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Lettera ai Galati di Don Pedron Lino

Ultimo Aggiornamento: 14/10/2017 14:43
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14/10/2017 13:22
 
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c) Monito a evitare la vanagloria nei confronti del fratello (5,26-6,5).




26Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri. 1Fratelli, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso, per non cadere anche tu in tentazione. 2Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo. 3Se infatti uno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso. 4Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora solo in se stesso e non negli altri troverà motivo di vanto: 5ciascuno infatti porterà il proprio fardello.




Che cosa significhi "vivere in sintonia con lo Spirito", viene spiegato da Paolo con parenesi ed esempi, formulati negativamente e positivamente. Queste istruzioni per la vita comunitaria si riferiscono ai destinatari della lettera, ma hanno una loro validità per tutti.


v. 26. Il vanaglorioso è colui che cerca di procurarsi una stima infondata e per ottenere questo diventa spaccone, vanitoso e orgoglioso. La ricerca della vanagloria si manifesta come provocazione dell’altro e come invidia nei suoi confronti.


v. 6,1. Nei confronti di un fratello che pecca, la vanagloria è del tutto fuori luogo. Il peccato degli altri è occasione per un serio esame di coscienza sui propri peccati ed errori personali per non essere colti dalla tentazione e finire nella caduta. Infatti la caduta è sempre preceduta dalla superbia che si esprime nella presunzione e nella vanagloria. Invece quando un fratello pecca, bisogna correggerlo con spirito di dolcezza, riportandolo sulla retta via. I Galati sono chiamati pneumaticòi (spirituali, dotati di Spirito Santo) perché vivono mediante lo Spirito e hanno cessato di compiere le opere della carne; perciò anche nella loro vita comunitaria deve manifestarsi il frutto dello Spirito nel comportamento verso il fratello peccatore.


v. 2. I pesi che si devono portare vicendevolmente sono i peccati commessi. "Il significato di ‘pesi’ si deduce soprattutto dal v. precedente, dove si parla del peccato di un membro della comunità. Il carico consiste dunque nella debolezza, nel rischio della tentazione, nel permanente pericolo e nel peccato in cui può sempre cadere un uomo" (Van Dulmen). L’amore quando è genuino mette tutto in comune, anche i peccati. La Chiesa è una comunità di peccatori e quindi a nessuno è lecito abbandonarsi alla vanagloria quando il fratello pecca. Il proverbio insegna: Oggi a me e domani a te. Portare i pesi gli uni degli altri è adempire la legge di Cristo che consiste nell’amore scambievole (5,14). La Chiesa deve amare i peccatori come li ha amati Cristo e in questo modo adempie la legge di Cristo.


v. 3. Chi crede di essere qualcosa, mentre non è nulla, è un vanaglorioso. E il vanaglorioso non è disposto a condividere i pesi degli altri; anzi li guarda pieno di disgusto e disprezzo, come se fosse giusto lui solo (cfr. Lc 18,9-14). Il sapere di non essere nulla davanti a Dio preserva l’uomo dalla vanagloria nei riguardi del prossimo.


v. 4. Il modo migliore per evitare l’autoillusione è esaminare il proprio operato. Se il severo esame del proprio agire davanti alla coscienza dà come risultato che esso è buono e può reggere davanti a Dio, il cristiano si vanti in riguardo solo a se stesso e non confrontandosi con gli altri. Per Paolo esiste anche un vantarsi legittimo, che non ha nulla a che vedere con la vanagloria; è il "vantarsi nel Signore" (2Cor 10,17), con la motivazione di 10,18:"Perché approvato non è colui che si raccomanda da sé, ma chi è raccomandato dal Signore". Ma Gal 6,4 non parla di un "gloriarsi nel Signore", ma di un "gloriarsi guardando a se stessi". Un onesto esame di coscienza dà come risultato che non c’è alcun motivo di vantarsi in vista del giudizio finale di Dio. "Con la fede si rinuncia ad ogni vanto personale; ma anche per chi sta nella fede non si può dischiudere nessuna possibilità di vanto..." (Bultmann). Per il cristiano vale il detto di Paolo: "Che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?" (1Cor 4,7). Un "vantarsi" è legittimo solo come ringraziamento di lode per i doni ricevuti. "Noi ci gloriamo in Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale abbiamo ricevuto la riconciliazione" (Rm 5,11).


v. 5. Davanti a Dio il vanto personale è escluso: basterà pensare al futuro giudizio di Dio. Il peso di cui si parla non è la croce e la sofferenza, ma il peso dei propri peccati che si deve portare davanti al tribunale di Dio. Riepilogando: 5,26-6,5 rappresenta un monito a evitare la vanagloria e introduce già gli enunciati dei vv. 7-10.


d) Invito alla rimunerazione per essere stati istruiti nella fede (6,6)




6Chi viene istruito nella dottrina, faccia parte di quanto possiede a chi lo istruisce. 7Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato.




v. 6. Con questa esortazione Paolo invita i Galati ad essere disponibili a condividere con il proprio maestro tutti i beni necessari per vivere: in questo modo si mostreranno veramente pneumaticòi (mossi dallo Spirito); tra le opere della carne c’è anche l’avarizia, anche se non è propriamente menzionata nel precedente catalogo dei vizi. Forse Paolo accenna alla colletta per i poveri della comunità di Gerusalemme (2,10; 1Cor 16,1) nel contribuire alla quale i Galati non avevano risposto con entusiasmo al suo appello.


e) Prospettiva escatologica con esortazione a compiere opere utili al prossimo (6,7-10)




7Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. 8Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna. 9E non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo, a suo tempo mieteremo. 10Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede.




Ora lo sguardo dell’apostolo si rivolge con ancor maggior risolutezza alle cose future. Prima di iniziare il poscritto guarda al futuro dell’umanità. In questi vv. balzano all’occhio del lettore la salvezza definitiva e la rovina definitiva.


v. 7. L’illusione a cui soggiace l’uomo nella vita terrena a riguardo del suo comportamento etico, verrà alla luce quando si presenterà al tribunale di Dio. Dio viene messo in ridicolo dal modo di vivere di colui che dice di essere "spirituale" pur compiendo le opere della carne, di cui fanno parte la vanagloria nei confronti del fratello peccatore e l’avarizia nei confronti di chi gli è stato maestro del vangelo. Non si tratta di un deridere a parole, ma del disprezzo di Dio mediante comportamenti sbagliati. In concreto questa derisione consiste nel disprezzo dello Spirito che Dio ha donato ai credenti e che li spinge a una vita in cui si manifesti il "frutto dello Spirito" (5,22-23). Se l’uomo nel futuro giudizio di Dio mieterà ciò che ha seminato durante la sua vita terrena, ciò vuol dire che Dio lascia che l’uomo con le sue azioni provveda da sé alla propria sorte. Lo lascia libero di seminare dove vuole, e quindi di mietere ciò che vuole. L’autorità di Dio sull’uomo consiste in questo: Egli rispetta la legge della semina e del raccolto. L’uomo è un essere che viene esortato da Dio per mezzo della Scrittura a seminare nello Spirito e non nella propria carne.


v. 8. Ciascuno miete il frutto in conformità della semina: perdizione o vita eterna. La carne e lo Spirito sono in un certo senso il campo in cui la semente è seminata.


v. 9. L’appello alla responsabilità dell’uomo rispetto al suo destino eterno, passa, con ovvia consequenzialità, all’invito a non stancarsi di fare il bene. Perciò il "seminare nello Spirito" equivale a fare ogni bene possibile. Ma per mietere la vita eterna a tempo debito, bisogna perseverare nel bene fino alla fine senza stancarsi. È chiaro che, nonostante la sua dottrina della giustificazione, Paolo non è sostenitore di un quietismo religioso. Anzi proprio per la sua dottrina della giustificazione incita all’estrema attività perché lo Spirito "spinge" (2Cor 5,14) con più forza di quanto possa la legge.


v. 10. Il v. trae la conseguenza conclusiva del v.9: "Dunque facciamo il bene finché abbiamo ancora tempo!". Il tempo (cairòs) è il periodo messo ancora a disposizione da Dio prima del giudizio, per fare il bene. Ergàzesthai è l’operare attivo, energico. In questo fare il bene energicamente si concretizzano la fede, che agisce per mezzo della carità (5,6) e il precetto dell’amore del prossimo, in cui si compendia tutta la legge (5,14).


"Prossimo" sono tutti gli uomini che hanno bisogno di qualche aiuto. "I compagni di fede" sono gli altri cristiani. Paolo probabilmente accenna "ai fratelli di fede bisognosi in Giudea" e alla colletta che egli aveva organizzato in tutte le chiese a loro favore. In questa lettera egli non fa alcuna menzione di riconoscenza verso una qualsiasi elargizione; evidentemente qui si esprime la delusione dell’apostolo per l’insoddisfacente reazione dei Galati a questa iniziativa a favore dei compagni di fede.


 


PARTE TERZA


3
IL POSCRITTO 
(6,11-18)

11Vedete con che grossi caratteri vi scrivo, ora, di mia mano. 12Quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo. 13Infatti neanche gli stessi circoncisi osservano la legge, ma vogliono la vostra circoncisione per trarre vanto dalla vostra carne. 14Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. 15Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. 16E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. 17D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo.
18La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.

Questa chiusura si discosta dalla conclusione delle altre lettere paoline. Infatti, invece di presentare i soliti saluti personali, Paolo torna a parlare dei suoi avversari (6,12-13) e della sua presa di posizione personale nel problema della circoncisione (6,14-17), con la preghiera conclusiva di non dargli più preoccupazioni in avvenire (6,17). "Le frasi sono come brusche sottolineature finali che in breve ridestano ancora una volta l’intero dibattito" (Schlier). Il v.18 chiude con un brevissimo augurio.

v. 11. "La grafia in caratteri grandi vuol far colpo e sottolineare il contenuto delle parole" (Schlier). "Scrivendo queste ultime righe di propria mano, Paolo ha voluto insistere personalmente sull’avvertimento apostolico che la sua lettera recava ai Galati" (Bonnard). "Catone scriveva con caratteri grandi affinché il ragazzo potesse leggerli, Paolo affinché le sue parole facessero maggior impressione" (Almquist). Proprio l’annotazione fatta di proprio pugno distingue la mano dell’apostolo da quella del segretario. In queste poche righe Paolo stende un sommario conclusivo di tutte le parti precedenti della lettera, al quale poi nel v.17 viene aggiunta dall’apostolo ancora un’osservazione del tutto personale e quasi sorprendente.

v. 12. La pretesa della circoncisione che gli avversari accampano nei confronti dei Galati, secondo Paolo nasce dal desiderio "di fare bella figura nella carne". Ma soprattutto cercano di costringere i Galati alla circoncisione per una precisa intenzione: "Vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a motivo della croce di Cristo". Ma da parte di chi sono perseguitati i giudeocristiani? Questa domanda rimane senza risposta. Forse Paolo attribuisce ai suoi avversari l’intento di esigere la circoncisione al fine di potersi sottrarre a una persecuzione dei giudei. Però di fatto non si può intravedere una persecuzione in atto né abbiamo notizia che sia avvenuta in seguito.

v. 13. Si potrebbe credere che agli avversari sta a cuore la legge; ma in realtà proprio loro, benché siano circoncisi, non osservano la legge. Paolo dice che i suoi avversari vogliono circoncidere i Galati per un piano tattico: farsi dei simpatizzanti presso i giudei e quindi non venire perseguitati da loro. Come prova dei loro successi essi possono mostrare la carne di coloro che essi hanno persuaso a farsi circoncidere.

v. 14. Mentre gli avversari di Paolo vogliono trovare vanto nella carne degli etnicocristiani circoncisi, Paolo si vanta solamente della croce del Signore Gesù Cristo. Mediante questa croce per Paolo il mondo è crocifisso cioè ucciso, morto. Questo mondo è ben preciso e determinato: è il mondo della carne, della legge, del peccato e della morte, che sta in contrasto con la nuova creazione (v.15) e che da essa è stato eliminato. Qui per mondo si intende il vecchio mondo visto come spazio e potenza del male. La croce di Cristo ha inferto al mondo antico il colpo mortale. E di conseguenza Paolo è un crocifisso, cioè un morto nei confronti di questo vecchio mondo del male, e per sempre (perfetto estàurotai). Fin dal battesimo Paolo è crocefisso insieme con Cristo (2,19). Secondo Gal 5,24 quelli che appartengono a Cristo hanno crocefisso la carne insieme alle passioni e alle concupiscenze. Ora Cristo, la nuova creazione in persona, vive in Paolo (2,20) cosicché il mondo della vecchia creazione è morto per sempre per lui. Ciò comporta delle conseguenze di cui l’apostolo rende consapevoli nel v. seguente.

v. 15. "Infatti né la circoncisione né l’incirconcisione vale qualcosa, ma una nuova creazione". Le cose che appartengono al mondo vecchio hanno perso completamente il loro valore e la loro importanza. "Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove" (2Cor 5,17). Per mezzo del battesimo si ha la nuova creazione in Cristo (Gal 3,27-28; 2Cor 5,17), nel quale le antiche vie di salvezza dell’umanità non possiedono più valore alcuno. Quindi non ha più senso vantarsi di esse. L’unico oggetto di vanto legittimo ora è soltanto la croce di Gesù, per mezzo della quale il mondo, e ciò che per esso è importante, è stato crocifisso, ossia è morto, ha perso totalmente valore.

v. 16. La "norma" a cui in precedenza il modo di vivere si conformava era il mondo stesso e in esso, dal punto di vista di Paolo, specialmente la legge. Ora la "norma" a cui deve conformarsi la vita dei battezzati è la "nuova creazione" (v.15) con tutto ciò che soltanto in essa ha valore. Sulla base di 5, 25 si può anche dire: la nuova norma è lo Spirito, nel quale soprattutto si manifesta la nuova creazione, l’esistenza escatologica. "A tutti coloro che si conformeranno a questa norma, pace e misericordia verranno su di loro". I destinatari di questa promessa sono primariamente i Galati, poi l’Israele di Dio. L’apostolo invoca la salvezza anche sul suo popolo. Poiché nella lettera ai Galati dichiara superata la via della legge, che il giudaismo percorre ancora, egli raccomanda Israele alla misericordia di Dio. Così in Gal 6,16 l’apostolo allude precisamente a ciò che espliciterà poi in Rm 9-11. Paolo non ha mai dimenticato il suo popolo.

v. 17. Le molestie e i fastidi di cui Paolo parla sono tutte le preoccupazioni apostoliche che gli eventi in Galazia gli provocano e delle quali la sua lettera offre una testimonianza così impressionante. A tale richiesta egli dà una motivazione tutta particolare: "infatti io porto nel mio corpo le stigmate di Gesù". Le stigmate indicano le cicatrici prodotte dai maltrattamenti a cui Paolo è andato soggetto durante le persecuzioni. "Forse esse provengono da una persecuzione, durante la quale Paolo dovette subire la flagellazione giudaica dei ‘quaranta colpi meno uno’. Questo genere atroce di punizione, che non di rado finiva con la morte del punito, era quanto mai adatto a lasciare sul corpo dell’apostolo cicatrici così gravi, da far risultare veramente appropriato il paragone con le ferite mortali di Gesù" (Borse). Il Borse pensa più precisamente alle tribolazioni sofferte da Paolo in Asia, di cui egli riferisce in 2Cor 1,18 ss. Queste cicatrici sono un motivo sufficiente perché Paolo possa scrivere ai Galati di non dargli più nessuna noia, perché esse sono la prova più convincente, visibile a tutti, che mostra al fianco di chi sta l’apostolo e chi sta al fianco dell’apostolo: Gesù stesso. Le cicatrici doloranti sul corpo di Paolo mettono a tacere tutte le obiezioni a suo carico. I suoi avversari non hanno stigmate come queste, il loro corpo non è segnato dalla croce di Gesù. Essi si vantano della carne circoncisa, Paolo invece della croce di Gesù.

v. 18. Senza aggiungere altro, Paolo conclude con la benedizione apostolica. Egli augura che la grazia del Signore Gesù Cristo sia con lo spirito dei Galati, e con ciò, volontariamente o involontariamente, riesprime molto in breve, nell’augurio benedicente e conclusivo della lettera, l’intendimento teologico di essa: è la grazia di Gesù Cristo, l’unica che può giustificare, che Paolo augura a questi suoi fedeli. Nel fare ciò li chiama "fratelli", il che di solito non accade nel saluto di benedizione. I Galati devono sapere che Paolo, ora come prima, nonostante le preoccupazioni che essi gli hanno dato (6,7), li considera suoi diletti fratelli: egli non li ha ripudiati. Infine Paolo chiude la sua lettera ai Galati con un "amen", che si ritrova solo in Rm 15,33 e 16,27. Esso ha il significato di un’autoconferma e di un suggello di ciò che l’apostolo ha scritto alle comunità della Galazia con tanta energia apostolica e teologica. Ma esprime anche la speranza che queste comunità ripetano anch’esse tale "amen" ad alta voce e con totale adesione, quando la lettera verrà loro letta dagli anziani. Esso infine esprime la sicura fiducia dell’apostolo che la grazia del Signore Gesù Cristo trionfi nei cuori dei Galati.

 Amen.

     



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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