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Una provocazione ma anche uno studio sulla scelta di Paolo VI per la messa moderna

Ultimo Aggiornamento: 16/05/2019 22:51
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14/10/2017 22:40
 
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IL MANIFESTO di don Camillo

 

Il MESSALE TRIDENTINO È STATO ABROGATO? "IL NOVUS ORDO È STATO IMPOSTO ILLEGALMENTE DA PAOLO VI?" interessante studio del Reverendo don Antony Cekada. Via Media: sedevacantismo ben amministrato?

MAI ABROGATO!?

premessa di don Camillo

Il Messale in uso prima del 1970, non è stato mai abrogato (o meglio si dovrebbe parlare più di vigenza, di norma giuridica liturgiche che di Messale Tridentino tout court) . 7 Luglio 2007: Papa Benedetto XVI precisa che la forma antica del Rito Romano non è mai stata abrogata, e dichiara che essa, «per il suo uso venerabile e antico»dev'essere tenuta da tutti «nel debito onore». Ma se il Messale Ordinario per la Chiesa fino al 1970 (che ora è Straordinario) non è stato "mai abrogato", perchè il Papa ha fissato una data 14 settembre 2007 affinché potesse essere di nuovo utilizzato senza la pena canonica che pesava sul sacerdote che utilizzava il Messale Tridentino, che in realtà non è stato mai abrogato?  E poi, Benedetto XVI dichiara solennemente che non è stato abrogato, ma come spiegarlo al Papa Paolo VI che in più riprese ha detto che in realtà è stato abrogato? Come interpretare questa sua dichiarazione, per esempio, con la famosa allocuzione al Concistoro Segreto del 24 maggio 1976 secondo la quale il Papa Paolo VI afferma: «Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II», e rafforza questa affermazione precisando che: «L’adozione del nuovo “Ordo Missae” non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo.»?
Chi ha ragione Paolo VI o Benedetto XVI? Di per se Benedetto XVI dichiara il "non abrogato" ma non dimostra la sua non abrogazione. Sembra un po' come coloro che dichiarano i Documenti dell'ultimo Concilio in continuità con i precedenti (ma che in realtà non lo sono) ma non si dimostrano con documenti alla mano. Dichiarare la non abrogazione presuppone che il Papa Paolo VI non fosse Papa, e non fosse in grado di legiferare. Prima di leggere l'interessante studio del rev.don Antony Cekada vorrei fare una premessa che spero non vi annoi.


 
Vorrei sempre che d'ora in avanti si tenesse valido questo principio di analisi scientifica. Quando si parla di validità di un rito, di un sacramento, di una cosa qualsiasi, io mi riferirò (e sarebbe bene che anche i credenti vi si riferissero così) a tali concetti, in termini di coerenza interna, e non in termini di verità ontologica o di fede personale. Infatti ritengo che sia indispensabile, per un qualsivoglia approccio scientifico alla materia, anzitutto scindere quello che è il dato personale-privato. Credere o non credere, stimare o non stimare, avere simpatia o antipatia per qualsiasi argomento, non deve pregiudicare l'indifferenza metodologica nei confronti dell'analisi dell'argomento medesimo. Sostenere (per fare un esempio), che la Messa nuova sia invalida, perché ad uno non piace, è una idiozia. Sia perché si proietta quello che è un dato personale-privato, che è ininfluente ai fini della determinazione di una realtà che sussiste in sè, e non mediante colui che la pensa, sia perché fondamentalmente la realtà ontologica non è dimostrabile.

Questo è fondamentale da considerare (e da tenere presente per tutte le volte che si parlerà di Dio, di grazia, di validità, di efficacia, e di tutte quelle belle cose invisibili che non si sa se esistono oppure no, e se agiscono, non si sa dove, come e quando): non è possibile discettare sulla validità di un sacramento o l'efficacia di una grazia, se non in termini di coerenza interna con il sistema/paradigma di riferimento. Cioè dire, "secondo i criteri, le norme, i principi, le regole, della religione, se sussistono tali condizioni, SI DICE che avvengano tali effetti". Lo dico perchè potrà essere che per brevità, in futuro possa parlare con un linguaggio semplificato su sacramenti validi, Presenza Reale, e cose di questo tipo. Peraltro è un criterio che consiglierei anche ad un certo tipo di Tradizionalismo che ama parlare di "Messe invalide" per mancanze di "intenzioni", come prassi, nell'ambito del rito nuovo (ossia sempre, in pratica). 
 
Non è materialmente (umanamente) possibile stabilire se un'ostia è abitata dalla divinità o meno, nè distinguerla da un'ostia di semplice pane, nè prima, nè durante, nè dopo la consacrazione. Dio non si vede. Non si vede nè con il rito vecchio, nè con il rito nuovo. Pertanto, se è vero che uno può dire che in teoria, secondo i criteri di coerenza interna, qualora manchi l'intenzione del ministro, il sacramento non si produce, non è possibile in nessun modo stabilire dove, come e quando questa fattispecie si realizzi. Sicuramente, va considerata risibile la pretesa di immunizzarsi dal difetto di intenzione, bisbigliando SOLO prima della "prima Messa" una formula di "intenzione per tutte le Messe a venire". 
 
Tale mente riflette una mentalità giuridicista tipicamente degenerata. Il tridentinismo è vittima di una visione giuridicista fortemente farisaica, e non ho problemi ad affermare che tale visione, deriva in qualche modo dal tomismo. Infatti la scolastica in sè, è un modo sano di usare la ragione e di addivenire ad un sapere metafisico che sia complementare al sapere fisico. Purtroppo però ingenera spiacevolmente una tentazione razionalista, ossia di riuscire a inquadrare tutta la realtà incasellandola in una, due, tre, cento, mille, centomila, centomilamilioni di categorie. Purtroppo non è possibile avere questo dominio totalizzante sul reale, perchè qualche aspetto comunque sfuggirà. Tuttavia, il razionalismo, come forma mentis degenerata, prende le mosse dalla scolastica, e con la sua mania di voler definire e regolare tutto, dà origine da un lato, al giuridicismo ; dall'altro dà origine all'illuminismo, e a Kant, giacchè è proprio la perdita di vista del principio base della metafisica (esiste una realtà spirituale, e lo spirito è MISTERIOSO e come tale va considerato, SACRALE) ha lasciato scoperto un metodo nudo e crudo. Se tutto si può misurare e incasellare, se anche lo spirito può essere incasellato, allora lo spirito viene sottovalutato, parificato concettualmente a tutte le altre eventualità, ridotto a norma, a rubrica, a un Dio che esegue gli ordini riportati sul libro, che appare laddove il prete dica le determinate parole, sapendo che mentre si occlude la M di "meuM" esso è presente, mentre se si sta finendo di pronunziare la U, allora esso è assente.

E ne ho sentiti fare di ragionamenti in questa maniera. Ebbene, essere a questi livelli, significa essere già assolutamente kantiani. Che ha poi fatto Kant? Ha detto liberamente che lo spirito non può essere conosciuto, ossia ha scoperto l'acqua calda, ha detto che il re era nudo: i cattolici si rifiutavano già da secoli di conoscere lo spirito, giacché per "conoscerlo" lo avevano razionalizzato. Tuttavia mantenevano l'ipocrisia di chiamare il tutto "metafisica". Giustamente Kant riordina il tutto, e da Kant viene Hegel e da Hegel Marx. E così si scopre che Marx è l'ultimo anello che ci lega a san Tommaso. Non devono storcere il naso quelli che non vedono cosa c'entri Marx con il pensiero europeo ed occidentale. E' invece semplicemente il punto d'arrivo di questo pensiero degenerato, cui i certi cattolici con le loro manfrine hanno aperto la strada.
 
Non dovrebbe affatto stupire questo, perchè semplicemente è questione di tempi. L'immanentismo evolve, e se uno è metafisicamente immanentista, come questi scolastici che SANNO se una Messa è valida o invalida, perchè nei loro cervellini le regolette tric e trac hanno determinato l'onnicomprensività del reale e nulla vi sfugge, sarà poi solo questione di tempo, come è avvenuto anche per gli altri a suo tempo. E se sembra inverosimile che possa avvenire questo ricorso storico, dato che uno dice "ma già è successo storicamente questo fatto, ovviamente non si può ripetere l'errore, dato che essi esistono proprio come reazione all'errore", posso gaiamente fare l'esempio dei tradizionalisti (generici) che esistono per reagire alla degenerazione, alla sperimentazione, alla innovazione della liturgia che è avvenuta inquinando il Messale tridentino negli anni 50-60, e ora intendono andare avanti con la loro fede, facendo con 50 anni di ritardo quello che Bugnini aveva già fatto nei tempi corretti, ossia innovare il Messale vecchio, con aggiunte, sperimentazioni, reciproche fecondazioni, ecc.
 
Pertanto, si dica che una Messa in cui manchi l'intenzione prossima, è a rischio secondo le regole, ma non si osi dire di più, perchè nessuno ha l'intenzionometro, l'ostiometro e altri strumenti che sarebbero necessari per verificare se la grazia si produce o meno. Anche perchè ben credo che per ciò che potrebbe mancare supplisca comunque l'intenzione generale della Chiesa. Ecco.
 
Gli articoli che propongo sono di sedevacantisti, questo non significa che io li condivida. Condivido l'analisi, ma escludendo ciò che riguarda il sedevacantismo. Ritengo che il difetto del sedevacantismo, stando alla coerenza interna con la teologia cattolica, sia una esasperazione dell'infallibilità Papale (questo lo si evince bene leggendo l'articolo di Cekada), che non ha alcun senso. E' quindi un errore per eccesso che porta alla conseguenza di non avere mai Papi, essendo i Papi ideali come superomizzati, divinizzati, dunque inesistenti. Quello che deriva dall'attività speculativa dei sedevacantisti, è quindi una attenzione maniacale ai minimi errori del Papa e del Magistero, perchè trovare un errore diventa (nel loro razionalismo tomista-kantiano) il busillis che invalida la papità a monte. E' tutta una realtà che si regge su busillis e cavilli. Sono però piuttosto meticolosi, e anche precisi e per questa ragione sono in genere interessanti.
 
Di solito i sedevacantisti sono molto polemici con i "confratelli" Lefebvriani. Detto un po' alla casereccia, anche se entrambi si battono perchè ritorni in uso per tutta la Chiesa il Messale Tridentino, i sedevacantisti polemizzano con i lefevbriani perchè a dir di loro han abbandonato la purezza liturgica. I cosiddetti sedevacantisti o più propriamente quei sacerdoti che seguono la Tesi del Cassiciacum, adottano l'ultima edizione del Missale Romano propriamente integro cioè quello di San Pio V che San Pio X riformò e Pio XII editò (1952) con delle riforme legittime omogenee con il passato, che non incisero né sulla forma ne sulla sostanza.  La Fraternità dopo non poche burrasche interne adottò per compromesso l'edizione del 1962, già fortemente manomessa specie nella Settimana Santa, anche se formalmente è sempre più o meno il Messale Tridentino.
 
Ovviamente occorre distinguere il fine per cui queste critiche vengono mosse, ossia l'obiettivo dell'articolista. Se l'obiettivo prossimo è evidenziare (per ripicca assai ridicola) le contraddizioni e gli errori del gruppo rivale (la SPX), l'obiettivo remoto è quello comunque di dimostrare che la Sede è Vacante, mediante la constatazione di errori nel Magistero. Il teorema è che il Papa non può fare alcun errore, se dunque si trova anche un solo errore, si ha la dimostrazione matematica (kantiana all'amatriciana) che il Papa in realtà, poichè sbaglia, non è Papa. Se si ignora questa scemenza, allora i testi dei sedevacantisti diventano ottime fonti di consultazione (Ricossa e Cekada sono infatti due uomini di grande spessore culturale e anche speculativo).
 
Logicamente nè i sedevacantisti nè la fraternità hanno capito in cosa consiste realmente la crisi della Chiesa. Nè tanto meno i tradizionalisti o meglio i conservatori alla messainlatino.it.
 
sedevacantisti negano che possa esservi una crisi, e misconoscono il Papa, pur di non ammettere che esso è il latore della crisi. La crisi da "sedevacante" non è una vera crisi, giacchè è come se una classe facesse casino al cambio dell'ora, mentre non c'è nessun professore che guarda. Per loro semplicemente la "crisi" è l'interregno, che non essendo governato, appare caotico e sregolato, ma considerando che la normalità è avere la successione dei papi, e che i papi sono perfetti e bravissimi, non c'era crisi con l'ultimo Papa valido, e non ci sarà con il prossimo, che ripristinerà tutte le cose.
 
Lefebvriani hanno la posizione che nella pratica è la più corretta, perchè seguono la Tradizione e rifiutano le novità incompatibili con la Tradizione. Nella teoria però è la più folle, perchè per loro il Papa è comunque Papa, e come Papa è sempre quell'"infallibile" che non deve (dovrebbe) sbagliare mai. Sono cattolici come cattolici erano 60 anni fa, solo che la Chiesa non è più quella di una volta però sempre in "questa" Chiesa si riconoscono (si vogliono riconoscere) quindi, in un certo senso, secondo la teoria (la loro stessa teoria) sono talmente romani-ortodossi ma che sembrano "gallicani", giacchè rispettano formalmente il Papa disobbedendogli praticamente e scegliendo cosa seguire e cosa no del suo proprio Magistero (che per un cattolico autentico dovrebbe essere compreso e seguito senza alcuna contestazione). Da questo punto di vista sono criticabilissimi, tanto dai modernisti che dai sedevacantisti, per lo stesso motivo. Oggi (a meno di un attesta e auspicata regolamentazione, che evidenzierebbe, non solo una crisi più che evidente, ma un radicale cambio di rotta di un Papato conciliare fuori dai binari cattolici-tradizionali) in questo momento storico non viene alcuna giustificazione razionale dalla FSSPX sul come conciliare un gallicanesimo-romano-ortodosso con il cattolicesimo officiale, su come obbedire al Papa disobbedendogli. Lo dicono, come slogan, ma alla fine non c'è altra speculazione oltre alla affermazione dello slogan (e alla gente che li segue, in genere basta e avanza).
 
I modernisti (in cui si ricomprendono anche i tradizionalisti motupropriati) non ammettono che vi sia crisi, poi a seconda del grado di progressismo ammettono l'evoluzione della Chiesa come un fatto positivo, oppure sostengono che essa è solo apparente, ma in ermeneutica di continuità.
 
La realtà di oggi è che la Chiesa è (agli occhi umani che conoscono il suo passato sembra proprio)  finita, l'attuale non è più quella di prima, la religione cattolica attuale manca di coerenza interna con il suo passato, ed è da considerarsi tranquillamente una religione "diversa". Il Papa è Papa, ma non avendo altra infallibilità che quella legata alla Rivelazione, ed essendo padrone delle proprie azioni e capace di resistere alla grazia, può tranquillamente sbagliare. Non dovrebbe, perché il suo compito è quello di stare nel binario della Tradizione e farci stare anche gli altri. In passato lo hanno sempre fatto, essendo l'unica cosa che dovevano fare. Come un professore che corregge i compiti, non è infallibile se non in quanto la correttezza in sè della materia lo è. Se si fa portavoce ed espressione della fedeltà alla correttezza, sarà infallibile, altrimenti no. Generalmente i professori correggono sempre gli stessi errori e confermano sempre le stesse cose giuste, perchè si riferiscono sempre ad un unico optimum di correttezza formale. Capita comunque anche lo svarione, ma non per questo un errore del correttore, fa cambiare la materia.

Questo appare palese nell'esempio, ma per i cattolici non è palese nella loro religione. Per loro il professore che corregge in "5" il 2+2, fa veramente cambiare la realtà, rendendo vera la nuova definizione. E' il magistero Papale. Come dire: se il professore ha la penna rossa, scrive sul foglio protocollo, con l'intenzione di correggere, e volendo rendere effettiva e valida la correzione, allora si cambia la stessa matematica, poichè rispettate le condizioni, allora la sua attività definitoria diventa verità. Costruisce verità.
 
Permettetemi l'indugiare sulla polemica, certi cattolici lo dicono del Papa, giacchè guardano solo se sono rispettate le "condizioni" previste dal CVI per l'infallibilità. Con quelle quattro "regolette", sanno che Dio sta guidando il Papa, sanno cosa fa Dio, per 4 regoline: E' stupendo a che livelli possa arrivare la spocchia e la presunzione di questi finti devoti che hanno distrutto la religione con il razionalismo. Loro sanno cosa fa Dio con 4  regole se solo due si ottemperano, sanno che Dio non c'è. Se ci sono tutte, allora sanno che Dio c'è. Lo dice la LEGGE! Credo che abbiano mutuato questa visione razionalista-giuridicista dall'uso scriteriato del diritto romano. 

I romani avevano il processo formulare. Delle tabelle che rappresentavano delle fattispecie pratiche e fisse, con nomi convenzionali da cambiare usando i nomi reali. Se Tizio è nella condizione X e Caio rispetta la condizione Y, allora si verificherà automaticamente sempre e soltanto l'effetto giuridico Z. Per cui il giudizio, era più cognitivo che altro. Bisognava verificare la sussistenza delle condizioni: il giudizio era automatico, dato dalla formula. Ma i romani avevano una concezione del diritto che era comunque anche misterica, oltre che razionale. Era una forma di religiosità-magica. La visione sacrale ce l'avevano, il raziocinio era applicato per far prima. 

Usare solo criteri di riduzionismo becero e razionalista, equivale a smantellare tutta la morale, le azioni umane, ivi comprese quelle del Papa, di tutta la loro dimensione spirituale e personale. Significa arrivare a kantizzare il tomismo nella maniera più estrema. Se il Papa parla come Pastore universale, definendo, a tutta la Chiesa, una questione su fede e/o morale, allora è INFALLIBILE. E' lo stesso ragionamento, uguale, uguale, uguale. Ma qui non è in ballo la servitù d'acquedotto. Qui è in ballo la PERSONA, non una fattispecie materiale. Per cui, alle 4 regolette, si aggiungono anche il rispetto dell'intelligenza e della volontà. Forse, potremmo intendere che sono implicite nel concetto di "definire". Giacchè definire non è un atto creativo, ma delimitativo di una verità preesistente. Per cui si comprende come la verità non è creata dal Papa, ma il Papa vi si adegua, se definisce. Allora se non vuole adeguarsi, potremmo dire che non vuole "definire". Ma come lo spiegheremo quando dirà novità astruse usando il verbo "definisco"? 
 
Bisogna abituarsi a evitare il ricorso alle sole condizioni, ma ragionare sempre tenendo conto del fatto che l'atto è anche un atto aperto alla sua spirituale personalità. Quindi più complesso, e tutto sommato indecifrabile con criteri oggettivi. Se però la verità è preesistente, ed è legata alla rivelazione, essendo la Tradizione e la Scrittura le DUE FONTI della Rivelazione (il Magistero NON E' UNA FONTE, ma è il veicolo della Tradizione, quindi è subordinato ad essa), esse saranno sempre il tornasole della bontà del magistero. Come si può sgamare il professore che corregge sbagliato, così si può sgamare il Papa che insegna sbagliato. Ma solo se uno ha un corretto ordine di idee sul Magistero, la Rivelazione, l'Infallibilità, il Primato. Detto questo se uno dice "disobbedire al Papa che ha sempre ragione è peccato", allora è uno po' sciocco. Se poi, oltre a dirlo, disobbedisce anche, è del tutto sciocco.
 
La crisi è quindi data dalla guida "cattiva" della Chiesa, non dalla non guida, o dall'incomprensione degli altri. La guida cattiva produce però (ha prodotto) una realtà ulteriore alla Chiesa di sempre e alla religione di sempre. La guida cattiva che si sa essere tale, si blocca nei fedeli tramite il ricorso alla Tradizione, che è anticorpo per le novità sbagliate. La disobbedienza essendo l'obbedienza subordinata alla verità, non è quindi reale. Anzi, è necessaria. La guida cattiva invece si risolve solo mediante il subentrare di una guida buona. Questo però considerando il cambio di religione avvenuto, il cambio di mentalità di tutti, il cambio di opinione comune riguardo a cose che vengono sempre più date per scontato (diritti della donna? ebrei? libertà di coscienza? libertà di religione? libertà politica? Sacra Scrittura demitizzabile? equivalenza delle religioni? collegilismo? ecc.), il cambio dell'insegnamento nelle Università e nei seminari con il conseguente cambio generazionale. I nuovi cattolici sono formati alla nuova religione, la Tradizione sembra irrimediabilmente interrotta. In queste condizioni è possibile realisticamente che vada su una guida sana? guardando oggi il collegio cardinalizio, se non fossi radicato fermamente nella Fede e nella Speranza cristiana, io non ci crederei nemmeno più.





L’Antico Rito della Messa è incomprensibile! Ti diciamo come rispondere a chi afferma questo



Quando si parla dell’Antico Rito della Messa l’attenzione va senz’altro alla questione della lingua, cioè del latino. Tant’è che questo Rito è da tutti ricordato come “Messa in latino”.

Prima di tutto va detto che questa questione della lingua è secondaria e non primaria. Come abbiamo avuto modo di dire, la differenza tra Antico e Nuovo Rito non sta essenzialmente nella lingua ma in ben altro. Visto però che dobbiamo trattare questa questione, è bene che la capiamo nella maniera più corretta.

Diciamo subito che ci sono sei motivi che giustificano e legittimano l’uso della lingua latina nella celebrazione della Messa.

L’universalità

Il primo motivo è l’universalità. La Chiesa Cattolica è universale. I cattolici devono professare la stessa fede, devono riconoscersi nella stessa disciplina e devono anche riconoscersi in una stessa morale. Dunque, è più logico che all’unità della fede corrisponda l’unita della preghiera liturgica. Pio XII nella sua Mediator Dei scrive: “L’uso della lingua latina è un chiaro e nobile segno di unità (nda: fra i cattolici di tutto il mondo, siano essi italiani o tedeschi, bianchi o neri) e un efficace antidoto ad ogni corruttela della pura dottrina”.

Giovanni XXIII con la Veterum Sapientia del 22 febbraio 1962 chiedeva non solo di conservare l’uso del latino, ma di incrementarne e restaurarne l’utilizzo. Il documento riconosce che la Chiesa ha necessità di una sua lingua propria, non nazionale ma universale, sacra e non ordinaria, dal significato univoco e non mutevole nel tempo, per trasmettere la medesima dottrina: unica, per il suo governo, e sacra, per il suo rito. La Chiesa, ontologicamente immutabile, non può affidare alla variazione linguistica la trasmissione delle sue Verità.

Nessun’altra lingua al mondo possiede del latino le caratteristiche di universalità ed è così aliena dai nazionalismi. La massoneria internazionale, che ha sempre avuto come scopo la creazione di una società cosmopolita che parli un’unica lingua, creò di fatto l’esperanto e non ha mai pensato di utilizzare per questo fine il latino, in odio alla Chiesa.

Ricorda la Genesi che la divisione delle lingue è conseguenza del peccato degli uomini. Gli Apostoli necessariamente evangelizzarono in tutte le lingue, ma il giorno di Pentecoste lo Spirito riportò tutti alla comprensione unitaria delle lingue.

Logico quindi che la Chiesa di Dio si serva di un’unica lingua per tutti.

Per meglio rappresentare il Mistero

Il secondo motivo è per meglio rappresentare il Mistero. Per significare lo straordinario occorre una lingua straordinaria. Un modo è come si parla agli amici, altro è come si parla ai superiori. Ciascun registro linguistico è legato ad una situazione precisa.

Dal momento che la Messa è il mistero della ri-attuzzazione del Sacrificio di Cristo sul Calvario, presenziando alla Messa si è oltre le categorie del tempo e dello spazio. Si respira l’infinito, si è dinanzi al Mistero, si ascolta l’inaudito, si osserva l’inimmaginabile. Ora –parliamoci chiaramente- tutto questo può essere significato da una lingua che è immediatamente comprensibile? Ecco che è molto più naturale che nella Messa si usi una lingua non ordinaria, perché ciò che avviene nella Messa non è affatto ordinario.

Per salvaguardare l’unicità del Tempo

Il terzo motivo è per salvaguardare l’unicità del Tempo. Proprio perché la lingua latina è una lingua “morta”, essa meglio si adatta ad esprimere verità dogmatiche che sono verità che non mutano.

Per salvaguardare l’unicità dello Spazio

Il quarto motivo è per salvaguardare l’unicità dello Spazio. Con l’uso del latino in tutti i posti della terra la liturgia è perfettamente uguale e quindi l’incomprensibilità delle parole diventa comprensibilità del Rito. Questo è un punto su cui ci si riflette poco. A quella che può sembrare un’incomprensibilità delle parole, si sostituisce una comprensibilità del Rito, il quale può essere in tutti i posti della terra facilmente riconosciuto.

Che paradosso! La Chiesa ha rinunciato alla sua lingua proprio quando l’avanzante mondializzazione e globalizzazione avrebbero richiesto un gesto in senso contrario. Si pensi all’attuale uso della lingua inglese, la cui conoscenza è diventata di fatto decisivo per poter competere nel campo del lavoro.

Per prefigurare la vita del Paradiso

Il quinto motivo è per prefigurare il Paradiso. C’è chi ha giustamente e suggestivamente detto che la Messa è “una finestra del Paradiso”. Ora chiediamoci: in Paradiso le anime come comunicano? Risposta: nella luce e nell’amore di Dio, non certo attraverso le lingue locali. Non si tratta di una comunicazione verbale nel senso comune del termine, ma di una comunicazione universale in Dio. Ebbene, la liturgia è anche prefigurazione di ciò che ancora non è, ma sarà. E se è anche questo, essa (la liturgia) deve pur far capire che in Paradiso si parlerà un’unica “lingua”: quella dell’amore effetto della visione beatifica di Dio.

Per confermare la Tradizione

Il quinto motivo è per confermare la Tradizione. Il latino è la lingua dell’inizio della Chiesa. Come l’Eucaristia non può realizzarsi se non con il pane e il vino, cioè con ciò che Gesù utilizzò nell’Ultima Cena, così ha un significato ben preciso che la lingua della liturgia cattolica sia la lingua dell’inizio e del centro della Chiesa.

La lingua latina, ricorda Giovanni XXIII sempre nella Veterum Sapientiae, fu scelta dalla Provvidenza come lingua della Chiesa, portata ovunque dalle antiche vie consolari. L’unità linguistica resta un modello e un ideale. Nella predicazione è necessario utilizzare la lingua vernacola, il rito e la liturgia richiedono invece un’unica lingua sacra.

La Messa non va capita… va vissuta!

La liturgia non è uno spettacolo teatrale, nel quale si debba ascoltare e comprendere ogni singola parola. La liturgia serve a far penetrare, mediante il suo apparato di segni visibili, nelle realtà divine che in essa si celebrano. Per questo il sacerdote si spoglia dei suoi abiti quotidiani e si riveste dei paramenti sacri, per questo la celebrazione segue un rito codificato, per questo i cristiani si riuniscono in un luogo apposito e diverso da tutti gli altri, che è la chiesa.

La Messa non va capita, va vissuta. O meglio: va capita relativamente a ciò che avviene in essa, ma l’approccio non deve essere di tipo intellettuale, bensì cordiale, nel senso letterale del termine da cor-cordis che vuol dire “cuore”. Partecipare alla Messa è adesione al Mistero.

Il senso dell’actuosa partecipatio (partecipazione attiva), non è tanto nel capire e nel rispondere, ma nel condividere e nell’offrire. Giustamente si dice –e questo lo abbiamo già detto- che il modello del vero fedele che partecipa alla Messa è l’Immacolata. Ella sotto la Croce non parlava: condivideva ed offriva.

E poi, diciamocela tutta: un tempo la gente non capiva le parole della Messa, però sapeva bene cosa fosse la Messa; oggi tutti capiscono le parole della Messa (sempre che non siano distratti… e molte volte la banalizzazione distrae più facilmente), ma pochi sanno cos’è la Messa. Basterebbe chiedere a tanti ragazzi non “lontani”, praticanti e di oratorio, per accertarsi quanti pochi oggi sanno cosa sia davvero la Messa.

Certamente la parte istruttiva della Messa (letture, omelia, ecc…) deve essere capita e lì va bene la lingua nazionale, ma per il canone no. Paradossalmente per capire il canone, e cioè la grandezza e l’inimmaginabilità di ciò che accadde sul Calvario, occorre proprio una lingua che sia fuori del tempo e dello spazio, che meglio esprima il senso del mistero.

L’allora cardinale Ratzinger, futuro Benedetto XVI, scrisse nel suo Il Sale della terra. Cristianesimo e Chiesa cattolica nella svolta del terzo millennio“Nella nostra riforma liturgica c’è la tendenza, a parer mio sbagliata, di adattare completamente la liturgia al mondo moderno. Essa dovrebbe quindi diventare ancora più breve e da essa dovrebbe essere allontanato tutto ciò che si ritiene incomprensibile; alla fin fine essa dovrebbe essere tradotta in una lingua ancora più semplice, più ‘piatta’. In questo modo, però, l’essenza della liturgia e la stessa celebrazione liturgica vengono completamente fraintese. Perché in essa non si comprende solo in modo razionale, così come si capisce una conferenza, bensì in modo complesso, partecipando con tutti i sensi e lasciandosi compenetrare da una celebrazione che non è inventata da una qualsiasi commissione di esperti, ma che ci arriva dalla profondità dei millenni e, in definitiva, dall’eternità.”

E poi: se davvero la “Messa in latino” fosse così selettiva, verrebbe da chiedersi: come mai essa ha prodotto nei secoli frutti di santità non solo tra i colti, ma anche e soprattutto tra i semplici?

Dio è Verità, Bontà e Bellezza  Il Cammino dei Tre Sentieri

 


 



[Modificato da Caterina63 28/11/2017 21:04]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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