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R.U. Benson L'Amicizia di Cristo (testo integrale)

Ultimo Aggiornamento: 23/03/2017 18:56
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23/03/2017 18:19
 
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    IV.

LA VIA ILLUMINATIVA

«Tu illumini la mia lampada, o Signore; o mio Dio, rischiara la mia oscurità».
(Salmo XVII, 29).

Si è visto come nella Via Purgativa, Gesù Cristo, nel desiderio di unire l'Anima totalmente a Se, allontani a poco a poco da lei tutto ciò che può impedire la perfezione di quest'unione, e la elevi a un tale grado di abnegazione e di rinunzia, ch'essa, vedendo la sua indegnità, getta ogni peso in Lui che solo può portarlo.
Ma questo procedimento è in Se stesso poco più che negativo. E qualora l'anima faccia reali progressi, ne consegue per lei un graduale rivestimento di grazie, con le quali Cristo desidera adornarla. Essa si è spogliata del «vecchio uomo», ora deve rivestirsi del «nuovo». A questa fase della vita spirituale gli scrittori hanno dato il nome di «Illuminazione». E sarà bene in questa trattazione seguire le stesse linee di cui ci siamo serviti precedentemente e presentare esempi che possono chiamarsi specifici agli effetti della grazia, paralleli a quelli di cui ci siamo serviti per illustrare la Via della Purgazione.

I.  Osservammo che la prima tappa della Via della Purgazione concerne le cose esteriori alla religione attuale: l'anima è gradualmente penetrata e vagliata dopo aver capito l'essenziale inanità loro e delle emozioni che esse suscitano. Il primo passo sulla Via Illuminativa riposa, si può dire con un paradosso, in una istruzione che l'Anima riceve circa il loro valore. (Va ricordato che la Grazia è anche più paradossale della Natura). Nella Via Purgativa l'anima impara che le cose esteriori non possono portare il proprio peso e che esse quindi non valgono niente. Nella Via Illuminativa apprende ad usarle, e che esse valgono immensamente.
Per esempio: un'anima si lamenta spesso che è ostacolata nel suo progresso da alcuni fastidi evidentemente non necessari  ad es. la costante compagnia di persone dal temperamento sempre e inevitabilmente dissimile dal suo. Altre volte sopravvengono incessanti tentazioni dalle quali essa non può liberarsi; alcune occasioni di peccato, costantemente presenti, una spina nella carne, una nebbia nell'intelletto. Altre volte per qualche privazione, per una deficienza che allontana ogni luce terrena e la devia forzatamente dalla sua vita, essa sente la sua energia indebolirsi e le ali essere tarpate negli slanci verso il suo Dio.
Ora l'esordio sulla Via Illuminativa consiste in genere nel ricevere una luce da nostro Signore con la quale l'anima valuta la consistenza delle cose esteriori. S'avvede per esempio che essa non potrebbe arrivare al possesso d'una pazienza soprannaturale, d'una simpatia e dovizia di carità se non per mezzo di elementi che richiedono questo esercizio. La naturale irritabilità dinanzi a questa inevitabile compagnia è indice che essa ha bisogno precisamente di questo esercizio; e la richiesta di un continuo controllo su se stessa e di un'attuale simpatia è appunto il mezzo per cui essa può conquistare la virtù. Od anche, come nel caso delle tentazioni, è segno che non c'è altro mezzo, non c'è altra via se non il loro esercizio per cui la grazia possa essere fatta propria: non c'è altra via, ad esempio, onde la naturale ignoranza possa trasformarsi in una soprannaturale innocenza; e sopra tutto non c'è altra via per cui l'anima possa essere educata a confidare esclusivamente e perennemente in Dio.
Lo stesso S. Paolo, come Egli apertamente confessa, fu ammaestrato da questo stimolo incessante e per esso comprese che quanto più la debolezza umana si rende sensibile, tanto più la grazia Divina si rende efficace, o com'egli dice, si «perfeziona» (II Cor., XII, 7-9). Finalmente, solo un abbandono che assolutamente annienta la vita umana, che lasci un carattere malato e bisognoso d'attaccarsi al più forte, senza speranza, convulso e ferito, è il mezzo e l'unico mezzo per cui l'anima impara ad aderire esclusivamente a Dio.
Allora il primo passo nella Via Illuminativa consiste solo nell'esperimentare queste cose  poiché tentazioni e scoraggiamenti sono comuni alle anime in tutti i periodi della vita spirituale  ma nel percepire intellettualmente e interiormente il loro valore, in maniera così chiara e inconfutabile che l'anima proseguendo nel suo cammino non avrà ragione di offendersi o ribellarsi contro di loro  salvo in momenti di debolezza ; non solo, ma apprendendo il loro valore essa piega la sua volontà ad accettarle e ad usarne come Dio vuole. Ed è appunto in questa fase che l'anima cessa di preoccuparsi del problema del dolore, giacché non potendo risolverlo intellettualmente, vi risponde nell'unico modo possibile, abbracciando il dolore, oppure accettandolo con rassegnazione. Così essa lo vede particolarmente ragionevole, e d'ora innanzi si sforzerà di agire secondo questa intuizione.

II.  Il secondo passo della Via Illuminativa corrispondente a quello della Purgativa  consiste nella luce che viene comunicata da Dio alla realtà delle cose interiori,  per es. le verità della religione.
Così un'anima che si trova alla fase primordiale della fede, aderisce a uno stragrande numero di dogmi senza che per altro n'abbia fatto interiore esperienza. Essa vi aderisce e di essi vive per il solo fatto che le sono comunicati da un'Autorità che riconosce come Divina. Quest'anima però non solamente non penetra il significato di molti, ma non arriva neppure a quello che la Scrittura chiama «discernimento spirituale» (Ioh., IV, l; I Cor., XII). Essa ha accettato la Fede, come Nostro Signore ci consiglia di accettare tutte le cose cioè «come un fanciullino» (Mc., X, 15; Lc., XVIII, 17): essa reca il cofanetto del Credo serrato strettamente fra le sue mani, a questa luce dirige la sua vita, vorrebbe piuttosto morire che separarsene, ed infine santifica e salva la sua anima per una semplice fedeltà a esso. Ma non ha sognato neppure di aprirlo: oppure se lo ha dischi uso, tutto vi è divenuto buio a lei.
Un' anima come questa lucra indulgenze adempiendo le necessarie condizioni, e può anche darne una ragione teologica; ma la spirituale transazione è ai suoi occhi impenetrabile come un gioiello in un astuccio chiuso. Potrà essere la dottrina del Castigo eterno, o le prerogative di Maria, o la Presenza reale. Essa aderisce a queste cose e vive secondo i loro effetti e conseguenze; ma da esse non riceve un barlume di luce per quanto vi si adoperi; procede innanzi per fede e non per verifica; abbraccia i dogmi della fede, fila non può paragonarli in nessun modo ai fatti naturali, oppure scorge questi numerosi punti allorché si adattano ai fatti dell'esperienza personale.
Ma quando sopraggiunge 1'«Illuminazione» allora avviene uno straordinario cambiamento. Non che i misteri cessino di essere misteri, non che l'anima riesca ad esprimerli in un esauriente linguaggio umano, o possa rappresentarli in immagini soddisfacenti,  poiché i fatti della Rivelazione sono troppo discosti dalla Ragione umana,  ma perché tutto comincia dinanzi a lei a brillare nel senso spirituale, tutto viene illuminato nella sua anima dalla «fiaccola» di Dio che piove la sua luce poco a poco su quei gioielli della fede finora opachi ed incolori. Essa non può spiegarsi meglio di prima le indulgenze o la giustizia dell'Inferno; e tuttavia meno impenetrabili sono le tenebre che li circondano. Essa comincia ad illuminare ciò che prima aveva solo toccato, a comprendere ciò che prima aveva illuminato. Constata che, per un processo inspiegabile di verifica spirituale, quelle cose che aveva trovato vere ora le appaiono vere come lo sono in se stesse; il sentiero da lei percorso in mezzo alle tenebre, diviene debolmente visibile ai suoi occhi; fino a che, raggiungendo con la grazia e la perseveranza la santità, potrà fare esperienza, per un favore di Dio, di quella chiaroveggente intuizione,  o per meglio dire di quella infusione di scienza  che è la caratteristica più delineata nei Santi.

III.  Il terzo periodo della Illuminazione, corrispondente a quello della Via Purgativa si riallaccia a codeste relazioni fra Cristo e l'anima, contenute nella divina Amicizia. Vedemmo già che l'ultima fase della Via Purgativa consisteva nell'abbandono di sé nelle braccia di Cristo e che ciò è possibile solo quando l'anima riceve con la perenne presenza di Cristo in lei o  forse sarà meglio dire  con la perenne presenza in Cristo.
La Divina Amicizia in questa fase diviene l'oggetto di attuale comprensione e contemplazione. D'ora innanzi non solo si gioisce, ma in un certo grado si percepisce e comprende consapevolmente. Non è altro che l'Ordinaria Contemplazione.
La Contemplazione Straordinaria con le sue grazie e manifestazioni soprannaturali e miracolose è un dono che Dio dispensa motu0 proprio. È qualche cosa, a pregarsi la quale, è sempre  praticamente  una presunzione; uno stato che, nei suoi primi momenti, è sempre da riguardarsi con sfiducia in noi stessi. Tanto, dunque, non è affar nostro...
Ma l'ordinaria contemplazione è non solo uno stato per raggiungere il quale si possa pregare, ma uno stato a cui ogni sincero e devoto cristiano deve aspirare dacché è raggiungibile con l'aiuto delle grazie ordinarie. Consiste in una consapevolezza di Dio così effettiva e così continua, che Dio non è mai del tutto assente dal pensiero, almeno nello stato subcosciente; e l'anima, appena iniziata all'amicizia di Cristo, gioisce con estrema intensità. La vita viene allora a mutarsi; le relazioni si alterano; Cristo comincia ad essere in realtà il raggio illuminatore d'ogni oggetto a cui l'anima tenda; Egli diviene lo sfondo e il mezzo con l'aiuto del quale si vedono tutte le altre cose. L'ordinaria contemplazione quindi consiste nel consolidare con i propri sforzi e con la grazia questo stato. Fino a che l'anima era stata purificata, fino a che fu illuminata circa le cose esteriori ed interiori, la consapevolezza dell'intima Presenza di Cristo non poteva essere uno stato continuo. Ma quando sopravvenissero gli ulteriori sviluppi, quando Cristo, cioè, ha tratto il suo nuovo Amico nei doveri e nei compensi della Compagnia Divina, l'ordinaria contemplazione diventa, si può dire, l'attenzione ch'Egli si aspetta dall'anima. In questo stato il peccato diventa di certo più imputabile: il peccato «materiale» si muta facilmente in formale. Ma, d'altra parte, la virtù è resa molto più agevole, perché è difficile peccare così oltraggiosamente quando l'anima sente la stretta della mano di Cristo.

IV.  Poiché ogni progresso nella via spirituale ha i suoi pericoli, poiché ogni passo che ci porta più vicini a Dio aumenta la profondità dell'abisso in cui possiamo cadere, un'anima che abbia raggiunto quella fase della Via Illuminativa che noi chiamammo Ordinaria Contemplazione (e che difatti è il primo punto raggiunto nello stato di unione) sente crescere enormemente le sue responsabilità. Il pericolo più grande è quello dell'Individualismo, per cui un'anima che si sia liberata dall'orgoglio raggiunge la zona dove s'incontra l'autentico orgoglio spirituale, e con l'orgoglio spirituale ogni altra forma di superbia  intellettuale od emozionale  che appartiene allo stato interiore.
V'è qualche cosa di straordinariamente inebriante ed eccitante nel conquistare un'altezza dove l'anima può ripetere con verità, «Tu illumini la mia fiaccola, o Signore». Ciò è destinato a terminare in orgoglio a meno che essa possa finire la citazione e aggiungere «O mio Dio, illumina le mie tenebre!». Ogni eresia ed ogni setta che ha lacerato l'unità del Corpo di Cristo ha avuto le sue origini primariamente nell'anima illuminata di qualche eletto amico di Cristo. Praticamente, Tutti gli eresiarchi davvero grandi han goduto un altro grado di dottrina interiore; altrimenti, non avrebbero sviato nessuno dei semplici amici di Cristo.
È assolutamente necessario, se non si vuole che l'Illuminazione termini con la separazione e distruzione, che l'incremento della vita interiore vada accoppiato con un incremento di devozione e sottomissione alla voce esterna con cui Dio parla attraverso la sua Chiesa; poiché, è notorio, nulla vi sia di così difficile a discernere quanto la differenza tra le ispirazioni dello Spirito Santo e le proprie aspirazioni o immaginazioni.
Per gli acattolici è quasi impossibile evitare questa autoesaltazione, questa fede circa l'esperienza interiore; e infatti codesti elementi tengono sempre in sospeso il Protestantesimo, dividendone indefinitamente le sue energie; dacché non calcolano alcuna voce esteriore che verifichi la loro personale esperienza. Ma è possibile (come i nostri tempi lo dimostrano) che persino educati ed intelligenti cattolici, influenzati da questo malanno esotico, pensino che la voce esteriore debba essere controllata dall'interiore, e che essi siano più competenti ad interpretare la Chiesa che non questa se medesima. Vae soli! Guai a chi si trova solo! Guai a colui che dopo aver partecipato dell'amicizia di Cristo e della conseguente Illuminazione crede di godere nella sua interpretazione d'una infallibilità che non riconosce essere stata visibilmente conferita al Vicario di Cristo.
Quanto è più salda la vita interiore e più alto il grado di illuminazione, tanto più necessario si rende l'aiuto della Chiesa e più alto deve essere l'apprezzamento che l'anima deve fare della missione di Lei.
Dobbiamo tener presente che i Giuda della storia sono sempre usciti dalla stretta cerchia degli intimi di Cristo, da coloro che conobbero i suoi segreti e che impararono a trovare l'entrata dell'Interiore Giardino dov'Egli cammina a Suo piacere, con i Suoi.


  PARTE SECONDA

CRISTO ALL'ESTERNO

V.

CRISTO NELL'EUCARISTIA

«Io sono il Pane di vita».
(Joh., VI, 35)


Finora abbiamo considerato l'Amicizia interiore di Cristo con l'Anima: un'Amicizia, bisogna ricordarlo, che è possibile non solo ai cattolici, ma a chiunque conosce il nome di Gesù e quindi in un certo senso a qualsiasi essere umano.
Poiché Nostro Signore è «la luce che illumina ogni uomo», la Sua voce parla direttamente attraverso la coscienza, per quanto manchevole possa essere questo mezzo; poiché Egli è il Solo Assoluto, è Lui quell'incerta figura intravista nel buio dei cuori che Lo desiderano; è Colui che Marco Aurelio, Gotama, Confucio, Maometto e i loro convinti discepoli hanno desiderato anche se non udirono lo storico nome di Gesù, oppure avendoLo udito Lo rigettarono, qualora questo rifiuto non sia loro imputabile.
Questa è la ragione particolare che si può dare della pietà acattolica, ed anche della non cristiana. Sarebbe terribile se non fosse così; poiché allora non avremmo diritto di affermare che il nostro Salvatore sia realmente il Salvatore del mondo. Ma questo Cristo che noi cattolici sappiamo essersi incarnato e aver vissuto quella vita narrata nei Vangeli, ha vissuto sempre una vita interiore nel cuore dell'uomo. Si racconta che un vecchio Indù, dopo aver ascoltato una predica sulla vita di Cristo, domandasse il battesimo. «Ma come puoi domandarlo così subito?» gli domandò il missionario; «hai inteso tu parlare mai di Gesù Cristo prima d'oggi?». «No» rispose il vecchio, «ma io ho conosciuto Colui che ho cercato per tutta la vita». Fu in parte per convincere gli uomini della vera natura dei peccati contro coscienza  vale a dire gli uomini «che non sapevano ciò che si facevano»  che Cristo s'incarnò e morì sulla croce. «Questo» effettivamente Egli dice, «mi avete fatto voi interiormente, per tutta la vita».
Ora noi passiamo a considerare un'altra via per mezzo della quale Cristo ci avvicina e cerca la nostra amicizia, un altro mezzo, e in realtà un altro dono ch'Egli ci reca. Non è sufficiente conoscere Cristo sotto un solo aspetto. Se vogliamo conoscerLo attraverso le Sue stesse espressioni e non nelle nostre, siamo obbligati ad EsaminarLo sotto tutte quelle forme che ha scelto per manifestarsi. Non basta dire: «Interiormente Egli è il mio Amico, quindi non ho bisogno d'altro». Non è amicizia leale, per esempio, ripudiare la Chiesa o i Sacramenti come cose superflue, senza prima indagare se Egli ha istituito o no queste cose come mezzi attraverso i quali stabilisce di avvicinarsi a noi. E particolarmente, si deve tener presente che nel SS. Sacramento, Egli ci porta tanti doni a cui altrimenti noi non avremmo diritto. Egli accosta e unisce a noi non solo la Sua Divinità, ma quella stessa amabile e adorabile Natura Umana che per tale finalità ha assunto sulla terra.
Se noi volgiamo uno sguardo alla storia, il primo pensiero che si presenta per ciò che riguarda il SS. Sacramento è quello della Maestà con cui Cristo si è manifestato, poiché si è servito della sacramentale Presenza a dimostrare apertamente e luminosamente la Sua Reale Sovranità nel mondo. Chi ha visto i monarchi della terra seguire, a capo scoperto, Cristo nell'Eucarestia, chi, anche ai nostri giorni, fu testimone di quelle tremende scene quando in Londra, per esempio, Cristo benedisse il suo popolo dal balcone della cattedrale cattolica, o quando in Montreal fu sollevato in piena luce all'adorazione di centomila persone; chi abbia mai assistito, in più ridotte proporzioni, forse in qualche villaggio italiano, alla processione del Corpus Domini, ha visto pubblicamente dispiegati gli emblemi dovuti non solo alla Divinità, ma anche ad una sovranità terrena; nessuna meraviglia quindi che questo Sacramento istituito nelle più ristrette misure di esteriorità in una disadorna sala da pranzo, dinanzi agli occhi di pochi ed impreparati individui, ha cominciato ad essere il mezzo con cui non solamente la Sua umiltà e condiscendenza, ma anche la sua inerente Maestà è resa visibile al mondo.
Ma ciò non ci riguarda. Noi ci preoccupiamo piuttosto del modo meraviglioso col quale Cristo si abbassa al livello della nostra materia e dei nostri sensi; e in termini che sono inconfondibili da parte di coloro che lo avvicinano in semplicità, ci offre la sua Amicizia.

I.  L'esplicita devozione al Prigioniero del Tabernacolo, ha avuto uno sviluppo relativamente tardo; è tuttavia uno sviluppo inevitabilmente certo, perché fissato dal Volere divino, così come gli splendori della terra che man mano si sono raccolti intorno a questo Sacramento, come le conclusioni dogmatiche che quantunque non formulate in modo esplicito nei primi secoli, si contenevano tuttavia irrefutabilmente nella parola di Cristo, ed erano presenti implicitamente nella mente dei Suoi primi amici. Anche in questo, come in molti altri punti, la vita eucaristica di Gesù offre un meraviglioso e suggestivo parallelo con la sua vita naturale vissuta sulla terra. Egli che era la stessa Sapienza e Potenza, «progrediva in sapienza ed età» (Lc., II, 52) manifestava gradualmente, cioè, le caratteristiche della Divinità  Vita e Saggezza  fin dall'inizio inerenti alla Sua Personalità. Egli che lavorava nella bottega d'un falegname, era Dio fin dall'Eternità. Così nella Sua Vita Eucaristica, in questo Sacramento, intorno al quale si elaborò fedelmente tutta l'odierna dottrina cattolica, accrescendo a poco a poco le sue espressioni, poco a poco svolgendo meglio quello che era sempre stato.
Gesù dimora oggi nei nostri tabernacoli come allora dimorava in Nazareth, e nella stessa natura umana; e vi dimora con lo stesso fine di rendersi accessibile a chiunque Lo conosca interiormente e desideri conoscerLo ancor più perfettamente.
Questa Divina Presenza ha causato quella sbalorditiva differenza di atmosfera, ammessa anche dagli increduli, che esiste fra la Chiesa cattolica e tutte le altre. Così marcata è questa differenza che le mille ragioni date per spiegarla sono naufragate. E' la suggestività di un piccolo punto che illumina tutto! E' il préternaturale e artistico rivestimento che addobba le chiese! E' il profumo d'antico incenso! E' tutto e niente, eccetto ciò che noi Cattolici sappiamo essere, l'attuale e corporale Presenza del più incantevole tra i figli degli uomini che attrae a Se i Suoi amici!
Dinanzi a questa miracolosa Presenza la sposa di ieri consacra la nuova vita che si apre dinanzi a lei; il defunto del domani offre la vita che è fuggita. Il dolente e il felice, il filosofo e il pazzo, il vecchio e il fanciullo, individui di ogni temperamento, di qualsiasi levatura intellettuale, di qualunque nazionalità, tutti si uniscono in un elemento che solo può unirli, l'amicizia dell'Amante delle loro anime.
Vi può essere alcunché di più caratteristico nel Gesù dell'Evangelo che questa Sua accessibilità  per cui Egli sta aspettando tutti quelli che desiderano di andare a Lui  che questa universale tenerezza per tutti, per cui nessuno è da Lui cacciato? Vi può essere niente di più caratteristico nel Cristo dimorante nei cuori, del fatto che Egli, mentre è così semplice interiormente, mentre sta pazientemente dentro «la camera» dell'anima, Egli, dico, sta anche nel reame, al di fuori, e desidera che noi lo riconosciamo non solo in noi stessi, ma fuori di noi stessi, non solo nella coscienza interiore, ma in quello stesso regno di spazio e di tempo che sembra così spesso offuscare la Sua Presenza nel mondo?
È così che Egli realizza questa dote essenziale della vera Amicizia che noi chiamiamo Umiltà. Si mette a disposizione del mondo che vuole attrarre a Se. Si presenta in una veste ancor più misera che «ai giorni della sua carne» (Hebr., V, 7); eppure la fede e l'insegnamento della Sua Chiesa, le cerimonie con le quali Ella onora la Sua Presenza, il riconoscimento dei Suoi Amici, rivelano a chiunque si tormenti nel ricercarLo, a chiunque L'ami con passione ch'Egli è lì, Lui stesso, il Desiderio di tutti i popoli, l'Amante di tutte le anime.

II.  Egli però non entra direttamente nel Tabernacolo. Diviene presente dapprima sull'altare in forma di vittima alle parole del Suo Sacerdote. Nel sacrificio della Messa Egli si presenta dinanzi al mondo, così come dinanzi agli occhi del Suo Eterno Padre, in quello stesso significato con cui pendeva dalla Croce, compiendo quello stesso atto già da Lui compiuto una volta per sempre, quell'atto con cui rivelò la Sua passione per l'amicizia, in nome della quale vanta il diritto sui nostri cuori, mostrando così l'ampiezza del Suo Amore immensurabile con cui «diede la Vita per i Suoi Amici» (Ioh., XV, 13).
Per coloro che conoscono poco o nulla del Gesù vivente, e che confinano la conoscenza di Lui entro la copertina d'un libro stampato, questa di certo è una concezione inverosimile. Però, anche per colui che meglio conosce Gesù e sa che Gesù vive una reale vita interiore dentro il suo cuore, anche ad anime di elevata spiritualità, la dottrina del Sacrificio continuo della Messa sembra che deroghi in qualche modo alla Perfezione del Calvario. Per il Cattolico invece che gode dell'amicizia di Cristo, questo Sacrificio diviene una logica conseguenza  potrei dire inevitabile  della sua conoscenza di Gesù che «è stato, è, e sarà per sempre». Per costui, il finire della Croce è un nuovo cominciare. Quest'atto supremo ed inaugurale assomma in sé tutti gli altri sacrifici, e si proietta su tutte le future riproduzioni; Cristo rimane così quello ch'è stato sul Calvario, la Vittima eterna di questo e d'ogni altro altare; per cui soltanto noi possiamo «avvicinarci... al Padre».
Il Tabernacolo dunque ci presenta Gesù come Amico; l'altare ce lo presenta come Colui che compiendo quell'atto eterno, acquista alla Sua Umanità il diritto di domandare la nostra Amicizia.

III.  E c' è ancora un ulteriore passo di umiliazione ancora più profondo per cui Egli si abbassa fino a noi, quel passo che fa discendere il nostro Amico e la nostra Vittima fino ad essere nostro Cibo. Poiché, così smisurato è l'amore che ha per noi, che non Gli è sembrato abbastanza di rimanere fra noi come oggetto di adorazione, non abbastanza farsi responsabile dei nostri peccati, non abbastanza sopra tutto dimorare nelle nostre anime, in intima amicizia, in un modo percettibile solo da occhi penetranti. Ma attraverso la Comunione Egli discende per la scala del senso sulla quale noi spesso tentiamo di arrampicarci invano. Mentre abbiamo «una così aperta via» (Lc., XV, 20) dinanzi a noi, Egli corre ad incontrarci; e lasciando da parte tutti quei poveri segni di regalità con cui ci sforziamo di onorarLo, e addobbi e fiori e luci, non solamente accosta a Se stesso a noi, Anima ad anima, nella dolce intimità della preghiera, ma Corpo a corpo nella forma sensibile della Sua Vita Sacramentale...
Questo è l'ultimo e più grande segno che ci possa dare. Gesù dopo ciò non può far nulla di più. Egli che siede a banchetto con i peccatori dà Se stesso in cibo; Egli, alla cui tavola noi desideriamo assistere come servitori, si fa servo nostro; Egli che vive nel segreto dei cuori, l'Incarnato dinanzi gli occhi degli uomini, ancora una volta ripete quest' inno d'amore e si manifesta in tangibili apparenze agli occhi di coloro che desiderano vederLo. Se l'Umiltà è la dote essenziale dell' Amicizia, certamente Egli è il Supremo Amico. E tutti coloro che non «Lo riconoscono nella frazione del pane» (Lc., XXV, 35), ancorché abbiamo una vasta conoscenza di Lui, non possono tuttavia percepire un titolo delle Sue perfezioni. Se Egli vivesse solamente in cielo, nella Sua Umana Natura, alla destra della Maestà, non sarebbe il Cristo dell'Evangelo. Se dimorasse con la Sua Divina Natura solo nei cuori che lo sanno ricevere e lo sanno accogliere, Egli non sarebbe il Cristo di Cafarnao e di Gerusalemme. Ma è Lui il Creatore del mondo, che ha preso sembianza di Creatura, è Lui che abita la luce inaccessibile, e che discende nella bassura delle tenebre, è il nostro Dio che così appassionatamente desidera l'amicizia dei figli degli uomini da farsi a loro immagine e somiglianza. E' il Gesù dell'Evangelo e della vita interiore «che è risorto da morte per non morire più» (Rom., VI, 9) che ha sollevato la nostra natura umana a quella gloria donde questa stessa natura umana L'aveva fatto discendere. È Colui che è fuori d'ogni legge e che delle leggi si serve per i suoi fini, e si presenta non una volta ma diecimila volte come nostra Vittima, diecimila volte come nostro cibo, ieri ed oggi, eterno ed immutabile Amico nostro. Questi è quel Gesù quale noi Lo conoscemmo attraverso gli Evangeli e nei nostri cuori, l'Amico nostro d'ogni diritto e d'ogni esigenza.
Impariamo un pochino di Umiltà dinanzi a questo Sacramento che è Lui stesso. Come Egli si è spogliato di quella gloria che è Sua, così noi dobbiamo liberarci di quell'orgoglio a cui non abbiamo diritto, cenci e brandelli di egoismo e di compiacenza, che formano il più grande ostacolo all'attuazione del Suo Amore. Noi dobbiamo umiliarci fino alla polvere dinanzi ai Suoi divini e misericordiosi piedi che, non solo in Gerusalemme due mila anni or sono, ma oggi e nelle grandi città in cui viviamo, si affaticano tanto per venire a cercare e a salvare le nostre anime.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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