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I BUONI MAESTRI - come riconoscerli ? (2)

Ultimo Aggiornamento: 28/01/2018 08:23
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15/10/2017 11:02
 
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  vi ricordiamo le puntate precedenti, vedi qui: I BUONI MAESTRI - come riconoscerli ?

così come vi ricordiamo i dossier sui Falsi maestri, vedi qui.


LO STRANO CASO DEL PROF. ROMANO AMERIO




Dopo un’assenza di 20 anni, ecco riapparire in libreria il ben noto testo del Prof. Romano Amerio: Iota unum – Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel XX secolo. Un testo noto universalmente ai cattolici, non solo per le innumerevoli citazioni che si riscontrano in migliaia di scritti che trattano della crisi della Chiesa, ma anche per la sua traduzione nelle sei più importanti lingue europee.

Stampato nel 1985, vide tre edizioni italiane fino al 1989, per 7500  copie, il tutto grazie ad un modestissimo circuito divulgativo ben lontano dalla multiforme galassia della pubblicistica cattolica ufficiale. 
Per il mondo dell’informazione cattolica ufficiale il testo era semplicemente inesistente. 
Oggi si direbbe che era “politicamente scorretto”, cioè diceva molte cose giuste, nella maniera giusta, nel momento giusto, ma non soggiacenti alla vulgata cattolica dominante.
Ciò nonostante, Iota unum ha rappresentato e ancora rappresenta una sorta di piccola summa delle variazioni che la Chiesa ha subito nel secolo scorso: in ordine alla morale, alla liturgia e alla dottrina cattoliche. Variazioni che per molti versi hanno condotto ad una religione diversa dalla quella vigente nei duemila anni precedenti, operando, di fatto, una cesura tra la Chiesa di sempre e la Chiesa moderna.

Amerio era un fervente cattolico, preparato dottrinalmente tanto da aver collaborato col suo vescovo di Lugano alla stesura degli schemi preparatori del Concilio Vaticano II. Parlava e scriveva per conoscenza diretta e, pur con un linguaggio colto e ricercato, affrontava gli argomenti con l’immediatezza del praticante e la semplicità del credente. 
Certo fu questo il motivo, forse principale, dell’ostracismo dell’intellighenzia ufficiale del mondo cattolico moderno, laico e chierico, avvezzo, ancora oggi, a trastullarsi con montagne di carte spesso confuse, ripetitive e contraddittorie. Oltre che alle accuse nei confronti del Concilio e dello spirito che lo precedette, lo produsse e lo seguì, già di per sé colpa imperdonabile per i cattolici moderni, il libro conteneva riflessioni critiche importanti e puntuali su tutta la vita della Chiesa espresse in maniera schietta, logica e convincente, era quindi doppiamente pericoloso.
 
Con l’elevazione al Soglio Pontificio dell’allora cardinale Ratzinger, e con la nuova impostazione promossa da Benedetto XVI, soprattutto in ordine alla problematica postconciliare, certuni si sono ricordati che Iota unum, pur vecchio di vent’anni, poteva servire alla bisogna. Ed ecco che se ne è parlato perfino nelle pubblicazioni ufficiali della Curia romana, L’Osservatore romano e La Civiltà cattolica, cosa prima inaudita. Si sono svolti perfino dei convegni, con la partecipazione di prelati di Curia, anche grazie all’interessamento del Prof. Radaelli, discepolo di Amerio, curatore del suo libro postumo Stat Veritas e autore di un interessante testo con cui presenta Amerio e la sua opera : Romano Amerio. Della verità e dell’amore

Si potrebbe pensare che sia finito l’ostracismo, che si sia aperta una nuova fase di apprezzamento di questo testo e soprattutto dei suoi principali contenuti. Indubbiamente questo è quello che appare, ma dietro l’apparenza continuano a muoversi i vecchi postulati moderni della discussione per la discussione, sempre noncuranti dell’essenziale.

Partiamo dalla nuova impostazione data dal Santo Padre. Essa nasce da una semplice constatazione: quarant’anni di postconcilio hanno prodotto più guasti e danni di quanto si potesse pensare all’inizio, occorre un nuovo approccio alle tematiche conciliari e soprattutto a quelle postconciliari. Iota unum, per il suo rigore e per il suo radicarsi nella dottrina tradizionale della Chiesa potrebbe essere un valido strumento di lavoro, tanto più che per tutti questi anni è stato considerato un testo anticonciliare, preconcetto e relegato in ambito “integralista”. Rivedere il postconcilio usando, tra l’altro, Iota unum permetterebbe anche di sanare la frattura tra l’ambito tradizionale e il più vasto contesto conciliare.

Lungo questa strada si incontrano elementi diversi, che vale la pena anche solo accennare.

Il primo riguarda la lettura del testo. 
Pare che questo si possa fare a prescindere dalla critica puntuale che Amerio fa del Concilio, dello spirito che lo produsse e dello spirito che lo attuò, spirito che prima ancora di essere parziale e interessato è essenzialmente anticattolico. Le variazioni di cui parla Amerio fin dal titolo del volume, non sono elementi accidentali ed episodici, magari circoscritti a questo o a quell’aspetto dell’insegnamento della Chiesa, ma variazioni strutturali nella concezione stessa del cattolicesimo e della vera religione. 
È nell’aver mostrato questo che sta il valore del testo di Amerio. 
Per leggerlo a prescindere da questo occorre indossare i diffusissimi occhiali deformanti prodotti in questi quarant’anni dalla nota ditta modernista “catto-…-ismo”, fornitrice ufficiale della Sede Apostolica.

A mo’ d’esempio citiamo un passo di uno degli interventi sopraggiunti ultimamente.

« Certo, non è possibile condividere il giudizio negativo esteso al Concilio nel suo insieme e a tutto ciò che di positivo ne è derivato. Inoltre, è opinabile il tentativo di spiegare tutte le attuali difficoltà del cristianesimo quasi solamente come esito di una deviazione dal dogma del Logos, del declassamento della Verità al secondo posto dopo l’amore. La realtà è più complessa e non si può ricondurre tutta a un solo aspetto: in questo caso c’è il rischio di riduttivismo filosofico.» (Innamorato della verità e della Chiesa, in La Civiltà Cattolica, quaderno 3762, 17.3.2007, pp. 622-623). 

Potremmo subito dire che per noi semplici fedeli, che non siamo ferrati in profonde disquisizioni teologiche, “il declassamento della Verità al secondo posto dopo l’amore” non può essere considerato come un “aspetto” della realtà, ci sembra piuttosto che si tratti dell’elemento centrale e fondativo, non di questa o di quella questione, ma della stessa religione. 
Declassare la Verità, sia pure a favore dell’amore, è di per sé una relativizzazione di Dio, impossibile da giustificare o anche solo da prendere in considerazione come pura ipotesi di lavoro. 
Relativizzato Dio, si è distrutta la religione.
Se dovessimo leggere Iota unum inforcando queste lenti deformanti, ne verrebbe fuori un ulteriore pasticcio dottrinale.

Leggiamo allora cosa scrive propriamente Romano Amerio.

A proposito del Concilio.
 «L’inclinazione del Vaticano II a sciogliersi dalla stretta continuità colla tradizione e a crearsi forme, modalità e procedure atipiche, non si sa se sia da attribuire allo spirito ammodernante che lo investì e diresse, oppure alla mente e all’indole di Paolo VI. Probabilmente l’inclinazione è da rifondere pro rata tanto al Concilio quanto al Pontefice. Il risultato fu un rinnovamento o meglio una novazione dell’essere della Chiesa che toccò strutture, riti, linguaggio, disciplina, atteggiamenti, aspirazioni, la faccia insomma della Chiesa destinata a presentarsi al mondo nuova.» (Cap.IV, 44).

A proposito del declassamento della Verità.
«La crisi della Chiesa, come si confessa e come abbiamo indicato nei paragrafi iniziali di questo libro, è crisi di fede, … Alla base del presente smarrimento vi è un attacco alla potenza conoscitiva dell’uomo … e non investe questa o quella certezza di ragione o di fede, bensì il principio medesimo di ogni certezza, cioè la capacità conoscitiva dell’uomo. … il fenomeno attinge una profondità teologica oltre che metafisica, perché attinge la costituzione dell’ente creato e quindi anche quella dell’ente increato del quale il primo è una imitazione analogica. Come nella divina Monotriade l’amore procede dal Verbo, così nell’anima umana il vissuto dal pensato. Se si nega la precessione del pensato al vissuto, della verità alla volontà, si tenta una dislocazione della Monotriade. Se infatti si nega la capacità di cogliere l’essere, l’espansione dello spirito nella primalità dell’amore rimane sconnessa dalla verità, perdendo ogni norma e degradando a pura esistenza.» (cap. XV, 147).
«Il fondo dell’attuale smarrimento, mondiale ed ecclesiale, è il pirronismo, cioè la negazione della ragione. Superficiale è la taccia data comunemente alla civiltà moderna di sovraestimare la ragione. Se per ragione si intende la facoltà calcolatrice e costruttiva del pensiero, a cui dobbiamo la tecnica e il dominio delle cose, la qualificazione può correre. Ma tale facoltà è un grado inferiore, e si trova, dicono, nei ragni e nelle api. Ma se per ragione si prende, quale è, la facoltà di cogliere l’essere delle cose e il loro senso, e di aderirvi col volere, allora l’età contemporanea è molto più debitrice all’alogismo [mancanza di logica] che al razionalismo.» (cap. XV, 148).

Fin qui Amerio che, dietro il discorrere puntuale e appropriato, manifesta una condanna così radicale che non potrà mai assumersi come oggetto di disquisizione. La questione posta, infatti, con parole povere potrebbe riassumersi così: senza il primario fondamento della Verità, di Dio, anche la volontà e l’amore si riducono a mero sentimento umano, non più rette e dominate dalla “ retta ragione”, l’intelletto illuminato dalla grazia, ma mosse dal continuo fluire dell’esistenza e da esso costrette.

Un altro elemento è costituito da quello che si evince da quanto detto fin qui.
In fondo Amerio, si dice, pone innanzi tutto una questione teologica, centrando tutto il suo esame critico sulla perdita dell’assiologia, cioè della centralità della Verità e del Verbo, è su questo allora che occorrerà concentrarsi per esaminare e discutere le sue riflessioni circa le variazioni della Chiesa.
Solo che per Amerio questo è l’elemento di base, su cui si fonda la nuova concezione del cattolicesimo praticata durante e dopo il Concilio, ma partendo da questa constatazione Amerio sviluppa tutta una serie di appunti critici che attengono a tutta la vita della Chiesa, dottrinale, sacramentale e pastorale. La sua attenzione si ferma su tutti gli aspetti della vita religiosa del fedele cattolico e della vita della Chiesa. 
Per far comprendere quanto sia fuorviante una tale impostazione, basta leggere l’indice dei capitoli e dei paragrafi, che riportiamo in calce, e subito rendersi conto che parlare di Amerio come di un metafisico preso nei cieli più alti, sia una semplice falsità.
Chi volesse leggere Iota unum nonostante le sue 650 pagine non ha bisogno di affrontarlo come un trattato organico di teologia dogmatica, basta sfogliare il libro qua e là e soffermarsi su… “crisi del sacerdozio”, per esempio, o su “Chiesa e femminismo”, o su “rifiuto cattolico della scuola cattolica”, o su “la catechesi senza catechesi”, o su “l’aborto”… “la pena di morte”… “la guerra”… Chiesa e democrazia”, ecc. … e potremmo continuare per 334 paragrafi. 
Leggerne uno non significa essere costretti a rifarsi a tutte le 650 pagine, perché ogni argomentazione si tiene da sé. Che poi, leggendolo qua e là non si riesca a fare a meno di leggerlo tutto, è cosa che attiene alla sensibilità di tanti cattolici e cosa sommamente auspicabile soprattutto per tanti chierici che sono cresciuti nel clima superficiale e relativista dei seminari del postconcilio.

C’è ancora un altro elemento che va segnalato.
Iota unum come strumento per «attuare il progetto del Papa di leggere una continuità sostanziale tra il magistero e la teologia prima del concilio, il concilio e il post-concilio» (come scrive Mons. Luigi Negri nella prefazione all’edizione dell’editrice “Fede e Cultura”), o Iota unum come strumento per «discernere e ammirare l’inalterabile identità della nostra Chiesa, il perdurare di ciò che la definisce. Conosciamo la sua identità e la sua unità nella sua diversità» (come scrive il Card Castrillon Hoyos nella prefazione all’edizione dell’editrice “Lindau”) ?
Per certi aspetti le due espressioni si assomigliano; entrambe pongono l’accento sulla possibilità che offrirebbe Iota unum di costruire un quadro complessivo in cui rientrerebbero coerentemente e organicamente gli insegnamenti di sempre e quelli nuovi sortiti dal Concilio, un quadro che descriverebbe così al meglio il multiforme volto della Chiesa.
La differenza sta nel fatto che Mons. Negri privilegia la lettura a posteriori del Concilio in chiave di sopraggiunta necessità della individuazione della continuità con la Tradizione, mentre il Card. Castrillon mette in primo piano la multiforme difformità detta a priori “ricchezza delle sue [della Chiesa] policrome manifestazioni”.

Non è nostra intenzione mancare di rispetto a nessuno, ma abbiamo l’impressione che i due prelati non abbiano mai letto Iota unum. 

Ove, tra l’altro, si dice che:
«È appunto la reiezione del tomismo come filosofia, cioè come sistema di tesi, e la sua degradazione a puro atteggiamento metodico accomodato all’indole dei tempi, la nota che si vede impressa nella teologia postconciliare. Gli attacchi portati al tomismo nel Concilio non restarono senza influsso nella redazione dei testi. Il decreto Optatam totius sulla formazione intellettuale del clero al § 15 domanda che gli alunni siano guidati a una solida e coerente concezione dell’uomo, del mondo e di Dio “innixi patrimonio philosophico perenniter valido”, ma tace del tomismo […] Il concetto generico di filosofia perennemente valida subentrato a quello specifico di filosofia tomistica non ha più nessun significato ad rem.» (cap. XXXIV, 239).
«…la costituzione apostolica Sapientia cristiana di Giovanni Paolo II, contenente le direttive per il rinnovamento delle Università. … si diffonde sulla libertà della ricerca teologica, ma non manifesta nessuna preoccupazione per l’unità dottrinale e lascia largo spazio alla pluralità degli insegnamenti. […] Così  il § 32 prescrive per l’ammissione all’Università ecclesiastica “quei titoli di studio che si richiedono per l’ammissione alle università civili di quel paese.” Così accadrà che l’essere imbevuti di filosofia marxistica ed esistenzialistica divenga condizione per entrare negli istituti di formazione del clero». (cap. XXXIV, 240).

Ci sembra difficile usare uno strumento come questo per leggere una continuità sostanziale tra il prima del Concilio, il Concilio e il post-Concilio, soprattutto ove ci si soffermi a considerare che nella sostanza le enunciazioni e le applicazioni conciliari sono connotati dal rifiuto dell’ieri della Chiesa e dall’adesione all’oggi del mondo.

E dove si dice anche:
«La variazione instaurata nella Chiesa dal Vaticano II è confessata nel Convegno romano su san Tommaso d’Aquino nel centenario dell’enciclica Aeterni Patris: “Col Vaticano II, malgrado il suo riferimento a S. Tommaso, si apre il periodo del pluralismo teologico nel quale adesso viviamo» (Atti, Roma 1981, p. 168)» (cap. XXXIV, 240).
«Benché il vocabolo pluralismo si trovi usato nel Concilio solo per indicare le diversità e le opposizioni interne alla società civile, e mai le varie scuole teologiche che vengono speculando sui dogmi nell’ambito della Chiesa, il pluralismo, è, insieme al dialogo, l’idea ispiratrice e direttiva del pensiero postconciliare. Ma se il pluralismo politico è conforme alla nozione di comunità politica, massime moderna, che respinge ogni unità fuorché quella che discende dal principio della libertà, non è punto facile comporre l’idea di pluralismo con quella di verità dogmatica e pertanto con quella di teologia cattolica.» (cap. XXXIV, 241).
«Nel Convegno sul tomismo sopra citato il rifiuto [della protologia cattolica] è manifesto. Vi sono infatti professati aperta facie il mobilismo e il suo lemma del pirronismo relativistico. La teologia (si dice) deve aggiornarsi al pensiero moderno e perciò staccarsi dalla mentalità classica in cui la Chiesa si identificò sino al Vaticano II. Aggiornamento viene preso nel Convegno per assimilazione alla mentalità moderna senza provare antecedentemente se tale assimilazione sia possibile.» (cap. XXXIV, 242).

Questa concezione del pluralismo cattolico moderno, che vige tutt’ora e che viene presentata come un valore, tanto da far parlare di ricchezza della diversità, comporta che nella Chiesa conciliare possano convivere e arricchirsi mutualmente le posizioni teologiche più diverse e le pratiche religiose più disparate. È ormai cosa nota che le diversità comporterebbero “logicamente” l’unità, sia tra le “chiese” sia all’interno della Chiesa cattolica. Come poi possano dirsi unite delle concezioni teologiche e delle pratiche cultuali che per propria natura sono separate e disunite, è un mistero che forse rimarrà insoluto fino alla fine dei tempi, nonostante la buona volontà di vescovi e cardinali. 

Per intanto registriamo che criticare il Concilio e il postconcilio è cosa che si concilia tranquillamente con la loro difesa, basta sottolineare le continuità e considerare una ricchezza le divergenze e convergenti le parallele.

Per ultimo ci sembra il caso di annotare una stranezza legata alla riedizione del lavoro di Amerio.
Da anni si sentiva la mancanza di Iota unum, soprattutto perché negli ultimi venti anni l’interesse per la questione tradizionale è andata sempre crescendo. 
Dopo vari tentativi effettuati negli ultimi tre anni, ecco che improvvisamente, anche sull’onda di quello che abbiamo su indicato, compaiono ben due diverse edizioni del libro. Una a cura di “Fede e Cultura”, di Verona, giovane casa editrice cattolica che in quasi cinque anni ha pubblicato diversi titoli interessanti, alcuni dei quali di un certo pregio. L’altra a cura di “Lindau”, di Torino, editrice esistente da vent’anni, ma solo da qualche anno voltasi alla religione, con una collana in cui sono presenti anche diversi testi del Card. Ratzinger.
A marzo di quest’anno si viene a sapere che entro pochi mesi Iota unum sarà in libreria, pubblicato da “Fede e Cultura”, al prezzo di 40,00 Euri, ma si viene anche a sapere che la “Lindau” di Torino farà la stessa cosa, immettendo sul mercato entrambi i titoli più noti di Romano Amerio: Iota unum e Stat Veritas, ad un prezzo più basso (oggi 29,00 Euri il primo e 19,50 il secondo). 

Incredibile, ma vero! Fino all’anno scorso perfino certi editori cattolici si schermivano e prendevano tempo… com’è che nel giro di qualche mese è esploso quest’improvviso entusiasmo? 
Qualcuno potrebbe gridare al miracolo, ma pare che le cose siano andate in maniera del tutto prosaica. Il che, ovviamente, non ci interessa più di tanto.
Quello che ci interessa invece è far notare come un’editrice cattolica sorta proprio in chiave conservatrice, se non proprio tradizionale, presenta un testo così importante ad un prezzo ben più alto di quello praticato da un’editrice che è tale quasi solo per mestiere. Come dire che per aiutare la diffusione di importanti testi cattolici è meglio rivolgersi agli editori laici piuttosto che a quelli cattolici, soprattutto se si dicono schierati.
O la “Lindau” ha deciso questa volta di aiutare la Tradizione cattolica anche a costo di rimetterci, o “Fede e Cultura” si è fermata ad un semplice calcolo di interessi economici a cui ha subordinato la sua vocazione.

Comunque sia andata, diciamo che è andata bene. 

Finalmente abbiamo la possibilità di comprare i libri di Amerio, sia per leggerli, sia per regalarli e diffonderli.

A tal fine la nostra Associazione
rende disponibili i due volumi di Amerio, della “Lindau”,
ad un prezzo ridotto per i soci e i corrispondenti







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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