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Lettera ai Galati di Don Pedron Lino

Ultimo Aggiornamento: 14/10/2017 14:43
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14/10/2017 13:19
 
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e) L’affermazione della Scrittura (4,21-31)




21Ditemi, voi che volete essere sotto la legge: non sentite forse cosa dice la legge? 22Sta scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera. 23Ma quello dalla schiava è nato secondo la carne; quello dalla donna libera, in virtù della promessa. 24Ora, tali cose sono dette per allegoria: le due donne infatti rappresentano le due Alleanze; una, quella del monte Sinai, che genera nella schiavitù, rappresentata da Agar 25- il Sinai è un monte dell’Arabia -; essa corrisponde alla Gerusalemme attuale, che di fatto è schiava insieme ai suoi figli. 26Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è la nostra madre. 27Sta scritto infatti:
Rallegrati, sterile, che non partorisci, grida nell’allegria tu che non conosci i dolori del parto, perché molti sono i figli dell’abbandonata, più di quelli della donna che ha marito. 28Ora voi, fratelli, siete figli della promessa, alla maniera di Isacco. 29E come allora colui che era nato secondo la carne perseguitava quello nato secondo lo spirito, così accade anche ora. 30Però, che cosa dice la Scrittura? Manda via la schiava e suo figlio, perché il figlio della schiava non avrà eredità col figlio della donna libera. 31Così, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma di una donna libera.

Paolo si sente spinto dalla necessità di escogitare ancora qualcosa per convincere i Galati e riprende il tema "legge e promessa" sulla base della Scrittura, andando però oltre 3,6-18 in quanto prende particolarmente in considerazione il punto di vista della libertà del cristiano. A questo scopo la storia di Abramo viene interpretata ricorrendo all’esegesi allegorica della Scrittura.

v. 21. La comprensione storico-salvifica-profetica della Scrittura mette in questione la comprensione puramente legalistica della Scrittura. "Comprendere la legge, non è solamente osservare tale o talaltra prescrizione particolare, ma, alla luce delle Scritture, discernere il ruolo negativo o puramente preparatorio che essa aveva in rapporto a Gesù Cristo" (Bonnard). Ciò distingue radicalmente la comprensione cristiana della Scrittura da quella giudaico-rabbinica. I Galati non hanno ancora capito come bisogna leggere e ascoltare la Torà: infatti essi, di fatto, non ascoltano e non obbediscono. Ne vedono solo i molti precetti e divieti, sui quali forse vengono istruiti dagli avversari di Paolo, ma non capiscono che la torà dice molto di più di quanto appare da una semplice lettura fondamentalistica.

v. 22. I due figli di Abramo sono Ismaele, nato da Agar, e Isacco, nato da Sara (Gen 16,15; 21,2-9). Le due donne erano di ceto diverso: Sara era libera, Agar era schiava.

v. 23. Questi due figli di Abramo non sono solo diversi tra loro per madre, ma anche per tipo di nascita. Infatti Ismaele è stato generato secondo la "carne", Isacco invece è figlio della promessa. Abramo si accostò ad Agar per il desiderio naturale di un erede fisico (Gen 16,1-4), ma a Sara in base a un’implicita promessa di Jahvè, che sembrava incredibile (Gen 17,15-19; 21,1-7). Quindi Isacco è un dono della potenza sovrana di Dio, la quale non è vincolata alle condizioni naturali. Nel v.28 il termine epanghelìa (= promessa) viene nuovamente ripreso nell’affermazione che i credenti in Cristo sono "figli della promessa" come Isacco. La promessa contiene quindi anche l’elemento della libera scelta di Dio, il quale può far nascere ad Abramo figli liberi dove vuole. Nell’agire di Dio per grazia è ogni volta attivo il principio della promessa, che è secondo lo Spirito e non secondo la carne. La "promessa" di Dio ad Abramo relativa ad Isacco fu fatta (implicitamente) già in vista del futuro salvifico (Rm 4,16-22). Quindi anche le due madri dei due figli di Abramo hanno un’importanza più profonda, come Paolo sta per spiegarci. Esse sono (anche) figure allegoriche; però questo loro significato si può riconoscere solo alla luce della fede in Cristo.

v. 24. Quanto sta scritto nella Genesi sui due figli di Abramo e sulle loro madri ha per Paolo un senso allegorico. Queste due donne significano i due Testamenti. Veramente, in base al testo della Genesi, le due figure di donne non accennano affatto alla Gerusalemme attuale o alla Gerusalemme di lassù. Questo nesso è stabilito solo da Paolo. Il racconto di Agar e di Sara può essere da Paolo usato in questo modo solo perché per lui da lungo tempo - in base alla sua convinzione di fede - è cosa certa che l’esistenza sottoposta alla legge è un’esistenza da schiavi.

v. 25. Il monte Sinai è in Arabia e quindi ci si può chiedere che cosa abbia a che fare con la Gerusalemme attuale. A questa obiezione geografica risponde mettendo in relazione, con la sua visione allegorica, il monte Sinai con la Gerusalemme attuale: "veramente il monte Sinai si trova in Arabia, ma esso corrisponde (nella mia visione allegorica) alla Gerusalemme attuale".Che cosa autorizza a questa corrispondenza allegorica? Paolo risponde: "Perché Gerusalemme si trova con i suoi figli in condizioni di schiavitù" finchè rimane sotto il dominio della legge, il quale ebbe origine al Sinai. Che Gerusalemme si trovi con i suoi figli in condizione di schiavitù sarà energicamente negato da ogni ebreo. In Gv 8, 33 sta scritto: "Noi siamo seme di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno". La Gerusalemme, centro spirituale del giudaismo non è schiava dei Romani, ma della legge, e questa schiavitù al tempo di Paolo perdurava ancora. Ma è anche probabile che dicendo la "Gerusalemme attuale" si voglia indicare la città come centro spirituale non del giudaismo, bensì del giudeocristianesimo, i cui esponenti radicali si appellavano a Gerusalemme considerandola il capoluogo più autorevole del cristianesimo e del vero vangelo. Contro di loro Paolo richiama l’attenzione sulla vera Gerusalemme dei cristiani, che è la nostra vera madre.

v. 26. Infatti, contrapposta alla Gerusalemme "attuale" c’è una Gerusalemme che è "in alto", cioè accanto a Dio, in cielo. La "Gerusalemme di lassù" è per Paolo il mondo del Risorto e dell’Innalzato, dal quale trae origine la salvezza escatologica per i credenti, il che, in Gal 4,26, è espresso nella proposizione relativa "che è nostra madre". La maternità della Gerusalemme di lassù si attualizza nella concreta attività salvifica del Risorto nella comunità cristiana. Questa Gerusalemme del cielo è la madre dei credenti nati per la libertà e non dei giudaisti che si attengono alla legge. E grazie al lavoro missionario, questi credenti nati liberi sono già diventati più numerosi; la loro madre (Cristo) non è rimasta infeconda, ciò che l’apostolo comprova espressamente con la Scrittura nel v. seguente.

v. 27. La promessa di Is 54,1 ha questo significato: Sion è "raffigurata come una donna, che è stata abbandonata dal marito e perciò non genera più figli. Con la fine dell’esilio Jahvè ritorna a Sion a capo degli esuli; Sion ha di nuovo il suo sposo e i suoi figli" (Ziegler). Nella comunità cristiana, nel suo divenire e crescere, Paolo vede adempiuta la parola del profeta.

v. 28. Ora Paolo non argomenta più, ma dichiara: "Voi fratelli, siete come Isacco figli della promessa!".Isacco fu generato secondo lo Spirito; così anche i Galati, quando furono battezzati (3,2).

v. 29. La storia si ripete. Come allora Ismaele perseguitava Isacco (Gen 29,1) così ora i giudei perseguitano le comunità cristiane. Anzi, forse si parla dei giudaisti cristiani che perseguitano, con discorsi, sospetti e calunnie maliziose Paolo. Cosa si deve fare "adesso" in questa situazione concreta in Galazia? Paolo lo dice ai Galati nel versetto successivo ancora con una parola della Scrittura.

v. 30. All’"Ismaele" che ora in Galazia "perseguita" il vangelo e il suo predicatore Paolo, si deve fare opposizione. La Scrittura ordina: "Scaccia la schiava e suo figlio! Perché il figlio della schiava non deve assolutamente ereditare assieme al figlio della libera". Con questo comando della Scrittura i Galati sono esortati inequivocabilmente a scacciare l’"Ismaele" che si è intromesso tra loro, ossia i giudaisti cristiani.

v. 31. Il versetto costituisce la deduzione conclusiva dell’intera pericope 4,21-30, la quale è anche una conclusione delle due interpretazioni scritturistiche dei vv. 22-27 e 29-30.

f) Appello ai Galati a rimanere nella condizione di libertà cristiana (5,1-12)

1Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. 2Ecco, io Paolo vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà nulla. 3E dichiaro ancora una volta a chiunque si fa circoncidere che egli è obbligato ad osservare tutta quanta la legge. 4Non avete più nulla a che fare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella legge; siete decaduti dalla grazia. 5Noi infatti per virtù dello Spirito, attendiamo dalla fede la giustificazione che speriamo. 6Poiché in Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità. 7Correvate così bene; chi vi ha tagliato la strada che non obbedite più alla verità? 8Questa persuasione non viene sicuramente da colui che vi chiama! 9Un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta. 10Io sono fiducioso per voi nel Signore che non penserete diversamente; ma chi vi turba, subirà la sua condanna, chiunque egli sia. 11Quanto a me, fratelli, se io predico ancora la circoncisione, perché sono tuttora perseguitato? È dunque annullato lo scandalo della croce? 12Dovrebbero farsi mutilare coloro che vi turbano.

Ora Paolo mette i Galati di fronte all’aut-aut: o rimangono nella libertà del cristiano donata loro da Cristo, o si sottomettono alla circoncisione e con essa alla legge mosaica, con la conseguenza escatologica che allora Cristo per loro "non gioverà a nulla".

v. 1. L’opera liberatrice di Cristo ebbe come scopo la libertà dell’uomo. Paolo ha visto il Cristo come un grande liberatore. Poiché Cristo ha portato la libertà in senso assoluto agli uomini, Paolo esorta i Galati: "State dunque saldi nella libertà". Paolo "oppone la libertà evangelica a tutte le schiavitù religiose, quali che siano" (Bonnard). I Galati non sono figli della schiava, ma della libera, ma di ciò essi non sono ancora abbastanza consapevoli.

v. 2. All’inizio di questo versetto Paolo impiega tutta la sua autorità personale: "Io, Paolo, vi dichiaro con la mia personale e apostolica autorità". Ai Galati dichiara autoritariamente: "Se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla". Paolo parla della circoncisione perché i suoi avversari l’avevano richiesta ai Galati. Non è la circoncisione come atto singolo in sé che allontana da Cristo, ma l’istituzione di questa come pratica obbligatoria e permanente. Non è il fatto di essere circoncisi che separa da Cristo, ma l’accettare la circoncisione come elemento necessario per essere cristiani. Cristo con la sua opera redentrice ha arrecato la liberazione dell’uomo, lo ha liberato dalla necessità di trovare la salvezza attraverso le opere della legge. Perciò se i Galati cercheranno la salvezza attraverso le opere della legge si metteranno fuori dal piano di salvezza di Cristo e quindi "Cristo non gioverà loro a nulla". La morte salvatrice di Cristo giova solo a chi si lascia salvare da lui mediante la fede. Chi cerca la salvezza nelle opere della legge, esclude Cristo come unico salvatore. "Se la giustizia proviene dalla legge, Cristo è morto invano" (2,21).

v. 3. Col principio che il circonciso deve osservare tutta la legge, Paolo fa sua, in tutto, la concezione giudaica. Che la circoncisione comportasse una vita conforme alla legge nella sua totalità, i Galati probabilmente non lo sapevano, e probabilmente gli avversari di Paolo si erano ben guardati dal dirlo. Tutte le esposizioni teologiche dell’apostolo in questa lettera non avrebbero motivo se in Galazia non fosse stato insegnato dagli avversari giudaisti di Paolo che per la salvezza era necessaria una vita conforme alla legge e quindi anche la circoncisione. Che i giudeocristiani di fatto vivessero secondo la legge, a Paolo non fa problema. Ma appena la circoncisione fu dichiarata necessaria alla salvezza, Paolo lottò per la verità del vangelo. Del resto, secondo il suo insegnamento "in Cristo Gesù non contano né circoncisione né incirconcisione" (5,6); è qualcos’altro che importa.

v. 4. "Questo versetto ripete l’affermazione del v.2" (Bonnard). Il senso della frase è: "Voi siete sciolti dal legame con Cristo, asportati dalla sua sfera di azione; avete perso la comunione con lui". È l’opposto dell’"essere in Cristo" (3,26-28) e del "Cristo vive in me" (2,20). Ciò che Paolo sta dicendo diventerà un fatto concreto, se i Galati cercheranno la salvezza nell’osservanza della legge invece che in Cristo. La seconda minaccia va presa in considerazione ancor più attentamente. "Se cercherete la salvezza nella legge decadrete dallo stato di grazia nel quale Dio ci ha trasferiti mediante il suo intervento salvifico "grazioso" in Cristo".

v. 5. Paolo aggiunge: "Noi speriamo di ottenere la salvezza futura in base al principio della grazia, che si fonda sullo Spirito della fede, e non in base al principio della legge". Lo Spirito esprime il principio della "sola gratia" nella giustificazione; la fede invece è quel principio nuovo "sola fide" che si oppone alla legge. La fede è ciò che deve essere fatto dall’uomo per essere giustificato da Dio: egli deve credere. La salvezza viene raggiunta come "speranza della giustificazione". "Paolo distingue tra la giustificazione dal peccato originata dalla sola fede (Rm 3,28...), donata nel battesimo (1Cor 6,11; Rm 6,7), e la giustificazione nel giudizio finale, proveniente dalla fede che si esplica mediante l’amore (Gal 5,6)" (Jeremias). Il futuro dischiude definitivamente al credente ciò che a lui è già stato donato nel presente.

v. 6. Paolo spiega perché la circoncisione (e, di conseguenza, la vita secondo la legge) non è in grado di recare "il bene sperato della giustizia". Non lo può fare perché "in Gesù Cristo" vige un altro principio di salvezza, la fede. "In Cristo Gesù" significa precisamente: è il Cristo crocefisso e risorto colui "nel" quale i credenti - secondo 3,26-27 - sono diventati "figli di Dio" e del quale nel battesimo si sono "rivestiti". Questa è la nuova realtà, spirituale, per tutti i battezzati, in cui vige anche un nuovo principio di salvezza, la fede. In questo nuovo ordine di salvezza la circoncisione e l’incirconcisione hanno perso ogni valore davanti a Dio. "Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; il vecchio è passato; è nato il nuovo" (2Cor 5,17). Il vecchio è la vita conforme alla legge, il nuovo è la vita secondo la fede. "La fede che agisce mediante l’amore" indica la disposizione fondamentale che la fede giustificante deve possedere; essa deve dimostrarsi feconda nelle opere dell’amore, appunto come esige la lettera di Giacomo (Gc 2,11-26). L’amore per il prossimo è il modo di esprimersi della fede che apporta la giustificazione.

v. 7. "Correvate bene" si intende "sulla via del vangelo"; e questo equivale a "obbedire alla verità". Il "correre" sulla retta via e la prontezza nell’obbedire sono strettamente connessi nell’Antico Testamento. "Il correre significa generalmente una pronta obbedienza" (Bauernfeind). L’impedimento giudaistico frapposto alla loro corsa induce i Galati a disobbedire a colui che li ha chiamati.

v. 8. Gli avversari di Paolo tentano di persuadere i Galati a rendersi disobbedienti alla verità del vangelo, al quale Dio li aveva chiamati.

v. 9. Secondo Mt 16,6 Gesù mette in guardia i suoi discepoli dal "lievito dei farisei e dei sadducei" ossia "dall’infezione, per loro nascosta e perciò tanto più pericolosa, proveniente dalla tradizione farisaica e sadducea" (Schlatter). Così anche Paolo mette in guardia i Galati dal lievito della dottrina dei suoi avversari, il quale, anche in piccola misura, può corrompere tutta la pasta, cioè il vangelo.

v. 10. Nonostante la pena che soffre per i Galati (4,20), Paolo non perde la sua ferma fiducia in loro. Altri forse, in una simile situazione, avrebbero perso da lungo tempo la fiducia, ma Paolo no. Essa infatti si fonda nel Signore stesso e non nei Galati. Paolo fa affidamento sui Galati perché ha una ferma fiducia nel Signore, e ha fiducia che essi, dopo aver ricevuto il suo scritto, torneranno a pensare come lui in materia di vangelo, di circoncisione, ecc. Ma su coloro che provocano confusione tra loro, incombe la condanna davanti al tribunale di Dio. Dio li condannerà per aver distorto il suo vangelo. "Chiunque egli sia" indica probabilmente che tra gli avversari di Paolo vi era qualcuno che godeva di alta considerazione. Senza riguardo di persona Dio li chiamerà al rendiconto (cfr. Rm 2,11).

v. 11. Paolo, apostolo non per incarico di uomo né per mezzo di uomo (1,1), lui che ha pronunciato l’anatema, contro chiunque predichi diversamente dal vangelo che ha loro proclamato (1,8), lui che non ha ceduto a imposizioni legalistiche (2,5), lui che è morto alla legge per vivere a Dio (2,12) ed è figlio della libera e non della schiava (4,31) potrebbe mettersi a predicare la circoncisione solo per non essere perseguitato? Paolo vuol dire: "Certo se io predicassi ancora la circoncisione, eviterei persecuzioni: ma lo scandalo della croce sarebbe tolto di mezzo". L’opposizione che egli incontra è dovuta allo scandalo della croce. I Galati devono riflettere che la sofferenza e la persecuzione sono collegate alla predicazione della croce di Cristo come unica fonte di salvezza. È lo "scandalo della croce" che costituisce la discriminante tra il suo vangelo e quello predicato dai suoi avversari (1,6). Non che essi escludano la croce, ma ne escludono lo scandalo, perché non consentono che essa metta in crisi i valori religiosi legati alla legge e alle opere, e la fiducia di salvezza in esse riposta. In questo modo la croce perde la sua caratteristica di contestazione e di unica via di salvezza e rimane un puro fatto storico, un deplorevole errore (At 3,17). "La croce sta a simboleggiare la grazia, che rifiuta la legge, l’opera e il merito acquisito, e che perciò è scandalosa, se Paolo davvero predicasse la circoncisione, sarebbe annullata la grazia scandalosa di cui è mezzo e segno la croce scandalosa" (Schlier). Quando la croce è predicata in tutta la sua radicalità, è "scandalo per i giudei e pazzia per i pagani" (1Cor 1,23), e ciò non può non determinare persecuzione, sia che l’uomo confidi nella sua sapienza (come a Corinto) sia che confidi nel suo legalismo (come negli ambienti giudeo-cristiani). Nella sua liturgia la Chiesa canta: "Ave, croce, unica speranza" .

v. 12. Il tono si fa estremamente amaro e sarcastico: "Magari si facessero castrare quelli che vi istigano!". Per un ebreo questa frase ha quasi un effetto di una bestemmia, se si tiene conto di quanto è scritto in Dt 23,2: "Nessuno, che abbia i testicoli contusi o il membro virile mutilato, può essere ammesso nella comunità di Jahvè". Forse con il termine "evirare" Paolo allude alla autoevirazione sacra, com’era praticata presso i Galli e i sacerdoti di Attis e di Cibele. Poiché proprio Pessinunte, la capitale della Galazia, era anche la sede principale del culto di Attis e di Cibele, i destinatari della lettera potevano capire benissimo una simile allusione. Paolo vuole colpire i suoi avversari nel loro senso dell’onore e dell’amor proprio; infatti un tale abbinamento della circoncisione giudaica alla castrazione per un giudeo doveva essere addirittura una bestemmia. Così Paolo termina per il momento la polemica con i suoi avversari e con le loro concezioni; su di essi tornerà in 6,11 ss. Ora egli affronta questioni etiche, che però sono estremamente connesse con gli argomenti già trattati.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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