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Una provocazione ma anche uno studio sulla scelta di Paolo VI per la messa moderna

Ultimo Aggiornamento: 16/05/2019 22:51
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14/10/2017 23:01
 
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IL NUOVO RITO DELLA SETTIMANA SANTA

''Il rinnovamento (liturgico) ha mostrato chiaramente che le formule del messale romano dovevano essere riviste ed arricchite. Il rinnovamento è stato iniziato dallo stesso Pio XII con la restaurazione della veglia pasquale e dell'Ordo della Settimana Santa, CHE COSTITUÌ LA PRIMA TAPPA DELL'ADATTAZIONE DEL MESSALE ROMANO AI BISOGNI DELLA NOSTRA EPOCA". Sono queste le parole stesse di Paolo VI nella "promulgazione" del nuovo messale. ("Cost. Ap. Missale Romanum" del 3 aprile 1969).

Analogamente, da sponda diversa, scrive Mons. Gamber: "Il primo Pontefice che abbia apportato un vero e proprio cambiamento al Messale tradizionale fu Pio XII, con l'introduzione della nuova liturgia della Settimana Santa. Riportare la cerimonia del Sabato Santo alla notte di Pasqua sarebbe stato possibile senza grandi modifiche. A lui seguì Giovanni XXIII con il nuovo ordinamento delle rubriche. Anche in queste occasioni, comunque, il Canone della Messa restò intatto (Quasi. Ricordiamo l'introduzione del nome di San Giuseppe nel Canone, voluta da Giovanni XXIII durante il Concilio, contro la tradizione che vuole nel Canone solo nomi di Martiri, da unire al Grande Martire Gesù nel Suo Sacrificio N.d.R.), non venne minimamente alterato, ma dopo questi precedenti, è vero, furono aperte le porte a un ordinamento della Liturgia Romana radicalmente nuovo". (Op. cit., pag. 22).

Il decreto "Maxima Redemptionis" col quale si introduce nel 1955 il nuovo rito parla esclusivamente del cambiamento di orario delle cerimonie del Giovedì, Venerdì e Sabato Santo, per facilitare ai fedeli l'assistenza ai Riti sacri riportati dopo secoli alla sera; ma in nessun passaggio del decreto si fa il minimo accenno al drastico mutamento dei testi e delle cerimonie stesse instaurato col nuovo rito e per nulla giustificato da un qualsivoglia motivo pastorale!

In realtà il nuovo rito della settimana Santa fu una prova generale della riforma; lo testimonia il domenicano modernista Chenu: "Padre Duployé seguiva tutto ciò con una lucidità appassionata. Mi ricordo che mi disse un giorno, ben più tardi: - Se riusciamo a restaurare la vigilia pasquale nel suo valore primitivo il movimento liturgico avrà vinto; mi do dieci anni per questo -. Dieci anni dopo era cosa fatta." (Un théologien en liberté. J. Dunquesne interroge le P. Chenu. Le Centurion. 1975. pag. 92-93)

Infatti, il nuovo rito della Settimana Santa, inserendosi come un corpo estraneo nel resto del messale ancora tradizionale, seguiva i principi che ritroveremo nelle riforme di Paolo VI nel 1965. Facciamo alcuni esempi: Paolo VI sopprimerà nel 1965 l'ultimo vangelo: nel 1955 è soppresso dalla settimana Santa. Paolo VI sopprimerà il Salmo "ludica me" con le preghiere ai piedi dell'altare: lo stesso anticipava la Settimana Santa del 1955. Paolo VI (seguendo Lutero) vorrà la celebrazione della Messa "faccia al popolo": il Novus Ordo della Settimana Santa inizia con l'introdurre tale uso ogni volta che è possibile (specialmente il giorno delle Palme). Paolo VI vuole diminuito il ruolo del sacerdote, sostituito ad ogni piè sospinto dai ministri: nel 1955, di già, il celebrante non legge più le letture, epistole e Vangeli (Passio) che sono cantate dai ministri -benchè facciano parte della Messa- e va a sedersi, dimenticato, in un angolo. Paolo VI, nella stessa Nuova "Messa" del 1969, col pretesto di restaurare l'antico rito romano, sopprime dalla Messa tutti gli elementi della liturgia "gallicana" (anteriore a Carlo Magno) seguendo un cattivo "archeologismo" condannato da Pio XII.

Scompare così l'offertorio (con gaudio dei protestanti) sostituito con un rito talmudico che con l'antico rito romano non c'entra niente. Seguendo lo stesso principio il nuovo rito della Settimana Santa sopprime tutte le orazioni di benedizione delle Palme (tranne una), l'epistola, offertorio e prefazio che precedevano, la messa dei presantificati il Venerdì Santo... Paolo VI, sfidando gli anatemi del concilio di Trento, sopprime l'ordine sacro del Suddiaconato; il nuovo rito della Settimana Santa lascia in scena un Suddiacono sempre più inutile, visto che lo sostituisce il Diacono (Orazioni del Venerdì Santo al "levate") o il coro ed il celebrante (all'adorazione della croce).

Paolo VI vuole l'ecumenismo? La nuova Settimana Santa lo inaugura, chiamando l'orazione del Venerdì Santo per la conversione degli eretici: "orazione per l'unità della Chiesa" ed introducendo la genuflessione all'orazione per i Giudei che la Chiesa negava loro in odio al delitto compiuto il Venerdì Santo. I simbolismi medioevali sono soppressi (apertura della porta della Chiesa al canto del Gloria Laus, per esempio) la lingua volgare introdotta (promesse bettesimali), il Pater Noster recitato da tutti (venerdì santo), le orazioni per l'Impero sostituite da altre per i governanti la "cosa pubblica" dal sapore molto moderno.

Nel Breviario si sopprime il così commovente "Miserere" ripetuto a tutte le ore. Viene rivoluzionato il Preconio Pasquale sopprimendo il simbolismo delle sue parole; sempre il Sabato Santo otto letture su dodici sono soppresse. Il canto della Passione, così toccante, subisce dei gravissimi tagli: scompare persino l'ultima Cena, nella quale Gesù, già tradito, ha celebrato per la prima volta nella storia il Sacrificio della Messa.

Il Venerdì Santo viene distribuita la comunione, contrariamente alla tradizione della Chiesa ed alla condanna di San Pio X contro chi voleva instaurare questo uso. (Decreto Sacra Tridentina Synodus - 1905) Tutte le rubriche, poi, del nuovo rito del 1955, insistono continuamente sulla "partecipazione" dei fedeli da un lato, mentre d'altro canto deprecano come abusi molte delle devozioni popolari (così care ai fedeli) che accompagnano la Settimana Santa. Questo seppur sommario esame della riforma della Settimana Santa consente al lettore - così almeno pensiamo - di rendersi conto di come i "periti" che fabbricheranno 14 anni dopo la Nuova "Messa" avevano usato - e sfruttato - la Settimana Santa per compiere su di essa -tamquam in corpore vili- i loro esperimenti rivoluzionari da applicare a tutta la Liturgia.


GIOVANNI XXIII

A Pio XII succede Giovanni XXIII, Angelo Roncalli. Professore al Seminario di Bergamo, fu inquisito perché seguiva i testi del Duchesne, proibiti, sotto San Pio X in tutti i seminari italiani, e la cui opera "Histoire ancienne de l'Eglise", finì all'Indice. (Poulat. Catholicisme, démocratie et socialisme. Pag. 246 e 346; Maccarrone: Mgr. Duchesne et son temps. 1975. pag. 469-472) Nunzio a Parigi, Roncalli svelerà la sua adesione alle tesi del Sillon, condannate da San Pio X (si legga tutto il testo della condanna, pubblicato in "Sodalitium" n. 4, Agosto-Settembre-Ottobre 1984), con una lettera alla vedova di Marc Sangnier, fondatore del movimento proscritto, nella quale, tra l'altro, scrive: "Il fascino potente della sua parola (di Sangnier N.d.r.), della sua anima, mi avevano incantato e conservo della sua persona e della sua attività politica e sociale il ricordo più vivo di tutta la mia giovinezza sacerdotale", (lettera del 6 giugno 1950. Cfr. Itinéraires, n. 247, nov. 1980, pag. 152-153).

Nominato Patriarca di Venezia, Mons. Roncalli darà pubblico benvenuto ai socialisti giunti nella sua città per il congresso del partito. Divenuto Giovanni XXIII crea Cardinale Mons. Montini, indice il Concilio Vaticano II e scrive l'Enciclica "Pacem in terris" nella quale afferma di già, cammuffandola con una frase volutamente ambigua, quella libertà religiosa che sarà proclamata dal Concilio, come testimonia il neo-Cardinale Pavan, collaboratore di Giovanni XXIII. L'atteggiamento di Giovanni XXIII, alla morte di Pio XII nel 1958, non poteva essere diverso, in materia liturgica, a quello dimostrato negli altri campi. Ben lo sapeva Dom Lambert Beauduin, ormai noto al lettore come quasi capostipite del movimento liturgico modernista, ed amico di Roncalli dal lontano 1924.

P. Bouyer testimonia che Dom Beauduin gli disse il giorno della morte di Pio XII: "Se eleggessero Roncalli, tutto sarebbe salvato: sarebbe capace di convocare un Concilio e di consacrare l'Ecumenismo...". (Bouyer. Dom L. Beauduin, un homme d'Eglise. 1964. pag. 180-181). Il 25 luglio 1960 Giovanni XXIII pubblica il Motu proprio "Rubricarum Instructum". Già aveva deciso di convocare il Vaticano II e di procedere alla riforma del Diritto Canonico; con questo Motu Proprio Giovanni XXIII assorbe ed aggrava le riforme delle rubriche del 1955-56: ''Siamo arrivati alla decisione" scrive "che si doveva presentare ai Padri del futuro Concilio i principi fondamentali concernenti la riforma liturgica, e che non si doveva differire ulteriormente la riforma delle rubriche del Breviario e del Messale romano". In questo quadro così poco ortodosso, con artefici così dubbi, in un clima già "conciliare", nascono il Breviario ed il Messale di Giovanni XXIII, concepiti come "Liturgia di transizione" destinata a durare, come durò, tre o quattro anni: transizione tra la liturgia cattolica consacrata al Concilio di Trento e quella eterodossa preconizzata dal Vaticano II.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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