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ILLUSTRISSIMI Lettere del Patriarca Albino Luciani Giovanni Paolo I

Ultimo Aggiornamento: 07/11/2017 10:21
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07/11/2017 09:32
 
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Circolo Pickwick

Le cantonate e la scala di Mohs 

    
Mi siete sempre stati simpatici, cari signori! Voi, presidente Pickwick, cavalleresco come un Don Chisciotte, con sempre alle costole quell’allegro e fedele ragazzo di Sam Weller, pieno di trovate e saggio come un Sancio Panza. E voi, Snodgrass, Tupman e Winkle con le vostre spassose bizzarrie! Tutti mi siete stati simpatici! Mentre leggevo, le vostre figure balzavano su vive dalle pagine di Dickens a farmi sorridere e, fino a un certo punto, capivo come fosse potuto accadere che un lettore morente avesse chiesto a Dio, per grazia, dieci giorni ancora di vita, tanti quanti occorrevano per avere e leggere l’ultima puntata del libro che vi immortala. Ma eccovi, presidente Pickwick, in ginocchio davanti ad una pietra scheggiata, emergente da terra vicino all’uscio di una casa. - Santo cielo!, esclamate voi, e strofinate la pietra col fazzoletto; intravedete sulla superficie alcune lettere, avete immediata e precisa Ia sensazione che debba trattarsi di un pezzo archeologico antichissimo, comperate dal padrone di casa la pietra per dieci scellini e ve la portate come una reliquia alla locanda presso i vostri tre amici. Posta sulla tavola, la pietra viene "mangiata", da tutti con sguardi brillanti di gioia Portata religiosamente alla sede del Circolo, su di essa, davanti l’Assemblea generale appositamente convocata, aprono la bocca diversi oracoli, facendo sulla iscrizione le più ingegnose e sottili congetture. 

Voi stesso, presidente, con la erudizione che vi distingue, scrivete un opuscolo con ventisette possibili interpretazioni dell’iscrizione! Fatica meritatamente premiata: sedici società scientifiche, nazionali e straniere, vi nominano membro onorario, a riconoscimento della scoperta. Ma che? Non salta fuori un antagonista invidioso nella persona del socio Blotton? Questi effettua un sopralluogo, interroga l’uomo che v’aveva venduta la pietra e riferisce al Circolo: "La pietra è sì antichissima, ma l’iscrizione è recente, eseguita dall’uomo stesso che ce l’ha venduta: egli asserisce che ha inteso scrivere questo e solo questo: BILL STUMP MIA FIRMA: tutti possono vedere!". La reazione del Circolo è immediata: espulsione di Blotton come denigratore e presuntuoso; occhiali d’oro votati e offerti al presidente Pickwick, in segno di approvazione e stima; mozione di biasimo delle sedici società nei confronti di Blotton. Adesso, però, fra di noi, possiamo dircelo: non si trattava di un "pezzo archeologico" ma di un banale, comune "sasso"; avevate preso una solenne "cantonata", presidente; e, in buona fede, l’avete fatta prendere ai tre amici, al Circolo intero e alle sedici società. Succede. E appunto perché succede, e affinché succeda il meno possibile, San Tommaso, un dottore della Chiesa, ha scritto un opuscolo apposito sulle "cantonate", intitolandolo "De fallacils". Mi permettete di delibarne con voi qualche punto? Sì? Grazie!

***  

La vostra cantonata, presidente, San Tommaso la chiamerebbe "paralogismo", ossia argomentazione falsa, ma formulata in buona fede. Ce n’è anche oggi: capita, per esempio, a me di sentire spesso i paralogismi di coloro che combattono in buona fede la Chiesa. Da una parte, ci soffro per amore di verità: la Chiesa, infatti, è tutt’altra cosa da quella che essi pensano. D’altra parte, un po’ mi consolo: vedo che essi, spesso, più che alla Chiesa, sono contrari all’idea ch’essi si sono fatti della Chiesa. Di solito, queste cantonate in buona fede o "paralogismi" si prendono in forza di pregiudizi, che sono nell’aria e sono fatti circolare dalla propaganda con slogans incisivi.

Esempio: "Chiesa dei poveri", "tesori del Vaticano", "Chiesa alleata col potere" sono concetti che rendono oggi ostile alla Chiesa parecchia gente, che fino a ieri l’amava e stimava senza riserve. Richiesta, questa gente, cosa intenda per "Chiesa dei poveri", magari non lo sa dire bene; sentito che i famosi "tesori" non hanno prezzo commerciale, che un reddito annuo anche cospicuo è fatto necessario per una S. Sede, che deve provvedere a mille problemi e bisogni anche e soprattutto dei poveri, la stessa gente si arrende in parte e conviene. Ma tant’è: la propaganda continua, i pregiudizi incidono, le "cantonate" non si evitano. Dio, per fortuna, giudicherà un giorno gli uomini dopo aver pesato le loro teste e li salverà - spero - nonostante le loro involontarie idee storte!

***  

Non tutti però, argomentando falsamente, hanno la vostra buona fede, presidente; c’è chi si propone volutamente di ingannare colle sue parole: allora non abbiamo più il paralogismo, ma il "sofisma" ed entrano in gioco brutte passioni umane. Quali? Metto per primo lo spirito di contraddizione, caratteristico del cosiddetto "Bastian contrario". Tu affermi; egli sente il bisogno di negare. Tu neghi, bisogna ch’egli affermi. Dialoghi con lui; mentre parli, pensa solo a come contraddirti, confutarti e affermarsi. Sul ponte stretto, gettato tra le sponde di un torrentello, un mulo si era fermato e aveva saldamente puntato gli zoccoli. Provarono a tirarlo per la cavezza, a spianargli le costole con un bastone, non c’era verso che si muovesse. Di qua e di là del ponte la gente aspettava impaziente. - Ci penso io! - disse uno, che meritava di essere del Circolo Pickwick. S’avvicinò, prese la coda del mulo e diede uno strattone: sentendo che lo volevano indietro, la bestia partì come una freccia in avanti e lasciò libero il passaggio. Così siamo noi, a volte, caro presidente! Facciamo quel che gli altri non vorrebbero facessimo; non facciamo quel che gli altri desiderano da noi: così comportandoci, non siamo sereni e retti nel pensare e nel parlare.

***

Avete mai sentito parlare di Mohs, presidente? Era uno scienziato, morto nel 1839, due anni giusti dopo la pubblicazione dei "verbali" del vostro Circolo. Egli è autore della "Scala di Mohs", che segna, su dieci scalini ascensionali, la durezza dei minerali; dal talco e dal gesso esso porta, di durezza in durezza, su su fino al diamante. Ebbene, presidente, dovreste dire a Mohs che certe teste sembrano più dure del diamante: non cedono mai, si incaponiscono in un’opinione sbagliata in barba ad ogni evidenza contraria. "Date un chiodo ad un ostinato - dice il proverbio - egli lo conficcherà con la sua testa!" In altre teste, è entrata l’ipercritica; uomini che trovano il pelo nell’uovo, rivedono le bucce a tutti, non si accontentano di niente e di nessuno.

Altri sono dogmatisti: per aver letto qualche rivista o viaggiato o fatto qualche esperienza, pensano di poter insegnare a tutti e mettono la punta del proprio naso al centro dell’universo. Diceva uno di costoro: Il Municipio? Io lo principio. Il Parlamento? Io lo sostengo. Domeneddio? L'ho fatto io!  E’ chiaro: ostinati, ipercritici e dogmatisti sono più che esposti e inclinati al sofisma. Viceversa, il modesto sentire di sé, il desiderio di ascoltare anche gli altri inclina a dire la verità. Si trovava in queste buone disposizioni d’animo il Mochi, nostro etnologo fiorentino e vostro contemporaneo, presidente, il quale aveva viaggiato moltissimo e soleva dire: "Parigi? Sì, l’ho vista: è come una Firenze più grande. Appena finita Firenze, comincia un’altra Firenze, poi un’altra... Parecchie Firenze, insieme, fanno Parigi. Massaua? Sì, l’ho vista: è come una Firenze più piccola, senza monumenti, senza il Viale dei Colli e senza il ‘Nuovo Giornale’". Molto modesto, come vedete e bene, perché meno superbi si è, più s’è garantiti contro l’insincerità e l’errore.

***  

Senonché, oltre la superbia personale, interviene anche la superbia di gruppo a causare sofismi. Prendete il partito, la classe, il paese: si va a rischio di abbracciare quella data idea non perché la si è riconosciuta vera, ma perché è l’idea del gruppo, del partito. Gli errori del razzismo, del nazionalismo, del campanilismo, dell’imperialismo, abbracciati da milioni di persone, vengono da qui. Da qui anche i sofismi prodotti dall’opportunismo. Per pigrizia, per interesse, si va senza reagire dove vanno gli altri, piume portate dal vento, travicelli in balia della corrente.

Ci siete cascato anche voi, presidente, nei famosi comizi elettorali in cui si fronteggiavano candidati ed elettori "azzurri" e "gialli" della cittadina di "Mangia e bevi". Sbarcato dalla diligenza cogli amici, vi trovaste circondato da un gruppo eccitato di "azzurri", che chiesero subito che simpatizzaste per il loro candidato Slunkey. Trascrivo dai "Verbali del Circolo": - Urrà per Slunkey! - ruggirono gli "azzurri". - Urrà per Slunkey! - fece eco il Signor Pickwick, togliendosi il cappello. - Abbasso Fizkin! - ruggirono gli "azzurri". - Abbasso! - ripeté il signor Pickwick. - Urrà! - E qui si ebbe un boato simile a quello di tutto un serraglio, quando l’elefante fa suonare la campana del rancio. - Chi è Slunkey? - sussurrò a questo punto Tupman. - Non so, - rispose Pickwick, nello stesso tono. - Ma zitto, non interrompere. In certi casi è meglio fare quello che fa la folla. - Ma se ci fossero due folle? - suggerì il Signor Snodgrass. - Allora bisogna gridare con quella più numerosa, - replicò Pickwick. Ahimé! presidente, avete detto più con questa frase che con un intero volume. Ahimé! Quando si arriva al punto di gridare con chi grida più forte, tutti gli errori possono capitare. E non sempre facilmente riparabili. Voi lo sapete: basta un matto per scagliare nel pozzo un braccialetto prezioso: venti savi, forse, non bastano per estrarvelo. Voi sapete e volesse Iddio che tutti ne fossero persuasi e nessuno facesse il "matto"!
Maggio 1972




Dickens

Siamo agli sgoccioli... 

    
Caro Dickens, Sono un vescovo, che ha preso lo strano impegno di scrivere ogni mese (1) per il Messaggero di S. Antonio una lettera a qualche illustre personaggio. A corto di tempo, sotto Natale, non sapevo proprio chi scegliere. Quand’ecco, trovo su un giornale la réclame dei vostri cinque famosi Libri natalizi. Mi son subito detto: li ho letti da ragazzo, mi sono immensamente piaciuti perché tutti pervasi da un senso di amore ai poveri e di rigenerazione sociale, tutti caldi di fantasia e umanità; scriverò a lui. E son qui a disturbarvi.

***

Ho ricordato dianzi il vostro amore ai poveri. L’avete sentito ed espresso magnificamente, perché tra i poveri eravate vissuto bambino. A dieci anni, col papà in prigione per debiti, al fine di aiutare la mamma ed i fratellini, andaste a lavorare in una fabbrica di vernici. Dalla mattina alla sera le vostre piccole mani imballavano scatole di lucido da scarpe sotto gli occhi di un padrone impietoso; la notte dormivate in una soffitta; la domenica, per far compagnia al padre, la trascorrevate con tutta la famiglia in prigione, dove i vostri occhi di fanciullo s’aprivano sbalorditi, commossi e attentissimi, su decine e decine di casi pietosi. Per questo tutti i vostri romanzi sono popolati da povera gente, che vive in una miseria impressionante: donne e bambini arruolati in fabbrica o in bottega indiscriminatamente anche sotto i sei anni; nessun sindacato che il difenda; nessuna proiezione contro malattie e infortuni; salari da fame; lavoro prolungato fino a quindici ore giornaliere, che, con desolante monotonia, lega fragilissime creature alla macchina potente e fragorosa, all’ambiente fisicamente e moralmente malsano e spesso spinge a cercare oblìo nell’alcool o a tentare un’evasione mediante la prostituzione. Sono gli oppressi: su di essi si riversa tutta la vostra simpatia. Di fronte, stanno gli oppressori, che Voi stigmatizzate con penna maneggiata dal genio della collera e dell’ironia capace di scolpire quasi su bronzo figure da maschera.

***

Una di queste figure è l’usuraio Scrooge, protagonista del vostro Canto di Natale in prosa.   Due signori, capitati nel suo studio, notes e penna alla mano, lo interpellano: "E’ Natale, migliaia di persone mancano del necessario, signore!". Risposta di Scrooge: "E non ci sono le prigioni? E gli ospizi di mendicità non funzionano ancora?". "Ci sono, funzionano, ma ben poco possono fare per rallegrare spiriti e corpi in occasione del Natale. Abbiamo pensato di raccogliere fondi per offrire ai poveri cibi, bevande e combustibili. Per che cifra posso iscrivervi?". "Per nessuna. Desidero essere lasciato in pace. Io non festeggio il Natale e non mi permetto il lusso di farlo festeggiare a dei fannulloni. Pagando la tassa sui poveri, do il mio aiuto alle carceri, agli istituti di mendicità; chi è nella miseria può rivolgersi là". "Molti non possono andarci, e molti preferirebbero piuttosto morire?". "Se preferiscono morire, meglio lo facciano in fretta per diminuire la sovrabbondanza della popolazione.
E poi, scusatemi, queste cose non mi riguardano". 
Così avete descritto l’usuraio Scrooge: preoccupato solo di soldi e di affari. Ma quando di affari parla allo spettro del suo "spirito gemello", il defunto socio usuraio Marley, questi lamenta dolorosamente: "Gli affari! Avere umanità avrebbe dovuto essere il mio affare. Il benessere generale avrebbe dovuto essere il mio affare: carità, clemenza e benevolenza, tutto questo avrebbe dovuto essere il mio affare. Perché ho camminato tra la folla dei miei simili cogli occhi rivolti a terra, senza mai alzarli su quella stella benedetta che condusse i magi ad una capanna? Non c’erano forse altre povere case verso cui la sua luce avrebbe potuto guidarmi?".    

***

Da quando scriveste queste parole (1843) sono passati più di centotrent’anni. Sarete curioso di sapere se e come è stato portato un rimedio alle situazioni di miseria e di ingiustizia che voi denunciaste. Ve lo dico subito. Nella vostra Inghilterra e nell’Europa industrializzata, i lavoratori hanno migliorato di molto la loro posizione. Avevano a loro disposizione come unica forza il numero. L’hanno valorizzato. Dissero i vecchi oratori socialisti: "Il cammello passava attraverso il deserto; le sue zampe calpestavano i granellini di sabbia ed egli, superbo e trionfante, diceva: “Vi schiaccio, vi schiaccio!" I granellini si lasciavano schiacciare.
Ma si alzò il vento, il terribile simoun. "Su, granellini, disse, unitevi, fate corpo insieme a me, flagelleremo insieme il bestione e lo seppelliremo sotto montagne di sabbia! ". 
I lavoratori da granellini divisi e sparsi sono diventati nube unita nei sindacati e nei vari socialismi, che hanno il merito innegabile di essere stati quasi dappertutto la causa principale dell’avvenuta promozione dei lavoratori. Questi, dai vostri tempi in qua, hanno realizzato avanzamenti e conquiste sul piano dell’economia, della sicurezza sociale, della cultura. Oggi poi, attraverso i sindacati, riescono spesso a farsi sentire anche lassù, nelle alte sfere dello Stato, dove in realtà si decidono le loro sorti. Tutto ciò, a prezzo di gravissimi sacrifici, superando opposizioni e ostacoli. L’unione dei lavoratori per la difesa dei propri diritti, infatti, fu dapprima dichiarata illegale, poi tollerata, poi riconosciuta giuridicamente. Lo Stato dapprima fu "Stato carabiniere", dichiarò il contratto di lavoro affare del tutto privato, proibì i contratti collettivi; il padrone teneva il coltello per il manico; imperava senza freni la "libera concorrenza". "Due padroni corrono dietro a un operaio? Il salario dell’operaio crescerà.
Due operai tirano per la giacca un padrone? Il salario calerà". Questa è la legge, si diceva, tale, che porta automaticamente all’equilibrio delle forze! Invece portava agli abusi di un capitalismo, che fu, ed in certi casi ancora è, "sistema nefasto". 
E adesso? Ahimé! Ai vostri tempi le ingiustizie sociali erano a senso unico: di operai, che dovevano puntare il dito contro i padroni. Oggi, a puntare il dito è uno sterminio di gente: i lavoratori dei campi, che lamentano di trovarsi molto peggio dei lavoratori dell’industria; qui in Italia, il Sud contro il Nord; in Africa, in Asia, in America Latina le nazioni del "Terzo Mondo" contro le nazioni del benessere. Ma pure in queste ultime nazioni ci sono numerose sacche di miseria e di insicurezza.

Molti lavoratori sono disoccupati o insicuri del posto, non dappertutto sono protetti a sufficienza contro gli incidenti, spesso si sentono trattati solo da strumenti di produzione e non da protagonisti. 
Per di più la corsa frenetica al benessere, l’uso esagerato e pazzo di cose non necessarie ha compromesso i beni indispensabili: l’aria e l’acqua pura, il silenzio, la pace interiore, il riposo. Si credeva che i pozzi di petrolio fossero come il pozzo di san Patrizio, senza fondo; improvvisamente ci si accorge che siamo quasi agli sgoccioli. Si confidava che, esaurito in tempi lontani il petrolio, si potesse contare sull’energia nucleare, ma ci vengono a dire che nella produzione di questa esiste il pericolo di scorie radioattive dannose all’uomo e al suo ambiente. Il timore e la preoccupazione sono grandi. Per molti il bestione del deserto da aggredire e seppellire non è più soltanto il capitalismo, ma anche il "sistema" attuale, da abbattere con rivoluzione capovolgitrice. Per altri il capovolgimento sta già cominciando. 

Il povero Terzo Mondo di oggi, dicono, sarà presto ricco, grazie ai pozzi di petrolio, che sfrutterà solo per se; il mondo del benessere consumistico, avendo il petrolio solo col contagocce, dovrà limitare le sue industrie, i suoi consumi e sottomettersi ad una recessione. Tra questo infittirsi di problemi, di preoccupazioni e di tensioni, valgono ancora, allargati e adattati, i principi da Voi, caro Dickens, caldeggiati sia pure un po’ sentimentalmente. Amore al povero, e non tanto al povero singolo, quanto ai poveri, che respinti, sia come individui sia come popoli, si sono sentiti classe e solidarizzano tra loro. Ad essi, senza titubanza, sull’esempio di Cristo, va data la preferenza sincera e aperta del cristiani. Solidarietà: siamo un’unica barca piena di popoli ormai ravvicinati nello spazio e nel costume, ma in un mare molto mosso. Se non vogliamo andare incontro a gravi dissesti, la regola è questa: tutti per uno e uno per tutti; insistere su quello che unisce, lasciar perdere quello che divide. Fiducia in Dio: per bocca del vostro Marley, Voi auspicavate che la stella dei Magi illuminasse le case povere. Oggi casa povera è il mondo intero, che ha tanto bisogno di Dio! 
  Febbraio 1974






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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