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Una provocazione ma anche uno studio sulla scelta di Paolo VI per la messa moderna

Ultimo Aggiornamento: 16/05/2019 22:51
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14/10/2017 22:23
 
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DI DON ANTONY CEKADA DALLA RIVISTA SODALITIUM, 51- 2000.


La Fraternità San Pio X e una leggenda popolare tra i tradizionalisti.

La maggior parte dei cattolici che abbandonano la Nuova Messa lo fanno perché la trovano cattiva, irrispettosa o non-cattolica.
Istintivamente, tuttavia, il cattolico sa che la Chiesa di Gesù Cristo non può darci qualcosa di dannoso, perché in tal caso la Chiesa ci condurrebbe all’inferno piuttosto che in cielo.
Infatti i teologi cattolici insegnano che le leggi universali che riguardano la disciplina della Chiesa, a cui appartengono le leggi che regolano la sacra liturgia, sono infallibili. Ecco una spiegazione classica del teologo Hermann: “La Chiesa è infallibile nella sua disciplina universale. Con l’espressione disciplina universale si intendono le leggi e gli usi che appartengono all’ordine esterno di tutta la Chiesa. Si tratta qui di tutto ciò che concerne il culto esterno, come la liturgia e le rubriche, o la amministrazione dei sacramenti...
Se [la Chiesa] fosse capace di consigliare, ordinare o tollerare nella sua disciplina qualcosa contro la fede e la morale, o qualcosa che possa nuocere alla Chiesa stessa o ai fedeli, essa si allontanerebbe dalla sua missione divina, il che è impossibile”. (1)
Il cattolico si trova quindi, prima o poi, di fronte ad un dilemma: la Nuova Messa è cattiva, ma si presume che coloro che ci hanno ordinato di assistervi (Paolo VI e i suoi successori), fossero investiti dell’autorità stessa di Gesù Cristo. Che fare dunque? Accettare un male per obbedienza all’autorità, o rifiutare l’autorità a causa del male che ci ordina di fare? Scegliere il sacrilegio, o scegliere lo scisma?
Come può un cattolico risolvere questo apparente dilemma, cioè che l’autorità della Chiesa possa comandare di fare il male?
Nel corso di questi anni soltanto due spiegazioni, in sostanza, sono state proposte:

1. Paolo VI, che promulgò la Nuova Messa, perse l’autorità papale.
Lo si prova in questo modo: se riconosciamo che la Nuova Messa è cattiva, o nociva alle anime, o che distrugge la fede, allora riconosciamo implicitamente un’altra cosa: che Paolo VI, che promulgò (impose) quel rito cattivo nel 1969, quando lo fece non poteva essere investito della vera autorità nella Chiesa. Egli aveva in un modo o nell’altro perso l’autorità papale, se mai l’aveva posseduta prima.
Come può essere successo? Secondo l’insegnamento di almeno due papi (Innocenzo III e Paolo IV) e di quasi tutti i canonisti e teologi cattolici, la perdita della fede causa automaticamente la perdita dell’autorità pontificia.
Secondo questa tesi il carattere cattivo della Nuova Messa è come una freccia luminosa e gigantesca puntata verso i papi posteriori al Vaticano II, e sulla quale lampeggerebbe il seguente Messaggio: “Nessuna autorità papale. Hanno abbandonato la fede cattolica”
  • .

    2. Paolo VI possedeva l’autorità papale ma non promulgò la Nuova Messa legalmente.
    Secondo questa posizione, Paolo VI non rispettò esattamente le procedure legali quando promulgò la Nuova Messa. Di conseguenza, la Nuova Messa, non è in realtà una legge universale, e noi quindi non siamo tenuti ad obbedire alla legislazione che presumibilmente l’ha imposta; così l’infallibilità della Chiesa è “salva”. Questa teoria era molto diffusa nel movimento tradizionalista fin dai suoi inizi, negli anni sessanta.
    La tesi, bisogna riconoscerlo, è di quelle che cercano di “salvare capra e cavoli”. Essa permette di “riconoscere” il Papa ma d’ignorare le sue leggi, di denunciare la sua Nuova Messa e di conservare quella vecchia. Dà alle anime semplici, che temono lo scisma, la sicurezza di essere ancora, malgrado le apparenze, “fedeli al Santo Padre”.
    Ho esaminato la prima posizione nel mio studio Tradizionalisti, l’Infallibilità e il Papa. (2) Qui tratterò della seconda posizione, e metterò in evidenza le grosse difficoltà che essa presenta rispetto alla logica, all’autorità della Chiesa e al diritto canonico.

    La Fraternità sacerdotale San Pio X e la teoria della “promulgazione illegale”


    Molti cattolici aderiscono alla posizione secondo la quale la Nuova Messa fu promulgata illegalmente, ma il maggior numero dei sostenitori si trova fra i membri e i simpatizzanti della Fraternità sacerdotale San Pio X (FSSPX) di monsignor Marcel Lefebvre.
    Questa teoria corrisponde esattamente a quello che si può definire come il concetto giansenista-gallicano della Fraternità circa il papato: il Papa viene “riconosciuto” ma le sue leggi e i suoi insegnamenti devono essere “passati al setaccio”. Così voi conservate i vantaggi sentimentali di avere teoricamente un Papa, ma nessuno degli inconvenienti pratici di dovergli obbedire.
    (Durante tutti questi anni, il fascino emotivo che questa posizione ha esercitato sui laici, ha costituito per la FSSPX un’inesauribile miniera d’oro. Questa vecchia gallina gallicana depone davvero uova d’oro).

    Gli argomenti abituali

    Per spiegare la seconda posizione, ci riportiamo quindi a due articoli dell’ex superiore del distretto della Fraternità per gli Stati Uniti, il reverendo François Laisney.
    Il reverendo Laisnay definisce la Nuova Messa “cattiva in se stessa” (3), e pericolosa per la fede cattolica (4). Egli riconosce, in linea di massima, il principio sul quale si fonda la prima posizione, cioè che la Chiesa non può promulgare una legge universale che sia cattiva o dannosa per le anime.
    Ma, afferma, “nella promulgazione della Nuova Messa non era impegnata in pieno l’autorità papale” (5) e “Papa Paolo VI non obbligò ad adottare la [Nuova] Messa, ma la permise soltanto... Non vi è nessun ordine, obbligo o precetto chiaro che l’impone ad ogni sacerdote!” (6).
    Egli sostiene i seguenti argomenti, che sono tipici di quelli che sostengono questa posizione, contro la promulgazione illegale della Nuova Messa da parte di Paolo VI:
    “Il Novus Ordo Missæ non è stato promulgato dalla Sacra Congregazione dei Riti secondo la procedura canonica corretta”.
    “Negli Acta Apostolicæ Sedis (l’organo ufficiale della Chiesa Cattolica che annuncia le nuove leggi per tutta la Chiesa) non appare nessun decreto della Sacra Congregazione dei Riti che imponga la Nuova Messa”.
    Nelle edizioni successive della Nuova Messa, [quel decreto del 1969] è sostituito da un secondo decreto (26 Marzo 1970) che si limita a permettere l’uso della Nuova Messa. Questo secondo decreto, che permette soltanto il suo uso, senza renderlo obbligatorio, figura negli Acta Apostolicæ Sedis.
    Una Nota del 1971 della Congregazione per il Culto Divino concernente la Nuova Messa, dice che “non si può trovare in questo testo nessuna proibizione esplicita per nessun sacerdote di celebrare la Messa tradizionale, né alcun obbligo di celebrare esclusivamente la Nuova Messa”.
    Un’altra Nota del 1974, dice il reverendo Laisney, impone sì un obbligo, ma non appare negli Acta, e non dice che Paolo VI l’abbia approvata, per cui non ha forza cogente.
    - La caratteristica di queste riforme è la loro “confusa legislazione”. “È Proprio in questo che si vede l’assistenza dello Spirito Santo nella Chiesa, che non ha permesso che i modernisti promulgassero le loro riforme correttamente, con una perfetta forza legale”.
    Don Laisnay presenta quindi la sua conclusione: “Il Novus Ordo Missæ è stato promulgato da papa Paolo VI con un tale numero di irregolarità - in particolare l’assenza totale dei termini giuridici corretti necessari per obbligare tutti i sacerdoti e i fedeli - che non si può affermare che esso sia coperto dall’infallibilità di cui gode il Papa nelle leggi universali” (7).
    Per valutare le affermazioni di don Laisney, noi daremo per scontato, come fa lui, il fatto che Paolo VI fosse realmente un vero Papa e che, come tale, fosse investito della piena potestà legislativa sulla Chiesa. Questo ci permetterà di costringere il Reverendo a tener conto dei criteri oggettivi, tratti dal diritto canonico, che ne conseguono a partire da questa tesi.
    Dimostreremo allora, esaminando i principi generali del diritto canonico e i testi legislativi specifici alla questione, che gli argomenti e le conclusioni del reverendo Laisney sono falsi su ogni punto.

    Che cosa è la “Promulgazione”?

    “Promulgare” una legge significa nient’altro che annunciarla pubblicamente.
    L’essenza della promulgazione è di far conoscere pubblicamente una legge alla comunità, o da parte dello stesso legislatore o sotto la sua autorità, cosicché la volontà del legislatore d’imporre un’obbligo venga ad essere conosciuta dai soggetti (8).
    Il Codice di Diritto Canonico dice semplicemente: “Le leggi emanate dalla Santa Sede sono promulgate a partire dalla loro pubblicazione nella raccolta ufficiale degli Acta Apostolicæ Sedis, salvo che in casi particolari sia prescritto un altro modo di promulgazione” (9).
    Questo è tutto quello che il Codice prescrive, e che è sufficiente per far conoscere la volontà del legislatore, cioè il Papa.
    A meno che un’altra disposizione sia stata espressa in una legge particolare, una legge diventa effettiva (e obbligatoria) tre mesi dopo la data di pubblicazione ufficiale negli Acta (10). Il periodo intermedio prima dell’entrata in vigore si chiama vacatio legis.

    Un Decreto che non esiste?

    La Nuova Messa (Novus Ordo Missæ) è apparsa poco a poco.
    Il Vaticano per prima cosa pubblicò il nuovo Ordinario in un libretto del 1969, insieme all’Istruzione Generale sul Messale Romano (una prefazione che precisa la dottrina e le rubriche) (11).
    All’inizio di questo libretto appare la lunga Costituzione Apostolica sulla Nuova Messa, Missale Romanum, di Paolo VI, e il 6 aprile 1969 il decreto Ordine Missæ della Sacra Congregazione dei Riti (Consilium). Questo decreto, a firma del Cardinale Benno Gut, afferma che Paolo VI approvò l’allegato Ordinario della Messa, e che la Congregazione l’aveva promulgato per speciale mandato del Papa. Esso stabilisce il 30 novembre 1969 come data di entrata in vigore della legge.
    Tuttavia, per delle ragioni sconosciute, questo decreto non venne mai pubblicato negli Acta. E così don Laisney e moltissimi altri sostengono che questa omissione significa che la Nuova Messa non è stata mai “debitamente promulgata” e quindi non obbliga nessuno.
    Ma la tesi che si fonda su questa svista burocratica è improponibile. Nel diritto canonico il punto chiave riguardo alla promulgazione di qualsiasi legge sta nella volontà del legislatore. In questo caso, manifestò Paolo VI la volontà di imporre ai suoi soggetti un obbligo (cioè la Nuova Messa)? E lo fece, per di più, negli Acta?

    La Costituzione Apostolica di Paolo VI

    È facile rispondere a questa domanda. Negli Acta Apostolicæ Sedis del 30 aprile 1969 troviamo la Costituzione Apostolica Missale Romanum, che porta la firma di Paolo VI. È intitolata: “Costituzione Apostolica. Per la quale il Messale Romano, restaurato con decreto del Concilio Ecumenico Vaticano II, viene promulgato. Paolo, Vescovo, Servo dei Servi di Dio, a Perpetua Memoria” (12).
    La legge rispetta, ovviamente, la semplice norma canonica per la promulgazione. Il Legislatore Supremo non ha bisogno del Decreto di un Cardinale perché la sua legge abbia effetto. La Nuova Messa è promulgata, e la legge è obbligatoria.
    Inoltre nel testo della Costituzione, Paolo VI mostra ben chiaramente che la sua volontà è di imporre l’obbligo di una legge ai soggetti. Da notare in particolare il suo linguaggio nei passaggi seguenti.
    L’Istruzione Generale che precede il Nuovo Ordinario della Messa “impone nuove norme per celebrare il sacrificio Eucaristico” (13).
    “Abbiamo decretato che tre nuovi Canoni siano aggiunti a questa Preghiera [il Canone Romano]” (14).
    “Abbiamo ordinato che le parole di Nostro Signore siano un’unica e stessa formula in ciascun Canone” (15).
    “E così è Nostra volontà che queste parole siano dette in questo modo in ogni Preghiera Eucaristica” (16).
    “Tutte le cose che abbiamo prescritte con questa Nostra Costituzione, cominceranno ad avere effetto dal 30 novembre di quest’anno” (17).
    “È nostra volontà che queste leggi e prescrizioni siano ora e in futuro stabili ed effettive” (18).
    I termini canonici latini che un Papa impiega abitualmente per fare una legge, sono tutti presenti qui: normæ, præscripta, statuta, proponimus, statuimus, jussimus, volumus, præscripsimus, ecc.

    Gli stessi termini usati nella Quo Primum

    Questo linguaggio è importante per un’altra ragione: alcune di quelle parole appaiono anche nella Quo primum, la Bolla del 1570 con cui il Papa san Pio V promulgava il Messale Tridentino.
    Il rev. Laisney, come molti altri, pretende che la legge di Paolo VI non impose un obbligo; piuttosto Paolo VI “presentò” o “permise” semplicemente la Nuova Messa (19).
    Questo è falso. Sia Quo Primum che Paolo VI usano gli stessi termini “legislativi” nei passaggi chiave: norma, statuimus e volumus.
    Il canonista benedettino Oppenheim dice che questi sono termini “precettivi” che “indicano chiaramente un obbligo stretto” (20).
    Se questo tipo di parole ha reso obbligatoria la Quo Primum di Pio V, produce lo stesso effetto per il Missale Romanum di Paolo VI.

    “È nostra volontà...”

    Abbiamo citato più sopra il seguente passaggio com prova che Paolo VI intendeva promulgare una legge che obbligasse i suoi sudditi:
    “È nostra volontà [volumus] che queste leggi e prescrizioni siano, ora e in futuro, stabili ed effettive” (21).
    Le prime traduzioni in inglese rendevano il verbo latino volumus con “Noi desideriamo che”. Alcuni sacerdoti e scrittori ne arguirono che Paolo VI avesse solo un vago “desiderio” che i cattolici usassero la Nuova Messa, e che egli avesse tuttalpiù espresso un pio augurio.
    Ma nella Quo Primum S. Pio V usa gli stessi identici verbi per imporre la Messa tridentina:
    “È nostra volontà [volumus] poi - e lo decretiamo con la stessa autorità - che dopo la pubblicazione di questa nostra Costituzione e del Messale, i sacerdoti della Curia romana... siano obbligati a cantare o a leggere la Messa secondo questo Messale” (22).
    In entrambi i casi il verbo volumus esprime l’essenza della legislazione della Chiesa: la volontà del legislatore di imporre un obbligo ai suoi sudditi (23).

    Paolo VI abroga Quo Primum

    Il rev. Laisney tira fuori un’altra frottola (24): si tratta della favola secondo la quale Paolo VI non avrebbe abrogato (revocato) la bolla Quo Primum di san Pio V (25).
    I sostenitori di questa posizione citano talvolta un passaggio del Codice che stabilisce che “una legge più recente, emanata dall’autorità competente, abroga la legge precedente se l’abrogazione è espressa esplicitamente” (26).

    L’argomento è dunque che Paolo VI non menzionò Quo Primum per nome, quindi non l’abrogò esplicitamente. Quo primum, di conseguenza, non ha mai perso la sua forza di legge, e noi siamo ancora liberi di celebrare la vecchia Messa (27).
    Ma i fautori di questa idea scambiano per realtà i loro desideri. Nella norma citata sopra, esplicitamente non significa solo “nominatamente” (28). Un legislatore può revocare “esplicitamente” una legge in un altro modo - ed è quello che succede qui, quando Paolo VI, dopo aver dichiarato il suo volumus alla Nuova Messa, aggiunse la clausola seguente: “Nonostante, nella misura necessaria, le Costituzioni Apostoliche e le ordinanze dei Nostri Predecessori, e le altre prescrizioni, anche quelle degne di speciale menzione o emendamento” (29).
    Questa clausola abroga esplicitamente Quo Primum.
    Prima di tutto la bolla Quo Primum rientra fra gli atti pontifici più solenni, come la Costituzione Papale o Apostolica (30). E nel passaggio tratto dalla Costituzione Apostolica di Paolo VI, egli revoca precisamente le “Costituzioni Apostoliche” dei suoi predecessori.
    In secondo luogo, per abrogare esplicitamente una legge, un Papa non ha bisogno di citarla nominatamente. Secondo il canonista Cicognani, c’è abrogazione esplicita anche se il legislatore inserisce “delle clausole abrogative o derogative, come è abituale nei decreti, rescritti, e altri atti pontifici: nonostante qualsiasi cosa in contrario, nonostante qualsiasi cosa in contrario di qualunque genere, per quanto degne di una menzione speciale” (31).
    Paolo VI, in altre parole, usò l’esatto tipo di linguaggio richiesto per abrogare esplicitamente una legge precedente.
    E facendo questo, Paolo VI usò ancora alcune delle stesse frasi usate da S. Pio V nella Quo Primum per revocare le leggi liturgiche dei suoi precedessori: “Nonostante le precedenti costituzioni Apostoliche e ordinanze… e qualunque legge e consuetudine contraria vi possa essere” (32).
    Ancora una volta, se questo linguaggio valeva nel 1570, vale anche nel 1969 (33).
    Alla luce di quanto sopra, non è possibile continuare a sostenere la leggenda secondo la quale la legge di Paolo VI non abrogò esplicitamente Quo primum.
    Quanto alle altre opinioni errate che circolano sulla Quo Primum, saranno trattate in un prossimo articolo. 

    Conclusione evidente

    Paolo VI pone qui una legge. Tutto lo dimostra in modo chiaro: il linguaggio legislativo tecnico, l’enumerazione di leggi specifiche, il fissare una data di entrata in vigore, il linguaggio che revoca le Costituzioni Apostoliche dei suoi predecessori, e l’espressione esplicita del legislatore indicante la sua volontà di imporre queste leggi.
    Tutto questo don Laisney non lo capisce. “Non c’è, egli dice, un ordine chiaro, un comando, o un precetto che lo renda obbligatorio per tutti i sacerdoti”, e aggiunge che Paolo VI “non dice” quello che un sacerdote deve fare alla data di entrata in vigore della legge (34).
    Ebbene, se il linguaggio della Costituzione di Paolo VI non è abbastanza “chiaro”, riferiamoci all’ulteriore legislazione pubblicata negli Acta Apostolicæ Sedis.
    Ancora una volta Paolo VI manifesta chiaramente la sua volontà, non solo di imporre la sua Nuova Messa, ma anche di proibire specificatamente il vecchio rito. 

    L’Istruzione dell’ottobre 1969

    L’Istruzione Constitutione Apostolica (20 ottobre 1969) porta il titolo: “Sull’applicazione progressiva della Costituzione Apostolica Missale Romanum” (35).
    Lo scopo generale del documento era di risolvere certi problemi pratici: le conferenze episcopali non erano in grado di completare la traduzione in vernacolare del nuovo rito in tempo per il 30 novembre, data che Paolo VI aveva stabilito per l’entrata in vigore della Nuova Messa.
    L’Istruzione comincia con enumerare le tre parti del nuovo Messale già approvato da Paolo VI: l’Ordo Missæ, l’Istruzione Generale e il nuovo Lezionario, e poi stabilisce: “I documenti precedenti decretarono che, a partire dal 30 novembre di quest’anno, Prima Domenica d’Avvento, siano adottati il nuovo rito e il nuovo testo” (36).
    Per far fronte ai problemi pratici che ne derivavano, la Congregazione per il Culto Divino, “con l’approvazione del Sommo Pontefice, stabilisce le regole seguenti” (37).
    Fra le diverse norme vi sono le seguenti: - “Ciascuna conferenza episcopale stabilirà anche il giorno a partire dal quale (eccetto nei casi citati ai paragrafi 19-20) diventerà obbligatorio adottare il [Nuovo] Ordinario della Messa. Tale data, tuttavia, non dovrà essere procrastinata oltre il 28 novembre 1971” (38).
    “Ciascuna conferenza episcopale stabilirà il giorno a partire dal quale sarà obbligatorio l’uso dei testi del nuovo Messale Romano (eccetto i casi indicati ai paragrafi 19-20)” (39).
    Le eccezioni valevano per i sacerdoti anziani che celebravano delle Messe in privato e che avevano incontrato delle difficoltà con i testi o i riti nuovi. Col permesso dell’Ordinario avrebbero potuto continuare a usare il vecchio rito.
    L’Istruzione terminava con la seguente dichiarazione:
    “Il 18 ottobre 1969 il Sommo Pontefice, Papa Paolo VI, approvò questa Istruzione e ordinò che diventasse legge pubblica, affinché potesse essere osservata fedelmente da tutti quelli a cui si riferisce” (40).
    Troviamo qui ancora una volta i termini “precettivi” della Chiesa che legifera; questi termini, come dice Oppenheim, indicano chiaramente un’obbligazione stretta di usare, nel nostro caso, il Nuovo Ordinario della Messa non più tardi del 28 novembre 1971.

    Il Decreto del marzo 1970

    Il Decreto Celebrationis Eucharistiæ (26 marzo 1970) è intitolato: “La nuova edizione del Messale Romano è promulgata e dichiarata editio typica” (41).
    Questo Decreto accompagnava la pubblicazione del nuovo Messale di Paolo VI, che conteneva il Nuovo Ordinario della Messa approvato precedentemente, un’Istruzione Generale riveduta e tutte le nuove Orazioni per l’intero anno liturgico.
    Anche il decreto usa il linguaggio precettivo della legislazione pontificia: “Questa Sacra Congregazione per il Culto Divino, per mandato dello stesso Sommo Pontefice, promulga questa nuova edizione del Messale Romano, fatta secondo i decreti del Vaticano II, e la dichiara edizione tipica” (42).
    C’è bisogno di ribadire ciò che è evidente? Il Nuovo Messale è la legge, per ordine di Paolo VI.

    La Notifica del giugno 1971

    La Notifica Instructione de Constitutione (14 giugno 1971) è intitolata “Sull’uso e sull’inizio dell’obbligo del nuovo Messale Romano, [del Breviario], e del Calendario” (43).
    Questa Notifica, come l’Istruzione dell’ottobre 1969, affronta alcune delle difficoltà pratiche che avevano ritardato l’attuazione della nuova legislazione liturgica.
    “Avendo attentamente considerato queste cose, la sacra Congregazione per il Culto Divino, con l’approvazione del Sommo Pontefice, pone le seguenti regole sull’uso del Messale Romano” (44).
    Essa ordina che in tutti i paesi “dal giorno in cui i testi tradotti saranno usati per le celebrazioni in lingua vernacolare, sarà permessa soltanto la forma riveduta della Messa e [del breviario], anche per coloro che continuano ad usare il Latino” (45).
    Il senso piano del testo è che deve essere usato il nuovo rito, e che il rito tradizionale è proibito; il Papa lo vuole e tutti devono obbedire.

    La Notifica dell’ottobre 1974


    Infine c’è la Notifica Conferentia Episcopalium (28 ottobre 1974) (46).
    Essa specifica ancora che quando una conferenza episcopale decreta che una traduzione del nuovo rito è obbligatoria, “la Messa, sia in Latino che in vernacolare, secondo la legge deve essere celebrata soltanto nel rito del Messale Romano promulgato il 3 aprile 1969 dall’autorità del Papa Paolo VI” (47). L’accento sulla parola “soltanto” (tantummodo) si trova nell’originale.
    Gli Ordinari devono assicurarsi che tutti i sacerdoti e i fedeli di Rito Romano “nonostante il pretesto di una qualche consuetudine, anche di lunga data, accettino rigorosamente l’Ordinario della Messa nel Messale Romano” (48).
    Ancora una volta è evidente che la Nuova Messa è stata debitamente promulgata ed è obbligatoria: non ci sono eccezioni.
    Il rev. Laisney ammette che questa Notificazione impone l’obbligo di celebrare la Nuova Messa. Tuttavia nega che abbia effetto legale perché non venne pubblicata negli Acta Apostolicæ Sedis e perché non specifica che fu ratificata dal Sommo Pontefice (49).
    Don Laisney, ahimè, ha frainteso ancora un altro principio del Codice in materia di promulgazione.
    In primo luogo, la Notifica non è una nuova legge. È quello che i canonisti definiscono una “interpretazione autorevole e dichiarativa” di una legge precedente. Essa, secondo il Codice, “indica semplicemente il significato delle parole della legge, già certe di per sé”. In tal caso “l’interpretazione non ha bisogno di essere promulgata, ed ha effetto retroattivo” (50). In altre parole, essa ha forza di legge anche senza la pubblicazione negli Acta.
    In secondo luogo, anche se strettamente parlando, tale dichiarazione non avesse bisogno del consenso esplicito del Papa, Paolo VI approvò comunque il testo finale della notifica (51).




  • Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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