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DEPOSIZIONE DI UN PAPA? MAI! Piuttosto si PREGHI per lui e per la Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 03/04/2017 11:27
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03/04/2017 11:23
 
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  Dal Gaetano a Giovanni da San Tommaso


L’ipotesi di Giovanni da San Tommaso ricalca quella del Cajetanus e non è sostanzialmente diversa da essa e, quindi, ritiene una mera possibilità speculativa (non una certezza teologica e neppure una probabilità) l’eventuale eresia del Papa. Infatti Giovanni da San Tommaso asserisce: “suppongo che il Sommo Pontefice possa perdere il Papato […] per deposizione”.


Il grande teologo domenicano di Lisbona, commentando la Somma Teologica di san Tommaso d’Aquino (II-II, q. 1, a. 7 e 10), si chiede se la deposizione del Papa possa aver luogo in caso di sua eventuale eresia. Egli asserisce che la questione dell’eresia del Papa è assai disputata. Quindi non è certa e nemmeno probabile. Tuttavia, se si ammette (ipotesi indagativa e speculativa meramente possibile) che il Papa possa cadere in eresia, allora vi è un certo consenso dei teologi sulla deposizione del Papa eventualmente eretico. Come si vede il teologo di Lisbona (Giovanni da San Tommaso) segue da vicino l’ipotesi del teologo di Gaeta (Tommaso de Vio, detto il Gaetano o Cajetanus).


Il “tallone d’Achille” dell’ipotesi del Papa eretico


Il punto debole su cui poggia l’ipotesi dell’eventuale eresia del Papa è il canone 6 (“Si Papa”) I pars, distinzione 40 del Decreto di Graziano (un monaco camaldolese di Bologna, contemporaneo di Pietro Lombardo anche se non fratello carnale come vuole la leggenda). Ora la critica moderna ha provato che il canone citato nel Decreto di Graziano (“Si Papa”) è spurio. La conclusione contro cui cozza è la definizione dogmatica della Costituzione Pastor aeternus del 18 luglio 1870 del Concilio Vaticano I: “Chi afferma essere lecito appellarsi contro le sentenze dei Romani Pontefici al Concilio ecumenico, come ad un’autorità superiore al Sommo Pontefice, è lontano dal retto sentiero della verità” (DS, 3063-3064).


Infatti già nel Cinquecento il teologo olandese Albert Pigge, detto il Pighius, di Kampen († 1542) nel suo trattato di Ecclesiologia Hierarchiae Ecclesiaticae assertio (Colonia, 1538, l. IV, c. 8, f. 176)(6) esprimeva i suoi dubbi fondati sull’autenticità del canone 6 “Si Papa” riportato nel Decretum Gratiani, I pars, dist. 40 (7). Il cardinale Deusdedit nell’XI secolo lo aveva inserito nella sua collezione canonica (Fragmenta libri de priviligiis Ecclesiae Romanae, in PL, 150, 1569-1572) sotto il Pontificato di Vittore III (1086-87), da qui passò nella raccolta canonica (Decretum, in PL, 161, 47-1022; Panormia, in PL, 161, 1037-1344) di Ivo di Chartres (1040-1116), dove Graziano (1141) lo ha trovato (8).


Monsignor Vittorio Mondello (La dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice, Messina, Arti Grafiche di Sicilia, 1965, pp. 163-194) spiega che l’ipotesi della possibilità del Papa eretico deriva la sua possibilità investigativa e speculativa proprio dal Decreto di Graziano (dist. XL, cap. 6, col. 146) composto tra il 1140 e il 1150, in cui si trova riportato un frammento creduto erroneamente di S. Bonifacio († 5 giugno 754).


Questo frammento si intitola “Si Papa” ed esprime la dottrina secondo cui “a nemine est iudicandus, nisi deprehendatur a Fide devius / non può essere giudicato da nessuna autorità umana, tranne che sia caduto in eresia”.


A partire da questo decreto spurio attribuito erroneamente a San Bonifacio e ripreso come di San Bonifacio di Magonza da Graziano (oggi si ritiene nel 1141) alcuni teologi medievali e controriformistici hanno ritenuto possibile la ipotesi e non la certezza del Papa eretico. Qui si sono divisi nel discettare come risolvere la questione di un Papa eventualmente caduto in eresia come persona privata (cfr. A. M. Vellico, De Ecclesia Christi, Roma, 1940, p. 395, n. 557, nella nota 560 vi è un’amplia bibliografia). Il cardinal Charles Journet (L’Eglise du Verbe Incarné, Bruges, Desclée, II ed., 1995, vol. I, p. 626) ritiene che la sentenza secondo cui il Papa non può cadere in eresia “va oggi divulgandosi grazie soprattutto al progresso degli studi storici. Il Bellarmino (De Romano Pontifice, lib. II, cap. 30) è stato uno dei primi sostenitori di questa tesi. Ora l’eventuale condanna del Papa solo in caso di eresia da parte del Concilio imperfetto (i soli Vescovi senza il Papa) è la tesi del conciliarismo mitigato, che è il figlio del conciliarismo radicale, il quale ritiene il Concilio superiore al Papa sempre e per sé. Mons. Antonio Piolanti scrive: “il Conciliarismo è un errore ecclesiologico, secondo cui il Concilio ecumenico è superiore al Papa. L’origine remota del Conciliarismo si trova nel principio giuridico del Decreto di Graziano (dist. XL, cap. 6) secondo il quale il Papa può essere giudicato dalla Chiesa (l’Episcopato o i Cardinali) in caso di eresia. […]. Il Papa può errare e persino cadere in eresia; dovrà in tal caso essere corretto ed anche deposto. […] quest’errore fu condannato dal Concilio di Trento e ricevette il colpo di grazia dal Concilio Vaticano I” (Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, pp. 82-84, voce Conciliarismo).


Per una buona disamina del Decreto di Graziano si può leggere S. Vacca, Prima Sedes a nemine iudicatur (Roma, Gregoriana, 1993, cap. XXI, Il Decreto di Graziano (1441), pp. 249-254). Infatti secondo il padre Cappuccino Salvatore Vacca «Graziano, per fondare il principio sulla ingiudicabilità del Papa, a differenza della tradizione canonistica precedente […] ha lasciato inconcusso il principio Prima Sedes a nemine iudicatur. Tuttavia ha trascritto parzialmente il Fragmentum A (174-178) del cardinal Umberto di Silva Candida († 1061). Egli raccoglie così nel suo Decreto le due tradizioni giuridiche contrastanti, che sono state compresenti nella Chiesa: la prima, sostenuta dagli apocrifi simmachiani, redatti dai sostenitori di papa Simmaco (498-514), che emanò l’assioma Summa Sedes a nemine iudicatur, afferma che il Papa non può essere giudicato da nessuno; la seconda (dell’VIII secolo) ritiene che, in caso di eresia, il Papa può essere ripreso. Dunque questa concezione si è tramandata sino al secolo XII con il Decreto di Graziano. […]. Il Papa non può essere giudicato da nessuno, mentre egli può giudicare tutti; ma deve essere ripreso solo qualora si allontanasse dalla fede» (S. Vacca, Prima Sedes a nemine iudicatur, cit., p. 253-254).


Anche don Pacifico Massi nel suo libro Magistero infallibile del Papa nella teologia di Giovanni da Torquemada (Torino, Marietti, 1957, pp. 117-119) sostiene che l’opinione della possibilità di un Papa eretico come dottore privato “trae la sua lontana origine dal decreto di Graziano (Si Papa, dist. XL, canone 6) attribuito a San Bonifacio, arcivescovo di Magonza; da questo canone poi dipese tutto il coro unanime dei canonisti medievali che non dubitarono affatto della possibilità di un Papa eretico. Torquemada (Summa de Ecclesia, Venezia, 1561, IV, parte 2, c. 18, folio 391) è l’erede di questa tradizione. […]. Il Pontefice appena diventa eretico, non importa se occulto, ” (cit., p. 117). Così pure il Gaetano e Giovanni da San Tommaso.


Nonostante ciò si può studiare con profitto l’opinione di Giovanni da San Tommaso, come quella del Gaetano e di San Roberto Bellarmino. Per quanto riguarda gli ultimi due Dottori della Chiesa ho già scritto riguardo alla loro ipotesi (9). Quanto a Giovanni da San Tommaso mi ero limitato a dire che sostanzialmente la sua tesi non si allontana da quella del Gaetano, dal quale gli altri Dottori domenicani attingono.


L’ipotesi investigativa di Giovanni da San Tommaso


Nel presente articolo la espongo brevemente. Il teologo portoghese parla di “resistenza” a decisioni del Papa, che possono esser lecite ove egli ecceda il suo potere il quale è limitato da quello della divina Rivelazione e della Morale naturale e divina (ed è il caso della Amoris laetitia di Francesco I), di “evitare” (“devita”) e di “difendersi” dal Pontefice in caso che sorpassi il suo potere senza per questo dichiararlo formalmente eretico, pubblico, ostinato e farlo deporre dal Concilio o dichiararlo deposto ipso facto.


Alla obiezione che si muove sulla analogia tra la “Cattedra di Mosè” (Mt., XXIII, 2-3) e quella di Pietro avendo Gesù ordinato di tollerare sulla cattedra di Mosè ed anche quindi di Pietro i Farisei che “non fanno quel che dicono” e non un Pontefice eretico, che deve essere dichiarato tale e quindi deposto, si risponde che Gesù ha obbedito alla domanda di Caifa e gli ha risposto, senza dichiararlo eretico e decaduto dal Sommo Pontificato dell’Antico Testamento, neppure quando si è stracciato le vesti e lo ha condannato a morte (Mt., XXVI, 57-67).


Le due condizioni per arrivare alla deposizione del Papa


Tuttavia Giovanni da San Tommaso insiste molto fortemente sulle due condizioni necessarie per arrivare alla deposizione del Papa presunto ipoteticamente eretico.



  • 1°) La sua eresia deve essere pubblica e notoria giuridicamente;

  • 2°) il Papa deve essere pertinace e non disposto a correggersi della sua eventuale eresia.



  1. Il primo punto è ripreso dal Gaetano (De comparatione auctoritatis Papae et Concilii, Roma, Angelicum, 1936, ed. a cura di Vincent Pollet, cc. 18-19), da Domingo Soto (Commentarium in IV Sent., dist. 22, q. 2, a. 2, Salamantica, 1561), da Melchior Cano (De locis theologicis, l. IV, Roma, Cucchi, 1900), da Francisco Suarez (Defentio Fidei Catholicae. Opera Omnia, Parigi, Vivès, 1859, t. XXIV), da Francisco de Vitoria (Obras, Madrid, BAC, 1960) e da S. Roberto Bellarmino (De Romano Pontifice. Opera Omnia, Milano, Battezzati, 1857, vol. I, c. 30); invece è negato da Juan de Torquemada (Summa de Ecclesia, l. II, II pars, c. 18 ss. e l. II, c. 102).

  2. Il secondo punto è evidente perché colui che è disposto a correggersi non può essere reputato formalmente e pertinacemente eretico.


Giovanni da San Tommaso approfondisce la questione del soggetto che potrebbe deporre il Papa eventualmente e ipoteticamente eretico. Egli asserisce che la sentenza dichiarativa dell’eresia papale non può essere fatta dai Cardinali, ma dal Concilio ecumenico (imperfetto ossia senza il Papa). Ma un vero Concilio deve essere a) indetto dal Papa, b) diretto dal Papa o da un suo legato, c) promulgato dal Papa. Infatti il Papa senza l’Episcopato può tutto, ma l’Episcopato senza il Papa non può nulla. Egli cita il caso di papa Marcellino (296-304) riportato nel decreto di Graziano (distinzione 21, cap. 7 “Nunc autem”).


Giovanni da San Tommaso per uscire da questa impasse precisa che quella del Concilio imperfetto non è una “convocatio coactiva”, ma una “convocatio enuntiativa”, che denuncia ai Vescovi l’eresia presunta del Papa e li convoca affinché vi pongano rimedio dichiarandolo decaduto. Inoltre il teologo di Lisbona impiega qui un’espressione poco felice asserendo che il Papa è parte del Concilio (“quia ipse est pars”), mentre il Papa è il Capo del Concilio e della Chiesa, il Vicario prossimo e immediato di Cristo (10).


Ora proprio il caso di papa Marcellino mi pare che renda molto debole questa soluzione data da Giovanni da San Tommaso. Infatti il padre cappuccino Salvatore Vacca nel suo libro Prima Sedes a nemine iudicatur, Roma, Gregoriana, 1993, cita il canone VII della distinzione XXI del Decreto di Graziano, in cui si riferisce che papa Marcellino «fu costretto dai pagani ad entrare in un loro tempio e a sacrificare incenso. Per questo motivo si riunì un concilio particolare di Vescovi, durante il quale, dopo avere fatto un’istruttoria, lo stesso Pontefice dichiarò di avere fatto ciò di cui era accusato. Tuttavia nessuno dei Vescovi osò proferire una sentenza giuridica di condanna, ma gli dicevano: “con la tua bocca giudica la tua causa e non con un nostro giudizio: la prima Sede non può essere giudicata da nessuno”» (pp. 249-254). Padre Salvatore Vacca conclude: “anche nel caso del Papa eretico si affermava il principio Prima Sedes a nemine iudicatur e ci si rifaceva alla storia di papa Marcellino (296-304) che, malgrado avesse deviato dalla fede, non era stato condannato dall’assemblea conciliare e poi è morto martire. In quell’occasione il Pontefice, caduto apertamente in errore, non era tenuto ad essere sottoposto ad una sentenza conciliare” (op. cit., p. 264) (11).


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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