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ILLUSTRISSIMI Lettere del Patriarca Albino Luciani Giovanni Paolo I

Ultimo Aggiornamento: 07/11/2017 10:21
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07/11/2017 09:44
 
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Don Gonzalo

Le campane del guerrigliere 

    
Caro don Gonzalo, So di voi solo quel tanto che ne scrive il Manzoni ne I Promessi Sposi. Siete stato Governatore spagnolo dello Stato di Milano; quello della guerra di Casale, quello della peste del 1630. Nel vostro stemma spiccava un re moro incatenato per la gola. Fu davanti a quello stemma che Renzo, all’osteria della luna piena, sbottò a dire: "So cosa vuol dire quella faccia d’ariano con la corda al collo. Vuol dire, quella faccia: comanda chi può e obbedisce chi vuole". Povero Renzo! Mal gliene incolse: poche ore dopo i birri gli mettevano sopra le mani e poiché riuscì a fuggire, voi lo faceste ricercare con gran fracasso come malandrino, ladrone pubblico, promotore di saccheggio, in una parola, come sedizioso e rivoluzionario! Oggi sarebbe diverso. Per quella frase Renzo sarebbe promosso profeta, carismatico, teologo. Voi, caro don Gonzalo, per il solo fatto di volere emanare delle gride, sareste un repressore, invaso dalla libidine del potere e calpestatore della dignità e libertà umana. La sedizione milanese contro il vostro Vicario di provvigione sarebbe detta un insignificante aborto di rivoluzione, un nulla in confronto della rivoluzione vera, che vuole rovesciare tutto il sistema. Le campane di certa "filosofia" e "teologia" sembrano oggi suonare a morto per l’autorità, a festa per la libertà e la rivoluzione. Esse farebbero dire a Bossuet, un genio, che vi era quasi contemporaneo: "Dove tutti fanno quel che vogliono, nessuno fa quello che vuole; dove nessuno comanda, tutti comandano; dove tutti comandano, nessuno comanda"!

***  

Ma chi si cura di Bossuet? Il luminare, cui guardano specialmente folti gruppi di studenti, è Mao, che ha loro detto: "Cancellare tutto ciò che è borghese con la rivoluzione culturale! La cultura di una volta serve solo a creare divisioni: ‘fare la rivoluzione’ è invece l’unica cultura degna di questo nome". E’ stato preso in parola anche in casa nostra. I "nuovi studenti" proclamano: "Siamo noi la miccia che farà saltare la società attuale. Non più scuola selettiva o di classe, che favorisce solo chi è borghese, chi ha già avuto in famiglia un certo tipo di educazione! Basta con la meritocrazia classista, che pretende misurare a scuola con lo stesso metro chi può andare in macchina e chi deve andare a piedi!" E fanno sul serio: occupano le scuole, negano che ci sia differenza fra Dante Alighieri e Bertoldino, hanno imparato il metodo della guerillaurbana, l'analisi marxista della società borghese, l’uso della droga, paralizzano col ridicolo i non rivoluzionari, dominano col terrorismo le maggioranze studentesche silenziose e penetrano negli stessi ambienti studenteschi cattolici. Curioso fenomeno, queste "quinte colonne" accettate, applaudite e teologizzate. Mao è il nuovo Mosè, che introduce i popoli in una nuova Terra Promessa. La democrazia cosiddetta occidentale è ormai un rudere inutile. Lo stesso comunismo sovietico è sorpassato. La terza via, quella di Mao, è quella che libererà il mondo, perché, dicono, è quella del Vangelo. Come mai? E’ da sapere, dicono, che la Palestina, ai tempi di Gesù, era teatro di guerriglia: i guerriglieri, zeloti, si battevano a sangue contro Roma: rappresaglia contro di essi era la crocifissione, sicché, la croce, ancora prima di diventare simbolo cristiano, fu segno legato alla guerilla. Gesù, privato dei suoi diritti di cittadino dai dominatori bianchi di Roma, ebreo offeso, non poté trovarsi che fra i rivoluzionari. Ciò non appare bene dai Vangeli, continuano a dire, che sono stati scritti quando la rivolta contro Roma era ormai terminata. San Marco, inoltre, scrivendo per i romani, annacquò a loro favore il contenuto del suo Vangelo; anche san Paolo, cittadino romano, si lasciò influenzare da Roma. I Vangeli e Paolo, così come sono, non sono dunque attendibili, bisogna reinterpretarli. E’ scritto: "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare". Si deve sostituire: "Proibito dare a Cesare qualcosa, perché in Palestina tutto appartiene a Dio". E’ scritto: "Beati i facitori di pace"; "Va’ a riconciliarti col tuo fratello"; "perdonate"; "chi usa la spada, di spada perisce"; "porgi la guancia destra"; "ama i tuoi nemici". Sembrerebbero testi pacifisti, invece no: intesi in senso pacifista, essi suonano assurdi e codardi a gente sotto l’oppressione romana, anelante a indipendenza politica. Vanno, dunque, "reinterpretati" come segue: "Tu non devi avere nemici: questo è possibile solo quando avrai rovesciato il potere con la rivoluzione e avrai distrutto i demoni della non dignità umana, della disparità economica, della disparità di potere, che significa oppressione". Il vero Cristo, concludono, è rivoluzionario e guerrigliero; quello che ha armato la sua mano contro i mercanti del tempio, che è entrato in conflitto colla Sinagoga. Per seguirlo, bisogna farsi rivoluzionari nei confronti del potere sia statale che ecclesiastico in nome della libertà, della corresponsabilità, del dialogo, dei carismi.

***  

Che dire? Cristo, pur non essendo inferiore a nessuno, neppure al Padre, è modello di rispetto verso l’autorità umana. A Nazareth "è sottomesso" a Maria e Giuseppe; a Cafarnao opera addirittura una piccola pesca miracolosa onde avere lo statere necessario a pagare Ia tassa del tempio (Mt. 17). La posizione di Cristo di fronte alla Sinagoga non si può minimamente paragonare a quella di qualcuno di noi di fronte all’autorità civile o ecclesiastica. Cristo era "il padrone della Legge" e il Figlio del Padre, superiore alla Legge; la Sinagoga era appena destinataria della Legge. Scontrandosi poi colla Sinagoga, Cristo non si appellò a un suo diritto a ribellarsi, ma, viceversa, al suo dovere di obbedire al Padre. La stessa cacciata dei mercanti dal tempio è atto religioso ben calcolato e meditato. Cristo, infatti, nel tempio non ferisce e uccide nessuno, non incendia il tempio; solo rovescia le tavole dei cambiavalute e disperde gli animali dei mercanti, ai quali, più che danno, causa disagio momentaneo in vista di un fine da lui preinteso: insegnare il rispetto alla casa del Padre. Il Concilio ha sottolineato che Ia Chiesa è popolo di Dio e comunitaria prima ancora che gerarchica. Fondandola, Cristo aveva in cima ai suoi pensieri il popolo, le anime da salvare. A servizio del popolo ha voluto Apostoli e vescovi muniti di poteri speciali. Per tener uniti i vescovi ha voluto il Papa. Papa e vescovi non sono dunque sopra, ma dentro e al servizio del popolo di Dio. Il servizio, però, lo possono prestare solo esercitando i poteri ricevuti. I quali, dunque, non si possono cancellare. Dice il Concilio: "I vescovi governano le chiese particolari loro affidate come vicari o legati di Cristo col consiglio la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà... in virtù della quale hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di dare leggi ai loro sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appartiene a! culto e all’apostolato" (LG 127).

Che sia difficile esercitare quest’autorità nella maniera giusta, è vero. Che si sia mancato e che si possa anche ora mancare da parte della Gerarchia, è pure vero. Quando i Padri parlano di una "Chiesa lebbrosa" e di "Chiesa zoppicante", toccano una piaga viva. Ma è piaga legata alla finitezza umana; essa può essere curata, guarita in parte, ma non eliminata del tutto. I laici ed i sacerdoti che talora, per sincero amore verso la Chiesa, contestano, dovrebbero tenerlo presente. Bisogna saper edificare su quella che esiste: spesso è saggio accontentarsi di quello che si ha, mirando bensì a ulteriori conquiste, ma senza distruggere colla contestazione i germi esistenti di una evoluzione futura. - Rispetto alle persone? Certo, ma non possono i vescovi per rispetto alle persone singole trascurare il bene comune, permettendo che s’instauri l’indisciplina e l’anarchia. Diceva Sant’Agostino: "Noi vescovi presediamo, ma solo se serviamo". E soggiungeva: "Il vescovo che non serve il pubblico è solo uno spaventapasseri messo nei vigneti perché gli uccelli non becchino le uve". - Più spirito, più carismi e meno istituzione? Ma alcune istituzioni risalgono a Cristo e non si possono toccare senza che cambi l’essenza stessa della Chiesa: così il Primato del Papa, il Collegio episcopale, l’episcopato, il sacerdozio ministeriale. Altre istituzioni sono umane, si devono cambiare quando si rivelano superate e controproducenti, ma seguendo la legge della storia. Questa dice ai vescovi: niente di umano è immutabile, neppure il modo di ubbidire dei cattolici. Ma soggiunge: non pensino i sudditi che il corso della storia si possa affrettare con una impaziente ribellione! Anche Bertoldino aveva fretta che nascessero i pulcini: cacciò Ia chioccia e la sostituì, covando personalmente le uova, ‘ma ne venne solo una frittata nel fondo dei calzoni! - Più libertà, meno legalismo?

Giusto. Cristo proclamò l’interiorità, condannò il legalismo farisaico. Anche San Paolo esalta la libertà dello spirito e il codice dell’amore. C’è, però, anche il rovescio della medaglia: Cristo diede prescrizioni, obbligando i suoi seguaci a osservarle e volle nella Chiesa l’autorità. Paolo poi, ammonì: "Siete stati chiamati a libertà; solamente, che questa libertà non diventi un pretesto per la carne". - Corresponsabilità? I Pastori ricordino: essi non sono stati "istituiti da Cristo per assumere da soli il peso della missione salvifica della Chiesa: "Nelle battaglie decisive è spesso dal fronte che partono le iniziative più indovinate". A loro volta, i laici vedano di non limitare la loro corresponsabilità alla troppo comoda protesta: aggiungano le proposte attuabili e pratiche, e soprattutto collaborino all’effettuazione delle proposte. Non solo: ricordino che il loro concorso ai bene della Chiesa deve avvenire non scompostamente, ma "sotto la guida del sacro magistero", cui spetta riconoscere e autenticare gli stessi carismi. - Dialogo? I documenti conciliari ne parlano una cinquantina di volte. Dev’ essere dunque attuato con buona volontà da una parte e dall’altra. I vescovi non ascoltino solo se stessi; consultino, esaminino insieme ad altri prima di decidere. E i fedeli parlino "con quella libertà e fiducia, che si addice ai figli di Dio e a fratelli in Cristo... sempre con verità, fortezza e prudenza, con reverenza e carità". Neppure il dialogo, però, opererà come una bacchetta magica, che tutto sana, risolve e mette a posto. Il dialogo in tanto è utile in quanto i dialoganti hanno fiducia in esso e ne osservano le giuste regole.

***  

Caro don Gonzalo! Questa gente, che dice di interpretare il Vangelo, va in cerca di libertà. Purtroppo, non è la libertà che intendeva Cristo, quando ci insegnò a dire: "Padre... liberaci dal male! ". Non è neppure l’altra, di cui parlava Sant’Agostino: "Sarai libero, se ti farai servo; libero dal peccato, servo della giustizia! ".
  Agosto 1972





Andreas Hofer

Il richiamo dell'Iselberg 

    
Caro Hofer,Un mese fa, passando per Innsbruck, ho visitato la Hofkirche, chiesa già francescana, costruita nella Rinascenza, su disegno del nostro Andrea Crivelli. E’ stato là, a sinistra della porta principale, che mi sono imbattuto nella vostra tomba. Vicino a Voi sono sepolti Giuseppe Speckbacher e il cappuccino Gioacchino Haspinger, ambedue compagni delle vostre battaglie. In realtà Voi, l’albergatore di S. Leonardo in Val Passiria, avete combattuto due sorta di battaglie: prima siete stato soldato regolare nella guerra contro i francesi nel 1796 e nel 1805; partigiano, siete poi stato il capo e l’anima dell’insurrezione popolare tirolese contro i bavaresi e i francesi del 1809. Ed è la conduzione incredibilmente abile e coraggiosa di questa guerriglia, che ha strappato ammirazione agli stessi generali napoleonici e vi ha fatto entrare per sempre come eroe nel cuore del popolo tirolese. Tutto cominciò quando il marchese di Montgelas, ministro del re di Baviera, senza preavviso e motivo, nel 1809 soppresse di colpo tutte le cerimonie del culto cattolico: niente più processioni, matrimoni e funerali religiosi, niente più suono di campane. Montgelas non immaginava fin dove potesse arrivare il sentimento religioso del cattolicissimo popolo tirolese. Questi inoltrò al re di Baviera rispettose istanze, perché fosse ritirato il "decreto empio e liberticida". Invano. Allora fu l’insurrezione in massa. Mentre le campane suonavano a stormo e il loro suono si ripercuoteva di valle in valle, si videro i contadini accorrere da ogni "maso", da ogni villaggio, armati chi di falce, chi di forche, chi di vecchi fucili: li dominavano la vostra statura gigantesca, la voce possente e decisa, la imponente barba nera. Due volte l’esercito bavarese fu sconfitto: quando vennero in rinforzo, a decine di migliaia, i francesi ed i sassoni, fu giocoforza, per i vostri, sciogliersi e darsi alla guerriglia. Anche allora, come nella Resistenza italiana, si "andò in montagna". Purtroppo, due miserabili Vi tradirono per i soliti "trenta denari". Scovato dai francesi nella capanna che vi nascondeva, diceste: "Fate di me quel che vi piace, soltanto rispettate l’innocenza della mia sposa e dei miei figli". Il Vicerè Eugenio voleva graziarvi; Napoleone ordinò la fucilazione. A Mantova, prima del supplizio, benediceste, come un patriarca, i compagni inginocchiati intorno a Voi e, ricusata la benda agli occhi, attendeste in piedi la scarica. Sulla spianata dell’Iselberg, presso Innsbruck, vi hanno eretto una statua. Sul piedestallo è scritto: Per Dio, per l’Imperatore, per la Patria. 

***

Imperatore a parte, dentro e fuori il Tirolo, vorrei che il vostro eroismo, gentile e cristiano insieme, ispirasse qualcuno. Intendiamoci: non auspico nessuna guerriglia; sono convinto che, specialmente nell’Italia democratica, non ce ne sarà bisogno. Ma la Vostra fede cristiana, tutta d’un pezzo, la compattezza di popolo, che, con Haspinger, avete saputo realizzare nell’ora del pericolo, queste sì le desidererei con tutto il cuore. Elia profeta diceva alla gente: "Fino a quando zoppicherete con i due piedi? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!". Voleva che si facesse una scelta seria; insinuava che non si può andare a Dio senza staccarsi dal male, stando seduti su due sedie o tentennando. Il nostro Trilussa ha detto la stessa cosa: Credo in Dio Padre onnipotente. Ma... Ciai qualche dubbio? Tiettelo per te. La fede è bella senza li "chissà", Senza li "come" e senza li "perché". "Chissà", "come" e "perché" non erano pane per i denti dei vostri Tirolesi. Lassù, nella modesta trattoria "am Sand" che Voi gestivate, essi giocavano, bevevano, si divertivano, discutevano. Ma tornati alle loro case, recitavano la preghiera della sera con la famiglia; andando alla Messa domenicale, usavano sostare sulla tomba dei loro morti nel piccolo cimitero tutto stretto attorno alla chiesa. L’ambiente, le pie tradizioni, il tempo disponibile favorivano la riflessione: la riflessione sviluppava quella convinzione, che il pittore Egger Lienz ha efficacemente espresso, dipingendo i partigiani tirolesi inquadrati e pronti alla lotta con in testa Haspinger che impugna il crocifisso. A noi oggi, travolti come siamo da un ritmo frenetico di vita, mancano il silenzio e la possibilità di riflettere; questa forse è una delle cause del tentennare di parecchi. L’Haspinger, il predicatore vecchia maniera, che ci richiami rudemente alle verità eterne, non si accetta oggi: occorrerebbe meglio una voce suasiva e discreta. Il campanone, che suona a distesa, non lo sopportiamo; forse accettiamo il campanello di casa. Voce discreta e campanello era, per esempio, Fratel Candido delle Scuole Cristiane.

Vissuto un secolo circa dopo di Voi, Hofer, egli viaggiava un giorno in treno con sulle ginocchia un indicatore ferroviario, che stava consultando. Un fanciullo lì presso sbirciò incuriosito il volume e l’armeggiare del Fratello. "Conosci questo libro?", gli fa Fratel Candido. "No?. Vuoi vedere a cosa serve? Come si usa?". E gli spiega, e lo addestra a trovare gli orari, a scoprire i tragitti più rapidi tra una città e l’altra. Il fanciullo si interessa, prova anche lui, impara presto e ci gongola; i passeggeri nello scompartimento seguono il dialogo dei due con divertito interesse. A un certo punto, senza parere, Fratel Candido continua: "Vuoi che ti insegni anche a viaggiare sulla Ferrovia del Paradiso?". Meraviglia del fanciullo e dei passeggeri. Fratel Candido trae dalla borsa di viaggio un foglietto illustrato e spiega: "Ecco qui la Ferrovia del Paradiso. Stazione di partenza: da qualsiasi punto del globo. Tempo di partenza: ad ogni momento. Tempo di arrivo: non c’è ora prevedibile per il viaggiatore. Biglietto: essere in grazia di Dio. Controllore: l’esame di coscienza. Avvisi: 1) tenere sempre pronti i bagagli delle buone opere; 2) c’è modo di recuperare i bagagli perduti per mezzo della Confessione. Eccetera". Finito di spiegare, amabile e sorridente, offrì al fanciullo e ai presenti il curioso e prezioso itinerario, che a qualcuno, forse, avrà ispirato un pentimento e un proposito. Direte: "Questo vostro Fratello è un’edizione striminzita e molto ridotta del mio possente Haspinger!" Che volete! L’epoca attuale, religiosamente debole, va presa con metodo adatto. Importante non è il modo, ma il successo finale: far riflettere!

***

Più importante ancora è tenere uniti tra di loro sia i cattolici che i cittadini. Siamo cristiani, ma è buona anche per noi la predica del console pagano Publio Rutilio. Era molto grasso. Un giorno, per sedare una tremenda baruffa, che non finiva più, tra due parti contendenti, disse: Amici cari, come vedete, io sono molto grasso e mia moglie è ancora più grassa di me. Eppure, quando andiamo d’accordo, un piccolo letto basta per tutti e due; quando litighiamo invece, tutta la casa ci pare piccola e non ci basta più. Qui mi viene un dubbio: l’esempio di Rutilio è calzante, se i contendenti sono due; ma, ahimé!, nella nazione, nei partiti oggi le correnti non sono due, ma quattro, sei, sette, venti! Non si può più parlare di letto matrimoniale! Se la considerazione del bene comune non è sufficiente a riportarci all’unità, dalle discordie dovrebbe trattenerci almeno la paura dei danni cui esse conducono. Diceva Voltaire: due volte mi trovai sull’orlo della rovina: la prima, quando perdetti una lite, la seconda, quando la vinsi. Nazioni e fazioni politiche e religiose che abbiamo sottocchio, possono applicare a sél’epifonema volterriano. In più conviene che esse dedichino un pensiero al "terzo" sempre in agguato: quello che "gode" tra i due litiganti. Bulwer, l’autore di Ultimi giorni di Pompei, ha scritto: "L’avvocato è un uomo che, quando due litigano per un’ostrica, l’apre, ne succhia il contenuto, poi dà le due valve ai contendenti: una per ciascuno!" E' un po’ crudo: è vero tuttavia da sempre e in ogni campo che la forza del nostro avversario è la nostra debolezza causata dalle divisioni. Queste considerazioni valgono, in parte, anche per la Chiesa Cattolica. Il suo fondatore, Cristo, ha temuto le divisioni e ha posto un saldo fondamento per l’unità. Ha detto: desidero che i miei seguaci "siano una sola cosa", che facciano "un solo ovile". Per ottenere lo scopo, ha scelto dalla folla i Dodici, dei quali ha detto: "Chi ascolta voi, ascolta me". Prevedendo divisioni tra i Dodici e i successori, ha voluto che uno fra loro facesse da capo o da fratello maggiore, dicendo a Pietro: "Pasci i miei agnelli", "conferma i tuoi fratelli". Il rimedio dunque c’è: basta che fedeli, sacerdoti, religiosi e vescovi si stringano attorno al Papa: nessuno spezzerà la Chiesa. Il Vostro cappuccino Haspinger, caro Hofer, sapeva queste cose, anzi le ha toccate con mano. Al tempo della Vostra insurrezione tirolese parecchi vescovi, per timore od interesse, passavano dalla parte di Napoleone strapotente. Voi invece dal Tiroloresistevate a Napoleone e ai suoi amici, stando dalla parte del Papa Pio VII, che, proprio in quel 1809, lanciava contro Napoleone la scomunica e, arrestato dai francesi, da Roma veniva tradotto in esilio a Savona. Sono tutte cose da ricordare. Da attuare. Per mettere fine alle innumerevoli risse che stancano e scandalizzano. Per restaurare l’unione degli animi, l’unità della Chiesa e del Paese. Für Gott... für Vaterland. Per Dio... per il Paese, come sta scritto sull’Iselberg!
Dicembre 1974



 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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