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Ultimo Aggiornamento: 30/09/2017 10:27
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29/09/2017 23:14
 
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 la profetica enciclica di Pio XII


PIO XII

LETTERA ENCICLICA

SUMMI PONTIFICATUS(1)

 PROGRAMMA DEL PONTIFICATO


 

L'arcano disegno del Signore Ci ha affidato, senza alcun Nostro merito, l'altissima dignità e le gravissime sollecitudini del sommo pontificato proprio nell'anno in cui ricorre il quarantesimo anniversario della consacrazione dell'umanità al sacratissimo cuore del Redentore, indetta dal Nostro immortale predecessore, Leone XIII, al declinare del secolo scorso, alle soglie dell'anno santo.

Con quale gioia, commozione e intimo consenso accogliemmo allora come un messaggio celeste l'enciclica Annum sacrum,(2) proprio allorquando, novello levita; avevamo potuto recitare: «Introibo ad altare Dei» (Sal 42,4). E con che ardente entusiasmo unimmo il Nostro cuore ai pensieri e alle intenzioni, che animavano e guidavano quell'atto veramente provvidenziale di un pontefice, che con tanta profonda acutezza conosceva i bisogni e le piaghe, palesi e occulte, del suo tempo!

Come quindi potremmo non sentire oggi profonda riconoscenza verso la Provvidenza, che ha voluto far coincidere il Nostro primo anno di pontificato con un ricordo così importante e caro del Nostro primo anno di sacerdozio; e come potremmo non cogliere con gioia l'occasione per fare del culto al «Re dei re e Signore dei dominanti» (1 Tm 6,15; Ap 19,16) quasi la preghiera d'introito di questo Nostro pontificato, nello spirito del Nostro indimenticabile predecessore e in fedele attuazione delle sue intenzioni? Come non faremmo di esse l'alfa e l'omega del Nostro volere e del Nostro sperare, del Nostro insegnamento e della Nostra attività, della Nostra pazienza e delle Nostre sofferenze, consacrate tutte alla diffusione del regno di Cristo?

Se Noi contempliamo sotto la luce dell'eternità gli eventi esterni e gli interiori sviluppi degli ultimi quarant'anni e ne misuriamo grandezze e deficienze, quella consacrazione universale a Cristo re appare allo sguardo del Nostro spirito sempre più nel suo significato sacro, nel suo simbolismo esortatore, nel suo scopo di purificazione e di elevazione, di irrobustimento e di difesa delle anime e in pari tempo nella sua preveggente saggezza, mirante a guarire e nobilitare ogni umana società e promuoverne il vero bene. Sempre più chiaramente Ci si rivela come un messaggio di esortazione e di grazia di Dio non solo alla sua chiesa, ma anche a un mondo, troppo bisognoso di scuotimento e di guida, il quale, immerso nel culto del presente, si smarriva sempre più e si esauriva nella fredda ricerca di terreni ideali; un messaggio a un'umanità, la quale, in schiere sempre più numerose, si staccava dalla fede in Cristo e più ancora dal riconoscimento e dall'osservanza della sua legge; un messaggio contro una concezione del mondo, a cui la dottrina di amore e di rinunzia del Sermone della montagna e la divina azione d'amore della croce apparivano scandalo e follia. Come un giorno il precursore del Signore a coloro che, cercando, interrogavano, proclamava: «Ecco l'Agnello di Dio» (Gv 1,29), per ammonirli che l'aspettato delle genti (cf. Ag 2,8 Vg) dimorava, sebbene ancora sconosciuto, in mezzo a loro; così il rappresentante di Cristo rivolgeva scongiurando il suo grido potente: «Ecco il vostro Re!» (Gv 19,14) ai rinnegatori, ai dubbiosi, agli indecisi, agli esitanti, i quali o rifiutavano di seguire il Redentore glorioso, sempre vivente e operante nella sua chiesa, o lo seguivano con noncuranza e lentezza.

Dalla diffusione e dall'approfondimento del culto del divin cuore del Redentore - che trovò lo splendido coronamento, oltre che nella consacrazione dell'umanità al declinare del secolo scorso, anche nell'introduzione della festa della regalità di Cristo da parte del Nostro immediato predecessore di felice memoria(3) - sono scaturiti indicibili beni per innumerevoli anime: «un impeto di fiumana», che «rallegra la città di Dio» (cf. Sal 45,5). Qual epoca più della nostra fu così tormentata da vuoto spirituale e da profonda indigenza interiore, nonostante ogni progresso tecnico e puramente civile? Non può forse ad essa applicarsi la parola rivelatrice dell'Apocalisse: «Vai dicendo: sono ricco e dovizioso e non mi manca nulla; e non sai che tu sei meschino e miserabile e povero e cieco e nudo» (Ap 3,17)?

Venerabili fratelli! vi può essere dovere più grande e più urgente di «annunziare ... le inscrutabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8) agli uomini del nostro tempo? E vi può essere cosa più nobile che sventolare il vessillo del Re davanti ad essi, che hanno seguìto e seguono bandiere fallaci, e riguadagnare al vittorioso vessillo della croce coloro che l'hanno abbandonato? Quale cuore non dovrebbe bruciare ed essere spinto al soccorso, alla vista di tanti fratelli e sorelle, che in seguito a errori, passioni, incitamenti e pregiudizi si sono allontanati dalla fede nel vero Dio, e si sono distaccati dal lieto e salvifico messaggio di Gesù Cristo? Chi appartiene alla milizia di Cristo - sia ecclesiastico, sia laico - non dovrebbe forse sentirsi spronato e incitato a maggior vigilanza, a più decisa difesa, quando vede aumentar sempre più le schiere dei nemici di Cristo, quando s'accorge che i portaparola di queste tendenze, rinnegando o non curando in pratica le vivificatrici verità e i valori contenuti nella fede in Dio e in Cristo, spezzano sacrilegamente le tavole dei comandamenti di Dio per sostituirle con tavole e norme dalle quali è bandita la sostanza etica della rivelazione del Sinai, lo spirito del Sermone della montagna e della croce? Chi potrebbe senza profondo accoramento osservare come questi deviamenti maturino un tragico raccolto tra coloro che, nei giorni della quiete e della sicurezza, si annoveravano tra i seguaci di Cristo, ma che - purtroppo, cristiani più di nome che di fatto - nell'ora in cui bisogna resistere, lottare, soffrire, affrontare le persecuzioni occulte o palesi, divengono vittime della pusillanimità, della debolezza, dell'incertezza e, presi da terrore di fronte ai sacrifici imposti dalla loro professione cristiana, non trovano la forza di bere il calice amaro dei fedeli di Cristo?

In queste condizioni di tempo e di spirito, venerabili fratelli, possa l'imminente festa di Cristo re, in cui vi sarà pervenuta questa Nostra prima enciclica, essere un giorno di grazia e di profondo rinnovamento e risveglio nello spirito del regno di Cristo. Sia un giorno, in cui la consacrazione del genere umano al Cuore divino, la quale dev'essere celebrata in modo particolarmente solenne, riunisca presso il trono dell'eterno Re i fedeli di tutti i popoli e di tutte le nazioni in adorazione e in riparazione, per rinnovare a lui e alla sua legge di verità e di amore il giuramento di fedeltà ora e sempre. Sia un giorno di grazia per i fedeli, in cui il fuoco, che il Signore è venuto a portare sulla terra, si sviluppi in fiamma sempre più luminosa e pura. Sia un giorno di grazia per i tiepidi, gli stanchi, gli annoiati, e nel loro cuore, divenuto pusillanime, maturino nuovi frutti di rinnovamento di spirito, e di rinvigorimento d'animo. Sia un giorno di grazia anche per coloro che non hanno conosciuto Cristo o che l'hanno perduto; un giorno in cui si elevi al cielo da milioni di cuori fedeli la preghiera: «La luce che illumina ogni uomo che viene a questo mondo» (Gv 1,9) possa rischiarare loro la via della salute e la sua grazia possa suscitare nel cuore inquieto degli erranti la nostalgia verso i beni eterni, nostalgia che spinga al ritorno a colui, che dal doloroso trono della croce ha sete anche delle loro anime e desiderio cocente di divenire anche per esse «via, verità e vita» (Gv 14,6).

Ponendo questa prima enciclica del Nostro pontificato sotto il segno di Cristo re con cuore pieno di fiduciosa speranza, Ci sentiamo interamente sicuri del consenso unanime ed entusiastico dell'intero gregge del Signore. Le esperienze, le ansietà e le prove dell'ora presente risvegliano, acuiscono e purificano il sentimento della comunanza della famiglia cattolica in un grado raramente sperimentato. Esse eccitano in tutti i credenti in Dio e in Cristo la coscienza di una comune minaccia da parte di un comune pericolo.

Di questo spirito di comunanza cattolica, potentemente aumentato in così ardue circostanze, e che è raccoglimento e affermazione, risolutezza e volontà di vittoria, Noi sentimmo un soffio consolante e indimenticabile in quei giorni, in cui con trepido passo ma fiduciosi in Dio, prendemmo possesso della cattedra che la morte del Nostro grande predecessore aveva lasciata vacante.

Con il vivo ricordo delle innumerevoli testimonianze di filiale attaccamento alla chiesa e al vicario di Cristo, rivolteCi in occasione della Nostra elezione e incoronazione, con manifestazioni così tenere, così calde e spontanee, Ci piace cogliere questa occasione propizia, per rivolgere a voi, venerabili fratelli, e a quanti appartengono al gregge del Signore, una parola di commosso ringraziamento per tale pacifico plebiscito di amore riverente e di inconcussa fedeltà al papato, con il quale si veniva a riconoscere la provvidenziale missione del sommo sacerdote e del supremo pastore. Poiché veramente tutte quelle manifestazioni non erano né potevano essere rivolte alla Nostra povera persona, ma all'unico, altissimo ufficio, al quale il Signore Ci elevava. Se già fin da quel primo momento sentivamo tutto il peso delle gravi responsabilità, connesse con la somma potestà, che Ci veniva conferita dalla Provvidenza divina, Ci era insieme di conforto il vedere quella grandiosa e palpabile dimostrazione dell'inscindibile unità della chiesa cattolica, che tanto più compatta si stringe alla infrangibile rupe di Pietro e le forma attorno tanto più forti murali e antemurali, quanto più cresce la baldanza dei nemici di Cristo.

Questo stesso plebiscito di mondiale unità cattolica e di soprannaturale fraternità di popoli attorno al Padre comune, Ci pareva tanto più ricco di felici speranze, quanto più tragiche erano le circostanze materiali e spirituali del momento in cui avveniva; e il suo ricordo Ci andò confortando anche nei primi mesi del Nostro pontificato, nei quali abbiamo già sperimentato le fatiche, le ansietà e le prove, di cui è seminato il cammino della sposa di Cristo attraverso il mondo.

Né vogliamo passare sotto silenzio quanta eco di commossa riconoscenza abbia suscitato nel Nostro cuore l'augurio di coloro che, sebbene non appartengano al corpo visibile della chiesa cattolica, non hanno dimenticato, nella loro nobiltà e sincerità, di sentire tutto ciò che, o nell'amore alla persona di Cristo o nella credenza di Dio, li unisce a Noi. A tutti vada l'espressione della Nostra gratitudine. Affidiamo tutti e ciascuno alla protezione e alla guida del Signore e assicuriamo solennemente che un solo pensiero domina la Nostra mente: imitare l'esempio del buon pastore, per condurre tutti alla vera felicità, «affinché abbiano la vita e l'abbiano abbondantemente» (Gv 10,10).

Ma in singolar modo Ci sentiamo mossi dall'animo Nostro a far palese l'intima Nostra gratitudine per i segni di riverente omaggio pervenutiCi da sovrani, da capi di stato e da pubbliche autorità di quelle nazioni, con le quali la Santa Sede si trova in amichevoli rapporti. E a particolare letizia si eleva il Nostro cuore nel potere, in questa prima enciclica indirizzata a tutto il popolo cristiano sparso nel mondo, porre in tal novero la diletta Italia, fecondo giardino della fede piantata dai prìncipi degli apostoli, la quale, mercè la provvidenziale opera dei Patti Lateranensi, occupa ora un posto d'onore tra gli stati ufficialmente rappresentati presso la sede apostolica. Da quei Patti ebbe felice inizio, come aurora di tranquilla e fraterna unione di animi innanzi ai sacri altari e nel consorzio civile, la «pace di Cristo restituita all'Italia»; pace, per il cui sereno cielo supplichiamo il Signore che pervada, avvivi, dilati e corrobori fortemente e profondamente l'anima del popolo italiano, a Noi tanto vicino, in mezzo al quale respiriamo il medesimo alito di vita, invocando e augurandoci che questo popolo, così caro ai Nostri predecessori e a Noi, fedele alle sue gloriose tradizioni cattoliche, senta sempre più nell'alta protezione divina la verità delle parole del Salmista: «Beato il popolo, che per suo Dio ha il Signore» (Sal143,15).

Questa auspicata nuova situazione giuridica e spirituale, che quell'opera, destinata a lasciare una impronta indelebile nella storia, ha creato e suggellato per l'Italia e per tutto l'Orbe cattolico, non Ci apparve mai così grandiosa e unificatrice, come quando dall'eccelsa loggia della Basilica Vaticana Noi aprimmo e levammo per la prima volta le Nostre braccia e la Nostra mano benedicente su Roma, sede del papato e Nostra amatissima città natale, sull'Italia riconciliata con la chiesa, e sui popoli del mondo intero.

***

Come vicario di Colui, il quale in un'ora decisiva, dinanzi al rappresentante della più alta autorità terrena di allora, pronunziò la grande parola: «Io sono nato e venuto al mondo per render testimonianza alla verità; chiunque sta per la verità ascolta la mia voce» (Gv 18,37), Noi di nulla Ci sentiamo più debitori al Nostro ufficio, e anche al nostro tempo, come di «rendere testimonianza alla verità». Questo dovere, adempiuto con apostolica fermezza, comprende necessariamente l'esposizione e la confutazione di errori e di colpe umane, che è indispensabile conoscere, perché sia possibile la cura e la guarigione: «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Nell'adempimento di questo Nostro dovere, non Ci lasceremo influenzare da terrene considerazioni, né Ce ne tratterremo per diffidenze e contrasti, per rifiuti e incomprensioni, né per timore di misconoscimenti e di false interpretazioni. Ma lo faremo sempre animati da quella paterna carità che, mentre soffre dei mali che travagliano i figli, indica loro il rimedio, sforzandoCi cioè di imitare il divino modello dei pastori, il buon pastore Gesù, che è luce insieme e amore: «Seguendo il vero con amore» (Ef4,15).

All'inizio del cammino, che conduce all'indigenza spirituale e morale dei tempi presenti, stanno i nefasti sforzi di non pochi per detronizzare Cristo, il distacco dalla legge della verità, che egli annunziò, dalla legge dell'amore, che è il soffio vitale del suo regno. Il riconoscimento dei diritti regali di Cristo e il ritorno dei singoli e della società alla legge della sua verità e del suo amore sono la sola via di salvezza.

Nel momento in cui, venerabili fratelli, scriviamo queste righe, Ci giunge la spaventosa notizia, che il terribile uragano della guerra, nonostante tutti i Nostri tentativi di deprecarlo, si è già scatenato. La Nostra penna vorrebbe arrestarsi, quando pensiamo all'abisso di sofferenze di innumerevoli persone, a cui ancora ieri nell'ambiente familiare sorrideva un raggio di modesto benessere. Il Nostro cuore paterno è preso da angoscia, quando prevediamo tutto ciò che potrà maturare dal tenebroso seme della violenza e dell'odio, a cui oggi la spada apre i solchi sanguinosi. Ma proprio davanti a queste apocalittiche previsioni di sventure imminenti e future, consideriamo Nostro dovere elevare con crescente insistenza gli occhi e i cuori di coloro, in cui resta ancora un sentimento di buona volontà verso l'Unico da cui deriva la salvezza del mondo, verso l'Unico, la cui mano onnipotente e misericordiosa può imporre fine a questa tempesta, verso l'Unico, la cui verità e il cui amore possono illuminare le intelligenze e accendere gli animi di tanta parte dell'umanità, immersa nell'errore nell'egoismo, nei contrasti e nella lotta, per riordinarla nello spirito della regalità di Cristo.

Forse - Dio lo voglia - è lecito sperare che quest'ora di massima indigenza sia anche un'ora di mutamento di pensiero e di sentire per molti, che finora con cieca fiducia incedevano per il cammino di diffusi errori moderni, senza sospettare quanto fosse insidioso e incerto il terreno su cui si trovavano. Forse molti, che non capivano l'importanza della missione educatrice e pastorale della chiesa, ora ne comprenderanno meglio gli avvertimenti, da loro trascurati nella falsa sicurezza di tempi passati. Le angustie del presente sono un'apologia del cristianesimo, che non potrebbe essere più impressionante. Dal gigantesco vortice di errori e movimenti anticristiani sono maturati frutti tanto amari da costituire una condanna, la cui efficacia supera ogni confutazione teorica.

Ore di così penosa delusione sono spesso ore di grazia: un «passaggio del Signore» (Es 12,11), in cui alla parola del Salvatore: «Ecco, io sto alla porta e busso» (Ap 3,20) si aprono le porte, che altrimenti sarebbero rimaste chiuse. Dio sa con quale amore compassionevole, con quale santa gioia il Nostro cuore si volge a coloro che, in seguito a simili dolorose esperienze, sentono in sé nascere il desiderio impellente e salutare della verità, della giustizia e della pace di Cristo. Ma anche per coloro, per i quali non è ancora suonata l'ora della suprema illuminazione, il Nostro cuore non conosce che amore e le Nostre labbra non hanno che preghiere al Padre dei lumi, perché faccia splendere nei loro animi indifferenti o nemici di Cristo un raggio di quella luce, che un giorno trasformò Saulo in Paolo, di quella luce che ha mostrato la sua forza misteriosa proprio nei tempi più difficili per la chiesa.

Una presa di posizione dottrinale completa contro gli errori dei tempi presenti può essere rinviata, se occorrerà, ad altro momento meno sconvolto dalle sciagure degli esterni eventi: ora Ci limitiamo ad alcune fondamentali osservazioni.

Il tempo presente, venerabili fratelli, aggiungendo alle deviazioni dottrinali del passato nuovi errori, li ha spinti a estremi, dai quali non poteva seguire se non smarrimento e rovina. Innanzitutto è certo che la radice profonda e ultima dei mali che deploriamo nella società moderna sta nella negazione e nel rifiuto di una norma di moralità universale, sia della vita individuale, sia della vita sociale e delle relazioni internazionali; il misconoscimento cioè, così diffuso ai nostri tempi, e l'oblio della stessa legge naturale.

Questa legge naturale trova il suo fondamento in Dio, creatore onnipotente e padre di tutti, supremo e assoluto legislatore, onnisciente e giusto vindice delle azioni umane. Quando Dio viene rinnegato, rimane anche scossa ogni base di moralità, si soffoca, o almeno si affievolisce di molto, la voce della natura, che insegna, persino agli indotti e alle tribù non pervenute a civiltà, ciò che è bene e ciò che è male, il lecito e l'illecito, e fa sentire la responsabilità delle proprie azioni davanti a un Giudice supremo.

Orbene, la negazione della base fondamentale della moralità ebbe in Europa la sua originaria radice nel distacco da quella dottrina di Cristo, di cui la cattedra di Pietro è depositaria e maestra; dottrina che un tempo aveva dato coesione spirituale all'Europa, la quale, educata, nobilitata e ingentilita dalla croce, era pervenuta a tal grado di progresso civile da diventare maestra di altri popoli e di altri continenti. Distaccatisi invece dal magistero infallibile della chiesa, non pochi fratelli separati sono arrivati fino a sovvertire il dogma centrale del cristianesimo, la divinità del Salvatore, accelerando così il processo di spirituale dissolvimento.

Narra il santo vangelo che quando Gesù venne crocifisso, «si fece buio per tutta la terra» (Mt 27,45): spaventoso simbolo di ciò che avvenne e continua ad avvenire spiritualmente dovunque l'incredulità, cieca e orgogliosa di sé, ha di fatto escluso Cristo dalla vita moderna, specialmente dalla vita pubblica, e con la fede in Cristo ha scosso anche la fede in Dio. I valori morali, secondo i quali in altri tempi si giudicavano le azioni private e pubbliche, sono andati, per conseguenza, come in disuso; e la tanto vantata laicizzazione della società, che ha fatto sempre più rapidi progressi, sottraendo l'uomo, la famiglia e lo stato all'influsso benefico e rigeneratore dell'idea di Dio e dell'insegnamento della chiesa, ha fatto riapparire anche in regioni, nelle quali per tanti secoli brillarono i fulgori della civiltà cristiana, sempre più chiari, sempre più distinti, sempre più angosciosi i segni di un paganesimo corrotto e corruttore: «Quand'ebbero crocifisso Gesù si fece buio».(4)

Molti forse nell'allontanarsi dalla dottrina di Cristo, non ebbero piena coscienza di venire ingannati dal falso miraggio di frasi luccicanti, che proclamavano simile distacco quale liberazione dal servaggio in cui sarebbero stati prima ritenuti; né prevedevano le amare conseguenze del triste baratto tra la verità, che libera, e l'errore, che asservisce; né pensavano che, rinunziando all'infinitamente saggia e paterna legge di Dio, all'unificante ed elevante dottrina di amore di Cristo, si consegnavano all'arbitrio di una povera mutabile saggezza umana: parlarono di progresso, quando retrocedevano; di elevazione, quando si degradavano; di ascesa alla maturità, quando cadevano in servaggio; non percepivano la vanità d'ogni sforzo umano per sostituire la legge di Cristo con qualche altra cosa che la uguagli: «divennero fatui nei loro ragionamenti» (Rm 1,21).

Affievolitasi la fede in Dio e in Gesù Cristo, e oscuratasi negli animi la luce dei princìpi morali, venne scalzato l'unico e insostituibile fondamento di quella stabilità e tranquillità, di quell'ordine interno ed esterno, privato e pubblico, che solo può generare e salvaguardare la prosperità degli stati.

Certamente, anche quando l'Europa era affratellata da identici ideali ricevuti dalla predicazione cristiana, non mancarono dissidi, sconvolgimenti e guerre, che la desolarono; ma forse non si sperimentò mai più acutamente lo scoramento dei nostri giorni sulla possibilità di comporli, essendo allora viva quella coscienza del giusto e dell'ingiusto, del lecito e dell'illecito, che agevola le intese, mentre frena lo scatenarsi delle passioni e lascia aperta la via a una onesta composizione. Ai nostri giorni, al contrario, i dissidi non provengono soltanto da impeto di passione ribelle, ma da una profonda crisi spirituale, che ha sconvolto i sani principi della morale privata e pubblica.

   continua...........



[Modificato da Caterina63 29/09/2017 23:20]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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