconciliazione e di pace. Perciò la nostra preghiera per l’unità e per la pace chiede sempre di essere comprovata da gesti coraggiosi di riconciliazione tra noi cristiani. Penso ancora alla Terra Santa: quanto è importante che i fedeli che vivono là, come pure i pellegrini che vi si recano, offrano a tutti la testimonianza che la diversità dei riti e delle tradizioni non dovrebbe costituire un ostacolo al mutuo rispetto e alla carità fraterna. Nelle diversità legittime di tradizoni diverse dobbiamo cercare l’unità nella fede, nel nostro “sì” fondamentale a Cristo e alla sua unica Chiesa. E così le diversità non saranno più ostacolo che ci separa, ma ricchezza nella molteplicità delle espressioni della fede comune.

Vorrei concludere questa mia riflessione facendo riferimento ad un avvenimento che i più anziani tra noi certamente non dimenticano. Il 25 gennaio del 1959, esattamente cinquant’anni or sono, il beato Papa Giovanni XXIII manifestò per la prima volta in questo luogo la sua volontà di convocare “un Concilio ecumenico per la Chiesa universale” (AAS LI [1959], p. 68). Fece questo annuncio ai Padri Cardinali, nella Sala capitolare del Monastero di San Paolo, dopo aver celebrato la Messa solenne nella Basilica. Da quella provvida decisione, suggerita al mio venerato Predecessore, secondo la sua ferma convinzione, dallo Spirito Santo, è derivato anche un fondamentale contributo all’ecumenismo, condensato nel Decreto Unitatis redintegratio. In esso, tra l’altro, si legge: “Ecumenismo vero non c’è senza interiore conversione; poiché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente (cfr Ef 4,23), dall’abnegazione di se stesso e dalla liberissima effusione della carità” (n. 7). L’atteggiamento di conversione interiore in Cristo, di rinnovamento spirituale, di accresciuta carità verso gli altri cristiani ha dato luogo ad una nuova situazione nelle relazioni ecumeniche. I frutti dei dialoghi teologici, con le loro convergenze e con la più precisa identificazione delle divergenze che ancora permangono, spingono a proseguire coraggiosamente in due direzioni: nella ricezione di quanto positivamente è stato raggiunto e in un rinnovato impegno verso il futuro. Opportunamente il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che ringrazio per il servizio che rende alla causa dell’unità di tutti i discepoli del Signore, ha recentemente riflettuto sulla ricezione e sul futuro del dialogo ecumenico. Tale riflessione, se da una parte vuole giustamente valorizzare quanto è stato acquisito, dall’altra intende trovare nuove vie per la continuazione delle relazioni fra le Chiese e Comunità ecclesiali nel contesto attuale. Rimane aperto davanti a noi l’orizzonte della piena unità. Si tratta di un compito arduo, ma entusiasmante per i cristiani che vogliono vivere in sintonia con la preghiera del Signore: “che tutti siano uno, affinché il mondo creda” (Gv 17,21). Il Concilio Vaticano II ci ha prospettato che “il santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unità della Chiesa di Cristo, una e unica, supera le forze e le doti umane” (UR, 24). Facendo affidamento sulla preghiera del Signore Gesù Cristo, e incoraggiati dai significativi passi compiuti dal movimento ecumenico, invochiamo con fede lo Spirito Santo perché continui ad illuminare e guidare il nostro cammino. Ci sproni e ci assista dal cielo l’apostolo Paolo, che tanto ha faticato e sofferto per l’unità del corpo mistico di Cristo; ci accompagni e ci sostenga la Beata Vergine Maria, Madre dell’unità della Chiesa.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/01/2017 11:35
 
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CELEBRAZIONE DEI VESPRI 
A CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA 
PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Festa della Conversione di San Paolo Apostolo
Basilica di San Paolo fuori le Mura
Lunedì, 25 gennaio 2010

(Video)
Immagini della celebrazione
 

 

Cari fratelli e sorelle,

riuniti in fraterna assemblea liturgica, nella festa della conversione dell’apostolo Paolo, concludiamo oggi l’annuale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Vorrei salutare voi tutti con affetto e, in particolare, il Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e l’Arciprete di questa Basilica, Mons. Francesco Monterisi, con l’Abate e la Comunità dei monaci, che ci ospitano. Rivolgo, altresì, il mio cordiale pensiero ai Signori Cardinali presenti, ai Vescovi ed a tutti i rappresentanti delle Chiese e delle Comunità ecclesiali della Città, qui convenuti.

Non sono passati molti mesi da quando si è concluso l’Anno dedicato a San Paolo, che ci ha offerto la possibilità di approfondire la sua straordinaria opera di predicatore del Vangelo, e, come ci ha ricordato il tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani - “Di questo voi siete testimoni” (Lc 24,48) -, la nostra chiamata ad essere missionari del Vangelo. Paolo, pur serbando viva ed intensa memoria del proprio passato di persecutore dei cristiani, non esita a chiamarsi Apostolo. A fondamento di tale titolo, vi è per lui l’incontro con il Risorto sulla via di Damasco, che diventa anche l’inizio di una instancabile attività missionaria, in cui spenderà ogni sua energia per annunciare a tutte le genti quel Cristo che aveva personalmente incontrato. Così Paolo, da persecutore della Chiesa, diventerà egli stesso vittima di persecuzione a causa del Vangelo a cui dava testimonianza: “Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato... Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. Oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese” (2 Cor 11,24-25.26-28). La testimonianza di Paolo raggiungerà il culmine nel suo martirio quando, proprio non lontano da qui, darà prova della sua fede nel Cristo che vince la morte.

La dinamica presente nell’esperienza di Paolo è la stessa che troviamo nella pagina del Vangelo che abbiamo appena ascoltato. I discepoli di Emmaus, dopo aver riconosciuto il Signore risorto, tornano a Gerusalemme e trovano gli Undici riuniti insieme con gli altri. Il Cristo risorto appare loro, li conforta, vince il loro timore, i loro dubbi, si fa loro commensale e apre il loro cuore all’intelligenza delle Scritture, ricordando quanto doveva accadere e che costituirà il nucleo centrale dell’annuncio cristiano. Gesù afferma: “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme” (Lc 24,46-47). Questi sono gli eventi dei quali renderanno testimonianza innanzitutto i discepoli della prima ora e, in seguito, i credenti in Cristo di ogni tempo e di ogni luogo. E’ importante, però, sottolineare che questa testimonianza, allora come oggi, nasce dall’incontro col Risorto, si nutre del rapporto costante con Lui, è animata dall’amore profondo verso di Lui. Solo chi ha fatto esperienza di sentire il Cristo presente e vivo – “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!” (Lc 24,39) -, di sedersi a mensa con Lui, di ascoltarlo perché faccia ardere il cuore, può essere Suo testimone! Per questo, Gesù promette ai discepoli e a ciascuno di noi una potente assistenza dall’alto, una nuova presenza, quella dello Spirito Santo, dono del Cristo risorto, che ci guida alla verità tutta intera: “Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso” (Lc 24,49). Gli Undici spenderanno tutta la vita per annunciare la buona notizia della morte e risurrezione del Signore e quasi tutti sigilleranno la loro testimonianza con il sangue del martirio, seme fecondo che ha prodotto un raccolto abbondante.

La scelta del tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani di quest’anno, l’invito, cioè, ad una testimonianza comune del Cristo risorto secondo il mandato che Egli ha affidato ai discepoli, è legata al ricordo del centesimo anniversario della Conferenza missionaria di Edimburgo in Scozia, che viene considerato da molti come un evento determinante per la nascita del movimento ecumenico moderno. Nell’estate del 1910, nella capitale scozzese si incontrarono oltre mille missionari, appartenenti a diversi rami del Protestantesimo e dell’Anglicanesimo, a cui si unì un ospite ortodosso, per riflettere insieme sulla necessità di giungere all’unità per annunciare credibilmente il Vangelo di Gesù Cristo. Infatti, è proprio il desiderio di annunciare agli altri il Cristo e di portare al mondo il suo messaggio di riconciliazione che fa sperimentare la contraddizione della divisione dei cristiani. Come potranno, infatti, gli increduli accogliere l’annuncio del Vangelo se i cristiani, sebbene si richiamino tutti al medesimo Cristo, sono in disaccordo tra loro? Del resto, come sappiamo, lo stesso Maestro, al termine dell’Ultima Cena, aveva pregato il Padre per i suoi discepoli: “Che tutti siano una sola cosa… perché il mondo creda” (Gv 17,21). La comunione e l’unità dei discepoli di Cristo è, dunque, condizione particolarmente importante per una maggiore credibilità ed efficacia della loro testimonianza.

Ad un secolo di distanza dall’evento di Edimburgo, l’intuizione di quei coraggiosi precursori è ancora attualissima. In un mondo segnato dall’indifferenza religiosa, e persino da una crescente avversione nei confronti della fede cristiana, è necessaria una nuova, intensa, attività di evangelizzazione, non solo tra i popoli che non hanno mai conosciuto il Vangelo, ma anche in quelli in cui il Cristianesimo si è diffuso e fa parte della loro storia. Non mancano, purtroppo, questioni che ci separano gli uni dagli altri e che speriamo possano essere superate attraverso la preghiera e il dialogo, ma c’è un contenuto centrale del messaggio di Cristo che possiamo annunciare assieme: la paternità di Dio, la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte con la sua croce e risurrezione, la fiducia nell’azione trasformatrice dello Spirito. Mentre siamo in cammino verso la piena comunione, siamo chiamati ad offrire una testimonianza comune di fronte alle sfide sempre più complesse del nostro tempo, quali la secolarizzazione e l’indifferenza, il relativismo e l’edonismo, i delicati temi etici riguardanti il principio e la fine della vita, i limiti della scienza e della tecnologia, il dialogo con le altre tradizioni religiose. Vi sono poi ulteriori campi nei quali dobbiamo sin da ora dare una comune testimonianza: la salvaguardia del Creato, la promozione del bene comune e della pace, la difesa della centralità della persona umana, l’impegno per sconfiggere le miserie del nostro tempo, quali la fame, l’indigenza, l’analfabetismo, la non equa distribuzione dei beni.

L’impegno per l’unità dei cristiani non è compito solo di alcuni, né attività accessoria per la vita della Chiesa. Ciascuno è chiamato a dare il suo apporto per compiere quei passi che portino verso la comunione piena tra tutti i discepoli di Cristo, senza mai dimenticare che essa è innanzitutto dono di Dio da invocare costantemente. Infatti, la forza che promuove l’unità e la missione sgorga dall’incontro fecondo e appassionante col Risorto, come avvenne per San Paolo sulla via di Damasco e per gli Undici e gli altri discepoli riuniti a Gerusalemme. La Vergine Maria, Madre della Chiesa, faccia sì che quanto prima possa realizzarsi il desiderio del Suo Figlio: “Che tutti siano una sola cosa… perché il mondo creda” (Gv 17,21).

   

CELEBRAZIONE DEI VESPRI 
A CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA 
PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Festa della Conversione di San Paolo Apostolo
Basilica di San Paolo fuori le Mura
Martedì, 25 gennaio 2011

(Video)
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Cari fratelli e sorelle,

Seguendo l’esempio di Gesù, che alla vigilia della sua passione pregò il Padre per i suoi discepoli “perché tutti siano una sola cosa” (Gv 17,21), i cristiani continuano incessantemente ad invocare da Dio il dono dell’unità. Questa richiesta si fa più intensa durante la Settimana di Preghiera, che oggi si conclude, quando le Chiese e Comunità ecclesiali meditano e pregano insieme per l’unità di tutti i cristiani. Quest’anno il tema offerto alla nostra meditazione è stato proposto dalle Comunità cristiane di Gerusalemme, alle quali vorrei esprimere il mio vivo ringraziamento, accompagnato dall’assicurazione dell’affetto e della preghiera sia da parte mia che di tutta la Chiesa. I cristiani della Città Santa ci invitano a rinnovare e rafforzare il nostro impegno per il ristabilimento della piena unità meditando sul modello di vita dei primi discepoli di Cristo riuniti a Gerusalemme: “Essi – leggiamo negli Atti degli Apostoli – erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2,42). È questo il ritratto della prima comunità, nata a Gerusalemme il giorno stesso di Pentecoste, suscitata dalla predicazione che l’Apostolo Pietro, ripieno di Spirito Santo, rivolge a tutti coloro che erano giunti nella Città Santa per la festa. Una comunità non chiusa in se stessa, ma, sin dal suo nascere, cattolica, universale, capace di abbracciare genti di lingue e di culture diverse, come lo stesso libro degli Atti degli Apostoli ci testimonia. Una comunità non fondata su un patto tra i suoi membri, né dalla semplice condivisione di un progetto o di un’ideale, ma dalla comunione profonda con Dio, che si è rivelato nel suo Figlio, dall’incontro con il Cristo morto e risorto.

In un breve sommario, che conclude il capitolo iniziato con la narrazione della discesa dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste, l’evangelista Luca presenta sinteticamente la vita di questa prima comunità: quanti avevano accolto la parola predicata da Pietro ed erano stati battezzati, ascoltavano la Parola di Dio, trasmessa dagli Apostoli; stavano volentieri insieme, facendosi carico dei servizi necessari e condividendo liberamente e generosamente i beni materiali; celebravano il sacrificio di Cristo sulla Croce, il suo mistero di morte e risurrezione, nell’Eucaristia, ripetendo il gesto dello spezzare il pane; lodavano e ringraziavano continuamente il Signore, invocando il suo aiuto nelle difficoltà. Questa descrizione, però, non è semplicemente un ricordo del passato e nemmeno la presentazione di un esempio da imitare o di una meta ideale da raggiungere. Essa è piuttosto affermazione della presenza e dell’azione dello Spirito Santo nella vita della Chiesa. È un’attestazione, piena di fiducia, che lo Spirito Santo, unendo tutti in Cristo, è il principio dell’unità della Chiesa e fa dei credenti una sola cosa.

L’insegnamento degli Apostoli, la comunione fraterna, lo spezzare il pane e la preghiera sono le forme concrete di vita della prima comunità cristiana di Gerusalemme riunita dall’azione dello Spirito Santo, ma al tempo stesso costituiscono i tratti essenziali di tutte le comunità cristiane, di ogni tempo e di ogni luogo. In altri termini, potremmo dire che essi rappresentano anche le dimensioni fondamentali dell’unità del Corpo visibile della Chiesa.

Dobbiamo essere riconoscenti perché, nel corso degli ultimi decenni, il movimento ecumenico, “sorto per impulso della grazia dello Spirito Santo” (Unitatis redintegratio, 1), ha fatto significativi passi in avanti, che hanno reso possibile raggiungere incoraggianti convergenze e consensi su svariati punti, sviluppando tra le Chiese e le Comunità ecclesiali rapporti di stima e rispetto reciproco, come pure di collaborazione concreta di fronte alle sfide del mondo contemporaneo. Sappiamo bene, tuttavia, che siamo ancora lontani da quella unità per la quale Cristo ha pregato e che troviamo riflessa nel ritratto della prima comunità di Gerusalemme. L’unità alla quale Cristo, mediante il suo Spirito, chiama la Chiesa non si realizza solo sul piano delle strutture organizzative, ma si configura, ad un livello molto più profondo, come unità espressa “nella confessione di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio” (ibid., 2). La ricerca del ristabilimento dell'unità tra i cristiani divisi non può pertanto ridursi ad un riconoscimento delle reciproche differenze ed al conseguimento di una pacifica convivenza: ciò a cui aneliamo è quell’unità per cui Cristo stesso ha pregato e che per sua natura si manifesta nella comunione della fede, dei sacramenti, del ministero. Il cammino verso questa unità deve essere avvertito come imperativo morale, risposta ad una precisa chiamata del Signore. Per questo occorre vincere la tentazione della rassegnazione e del pessimismo, che è mancanza di fiducia nella potenza dello Spirito Santo. Il nostro dovere è proseguire con passione il cammino verso questa meta con un dialogo serio e rigoroso per approfondire il comune patrimonio teologico, liturgico e spirituale; con la reciproca conoscenza; con la formazione ecumenica delle nuove generazioni e, soprattutto, con la conversione del cuore e con la preghiera. Infatti, come ha dichiarato il Concilio Vaticano II, il “santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unità di una sola e unica Chiesa di Cristo, supera le forze e le doti umane” e, perciò, la nostra speranza va riposta per prima cosa “nell’orazione di Cristo per la Chiesa, nell’amore del Padre per noi e nella potenza dello Spirito Santo” (ibid., 24).

In questo cammino di ricerca della piena unità visibile tra tutti i cristiani ci accompagna e ci sostiene l’Apostolo Paolo, del quale quest’oggi celebriamo solennemente la Festa della Conversione. Egli, prima che gli apparisse il Risorto sulla via di Damasco dicendogli: “Io sono Gesù, che tu perseguiti!” (At 9,5), era uno tra i più accaniti avversari delle prime comunità cristiane. L’evangelista Luca descrive Saulo tra coloro che approvarono l’uccisione di Stefano, nei giorni in cui scoppiò una violenta persecuzione contro i cristiani di Gerusalemme (cfr At 8,1). Dalla Città Santa Saulo partì per estendere la persecuzione dei cristiani fino in Siria e, dopo la sua conversione, vi ritornò per essere introdotto presso gli Apostoli da Barnaba, il quale si fece garante dell’autenticità del suo incontro con il Signore. Da allora Paolo fu ammesso, non solo come membro della Chiesa, ma anche come predicatore del Vangelo assieme agli altri Apostoli, avendo ricevuto, come loro, la manifestazione del Signore Risorto e la chiamata speciale ad essere “strumento eletto” per portare il suo nome dinanzi ai popoli (cfr At 9,15). Nei suoi lunghi viaggi missionari Paolo, peregrinando per città e regioni diverse, non dimenticò mai il legame di comunione con la Chiesa di Gerusalemme. La colletta in favore dei cristiani di quella comunità, i quali, molto presto, ebbero bisogno di essere soccorsi (cfr 1Cor 16,1), occupò un posto importante nelle preoccupazioni di Paolo, che la considerava non solo un’opera di carità, ma il segno e la garanzia dell’unità e della comunione tra le Chiese da lui fondate e quella primitiva Comunità della Città Santa, un segno dell’unità dell’unica Chiesa di Cristo.

In questo clima di intensa preghiera, desidero rivolgere il mio cordiale saluto a tutti i presenti: al Cardinale Francesco Monterisi, Arciprete di questa Basilica, al Cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e agli altri Cardinali, ai Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, all’Abate ed ai monaci benedettini di questa antica comunità, ai religiosi e alle religiose, ai laici che rappresentano l’intera comunità diocesana di Roma. In modo speciale vorrei salutare i Fratelli e le Sorelle delle altre Chiese e Comunità ecclesiali qui rappresentate questa sera. Tra essi mi è particolarmente gradito rivolgere il mio saluto ai membri della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese Orientali Ortodosse, la cui riunione si svolge qui a Roma in questi giorni. Affidiamo al Signore il buon successo del vostro incontro, perché possa rappresentare un passo in avanti verso la tanto auspicata unità.

Einen besonderen Gruß möchte ich auch an die Vertreter der Vereinigten Evangelisch-Lutherischen Kirche Deutschlands richten, die unter der Leitung des bayerischen Landesbischofs nach Rom gekommen sind.

Cari fratelli e sorelle, fiduciosi nell’intercessione della Vergine Maria, Madre di Cristo e Madre della Chiesa, invochiamo, dunque, il dono dell'unità. Uniti a Maria, che il giorno di Pentecoste era presente nel Cenacolo insieme agli Apostoli, ci rivolgiamo a Dio fonte di ogni dono perché si rinnovi per noi oggi il miracolo della Pentecoste e, guidati dallo Spirito Santo, tutti i cristiani ristabiliscano la piena unità in Cristo. Amen.


[Modificato da Caterina63 13/01/2017 11:36]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/01/2017 11:42
 
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CELEBRAZIONE DEI VESPRI A CONCLUSIONE 
DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA 
PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Festa della Conversione di San Paolo Apostolo 
Basilica di San Paolo fuori le Mura 
Mercoledì, 25 gennaio 2012

[Video]
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Cari fratelli e sorelle!

È con grande gioia che rivolgo il mio caloroso saluto a tutti voi che vi siete radunati in questa Basilica nella Festa liturgica della Conversione di San Paolo, per concludere la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, in quest’anno nel quale celebreremo il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, che il beato Giovanni XXIII annunciò proprio in questa Basilica il 25 gennaio 1959. Il tema offerto alla nostra meditazione nella Settimana di preghiera che oggi concludiamo, è: “Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo nostro Signore” (cfr 1 Cor 15,51-58).

Il significato di questa misteriosa trasformazione, di cui ci parla la seconda lettura breve di questa sera, è mirabilmente mostrato nella vicenda personale di san Paolo. In seguito all’evento straordinario accaduto lungo la via di Damasco, Saulo, che si distingueva per lo zelo con cui perseguitava la Chiesa nascente, fu trasformato in un infaticabile apostolo del Vangelo di Gesù Cristo. Nella vicenda di questo straordinario evangelizzatore appare chiaro che tale trasformazione non è il risultato di una lunga riflessione interiore e nemmeno il frutto di uno sforzo personale. Essa è innanzitutto opera della grazia di Dio che ha agito secondo le sue imperscrutabili vie. È per questo che Paolo, scrivendo alla comunità di Corinto alcuni anni dopo la sua conversione, afferma, come abbiamo ascoltato nel primo brano di questi Vespri: “Per grazia di Dio ... sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana” (1 Cor 15,10). Inoltre, considerando con attenzione la vicenda di san Paolo, si comprende come la trasformazione che egli ha sperimentato nella sua esistenza non si limita al piano etico – come conversione dalla immoralità alla moralità –, né al piano intellettuale – come cambiamento del proprio modo di comprendere la realtà –, ma si tratta piuttosto di un radicale rinnovamento del proprio essere, simile per molti aspetti ad una rinascita. Una tale trasformazione trova il suo fondamento nella partecipazione al mistero della Morte e Risurrezione di Gesù Cristo, e si delinea come un graduale cammino di conformazione a Lui. Alla luce di questa consapevolezza, san Paolo, quando in seguito sarà chiamato a difendere la legittimità della sua vocazione apostolica e del Vangelo da lui annunziato, dirà: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20).

L’esperienza personale vissuta da san Paolo gli permette di attendere con fondata speranza il compimento di questo mistero di trasformazione, che riguarderà tutti coloro che hanno creduto in Gesù Cristo ed anche tutta l’umanità ed il creato intero. Nella seconda lettura breve che è stata proclamata questa sera, san Paolo, dopo avere sviluppato una lunga argomentazione destinata a rafforzare nei fedeli la speranza della risurrezione, utilizzando le immagini tradizionali della letteratura apocalittica a lui contemporanea, descrive in poche righe il grande giorno del giudizio finale, in cui si compie il destino dell’umanità: “In un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba ... i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati” (1 Cor 15,52). In quel giorno, tutti i credenti saranno resi conformi a Cristo e tutto ciò che è corruttibile sarà trasformato dalla sua gloria: “È necessario infatti - dice san Paolo - che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità” (v. 15,53). Allora il trionfo di Cristo sarà finalmente completo, perché, ci dice ancora san Paolo mostrando come le antiche profezie delle Scritture si realizzano, la morte sarà vinta definitivamente e, con essa, il peccato che l’ha fatta entrare nel mondo e la Legge che fissa il peccato senza dare la forza di vincerlo: “La morte è stata inghiottita nella vittoria. / Dov’è, o morte, la tua vittoria? / Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? / Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge” (vv. 54-56). San Paolo ci dice, dunque, che ogni uomo, mediante il battesimo nella morte e risurrezione di Cristo, partecipa alla vittoria di Colui che per primo ha sconfitto la morte, cominciando un cammino di trasformazione che si manifesta sin da ora in una novità di vita e che raggiungerà la sua pienezza alla fine dei tempi.

È molto significativo che il brano si concluda con un ringraziamento: “Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!” (v. 57). Il canto di vittoria sulla morte si tramuta in canto di gratitudine innalzato al Vincitore. Anche noi questa sera, celebrando le lodi serali di Dio, vogliamo unire le nostre voci, le nostre menti e i nostri cuori a questo inno di ringraziamento per ciò che la grazia divina ha operato nell’Apostolo delle genti e per il mirabile disegno salvifico che Dio Padre compie in noi per mezzo del Signore Gesù Cristo. Mentre eleviamo la nostra preghiera, siamo fiduciosi di essere trasformati anche noi e conformati ad immagine di Cristo. Questo è particolarmente vero nella preghiera per l’unità dei cristiani. Quando infatti imploriamo il dono dell’unità dei discepoli di Cristo, facciamo nostro il desiderio espresso da Gesù Cristo alla vigilia della sua passione e morte nella preghiera rivolta al Padre: “perché tutti siano una cosa sola” (Gv 17,21). Per questo motivo, la preghiera per l’unità dei cristiani non è altro che partecipazione alla realizzazione del progetto divino per la Chiesa, e l’impegno operoso per il ristabilimento dell’unità è un dovere e una grande responsabilità per tutti.

Pur sperimentando ai nostri giorni la situazione dolorosa della divisione, noi cristiani possiamo e dobbiamo guardare al futuro con speranza, in quanto la vittoria di Cristo significa il superamento di tutto ciò che ci trattiene dal condividere la pienezza di vita con Lui e con gli altri. La risurrezione di Gesù Cristo conferma che la bontà di Dio vince il male, l’amore supera la morte. Egli ci accompagna nella lotta contro la forza distruttiva del peccato che danneggia l’umanità e l’intera creazione di Dio. La presenza di Cristo risorto chiama tutti noi cristiani ad agire insieme nella causa del bene. Uniti in Cristo, siamo chiamati a condividere la sua missione, che è quella di portare la speranza là dove dominano l’ingiustizia, l’odio e la disperazione. Le nostre divisioni rendono meno luminosa la nostra testimonianza a Cristo. Il traguardo della piena unità, che attendiamo in operosa speranza e per la quale con fiducia preghiamo, è una vittoria non secondaria, ma importante per il bene della famiglia umana.

Nella cultura oggi dominante, l’idea di vittoria è spesso associata ad un successo immediato. Nell’ottica cristiana, invece, la vittoria è un lungo e, agli occhi di noi uomini, non sempre lineare processo di trasformazione e di crescita nel bene. Essa avviene secondo i tempi di Dio, non i nostri, e richiede da noi profonda fede e paziente perseveranza. Sebbene il Regno di Dio irrompa definitivamente nella storia con la risurrezione di Gesù, esso non è ancora pienamente realizzato. La vittoria finale avverrà solo con la seconda venuta del Signore, che noi attendiamo con paziente speranza. Anche la nostra attesa per l’unità visibile della Chiesa deve essere paziente e fiduciosa. Solo in tale disposizione trovano il loro pieno significato la nostra preghiera ed il nostro impegno quotidiani per l’unità dei cristiani. L’atteggiamento di attesa paziente non significa passività o rassegnazione, ma risposta pronta e attenta ad ogni possibilità di comunione e fratellanza, che il Signore ci dona.

In questo clima spirituale, vorrei rivolgere alcuni saluti particolari, in primo luogo al Cardinale Monterisi, Arciprete di questa Basilica, all’Abate e alla Comunità dei monaci benedettini che ci ospitano. Saluto il Cardinale Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e tutti i collaboratori di questo Dicastero. Rivolgo i miei cordiali e fraterni saluti a Sua Eminenza il Metropolita Gennadios, rappresentante del Patriarcato ecumenico, ed al Reverendo Canonico Richardson, rappresentante personale a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, e a tutti i rappresentanti delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali, qui convenuti questa sera. Inoltre, mi è particolarmente gradito salutare alcuni membri del Gruppo di lavoro composto da esponenti di diverse Chiese e Comunità ecclesiali presenti in Polonia, che hanno preparato i sussidi per la Settimana di Preghiera di quest’anno, ai quali vorrei esprimere la mia gratitudine e il mio augurio di proseguire sulla via della riconciliazione e della fruttuosa collaborazione, come pure i membri del Global Christian Forum che in questi giorni sono a Roma per riflettere sull’allargamento della partecipazione al movimento ecumenico di nuovi soggetti. E saluto anche il gruppo di studenti dell’Istituto Ecumenico di Bossey del Consiglio Ecumenico delle Chiese.

All’intercessione di san Paolo desidero affidare tutti coloro che, con la loro preghiera e il loro impegno, si adoperano per la causa dell’unità dei cristiani. Anche se a volte si può avere l’impressione che la strada verso il pieno ristabilimento della comunione sia ancora molto lunga e piena di ostacoli, invito tutti a rinnovare la propria determinazione a perseguire, con coraggio e generosità, l’unità che è volontà di Dio, seguendo l’esempio di san Paolo, il quale di fronte a difficoltà di ogni tipo ha conservato sempre ferma la fiducia in Dio che porta a compimento la sua opera. Del resto, in questo cammino, non mancano i segni positivi di una ritrovata fraternità e di un condiviso senso di responsabilità di fronte alle grandi problematiche che affliggono il nostro mondo. Tutto ciò è motivo di gioia e di grande speranza e deve incoraggiarci a proseguire il nostro impegno per giungere tutti insieme al traguardo finale, sapendo che la nostra fatica non è vana nel Signore (cfr 1 Cor 15,58). Amen.



CELEBRAZIONE DEI VESPRI
A CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA
PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Solennità della Conversione di San Paolo Apostolo
Basilica di San Paolo fuori le Mura
Venerdì, 25 gennaio 2013

[Video]
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Cari fratelli e sorelle!

E’ sempre una gioia e una grazia speciale ritrovarsi insieme, intorno alla tomba dell’apostolo Paolo, per concludere la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Saluto con affetto i Cardinali presenti, in primo luogo il Cardinale Harvey, Arciprete di questa Basilica, e con lui l’Abate e la Comunità dei monaci che ci ospitano. Saluto il Cardinale Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e tutti i collaboratori del Dicastero. Rivolgo i miei cordiali e fraterni saluti a Sua Eminenza il Metropolita Gennadios, rappresentante del Patriarca ecumenico, al Reverendo Canonico Richardson, rappresentante personale a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, e a tutti i rappresentanti delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali, qui convenuti questa sera. Inoltre, mi è particolarmente gradito salutare i membri della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali, ai quali auguro un fruttuoso lavoro per la sessione plenaria che si sta svolgendo in questi giorni a Roma, come pure gli studenti dell’Ecumenical Institute of Bossey, in visita a Roma per approfondire la loro conoscenza della Chiesa cattolica, e i giovani ortodossi e ortodossi orientali che qui studiano. Saluto infine tutti i presenti convenuti a pregare per l’unità tra tutti i discepoli di Cristo.

Questa celebrazione si inserisce nel contesto dell’Anno della fede, iniziato l’11 ottobre scorso, cinquantenario dell’apertura del Concilio Vaticano II. La comunione nella stessa fede è la base per l’ecumenismo. L’unità, infatti, è donata da Dio come inseparabile dalla fede; lo esprime in maniera efficace san Paolo: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,4-6). La professione della fede battesimale in Dio, Padre e Creatore, che si è rivelato nel Figlio Gesù Cristo, effondendo lo Spirito che vivifica e santifica, già unisce i cristiani. Senza la fede - che è primariamente dono di Dio, ma anche risposta dell’uomo - tutto il movimento ecumenico si ridurrebbe ad una forma di “contratto” cui aderire per un interesse comune. Il Concilio Vaticano II ricorda che i cristiani «con quanta più stretta comunione saranno uniti col Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo, con tanta più intima e facile azione potranno accrescere la mutua fraternità» (Decr. Unitatis redintegratio, 7). Le questioni dottrinali che ancora ci dividono non devono essere trascurate o minimizzate. Esse vanno piuttosto affrontate con coraggio, in uno spirito di fraternità e di rispetto reciproco. Il dialogo, quando riflette la priorità della fede, permette di aprirsi all’azione di Dio con la ferma fiducia che da soli non possiamo costruire l’unità, ma è lo Spirito Santo che ci guida verso la piena comunione, e fa cogliere la ricchezza spirituale presente nelle diverse Chiese e Comunità ecclesiali.

Nella società attuale sembra che il messaggio cristiano incida sempre meno nella vita personale e comunitaria; e questo rappresenta una sfida per tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali. L’unità è in se stessa un mezzo privilegiato, quasi un presupposto per annunciare in modo sempre più credibile la fede a coloro che non conoscono ancora il Salvatore, o che, pur avendo ricevuto l’annuncio del Vangelo, hanno quasi dimenticato questo dono prezioso. Lo scandalo della divisione che intaccava l’attività missionaria fu l’impulso che diede inizio al movimento ecumenico quale oggi lo conosciamo. La piena e visibile comunione tra i cristiani va intesa, infatti, come una caratteristica fondamentale per una testimonianza ancora più chiara. Mentre siamo in cammino verso la piena unità, è necessario allora perseguire una collaborazione concreta tra i discepoli di Cristo per la causa della trasmissione della fede al mondo contemporaneo. Oggi c’è grande bisogno di riconciliazione, di dialogo e di comprensione reciproca, in una prospettiva non moralistica, ma proprio in nome dell’autenticità cristiana per una presenza più incisiva nella realtà del nostro tempo.

La vera fede in Dio poi è inseparabile dalla santità personale, come anche dalla ricerca della giustizia. Nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che oggi si conclude, il tema offerto alla nostra meditazione era: «Quel che il Signore esige da noi», ispirato alle parole del profeta Michea, che abbiamo ascoltato (cfr 6,6-8). Esso è stato proposto dallo Student Christian Movement in India, in collaborazione con la All India Catholic University Federation ed il National Council of Churches in India, che hanno preparato anche i sussidi per la riflessione e la preghiera. A quanti hanno collaborato desidero esprimere la mia viva gratitudine e, con grande affetto, assicuro la mia preghiera a tutti i cristiani dell’India, che a volte sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede in condizioni difficili. «Camminare umilmente con Dio» (cfr Mi 6,8) significa anzitutto camminare nella radicalità della fede, come Abramo, fidandosi di Dio, anzi riponendo in Lui ogni nostra speranza e aspirazione, ma significa anche camminare oltre le barriere, oltre l’odio, il razzismo e la discriminazione sociale e religiosa che dividono e danneggiano l’intera società. Come afferma san Paolo, i cristiani devono offrire per primi un luminoso esempio nella ricerca della riconciliazione e della comunione in Cristo, che superi ogni tipo di divisione. Nella Lettera ai Galati, l’Apostolo delle genti afferma: «Tutti voi siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (3,27-28).

La nostra ricerca di unità nella verità e nell’amore, infine, non deve mai perdere di vista la percezione che l’unità dei cristiani è opera e dono dello Spirito Santo e va ben oltre i nostri sforzi. Pertanto, l’ecumenismo spirituale, specialmente la preghiera, è il cuore dell’impegno ecumenico (cfr Decr. Unitatis redintegratio, 8). Tuttavia, l’ecumenismo non darà frutti duraturi se non sarà accompagnato da gesti concreti di conversione che muovano le coscienze e favoriscano la guarigione dei ricordi e dei rapporti. Come afferma il Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II, «non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione» (n. 7). Un’autentica conversione, come quella suggerita dal profeta Michea e di cui l’apostolo Paolo è un significativo esempio, ci porterà più vicino a Dio, al centro della nostra vita, in modo da avvicinarci maggiormente anche gli uni agli altri. È questo un elemento fondamentale del nostro impegno ecumenico. Il rinnovamento della vita interiore del nostro cuore e della nostra mente, che si riflette nella vita quotidiana, è cruciale in ogni dialogo e cammino di riconciliazione, facendo dell’ecumenismo un impegno reciproco di comprensione, rispetto e amore, «affinché il mondo creda» (Gv 17,21).

Cari fratelli e sorelle, invochiamo con fiducia la Vergine Maria, modello impareggiabile di evangelizzazione, affinché la Chiesa, «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Cost. Lumen gentium, 1), annunci con franchezza, anche nel nostro tempo, Cristo Salvatore. Amen.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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