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Adorazione Eucaristica ed Eucaristia nel Magistero integrale di Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 06/11/2017 21:21
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06/11/2017 21:01
 
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Eucaristia – Adorazione - Comunione

Benedetto XVI, Omelia Santa Messa Corpus Domini, Basilica di San Giovanni in Laterano, 22 maggio 2008

Dopo il tempo forte dell’anno liturgico, che incentrandosi sulla Pasqua si distende nell’arco di tre mesi -prima i quaranta giorni della Quaresima, poi i cinquanta giorni del Tempo pasquale-, la liturgia ci fa celebrare tre feste che hanno invece un carattere “sintetico”: la Santissima Trinità, quindi il Corpus Domini, e infine il Sacro Cuore di Gesù. Qual è il significato proprio della solennità odierna, del Corpo e Sangue di Cristo? Ce lo dice la celebrazione stessa che stiamo compiendo, nello svolgimento dei suoi gesti fondamentali: prima di tutto ci siamo radunati intorno all’altare del Signore, per stare insieme alla sua presenza; in secondo luogo ci sarà la processione, cioè il camminare con il Signore; e infine l’inginocchiarsi davanti al Signore, l’adorazione, che inizia già nella Messa e accompagna tutta la processione, ma culmina nel momento finale della benedizione eucaristica, quando tutti ci prostreremo davanti a Colui che si è chinato fino a noi e ha dato la vita per noi. Soffermiamoci brevemente su questi tre atteggiamenti, perché siano veramente espressione della nostra fede e della nostra vita.

Il primo atto, dunque, è quello di radunarsi alla presenza del Signore. E’ ciò che anticamente si chiamava “statio”. Immaginiamo per un momento che in tutta Roma non vi sia che quest’unico altare, e che tutti i cristiani della città siano invitati a radunarsi qui, per celebrare il Salvatore morto e risorto. Questo ci dà l’idea di che cosa sia stata alle origini, a Roma e in tante altre città dove giungeva il messaggio evangelico, la celebrazione eucaristica: in ogni Chiesa particolare vi era un solo Vescovo e intorno a Lui, intorno all’Eucaristia da lui celebrata, si costituiva la Comunità, unica perché uno era il Calice benedetto e uno il Pane spezzato, come abbiamo ascoltato dalle parole dell’apostolo Paolo nella seconda Lettura (cfr 1 Cor 10,16-17). Viene alla mente quell’altra celebre espressione paolina: “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). “Tutti voi siete uno”! In queste parole si sente la verità e la forza della rivoluzione cristiana, la rivoluzione più profonda della storia umana, che si sperimenta proprio intorno all’Eucaristia: qui si radunano alla presenza del Signore persone diverse per età, sesso, condizione sociale, idee politiche. L’Eucaristia non può mai essere un fatto privato, riservato a persone che si sono scelte per affinità o amicizia. L’Eucaristia è un culto pubblico, che non ha nulla di esoterico, di esclusivo. Anche qui, stasera, non abbiamo scelto noi con chi incontrarci, siamo venuti e ci troviamo gli uni accanto agli altri, accomunati dalla fede e chiamati a diventare un unico corpo condividendo l’unico Pane che è Cristo. Siamo uniti al di là delle nostre differenze di nazionalità, di professione, di ceto sociale, di idee politiche: ci apriamo gli uni agli altri per diventare una cosa sola a partire da Lui. Questa fin dagli inizi è stata una caratteristica del cristianesimo realizzata visibilmente intorno all’Eucaristia, e occorre sempre vigilare perché le ricorrenti tentazioni di particolarismo, seppure in buona fede, non vadano di fatto in senso opposto. Pertanto, il Corpus Domini ci ricorda anzitutto questo: che essere cristiani vuol dire radunarsi da ogni parte per stare alla presenza dell’unico Signore e diventare in Lui una sola cosa.

Il secondo aspetto costitutivo è il camminare con il Signore. E’ la realtà manifestata dalla processione, che vivremo insieme dopo la Santa Messa, quasi come un suo naturale prolungamento, muovendoci dietro Colui che è la Via, il Cammino. Con il dono di Se stesso nell’Eucaristia, il Signore Gesù ci libera dalle nostre “paralisi”, ci fa rialzare e ci fa “pro-cedere”, ci fa fare cioè un passo avanti, e poi un altro passo, e così ci mette in cammino, con la forza di questo Pane della vita. Come accadde al profeta Elia, che si era rifugiato nel deserto per paura dei suoi nemici, e aveva deciso di lasciarsi morire (cfr 1 Re 19,1-4). Ma Dio lo svegliò dal sonno e gli fece trovare lì accanto una focaccia appena cotta: “Alzati e mangia -gli disse -perché troppo lungo per te è il cammino” (1 Re 19, 5.7). La processione del Corpus Domini ci insegna che l’Eucaristia ci vuole liberare da ogni abbattimento e sconforto, ci vuole far rialzare, perché possiamo riprendere il cammino con la forza che Dio ci dà mediante Gesù Cristo. E’ l’esperienza del popolo d’Israele nell’esodo dall’Egitto, la lunga peregrinazione attraverso il deserto, di cui ci ha parlato la prima Lettura. Un’esperienza che per Israele è costitutiva, ma risulta esemplare per tutta l’umanità. Infatti l’espressione “l’uomo non vive soltanto di pane, ma ... di quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt 8,3) è un’affermazione universale, che si riferisce ad ogni uomo in quanto uomo. Ognuno può trovare la propria strada, se incontra Colui che è Parola e Pane di vita e si lascia guidare dalla sua amichevole presenza. Senza il Dio-con-noi, il Dio vicino, come possiamo sostenere il pellegrinaggio dell’esistenza, sia singolarmente che in quanto società e famiglia dei popoli? L’Eucaristia è il Sacramento del Dio che non ci lascia soli nel cammino, ma si pone al nostro fianco e ci indica la direzione. In effetti, non basta andare avanti, bisogna vedere verso dove si va! Non basta il “progresso”, se non ci sono dei criteri di riferimento. Anzi, se si corre fuori strada, si rischia di finire in un precipizio, o comunque di allontanarsi più rapidamente dalla meta. Dio ci ha creati liberi, ma non ci ha lasciati soli: si è fatto Lui stesso “via” ed è venuto a camminare insieme con noi, perché la nostra libertà abbia anche il criterio per discernere la strada giusta e percorrerla.

E a questo punto non si può non pensare all’inizio del “decalogo”, i dieci comandamenti, dove sta scritto: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me” (Es 20,2-3). Troviamo qui il senso del terzo elemento costitutivo del Corpus Domini: inginocchiarsi in adorazione di fronte al Signore. Adorare il Dio di Gesù Cristo, fattosi pane spezzato per amore, è il rimedio più valido e radicale contro le idolatrie di ieri e di oggi. Inginocchiarsi davanti all’Eucaristia è professione di libertà: chi si inchina a Gesù non può e non deve prostrarsi davanti a nessun potere terreno, per quanto forte. Noi cristiani ci inginocchiamo solo davanti al Santissimo Sacramento, perché in esso sappiamo e crediamo essere presente l’unico vero Dio, che ha creato il mondo e lo ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito (cfr Gv 3,16). Ci prostriamo dinanzi a un Dio che per primo si è chinato verso l’uomo, come Buon Samaritano, per soccorrerlo e ridargli vita, e si è inginocchiato davanti a noi per lavare i nostri piedi sporchi. Adorare il Corpo di Cristo vuol dire credere che lì, in quel pezzo di pane, c’è realmente Cristo, che dà vero senso alla vita, all’immenso universo come alla più piccola creatura, all’intera storia umana come alla più breve esistenza. L’adorazione è preghiera che prolunga la celebrazione e la comunione eucaristica e in cui l’anima continua a nutrirsi: si nutre di amore, di verità, di pace; si nutre di speranza, perché Colui al quale ci prostriamo non ci giudica, non ci schiaccia, ma ci libera e ci trasforma. Ecco perché radunarci, camminare, adorare ci riempie di gioia. Facendo nostro l’atteggiamento adorante di Maria, che in questo mese di maggio ricordiamo particolarmente, preghiamo per noi e per tutti; preghiamo per ogni persona che vive in questa città, perché possa conoscere Te, o Padre, e Colui che Tu hai mandato, Gesù Cristo. E così avere la vita in abbondanza. Amen.

 

Eucaristia – Adorazione – Comunione

Benedetto XVI, Omelia in diretta TV per la celebrazione conclusiva del 49º Congresso Eucaristico Internazionale in Québec, Sala dei Foconi del Palazzo Apostolico Vaticano, 22 giugno 2008

"Il mistero della fede":  è questo che proclamiamo in ogni messa. Desidero che tutti si impegnino a studiare questo grande mistero, specialmente rivisitando ed esplorando, individualmente e in gruppo, il testo del Concilio sulla Liturgia, la Sacrosanctum Concilium, al fine di testimoniare con coraggio il mistero. In questo modo, ciascuna persona giungerà a capire meglio il significato di ogni aspetto dell'Eucaristia, comprendendone la profondità e vivendola con maggiore intensità. Ogni frase, ogni gesto ha un proprio significato e nasconde un mistero. Auspico sinceramente che questo Congresso serva da appello a tutti i fedeli affinché si impegnino allo stesso modo per un rinnovamento della catechesi eucaristica, di modo che acquisiscano essi stessi un'autentica consapevolezza eucaristica e a loro volta insegnino ai bambini e ai giovani a riconoscere il mistero centrale della fede e costruiscano la loro vita intorno a esso. Esorto specialmente i sacerdoti a rendere il dovuto onore al rito eucaristico e chiedo a tutti i fedeli di rispettare il ruolo di ogni individuo, sia sacerdote sia laico, nell'azione eucaristica. La liturgia non appartiene a noi:  è il tesoro della Chiesa.

La ricezione dell'Eucaristia, l'adorazione del Santissimo Sacramento - con ciò intendiamo approfondire la nostra comunione, prepararci a essa e prolungarla - significa consentire a noi stessi di entrare in comunione con Cristo, e attraverso di lui con tutta la Trinità, per diventare ciò che riceviamo e per vivere in comunione con la Chiesa. È ricevendo il Corpo di Cristo che riceviamo la forza "dell'unità con Dio e con gli altri" (cfr san Cirillo d'Alessandria, In Ioannis Evangelium, 11, 11; cfr. sant'Agostino, Sermo 577). Non dobbiamo mai dimenticare che la Chiesa è costruita intorno a Cristo e che, come hanno detto sant'Agostino, san Tommaso d'Aquino e sant'Alberto Magno, seguendo san Paolo (cfr 1 Cor, 10, 17), l'Eucaristia è il sacramento dell'unità della Chiesa perché tutti noi formiamo un solo corpo di cui il Signore è il capo. Dobbiamo ritornare continuamente indietro all'ultima cena del giovedì santo, dove abbiamo ricevuto un pegno del mistero della nostra redenzione sulla croce. L'ultima cena è il luogo della Chiesa nascente, il grembo che contiene la Chiesa di ogni tempo. Nell'Eucaristia il sacrificio di Cristo viene costantemente rinnovato, la Pentecoste viene costantemente rinnovata. Possiate tutti voi diventare sempre più consapevoli dell'importanza dell'Eucaristia domenicale, perché la domenica, il primo giorno della settimana, è il giorno in cui onoriamo Cristo, il giorno in cui riceviamo la forza per vivere quotidianamente il dono di Dio!

Desidero anche invitare i pastori e i fedeli a un'attenzione rinnovata per la loro preparazione alla ricezione dell'Eucaristia. Nonostante la nostra debolezza e il nostro peccato, Cristo vuole dimorare in noi. Per questo, dobbiamo fare tutto il possibile per riceverlo in un cuore puro, ritrovando costantemente, mediante il sacramento del perdono, quella purezza che il peccato ha macchiato, "armonizzando la nostra anima con la nostra voce", secondo l'invito del Concilio (cfr Sacrosanctum Concilium, n. 11). Di fatto, il peccato, soprattutto quello grave, si oppone all'azione della grazia eucaristica in noi. D'altro canto, coloro che non possono comunicarsi per la loro situazione troveranno comunque in una comunione di desiderio e nella partecipazione all'Eucaristia una forza e un'efficacia salvatrice.

L'Eucaristia ha un posto molto speciale nella vita dei santi. Rendiamo grazie a Dio per la storia di santità del Québec e del Canada, che ha contribuito alla vita missionaria della Chiesa. Il vostro paese onora in modo particolare i suoi martiri canadesi, Jean de Brébeuf, Isaac Jogues e i loro compagni, che hanno saputo donare la propria vita per Cristo, unendosi così al suo sacrificio sulla Croce. Appartengono alla generazione degli uomini e delle donne che hanno fondato e sviluppato la Chiesa in Canada, con Marguerite Bourgeoys, Marguerite d'Younville, Marie de l'Incarnation, Marie-Catherine de Saint-Augustin, monsignor François de Laval, fondatore della prima diocesi in America del Nord, Dina Bélanger e Kateri Tekakwitha. Imparate da loro, e come loro, siate senza paura; Dio vi accompagna e vi protegge; fate di ogni giorno un'offerta alla gloria di Dio Padre e prendete parte alla costruzione del mondo, ricordandovi con orgoglio della vostra eredità religiosa e del suo irradiamento sociale e culturale, e preoccupandovi di diffondere attorno a voi i valori morali e spirituali che giungono a noi dal Signore.

L'Eucaristia non è solo un pasto fra amici. È mistero di alleanza. "Le preghiere e i riti del sacrificio eucaristico fanno continuamente rivivere davanti agli occhi della nostra anima, nel corso del ciclo liturgico, tutta la storia della salvezza, e ci fanno penetrare sempre più il suo significato" (Santa Thérèse-Bénédicte de la Croix, [Edith Stein], Wege zur inneren Stille, Aschaffenburg, 1987, p. 67). Siamo chiamati a entrare in questo mistero di alleanza conformando ogni giorno di più la nostra vita al dono ricevuto nell'Eucaristia. Questa ha un carattere sacro, come ricorda il Concilio Vaticano ii:  "ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado" (Sacrosanctum Concilium, n. 7). In un certo senso, essa è "liturgia celeste", anticipazione del banchetto nel Regno eterno, annunciando la morte e la resurrezione di Cristo, "finché Egli venga" (1 Cor, 11, 26).

 

Eucaristia – Adorazione - Comunione

Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti alla Plenaria della CCDDS, Sala del Concistoro, 13 marzo 2009

Con grande gioia e con sempre viva riconoscenza vi ricevo, in occasione della Plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. In questa importante occasione mi è gradito, in primo luogo, porgere il mio cordiale saluto al Prefetto, il Signor Cardinale Antonio Cañizares Llovera, che ringrazio per le parole con cui ha illustrato i lavori svolti in questi giorni e ha dato espressione ai sentimenti di quanti sono oggi qui presenti. Estendo il mio saluto affettuoso e il mio cordiale ringraziamento a tutti i Membri ed Officiali del Dicastero, a cominciare dal Segretario, Mons. Malcom Ranjith, e dal Sotto-Segretario, fino a tutti gli altri che, nelle diverse mansioni, prestano con competenza e dedizione il loro servizio per «la regolamentazione e la promozione della sacra liturgia» (Pastor Bonus, n. 62). Nella Plenaria avete riflettuto sul Mistero eucaristico e, in modo particolare, sul tema dell’adorazione eucaristica. Mi è ben noto come, dopo la pubblicazione dell’Istruzione «Eucharisticum mysterium» del 25 maggio 1967 e la promulgazione, il 21 giugno 1973, del Documento «De sacra communione et cultu mysterii eucharistici extra Missam», l’insistenza sul tema dell’Eucaristia come fonte inesauribile di santità è stata una premura di primo piano del Dicastero.

Ho accolto, pertanto, volentieri la proposta che la Plenaria si occupasse del tema dell’adorazione eucaristica, nella fiducia che una rinnovata riflessione collegiale su tale prassi potesse contribuire a mettere in chiaro, nei limiti di competenza del Dicastero, i mezzi liturgici e pastorali con cui la Chiesa dei nostri tempi può promuovere la fede nella presenza reale del Signore nella Santa Eucaristia e assicurare alla celebrazione della Santa Messa tutta la dimensione dell’adorazione. Ho sottolineato questo aspetto nell’Esortazione apostolica Sacramentum caritatis, in cui raccoglievo i frutti della XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo, svoltasi nell’ottobre del 2005. In essa, evidenziando l’importanza della relazione intrinseca tra celebrazione dell’Eucaristia e adorazione (cfr n. 66), citavo l’insegnamento di sant’Agostino: «Nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando» (Enarrationes in Psalmos, 98, 9: CCL 39, 1385). I Padri sinodali non avevano mancato di manifestare preoccupazione per una certa confusione ingeneratasi, dopo il Concilio Vaticano II, circa la relazione tra Messa e adorazione del Santissimo Sacramento (cfr Sacramentum caritatis, n. 66). In questo, trovava eco quanto il mio Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, aveva già espresso circa le devianze che hanno talvolta inquinato il rinnovamento liturgico post-conciliare, rivelando «una comprensione assai riduttiva del mistero eucaristico» (Ecclesia de Eucharistia, n. 10).

Il Concilio Vaticano Secondo ha messo in luce il ruolo singolare che il mistero eucaristico ha nella vita dei fedeli (Sacrosanctum Concilium, nn. 48-54, 56). Come Papa Paolo VI ha più volte ribadito: «l’Eucaristia è un altissimo mistero, anzi propriamente, come dice la Sacra Liturgia, il mistero di fede» (Mysterium fidei, n. 15). L’Eucaristia, infatti, è alle origini stesse della Chiesa (cfr Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 21) ed è la sorgente della grazia, costituendo un’incomparabile occasione sia per la santificazione dell’umanità in Cristo che per la glorificazione di Dio. In questo senso, da una parte, tutte le attività della Chiesa sono ordinate al mistero dell’Eucaristia (cfr Sacrosanctum Concilium, n. 10; Lumen gentium, n. 11; Presbyterorum ordinis, n. 5; Sacramentum caritatis, n. 17), e, dall’altra, è in virtù dell’Eucaristia che «la Chiesa continuamente vive e cresce» (Lumen gentium, n. 26). Nostro compito è percepire il preziosissimo tesoro di questo ineffabile mistero di fede «tanto nella stessa celebrazione della Messa quanto nel culto delle sacre specie, che sono conservate dopo la Messa per estendere la grazia del Sacrificio» (Istruz. Eucharisticum mysterium, n. 3, g.). La dottrina della transustanziazione del pane e del vino e della presenza reale sono verità di fede evidenti già nella Sacra Scrittura stessa e confermate poi dai Padri della Chiesa. Papa Paolo VI, al riguardo, ricordava che «la Chiesa Cattolica non solo ha sempre insegnato, ma anche vissuto la fede nella presenza del corpo e del sangue di Cristo nella Eucaristia, adorando sempre con culto latreutico, che compete solo a Dio, un così grande Sacramento» (Mysterium fidei, n. 56; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1378).

È opportuno ricordare, al riguardo, le diverse accezioni che il vocabolo «adorazione» ha nella lingua greca e in quella latina. La parola greca proskýnesis indica il gesto di sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire. La parola latina adoratio, invece, denota il contatto fisico, il bacio, l’abbraccio, che è implicito nell’idea di amore. L’aspetto della sottomissione prevede un rapporto d’unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è Amore. Infatti, nell’Eucaristia l’adorazione deve diventare unione: unione col Signore vivente e poi col suo Corpo mistico. Come ho detto ai giovani sulla Spianata di Marienfeld, a Colonia, durante la Santa Messa in occasione della XX Giornata mondiale della Gioventù, il 21 agosto 2005: «Dio non è più soltanto di fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui. La sua dinamica ci penetra e da noi vuole propagarsi agli altri e estendersi a tutto il mondo, perché il suo amore diventi realmente la misura dominante del mondo» (Insegnamenti, vol. I, 2005, pp. 457 s.). In questa prospettiva ricordavo ai giovani che nell’Eucaristia si vive la «fondamentale trasformazione della violenza in amore, della morte in vita; essa trascina poi con sé le altre trasformazioni. Pane e vino diventano il suo Corpo e Sangue. A questo punto però la trasformazione non deve fermarsi, anzi è qui che deve cominciare appieno. Il Corpo e il Sangue di Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta» (ibid., p. 457).

Il mio Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica «Spiritus et Sponsa», in occasione del 40° anniversario della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Sacra Liturgia, esortava ad intraprendere i passi necessari per approfondire l’esperienza del rinnovamento. Ciò è importante anche rispetto al tema dell’adorazione eucaristica. Tale approfondimento sarà possibile soltanto attraverso una maggiore conoscenza del mistero in piena fedeltà alla sacra Tradizione ed incrementando la vita liturgica all’interno delle nostre comunità (cfr Spiritus et Sponsa, nn. 6-7). A questo riguardo, apprezzo in particolare che la Plenaria si sia soffermata anche sul discorso della formazione di tutto il Popolo di Dio nella fede, con una speciale attenzione ai seminaristi, per favorirne la crescita in uno spirito di autentica adorazione eucaristica. Spiega, infatti, S. Tommaso: «Che in questo sacramento sia presente il vero Corpo e il vero Sangue di Cristo non si può apprendere coi sensi, ma con la sola fede, la quale si appoggia all’autorità di Dio» (Summa theologiae, III, 75, 1; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1381).


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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