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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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ILLUSTRISSIMI Lettere del Patriarca Albino Luciani Giovanni Paolo I

Ultimo Aggiornamento: 07/11/2017 10:21
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Sesso: Femminile
07/11/2017 10:15
 
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Teresa, un soldo e Dio 

    
Cara Santa Teresa, Ottobre è il mese della vostra festa: ho pensato che mi permettereste di intrattenermi per iscritto con Voi. Chi guarda a! famoso gruppo marmoreo, nel quale il Bernini vi presenta trasverberata dalla freccia del Serafino, pensa alle vostre visioni ed estasi. E fa bene: la Teresa mistica dei rapimenti in Dio è pure una vera Teresa. Ma è vera anche l’altra Teresa, che mi piace di più: quella vicina a noi, quale risulta dall’autobiografia e dalle lettere. E’ la Teresa della vita pratica; che prova le stesse nostre difficoltà e le sa superare con destrezza; che sa sorridere, ridere e far ridere; che si muove con spigliatezza in mezzo a! mondo ed alle vicende più diverse e tutto ciò in grazia delle abbondanti doti naturali, ma più ancora della sua costante unione con Dio. Scoppia la Riforma protestante, la situazione della Chiesa in Germania e in Francia è critica. Voi ve ne accorate e scrivete: "Pur di salvare un’anima sola delle molte che là si perdevano, avrei sacrificato mille volte la vita. Ma ero donna!".

Donna! ma che vale venti uomini, che non lascia intentato alcun mezzo e che riesce a realizzare una magnifica riforma interna e con l’opera e gli scritti influisce su tutta la Chiesa; la prima e l’unica donna che, con Santa Caterina, sia stata proclamata Dottore della Chiesa! Donna dalla lingua schietta e dalla penna forbita e tagliente. Avevate un altissimo concetto della missione delle monache, ma avete scritto a padre Graziano: "Per amor di Dio, badi bene a quello che fa! Non creda mai alle monache, perché se esse vogliono una cosa, tentano tutti i mezzi possibili". E a padre Ambrogio, rifiutando una postulante, dite: "Lei mi fa ridere, dicendomi di avere compreso quell’anima solo a vederla. Non è tanto facile conoscere le donne!". E’ vostra la lapidaria definizione del diavolo: "Quel povero disgraziato, che non può amare". A don Sancho Davila: "Distrazioni nella recita dell’Ufficio divino ne ho anch’io... me ne sono confessata da padre Domenico (Bañez, teologo famoso, n.d.a.), il quale mi ha detto di non farne caso. Altrettanto dico a lei, perché il male è incurabile".

E’ un consiglio spirituale, questo, ma di consigli ne avete sparsi a piene mani e di tutti i generi; a padre Graziano, avete perfino dato il consiglio di cavalcare nei suoi viaggi un ciuco più dolce, che non avesse il vezzo di scaraventare i frati a terra, oppure di farsi legare al ciuco stesso per non cascare! Insuperabile, però, apparite nel momento della battaglia. Il Nunzio, nientemeno, vi fa rinchiudere nel convento di Toledo, dichiarandovi "femmina inquieta, vagabonda, disobbediente e contumace...". Ma dal convento vostri messaggi a Filippo II, a principi e prelati sciolgono ogni matassa. Vostra conclusione: "Teresa da sola vale nulla; Teresa e un soldo valgono meno di nulla; Teresa, un soldo e Dio possono tutto!".

***

Per me, Voi siete un caso notevole di un fenomeno, che si ripete regolarmente nella vita della Chiesa Cattolica. Le donne cioè, di per sé, non governano, questo appartiene alla Gerarchia, ma molto spesso ispirano, promuovono e talvolta dirigono. Da una parte, infatti, lo Spirito “spira dove vuole”; dall’altra, la donna è più sensibile alla religione e più capace di darsi generosamente alle grandi cause. Di qui la schiera grandissima di sante, di mistiche e di fondatrici apparse nella Chiesa Cattolica. Accanto ad esse bisognerebbe annoverare le donne, che hanno avviato movimenti ascetico-teologici, i quali influirono su raggio molto vasto. La nobile Marcella, che diresse sull’Aventino una specie di convento composto di patrizie ricche e colte, collaborò con San Girolamo alla traduzione della Bibbia. Madame Acarie influenzò illustri personaggi come il gesuita Coton, il cappuccino de Canfelt, lo stesso Francesco di Sales e molti altri, influendo su tutta la spiritualità francese del primo Seicento.

La principessa Amalia di Gallitzin, dal suo “Circolo di Münster”, apprezzato perfino da Goethe, diffuse su tutta la Germania settentrionale una corrente di vita intensamente spirituale. Sofia Swetchine, russa convertita, nel primo Ottocento, apparve in Francia la “direttrice spirituale” dei laici e dei sacerdoti più rappresentativi. Potrei citarne altri casi, ma ritorno a Voi che, più di figlia, siete stata madre spirituale di San Giovanni della Croce e dei primi Carmelitani riformati. Oggi è tutto chiaro e liscio in proposito, ma ai vostri giorni ci fu lo scontro sopra accennato. Da una parte c’eravate Voi, ricca di carismi, forze ardenti e luminose concessevi per la Chiesa di Dio; dall’altra c’era il Nunzio ossia la Gerarchia che doveva giudicare l’autenticità dei vostri carismi. In un primo momento, poste le informazioni distorte, il giudizio del Nunzio fu negativo. Una volta date le necessarie spiegazioni ed esaminate meglio le cose, queste si chiarirono: la Gerarchia approvò tutto e i vostri doni poterono espandersi a favore della Chiesa.

***

Ma di carismi e di Gerarchia si sente parlare tanto anche oggi. Specialista quale foste in materia, mi permetto di attingere dalle vostre opere i seguenti principi. 
1.      Al di sopra di tutto c’è lo Spirito Santo. Da Lui vengono sia i carismi sia i poteri dei Pastori; allo Spirito spetta realizzare l’accordo armonico tra Gerarchia e carismi e promuovere l’unità della Chiesa. 

2.      Carismi e Gerarchia sono entrambi necessari alla Chiesa, ma in modo diverso. I carismi agiscono da acceleratore, favorendo il progresso e il rinnovamento. La Gerarchia deve fare piuttosto da freno, a favore della stabilità e della prudenza. 

3.      A volte carismi e Gerarchia si incrociano e sovrappongono. Certi carismi, infatti, sono dati precipuamente ai Pastori come i “doni di governare” ricordati da San Paolo nella prima lettera ai Corinzi. Viceversa, dovendo la Gerarchia regolare tutte le tappe principali della vita ecclesiale, i carismatici non possono sottrarsi alla di lei guida col pretesto che hanno dei carismi. 

4.      I carismi non sono caccia riservata di nessuno: possono essere dati a tutti: preti e laici, uomini e donne. Altra cosa però è poter avere, altra avere di fatto i carismi. 
Trovo scritto nel vostro libro delle Fondazioni (c. VIII, n. 7): "Una penitente affermava al confessore che la Madonna andava spesso a trovarla e si intratteneva a parlarle più di un’ora, rivelandole il futuro e molte altre cose. E siccome tra tante stramberie ne usciva vera qualcuna, si riteneva tutto per vero. Intesi subito di che si trattava... ma mi contentai di dire al confessore che attendesse l’esito delle profezie, che si informasse del genere di vita della penitente ed esigesse altri segni di santità. Infine... si vide che erano tutte stravaganze".

***

Cara Santa Teresa, se veniste oggi! Il nome “carisma” si spreca; si distribuiscono patenti di “profeta” a tutto spiano, attribuendo questo titolo anche agli studenti che affrontano la polizia sulle piazze o ai guerriglieri dell’America Latina. Si pretende di opporre i carismatici ai Pastori. Che ne direste Voi, che obbedivate ai confessori anche quando i loro consigli risultavano opposti a quelli dativi da Dio nell’orazione? E non crediate che io sia pessimista. Quello di veder carismi dappertutto spero sia solo un andazzo passeggero. D’altra parte, so bene che i doni autentici dello Spirito sono sempre stati accompagnati da abusi e da falsi doni; ciononostante la Chiesa è andata avanti lo stesso.

Nella giovane Chiesa di Corinto, per esempio, c’era una grande fioritura di carismi, ma San Paolo se ne preoccupò alquanto per qualche abuso riscontrato. Il fenomeno si ripeté in seguito in forme aberranti più vistose. Due donne, Priscilla e Massimilla, sostenitrici e finanziatrici del Montanesimo in Asia, cominciarono col predicare “carismaticamente” un risveglio morale fatto di grandi austerità, di rinuncia totale al matrimonio, di prontezza assoluta al martirio. Finirono per contrapporre ai vescovi i “nuovi profeti”, uomini e donne, che “investiti dallo Spirito”, predicavano, amministravano i sacramenti, aspettavano il Cristo, che da un momento all’altro sarebbe dovuto venire ad inaugurare il regno millenario. Al tempo di Sant’Agostino ci fu Lucilla di Cartagine, ricca signora, che il vescovo Ceciliano aveva sgridato perché, prima della Comunione, era solita stringere al petto un piccolo osso non si sa di quale martire. Irritata e risentita, Lucilia indusse un gruppo di vescovi ad opporsi al suo vescovo: perso un processo presso l’episcopato africano, il gruppo protestò, senza successo, presso il papa, poi presso il Concilio di Arles, poi presso lo stesso imperatore e iniziò una chiesa nuova. In quasi tutte le città africane si videro così due vescovi, due cattedrali frequentate da due opposte categorie di fedeli che, incontrandosi, si davano botte: di qua i cattolici, di là i donatisti seguaci di Donato e di Lucilla.

I donatisti si chiamavano i “puri”; non si sedevano a! posto occupato prima da un cattolico senza averlo pulito con la manica; evitavano come appestati i vescovi cattolici; si appellavano al Vangelo contro la Chiesa, che dicevano sostenuta dall’autorità imperiale; istituirono squadre d’assalto. Il mitissimo Sant’Agostino dovette una volta apostrofarli: "Ci tenete tanto al martirio, perché non prendete una corda per impiccarvi?". Nel secolo XVII ci furono le monache di Port Royal. Una delle loro Abbadesse, Madre Angelica, era partita bene: aveva “carismaticamente” riformato se stessa e il monastero, respingendo dalla clausura perfino i genitori. Fornita di grandi doti, nata per governare, diventò però l’anima della resistenza giansenista, intransigente fino all’ultimo davanti all’autorità ecclesiastica. Di lei e delle sue monache si diceva: "Pure come angeli, superbe come demoni". Quanto è lontano tutto questo dal vostro spirito! Quale abisso tra queste donne e Voi! "Figlia della Chiesa" era il nome che vi piaceva di più. Lo mormoraste sul letto di morte, mentre, durante la vita, per la Chiesa e con la Chiesa avevate tanto lavorato, accettando perfino di soffrire qualcosa dalla Chiesa! Se insegnaste un po’ il vostro metodo alle “profetesse” di oggi?!
Ottobre 1974




Risultati immagini per teresa di lisieuxSanta Teresa di Lisieux

La gioia, carità squisita 

    
Cara piccola Teresa, Avevo diciassette anni, quando lessi la vostra autobiografia. Fu per me un colpo di fulmine. "Storia di un fiorellino di maggio" l’avevate definita. A me parve la storia di una "spranga d’acciaio" per la forza di volontà, il coraggio e la decisione, che da essa sprizzavano. Scelta una volta la strada della completa dedizione a Dio, niente v’ha più sbarrato il passo: né malattia, né contraddizioni esterne, né nebbie e tenebre interiori. Me ne ricordai, quando mi portarono ammalato al sanatorio, in anni in cui, penicillina e antibiotici non essendo ancora stati inventati, al degente si prospettava, più o meno vicina, la morte. Mi vergognai di provare un po’ di paura: "Teresa ventitreenne, fino allora sana e piena di vitalità, mi dissi, fu inondata di gioia e di speranza, quando sentì salire alla bocca la prima emottisi. Non solo, ma, attenuando il male, ottenne di portare a termine il digiuno con regime di pane secco e acqua, e tu vuoi metterti a tremare? Sei sacerdote, svegliati, non fare lo sciocco!".

***

Rileggendovi, in occasione del centenario della nascita (1873-1973), mi colpisce invece il modo con cui avete amato Dio e il prossimo. Sant’Agostino aveva scritto: "Andiamo a Dio non col camminare, ma con l’amare". Anche Voi chiamate la vostra strada "via dell’amore". Cristo aveva detto: "Nessuno viene a me, se il Padre mio non l’attira". In perfetta linea con queste parole, Voi vi siete sentita come un "uccellino senza forza e senz’ali"; in Dio, invece, avete visto l’aquila, che scendeva per portarvi alle altezze sulle proprie ali. Chiamaste la grazia divina "ascensore", che vi innalzava a Dio presto e senza fatica, essendo Voi "‘troppo piccola per salire l’aspra scala della perfezione". Ho scritto sopra: "senza fatica". Intendiamoci: ciò, sotto un aspetto; sotto un altro invece... Siamo agli ultimi mesi; la vostra anima avanza in una specie di galleria oscura, non vede niente di quel che prima vedeva chiaramente. "La fede, Voi scrivete, non è più un velo, ma un muro!". Le sofferenze fisiche sono tali da farvi dire: "Se non avessi avuto la fede, mi sarei data la morte". Ciononostante, continuate a dire con la volontà al Signore che lo amate: "Canto la felicità del Paradiso, ma senza provar gioia; canto semplicemente che voglio credere". Le ultime vostre parole sono state: "Mio Dio, io vi amo!". 

All’amore misericordioso di Dio vi eravate offerta come vittima. Tutto ciò non vi impediva di godere delle cose belle e buone: prima dell’ultima malattia con gioia dipingeste, scriveste poesie e piccoli drammi sacri, interpretandone qualche parte con gusto di fine attrice. Nell’ultima malattia, in un momento di ripresa, chiedeste dei pasticcini al cioccolato. Non avevate paura delle vostre stesse imperfezioni, neppure dl esservi talvolta addormentata per stanchezza durante la meditazione ("i bambini piacciono alle mamme anche quando dormono"!). Amando il prossimo, vi sforzaste di rendere i piccoli servigi utili ma inosservati, e di preferire, semmai, le persone che vi davano noia e meno incontravano il vostro genio. Dietro il loro volto poco simpatico cercavate il volto simpaticissimo di Cristo. E non ci s’accorgeva di questo sforzo e di questa ricerca: "Quant’è mistica in cappella e nel lavoro, scriveva di Voi la priora, altrettanto è buffa e piena di trovate, fino a farci scoppiar dal ridere, in ricreazione". Queste poche linee, che ho tracciate, son ben lontane dal contenere il vostro completo messaggio ai cristiani. Bastano, tuttavia, a segnar alcune direttive per noi. ***Il vero amor di Dio si sposa con la ferma decisione presa e, al bisogno, rinnovata. L’indeciso Enea del Metastasio, che dice: "Intanto confuso, nel dubbio funesto, non parto, non resto" non era stoffa da vero amore di Dio. Più adatto, semmai, il vostro compatriota maresciallo Foch, che durante la battaglia della Marna, telegrafava: "Il centro del nostro esercito cede, la sinistra si ritira, ma io attacco lo stesso!". Un po’ di combattività e di amore al rischio non guasta nell’amore al Signore. Voi ce l’avevate: non per niente sentiste in Giovanna d’Arco una "sorella d’armi". 

Nell’Elisir d’amore di Donizetti basta la "furtiva lacrima", spuntata sulle ciglia di Adina, a rassicurare e fare beato l’innamorato Nemorino. Dio non si accontenta di sole furtive lacrime. Una lacrima esterna in tanto gli piace, in quanto ad essa corrisponde dentro, nella volontà, una decisione. Così è anche delle opere esterne: esse piacciono al Signore, solo se corrisponde loro un amore interno. Il digiuno religioso aveva addirittu­a fatto sterminio sulle facce del Farisei, ma a Cristo non piacquero quelle smunte facce, perché trovava che il cuore dei Farisei era lontano da Dio. Voi avete scritto: "L’amore non deve consistere nei sentimenti, ma nelle opere". Avete però soggiunto: "Dio non ha bisogno delle nostre opere, ma solo del nostro amore". Perfetto! Con Dio si può amare un sacco di altre belle cose. A un patto: niente sia amato contro o sopra o nella stessa misura di Dio.

In altre parole: l’amore a Dio non dev’essere esclusivo, ma prevalente, almeno nell’estimazione. 
Giacobbe un giorno si innamorò di Rachele: per averla, prestò servizio ben sette anni, che "gli parvero, dice la Bibbia, pochi giorni, talmente l’amava" e Dio non ebbe niente a ridire, anzi approvò e benedisse. Spruzzare d’acqua santa e benedire tutti gli amori di questo mondo è un’altra cosa. Purtroppo, tenta di farlo oggi qualche teologo, il quale, influenzato dalle idee di Freud, Kinsey e Marcuse, inneggia alla "nuova morale sessuale". Se non vogliono la confusione e lo spappolamento, invece che a questi teologi, i cristiani dovranno guardare al Magistero della Chiesa, che gode di speciale assistenza sia per conservare intatta la dottrina di Cristo sia per adattarla in modo conveniente ai tempi nuovi.

***

Cercare il volto di Cristo nel volto del prossimo è l’unico criterio che ci garantisca di amare sul serio tutti, superando antipatie, ideologie e mere filantropie. Un giovanotto,ha scritto il vecchio arcivescovo Perini, batte una sera alla porta di una casa: ha l’abito delle feste, un fiore all’occhiello, ma, dentro, il cuore gli batte forte: chissà come la ragazza ed i suoi familiari accoglieranno la domanda di matrimonio ch’egli viene timidamente a fare? Ad aprire viene la ragazza in persona. Un’occhiata e il rossore, il piacere evidente (manca la "furtiva lacrima") della signorina lo rassicurano, il cuore gli s’allarga. Entra; c’è la madre della ragazza; gli sembra signora simpaticissima, gli verrebbe voglia d’abbracciarla addirittura. C’è il padre, l’ha incontrato cento volte, ma stasera gli appare trasfigurato da una luce speciale. Più tardi arrivano i due fratelli; braccia al collo, saluti calorosi. 

Si chiede Perini: cosa succede in questo giovanotto? Cosa sono tutti questi amori spuntati all’improvviso come funghi? Risposta: non si tratta di amori, ma di un amore solo: ama la ragazza e l’amore portato a lei lo diffonde su tutti i suoi parenti. Chi ama sul serio Cristo non può rifiutarsi di amare gli uomini, che di Cristo sono fratelli. Anche se brutti, cattivi e noiosi, l’amore il deve un po’ trasfigurare. Amore spicciolo. Spesso è l’unico possibile. Non ho mai avuto l’occasione di gettarmi nelle acque di un torrente per salvare un pericolante; spessissimo sono stato richiesto di prestare qualcosa, di scrivere lettere, di dare modeste e facili indicazioni. Non ho mai incontrato un cane idrofobo per via; invece, tante noiose mosche e zanzare; mai avuto persecutori che mi bastonassero, ma tante persone che mi disturbano col parlare forte in strada, col volume della televisione troppo alzato o magari col fare un certo rumore nel mangiare la minestra. Aiutare come si può, non prendersela, essere comprensivi, mantenersi calmi e sorridenti (il più possibile!) in queste occasioni, è amare il prossimo senza retorica, ma in modo pratico. Cristo ha molto praticato questa carità.

Quanta pazienza nel sopportare i litigi che gli Apostoli facevano tra di loro! Quanta attenzione a incoraggiare e lodare: "Mai trovata tanta fede in Israele" dice del Centurione e della Cananea. "Voi siete rimasti con me anche nei momenti difficili" dice agli Apostoli. E una volta chiede per piacere la barca a Pietro. 
"Sire di ogni cortesia" lo dice Dante. Sapeva mettersi nei panni degli altri, soffriva con loro. Proteggeva, difendeva oltre che perdonare i peccatori: così Zaccheo, così l’adultera, così la Maddalena. Voi, a Lisieux, avete camminato dietro i suoi esempi; noi dovremmo fare altrettanto nel mondo. Carnegie racconta di quella signora, che un giorno fece trovare ai suoi uomini, marito e figli, la tavola ben preparata e infiorata, ma con un pugnetto di fieno su ogni piatto. "Cosa? Fieno ci dài oggi?" le dissero. "Oh, no, rispose, vi porto subito il pranzo. Ma lasciate che vi dica una cosa: da anni vi faccio la cucina, cerco di varare, una volta il risotto, un’altra il brodo, ora l’arrosto, ora l’umido, ecc. Mai che diciate: “Ci piace”, “sei stata brava!”. Dite per piacere una parola, non sono di sasso! Non si può lavorare senza un riconoscimento, un incoraggiamento, per il solo re di Prussica!". Può essere spicciola anche la carità sprivatizzata o sociale. C’è in atto uno sciopero giusto: può darsi che esso porti disagio a me, che non sono direttamente interessato alla vertenza. Accettare il disagio, non mormorare, sentirsi solidali con dei fratelli, che lottano per la difesa dei toro diritti, è pure carità cristiana.

Poco notata, non per questo meno squisita. 
Una gioia mescolata all’amore cristiano. Appare già nel canto degli Angeli a Betlemme. Fa parte dell’essenza del Vangelo, che è "novella lieta". E’ caratteristica dei grandi santi: "Un Santo triste, diceva Santa Teresa d’Avila, è un triste santo". "Qui da noi, soggiungeva San Domenico Savio, ci si fa santi con l’allegria". La gioia può diventare carità squisita, se comunicata, come appunto Voi facevate nelle ricreazioni del Carmelo, agli altri. L’irlandese della leggenda che, morto improvvisamente, si avviò al tribunale divino, era non poco preoccupato: il bilancio della vita gli si rivelava piuttosto magro. C’era una fila davanti a lui, stette a vedere e a sentire. Dopo aver consultato il gran registro, Cristo disse al primo nella fila: "Trovo che avevo fame, e tu mi hai dato da mangiare. Bravo! Passa in Paradiso!". Al secondo: "Avevo sete e tu m’hai dato da bere". A un terzo: "Ero in carcere e m’hai visitato". E così via. Per ognuno, che veniva spedito in Paradiso, l’irlandese faceva un esame e trovava di che temere: lui, non aveva dato né da mangiare né da bere, non aveva visitato né carcerati né malati. Venne il suo turno, tremava, guardando Cristo, che stava esaminando il registro. Ma ecco che Cristo alza gli occhi e gli dice: "Non c’è scritto molto. Però qualcosa hai fatto anche tu: ero mesto, sfiduciato, avvilito: sei venuto, m’hai raccontato delle barzellette, m’hai fatto ridere e ridato coraggio. Paradiso!". E’ una facezia, d’accordo, ma sottolinea che nessuna forma di carità va trascurata o sottovalutata.

***

Teresa, l’amore che avete portato a Dio (e al prossimo per amor di Dio) fu veramente degno di Dio. Cosi dev’essere l’amore nostro: fiamma, che si alimenta di tutto ciò che in noi è grande e bello; rinuncia a tutto ciò, che in noi è ribelle; vittoria, che ci prende sulle proprie ali e ci porta in regalo ai piedi di Dio.
Giugno 1973



Risultati immagini per walter scottWalter Scott

Nostalgia del pulito 

    
Sir, Quanti romanzi avete scritto? Ai vostri tempi essi hanno avuto un successo enorme; oggi non sono molto letti, ma hanno incantato me, quand’ero ragazzo. La vostra semplice e libera maniera di scrivere, la capacità di scolpire caratteri, l’arte di appiccicare questi caratteri sul fondo della tela storica, ora nel Medio Evo ora nel Sei-Settecento, ora in Inghilterra ora nel Continente, mi rapiva. Quanti tornei e assedi di città e di castelli avete descritto? Quanti cavalieri avete fatto viaggiare a cavallo per lande e foreste? Quante dame avete fatto difendere, liberare e proteggere da cuori generosi? Quanti valorosi artigiani e uomini del popolo avete messo in risalto accanto ai nobili? Quante cose stravaganti e meravigliose avete mescolato alle usuali e comuni, con nani e astrologi, con streghe e fattucchiere, pitonesse e zingare? E quanti sortilegi, misteriosi messaggi e oroscopi, quanti intrecci complicati e quali soluzioni inaspettate! E tutto pulito: libri che esaltano sempre il valore e la lealtà e che possono andare anche per le mani di ragazzi! Questo, in faccia alla odierna colluvie di stampa cattiva, è la cosa che mi meraviglia di più e mi fa dire: "Onore allo Scozzese, al padre del romanzo storico e pulito!

***

Mi è venuto il desiderio di rileggere il vostro Carlo il Temerario, ed ecco in quali pagine mi sono imbattuto. Uno dei protagonisti, il prode e giovane Arturo, cavalca verso la Corte di Provenza in compagnia di Tibaldo. Questi, nipote di trovatori e appassionato di ballate, ne canta una con grande grazia e maestria al suo compagno di viaggio. Eccone il succo: Il trovatore Guglielmo Cabestaing ama Margherita, moglie del barone Raimondo di Rossiglione. Il marito scopre la tresca, uccide Cabestaing, gli strappa il cuore e, fattolo preparare come quello di un animale, lo fa servire a mensa alla sua donna e, quando questa ha mangiato l’orribile vivanda, le rivela di cosa era composta. Essa, flemmaticamente tragica, gli dice: "E’ stato per me così prezioso quel cibo, che mai le mie labbra toccheranno altri alimenti". Persiste in questa decisione e si lascia morire di fame. Attorno a questo nocciolo, l’autore della ballata intesse un pietoso commento, compiangendo pateticamente Ia sorte dei due amanti, scagliando terribili fulmini solo sul marito crudele e concludendo con piacere vendicativo così: "Tutti gli amanti ed i bravi cavalieri della Francia meridionale, uniti insieme, attaccarono il castello del barone, lo espugnarono, lo rasero al suolo, facendo subire a! tiranno una morte ignominiosa".

Il vostro eroe Arturo, ascoltata la storia, interviene severamente: "Tibaldo, non cantatemi più simili piagnistei; niente serve tanto a corrompere il cuore di un cristiano quanto l’accordare al vizio la pietà e gli elogi, che si devono alla sola virtù. il vostro barone è un mostro di crudeltà, ma i vostri sfortunati amanti non erano perciò meno colpevoli. Col dare bei nomi alle cattive azioni, quelli stessi che si spaventerebbero davanti al vizio ignudo, imparano a praticarne le lezioni, se lo vedono sotto la maschera della virtù". "Ma la ballata è un capolavoro della scienza gaia, insiste Tibaldo, e se già così giovane voi siete tanto rigido, cosa farete da vecchio?". "Una testa che ascolta le pazzie nella giovinezza, risponde Arturo, difficilmente sarà rispettabile in età avanzata! ". Così avrebbe potuto parlare un santo padre, ma voi siete stato, in un certo senso, più efficace dei santi padri. Primo, perché i santi padri sono dei predicatori e i predicatori, di solito, fanno, magari a torto, la figura di essere contro l’uditore. Voi, invece, offrendo col romanzo ai lettori divertimento ed evasione, apparite a loro favore, siete dalla loro parte. Secondo, perché avete avuto l’accortezza di mettere l’insegnamento morale sulle labbra dell’eroe, al quale va tutta la simpatia e l’entusiasmo incondizionato dei lettori. E’ la vecchia tattica di Orazio: mescolare l’utile al dilettevole.

***

Ohimé, pare che oggi la tattica oraziana e vostra attacchi meno. Sui giornali a fumetti letti dai nostri ragazzi e sui settimanali a rotocalco o no, un eroe, che magari distribuisca "cazzotti", piattonate e "sventole", quando non ne può fare a meno, ma accorra e voli ad aiutare deboli ed oppressi, sul tipo degli eroi vostri, appare di rado. Più spesso c’è l’altro, l’eroe del male, che fa bella figura e cui viene attribuita la vittoria definitiva. Nella stampa d’oggi gentili donzelle allegre e sentimentali, ma pudiche e riservate, ai piedi delle quali i cavalieri vadano a deporre con il cuore palpitante quanto hanno e sono, si fa fatica a trovarne. Le vostre eroine hanno dei sentimenti delicati ed arrossiscono spesso; le protagoniste odierne non arrossiscono mai; fumano, bevono, sghignazzano: sono presentate solo come fenomeno biologico e trastullo: non c’è un matrimonio che sia normalmente lo sbocco del romanzo; spessissimo oltre che corrotte sono anche ciniche e sanguinarie. In un libro giallo l’amante di una ragazza ha colpito a pugni il padre di lei, gettandolo a terra colla faccia insanguinata. E lei incita l’amante contro il padre: "Ancora, colpiscilo ancora!" In un giornale a fumetti un’altra ragazza sentenzia: "Bisogna rubare, ma ai poveri, perché non c’è gusto nel rubare ai ricchi! ". Voi mi domanderete: ma perché scrivono queste cose? Me lo domando anch’io e non so rispondere. Forse cercano di protestare con queste uscite paradossalmente immorali contro una società, che credono, ed in parte è, bugiarda nel suo moralismo?

Il guaio è che i giovani, nel caso, non capiscono l’ironia e la caricatura ed assorbono invece a poco a poco il male, avvelenandosi moralmente. Forse, leggendo, vogliono offrirsi una evasione molto eccitante a contrappeso della monotona e grigia vita quotidiana? Sarebbe un rimedio sbagliato, una specie di droga, che spinge a richiedere eccitazioni sempre più forti, piaceri e guadagni sempre più facili, a disamare lo studio e il lavoro. Forse gli editori vogliono guadagnare quattrini, speculando sulla fragilità dei giovani e sugli istinti nostri non buoni? Temo, purtroppo, che si tratti soprattutto di questo. Ed allora, quale sciocchezza lasciarsi strumentalizzare da gente così venale! Diceva quel predicatore: Siete più stupidi dei sorci. Questi cascano nella trappola, ma almeno non pagano; voi, leggendo, cascate in un’altra trappola e per di più pagate chi vi ha teso il tranello! Sir Scott! In Waverley, il primo romanzo da voi scritto, c’è la seguente descrizione: "La posta non arrivava che una volta alla settimana al castello di Waverley, e l’unico giornale portato era subito consegnato al baronetto; questi lo dava alla rispettabile sua sorella, poi ad un vecchio venerabile maggiordomo; passava appresso di anticamera in anticamera fino alle mani del portinaio, di là arrivava al parroco, poi se l’avevano i gentiluomini ed i ricchi fittavoli dei dintorni e finalmente, unto, bisunto e tutto sgualcito, terminava il suo giro nelle mani del Signor cancelliere". Vedeste oggi! I giornali escono ogni giorno a tonnellate dalle rotative; ogni mattino vengono scaricati dai treni, dagli automezzi e subito portati alle edicole ed alle rivendite. Sui tram, andando al lavoro o a scuola, moltissimi - seduti o in piedi - hanno il giornale spiegato davanti e leggono avidamente, senza accorgersi talora di quel che succede accanto. Negli uffici gli impiegati si passano l’articolo interessante, lo commentano, ripetono le barzellette appena lette.

Al ristorante molti hanno a destra il piatto e a sinistra il giornale. A scuola i ragazzi lo leggono e se lo passano di nascosto durante le lezioni, e non sono i giornali più puliti. L’altro giorno, scendendo dal treno, a Roma, ho notato che vi salivano operai del personale a far razzia dei giornali abbandonati sui sedili degli scompartimenti: se li portavano via, godendo all’idea di leggerseli poi con comodo a casa. Si è avidi di stampa; e domani sarà peggio, perché il giornale ci arriverà in casa proiettato su una specie di teleschermo e, autocopiato, staccato, si potrà leggere seduta stante. A tutto questo oggi aggiungete la radio, la televisione! E capirete quale problema enorme è capitato addosso a genitori, educatori, pastori d’anime e pubbliche autorità! Problema tanto più grosso quanto più la gente è gelosa della propria libertà e quanto meno oggi è possibile ricorrere alla censura e alle proibizioni. Troverà lo Stato il modo di limitare la libertà, quando è in evidente contrasto col bene pubblico? Accetteranno i giovani almeno le indicazioni e le segnalazioni? Gli automobilisti non si offendono affatto per le tabelle della segnaletica stradale. Nessuno di essi protesta, dicendo che è uomo intelligente e maturo, che sa tutto e che capisce tutto da sé! Perché, allora, non accettare umilmente anche una segnaletica morale? Voi vi siete leggermente inquietato un giorno. Passavate colla vostra signora per un prato, sul quale, attorno ad un gran numero di pecore, saltellavano alcuni graziosi agnelletti. "Come son belli!" avete esclamato. E la Signora: "Si, sono davvero deliziosi specialmente cotti con la salsa di menta!". In quel momento non vi intendevate fra di voi.

***

Onore allo Scozzese! Lo ripeto sinceramente, ma faccio una piccola riserva circa qualche frecciatina qua è là scoccata nei confronti della Chiesa Cattolica. Cosa spiegabilissima in Voi presbiteriano di indubbia buona fede. Ciò non impedì che a me, ragazzo innamorato della mia Chiesa, le frecciatine recassero qualche disagio. Resta comunque il bene da Voi fatto; resta la vostra vita esemplare; resti dunque anche la lode e l’onore! Sir Scott! Io desidero che i cristiani, e specialmente i giovani, vi intendano, vi seguano nelle regioni serene dello spirito e della fantasia, nelle quali avete amato vivere e far vivere i vostri lettori. 
Marzo 1973



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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