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LA VERA RELIGIONE di sant'Agostino Vescovo

Ultimo Aggiornamento: 11/11/2017 19:00
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11/11/2017 18:32
 
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65. - LA RISURREZIONE DI LAZZARO 174

Sebbene noi crediamo fermamente alla risurrezione di Lazzaro secondo il racconto storico del Vangelo, non dubito tuttavia che abbia anche un significato allegorico. I fatti, quando sono interpretati allegoricamente, non perdono il valore dell’avvenimento. Anche Paolo presenta i due figli di Abramo allegoricamente, come i due Testamenti 175; per questo si può forse dire che Abramo non è esistito o non ha avuto due figli? Prendiamo dunque anche Lazzaro nel sepolcro in senso allegorico come l’anima oppressa dai peccati di questa vita, cioè tutto il genere umano. Altrove il Signore la rappresenta nella pecora smarrita: dice infatti di essere disceso dal cielo per liberarla, lasciando sui monti le altre novantanove 176. Ritengo che la domanda del Signore: Dove l’avete posto? significhi la nostra vocazione, la quale avviene nel segreto. Infatti la predestinazione della nostra vocazione è occulta; di questo segreto è segno la domanda del Signore, come se egli l’ignorasse, mentre siamo noi che non la conosciamo, come dichiara l’Apostolo: Affinché io conosca come sono conosciuto 177. Oppure il Signore, come dice altrove, mostri d’ignorare i peccatori: Non vi conosco 178; questo simboleggiava Lazzaro nel sepolcro, poiché nella dottrina e nei precetti del Signore non vi sono peccati. Questa domanda assomiglia a quella della GenesiAdamo, dove sei? 179 Poiché aveva peccato, si era nascosto dalla presenza di Dio. Qui la sepoltura corrisponde al nascondimento: il morto assomiglia al peccatore e il sepolto assomiglia a chi si nasconde dalla faccia di Dio. Togliete la pietra 180: queste parole indicano, a mio parere, coloro che volevano imporre il peso della circoncisione ai pagani entrati nella Chiesa - contro costoro scrive molte volte l’Apostolo 181 -, oppure coloro che nella Chiesa vivono dissolutamente e sono di scandalo a quanti desiderano credere. Marta gli dice: Signore, è già il quarto giorno e puzza 182. La terra è l’ultimo dei quattro elementi: simboleggia dunque il fetore dei peccati terreni, cioè delle passioni carnali. Dopo il peccato, il Signore disse ad Adamo: Infatti, sei terra e tornerai alla terra 183. Tolta la pietra uscì dal sepolcro con le mani e i piedi legati e la faccia coperta da un sudario. L’uscita dal sepolcro rappresenta l’anima che si libera dai vizi carnali. Che poi sia avvolto dalle bende significa che, sebbene ci allontaniamo dai piaceri carnali e con il cuore osserviamo la legge divina, finché siamo nel corpo, non possiamo ancora essere liberi dalle molestie della carne, come dice l’Apostolo: Con la mente servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato 184. La faccia ricoperta dal sudario significa che in questa vita non possiamo avere una conoscenza perfetta, come dice l’Apostolo: Ora vediamo come in uno specchio, in enigma, ma allora a faccia a faccia 185. Gesù disse: Scioglietelo e lasciatelo andare 186, per indicare che dopo questa vita saranno tolti tutti i veli per vedere a faccia a faccia. Qui poi si comprende qual è la differenza tra l’uomo assunto dalla Sapienza di Dio, dal quale siamo stati liberati, e gli altri uomini: Lazzaro infatti non viene sciolto se non quando esce dal sepolcro; vale a dire che l’anima rigenerata non può essere libera da ogni peccato e dall’ignoranza, finché vede di riflesso e in enigma, se non dopo la separazione dal corpo. Invece le bende e il sudario del Signore che non ha commesso peccato e non ignorava nulla sono stati ritrovati nel sepolcro 187. Lui solo infatti tra gli esseri di carne non solo non è stato oppresso dal sepolcro, come se in lui ci fosse qualche colpa 188, ma neppure è stato avvinto dalle bende, come se qualcosa gli fosse nascosta o lo ritardasse nel cammino.

 

66. - SUL TESTO DELLA SCRITTURA: O FORSE IGNORATE, FRATELLI
- pARLO A GENTE ESPERTA DI LEGGE 
-, CHE LA LEGGE HA POTERE
SULL’UOMO FINCHÉ VIVE?, 
SINO AL PUNTO CHE DICE
: DARÀ
LA VITA ANCHE AI VOSTRI CORPI MORTALI, PER MEZZO
DEL SUO 
SPIRITO CHE ABITA IN VOI
 189

1. L’Apostolo, in questa similitudine, parla dell’uomo e della donna e, poiché la donna è soggetta alla legge dell’uomo, raccomanda di considerare tre cose: la donna, l’uomo e la legge. La donna è soggetta all’uomo per il vincolo della legge, vincolo che viene sciolto con la morte del marito, sicché può sposare chi vuole. Ecco infatti le sue parole: La donna sposata, infatti, è legata alla legge del marito finché egli vive; ma se il marito muore, è libera dalla legge del marito. Essa sarà dunque chiamata adultera se, mentre vive il marito, va con un altro, ma se il marito muore, essa è libera dalla legge e non è più adultera se va con un altro uomo 190. Fin qui si tratta di un paragone, in seguito inizia a parlare di ciò che voleva esporre e spiegare mediante il paragone. Anche qui bisogna considerare tre cose: l’uomo, il peccato, la legge. Afferma infatti che l’uomo è soggetto alla legge fino a quando vive nel peccato; ugualmente la donna è soggetta alla legge del marito fino a quando egli vive. Ora qui per peccato si deve intendere quello che sopravviene a causa della legge. Questo peccato, egli osserva, oltrepassa la misura perché, pur essendo già peccato in se stesso, lo si commette ugualmente e si aggrava con l’aggiunta della trasgressione. Dove infatti non c’è legge, non c’è nemmeno trasgressione 191. Questo è il senso delle parole: Perché diventi peccatore in sommo grado e il peccato sia tale per mezzo del precetto 192. Per questo motivo, sebbene la legge proibisca di peccare, non dice che è stata data per liberare dal peccato, ma per mostrare il peccato; l’anima, che ne è schiava, deve convertirsi alla grazia del Liberatore per essere liberata dal peccato: Perché per mezzo della legge si ha la conoscenza del peccato 193. Altrove dice: Ma il peccato, per rivelarsi peccato, mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene 194. Dove dunque non c’è la grazia del Liberatore, il divieto di peccare aumenta il desiderio dei peccati. Il che ha però una sua utilità: che l’anima si senta incapace di svincolarsi dalla schiavitù del peccato e così, sbollito ed estinto ogni orgoglio, si sottometta al suo Liberatore e l’uomo dica in sincerità: A te si stringe l’anima mia 195; e così non è più sotto la legge del peccato ma nella legge della giustizia. Ora si dice legge di peccato non perché la stessa legge è peccato ma perché è imposta ai peccatori. Per questo si dice anche legge di morte, perché la morte è il salario del peccato 196il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge 197. Col peccato precipitiamo infatti nella morte. E noi pecchiamo più gravemente quando c’è la proibizione della legge, che se non ci fosse alcun divieto della legge. Ma con l’aiuto della grazia noi adempiamo senza fatica e con grande piacere le stesse onerose prescrizioni della legge. La legge dunque del peccato e della morte, cioè quella che è stata imposta a coloro che peccano e muoiono, comanda soltanto di non desiderare il male e tuttavia noi lo desideriamo. Invece la legge dello spirito e della vita, che appartiene alla grazia e libera dalla legge del peccato e della morte, ci concede di non desiderare il male e di osservare i precetti della legge, non già per timore come schiavi della legge, ma per amore come amici e servi della giustizia, da cui quella legge proviene. Bisogna infatti servire la giustizia con spirito di libertà e non di schiavitù, cioè più per amore che per timore. Per questo è detto in tutta verità: Togliamo dunque ogni valore alla legge mediante la fede? Niente affatto, anzi confermiamo la legge 198. La fede infatti opera ciò che la legge comanda. La legge è dunque confermata dalla fede; se non c’è la fede, la legge prescrive solamente e rende colpevoli quelli che non osservano i comandi, al fine di convertire finalmente alla grazia del Liberatore coloro che gemono nell’incapacità di adempiere quanto è stato comandato.

2. Quando dunque in quel paragone scorgiamo tre cose: la donna, l’uomo e la legge, e di nuovo tre in questo caso, a cui si riferiva il paragone: l’anima, il peccato e la legge del peccato; qui c’è un’unica differenza, che in quel paragone il marito muore, sicché la donna può sposare chi vuole ed è libera dalla legge del marito; qui invece l’anima stessa muore al peccato per unirsi a Cristo. Morendo al peccato muore anche alla legge del peccato. Alla stessa maniera - prosegue - fratelli miei, anche voi, mediante il corpo di Cristo, siete morti alla legge, per appartenere ad un altro, a colui che è risorto dai morti, affinché noi portiamo frutti per Dio. Quando infatti eravamo nella carne, cioè, egli dice, eravamo schiavi dei desideri carnali, le passioni peccaminose, stimolate dalla legge, agivano nelle nostre membra al fine di portare frutto per la morte 199. Dove mancava la fede, si è accresciuta la concupiscenza vietata dalla legge e al cumulo dei peccati si è aggiunto il crimine della trasgressione, perché dove non c’è legge, non c’è nemmeno trasgressione 200. Sono queste passioni, egli dice, stimolate dalla legge, che operavano nelle nostre membra, al fine di produrre frutto di morte. L’anima, prima dell’avvento della grazia per mezzo della fede, si trovava sotto queste passioni, come sotto il dominio del marito. Chi ormai serve interiormente la legge di Dio muore a queste passioni, sebbene le stesse passioni non siano ancora morte, finché per la condizione carnale è schiavo della legge del peccato. A chi è sotto la grazia resta dunque ancora qualcosa che, pur non vincendolo né tenendolo prigioniero, finché non sia morto del tutto ciò che è stato rafforzato da una cattiva abitudine, fa conseguentemente dire che anche ora è un corpo di morte, fino a quando non è perfettamente sottomesso allo spirito. La perfetta sottomissione avverrà, quando il corpo mortale sarà anch’esso vivificato.

3. Da ciò comprendiamo che in uno stesso uomo vi sono quattro fasi da superare gradatamente per stabilirsi nella vita eterna. Era infatti conveniente e giusto che, avendo la nostra natura peccato e perduto la beatitudine spirituale, indicata col nome di paradiso, nascessimo animali e carnali. La prima fase precede la legge, la seconda è sotto la legge, la terza sotto la grazia, la quarta nella pace. Nella fase precedente la legge ignoriamo il peccato e seguiamo la concupiscenza carnale. Nella fase sotto la legge il peccato ci è vietato e tuttavia, vinti dalla sua consuetudine, pecchiamo, perché non siamo ancora aiutati dalla fede. Nella terza fase confidiamo totalmente nel nostro Liberatore e non riferiamo nulla ai nostri meriti, ma, amando la sua misericordia, non ci lasciamo più vincere dal piacere della cattiva consuetudine, che cerca di ricondurci al peccato; avvertiamo però che ci disturba ancora anche se non cediamo. Nella quarta fase non c’è assolutamente più nulla nell’uomo che si oppone allo spirito, ma tutte le facoltà concordemente unite e connesse insieme, conservano l’unità in stabile pace. Questo avverrà quando il corpo mortale sarà vivificato, e questo corpo corruttibile si sarà rivestito d’incorruttibilità e questo mortale d’immortalità 201.

4. Intanto, a conferma della prima fase, si presentano questi testi: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato. Fino alla legge infatti c’era peccato nel mondo. Ma il peccato non era imputato quando non c’era la legge 202. E ancora: Senza la legge infatti il peccato è morto, e io un tempo vivevo senza la legge 203. Quanto è detto qui: è morto, equivale a quanto detto precedentemente: non era imputato, cioè stava nascosto. Il che appare nelle parole seguenti, quando dice: Ma il peccato, per rivelarsi peccato, mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene 204, cioè per mezzo della legge, perché la legge è buona, se uno ne usa legalmente 205. Se dunque qui dice: per rivelarsi peccato, è chiaro che prima diceva è morto e non viene imputato, perché non si era manifestato prima di essere svelato con la proibizione della legge.

5. Alla seconda fase si applicano i seguenti testi: La legge poi sopraggiunse per moltiplicare il peccato 206. Si aggiunse infatti la trasgressione che prima non c’era. E il testo già ricordato: Quando infatti eravamo nella carne, le passioni peccaminose, stimolate dalla legge, agivano nelle nostre membra al fine di portare frutti per la morte 207. E questo: Che diremo dunque? Che la legge è peccato? No certamente! Però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: "Non desiderare ". Prendendo occasione da questo comandamento, il peccato ha prodotto in me ogni concupiscenza 208. E poco dopo dice: Ma, sopraggiunto quel comandamento, il peccato ha preso vita e io sono morto; e il comandamento che doveva servire per la vita, è divenuto per me motivo di morte. Il peccato infatti, prendendo occasione dal comandamento, mi ha sedotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte 209. Quando dunque dice: sono morto, vuol fare intendere: mi sono accorto di essere morto, poiché colui, che vede mediante la legge ciò che non deve fare eppure lo fa, ora pecca anche con la trasgressione. Quanto poi al testo: Il peccato, prendendo occasione dal comandamento, mi ha sedotto 210, vuol indicare o che l’attrattiva del piacere a peccare è più intensa, quando c’è la proibizione, o che l’uomo sebbene agisca secondo il precetto della legge, se manca ancora la fede corroborata dalla grazia, pretende di attribuire questo a se stesso e non a Dio, e pecca più gravemente per superbia. Prosegue dunque dicendo: Così la legge è santa, e santo e giusto e buono è il comandamento. Ciò che è bene è allora diventato morte per me? No davvero! Ma il peccato, per rivelarsi peccato, mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché apparisse peccatore oltre misura o peccato peccaminoso per mezzo del comandamento. Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne 211, cioè acconsento alla carne, perché non sono ancora liberato dalla grazia spirituale. Venduto come schiavo del peccato 212, pecco cioè a prezzo dei piaceri temporali. Non so infatti cosa faccio 213, cioè non avverto di essere nei precetti della verità, dov’è la vera scienza. Secondo questa espressione il Signore dice ai peccatori: Non vi conosco. A lui nulla è nascosto, ma poiché i peccati non rientrano nelle regole dei precetti derivanti dalla verità, la stessa Verità dice perciò ai peccatori: Non vi conosco. Come infatti le tenebre si avvertono senza vedere con gli occhi, così i peccati si avvertono con la mente, ignorandoli. Questo è, a mio parere, il senso dell’espressione nei SalmiI delitti chi li discerne? 214 Infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra 215. Fino a qui sono parole dell’uomo posto sotto la legge, non ancora sotto la grazia; il quale, anche se non vuole peccare, è vinto dal peccato. Infatti la consuetudine carnale e la naturale catena della mortalità, con cui discendiamo da Adamo, si è rinvigorita. Chi si trova in tale situazione implori dunque aiuto, e riconosca che la caduta è dipesa da lui, ma non dipende da lui risollevarsi. Una volta liberato, riconoscendo la grazia del suo Liberatore, dice: Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore 216.

6. Ed ora iniziano le parole riguardanti l’uomo costituito sotto la grazia, in quella che abbiamo definito terza fase: in essa la mortalità della carne recalcitra senza dubbio, ma non vince né acconsente alla schiavitù del peccato. Dice infatti così: Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato. Non c’è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché era inferma per la carne 217, cioè per i desideri carnali; infatti non si osservava la legge, perché non c’era ancora l’amore della stessa giustizia che, colmando l’animo di gioia interiore, impedisse di trascinare al peccato per il piacere delle cose temporali. Dunque la legge era inferma a causa della carne, cioè non giustificava gli schiavi della carne. Ma Dio mandò il suo proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato 218. Non era una carne di peccato, poiché non era nata da piacere carnale, ma somigliava alla carne di peccato, perché era carne mortale e Adamo ha meritato la morte a causa del peccato. Ma che ha fatto il Signore? In vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne 219, assumendo cioè la carne dell’uomo peccatore e insegnando come vivere condannò il peccato nella stessa carne, affinché lo spirito, infiammato d’amore per le cose eterne, non fosse condotto schiavo consentendo alla libidine. Perché la giustizia della legge - prosegue - si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne, ma secondo lo spirito 220. Quindi i precetti della legge, che non potevano essere osservati mediante il timore, furono osservati per mezzo dell’amore. Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne - bramano cioè i beni carnali come beni supremi -; quelli invece che vivono secondo lo Spirito pensano alle cose dello Spirito. Ma la prudenza della carne è morte; la prudenza dello Spirito invece è vita e pace, perché la prudenza della carne è nemica di Dio 221. Lo stesso Apostolo spiega cosa intenda per nemica, perché nessuno creda che si introduca in opposizione un altro principio. Aggiunge infatti queste parole: Non è soggetta alla legge di Dio e neanche lo può 222. Quindi essere nemico di Dio vuol dire trasgredire la legge: non perché qualcosa possa nuocere a Dio, ma perché chiunque resiste alla volontà di Dio nuoce a se stesso. Questo significa infatti recalcitrare contro lo stimolo, come è stato detto dal cielo all’Apostolo, quando perseguitava ancora la Chiesa 223. Per questo la frase: Non è soggetta alla legge di Dio e neanche lo può 224, corrisponde alla seguente: la neve non riscalda e neppure lo può. Infatti, finché resta neve, non riscalda; ma può essere sciolta e bollire sì da riscaldare; ma quando fa questo non è più neve. Così si parla anche di prudenza della carne, quando l’anima brama come beni supremi i beni materiali. Finché tale brama è in lei, non può essere soggetta alla legge di Dio, cioè non può osservare i precetti della legge. Quando invece comincia a desiderare i beni spirituali e disprezzare i materiali, viene meno la prudenza della carne e non si oppone allo spirito. Anche dell’anima stessa si dice infatti che ha la prudenza carnale, quando desidera le cose inferiori, e la prudenza spirituale, quando desidera le superiori: non perché la prudenza della carne è una sostanza, che l’anima si mette o si toglie, ma è una disposizione dell’anima stessa, che sparisce completamente quando si converte del tutto alle cose superiori. Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio 225, quelli cioè che acconsentono ai piaceri della carne. Perché nessuno creda che si riferisca a coloro che non sono ancora passati da questa vita, molto opportunamente aggiunge: Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello spirito 226. Parla certamente a persone ancora in vita. Erano infatti sotto il dominio dello Spirito, perché trovavano conforto nella fede, speranza e carità ai desideri delle cose spirituali. Se però - continua - lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo Spirito è vita a causa della giustificazione 227. Dice che il corpo è morto, finché si trova nella condizione d’infastidire l’anima per il bisogno di cose materiali e di stimolarla per certi impulsi, originati dallo stesso bisogno, a desiderare le cose della terra. L’anima tuttavia, pur esistendo questi impulsi, non acconsente a fare il male, perché osserva già la legge di Dio ed è stabilita sotto la grazia. Qui si applica quanto è stato detto precedentemente: Con la mente servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato 228. Ora viene descritto l’uomo sotto la grazia, il quale non ha ancora la pace perfetta, che si avrà con la risurrezione e la trasformazione del corpo.

7. Resta dunque da parlare di questa pace della risurrezione del corpo, che è propria della quarta fase; se però conviene chiamarla azione, perché è somma quiete. Infatti prosegue in questi termini: Se dunque lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Gesù dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi 229. Qui c’è una chiarissima affermazione della risurrezione del corpo, e appare a sufficienza che finché siamo in questa vita non mancano le molestie a causa della carne mortale né le sollecitazioni dei piaceri carnali. Anche se chi è costituito sotto la grazia e nell’intimo osserva la legge di Dio non cede, tuttavia nella carne serve la legge del peccato. Nell’uomo reso perfetto attraverso queste tappe non c’è più alcun male; neppure la legge è cattiva, che mostra all’uomo in quali vincoli di peccato giaccia, affinché, dopo aver implorato per mezzo della fede l’aiuto del Liberatore, meriti di essere liberato, rialzato e stabilito in perfetto equilibrio. Dunque nella prima fase, precedente la legge, non si lotta affatto coi piaceri di questo mondo; nella seconda, sotto la legge, lottiamo ma veniamo sconfitti; nella terza lottiamo e vinciamo; nella quarta non lottiamo ma riposiamo nella pace perfetta ed eterna. Il nostro essere interiore è infatti a noi soggetto, mentre prima rifiutava la sottomissione, perché avevamo abbandonato Dio, nostro superiore.

 

67. - SUL TESTO: IO RITENGO, INFATTI, CHE LE SOFFERENZE DEL
MOMENTO PRESENTE NON SONO PARAGONABILI ALLA GLORIA FUTURA
CHE DOVRÀ ESSERE RIVELATA IN NOI
,
 SINO AL PUNTO DOVE SI DICE:
POICHÉ NELLA SPERANZA NOI SIAMO STATI SALVATI 230

1. Questo capitolo è oscuro perché qui non appare chiaramente di quale tema discuta l’Apostolo. Ora, secondo la dottrina cattolica, si dice creatura tutto ciò che Dio Padre ha fatto per mezzo del Figlio unigenito nell’unità dello Spirito Santo. Dunque sotto il nome di creatura rientrano non solo i corpi, ma anche le nostre anime e gli spiriti. Sta scritto così: La creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della morte alla libertà della gloria dei figli di Dio 231, come se noi non fossimo creatura, ma figli di Dio, alla cui libertà di gloria la creatura sarà liberata dalla schiavitù. Dice ancora: Sappiamo infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi; essa non è la sola ma anche noi stessi 232; come se noi fossimo una cosa e la creazione un’altra. Bisogna quindi considerare dettagliatamente tutto il capitolo.

2. Io ritengo infatti - scrive - che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi 233; questo è chiaro. Prima aveva detto: Se invece con lo spirito fate morire le opere della carne, vivrete 234. Il che non può avvenire senza sofferenza, per la quale è necessaria la pazienza. A ciò si riferisce quanto dice più avanti: Se veramente partecipiamo alle sue sofferenze, per partecipare anche alla sua gloria 235. Penso che egli voglia dire proprio questo quando afferma: La creazione stessa attende infatti la rivelazione dei figli di Dio 236. Infatti quello che in noi prova sofferenza, quando mortifichiamo le opere della carne, cioè quando per l’astinenza sentiamo la fame e la sete, quando con la castità freniamo il piacere sessuale, quando con la pazienza sopportiamo le ingiurie laceranti e le spine degli oltraggi, quando, trascurati e respinti i nostri comodi, ci affatichiamo per il bene della madre Chiesa: tutto ciò che in noi, in questa e in altre tribolazioni, prova sofferenza, è creatura. Soffrono infatti il corpo e l’anima, che sono certamente creature, e attendono la rivelazione dei figli di Dio; aspettano cioè il momento in cui quello che è stato chiamato appaia nella gloria a cui è stato chiamato. Infatti il Figlio unigenito di Dio non può essere chiamato creatura, dal momento che per suo mezzo è stato fatto tutto ciò che Dio ha fatto. Anche noi con opportuna distinzione siamo chiamati sia creatura, prima della manifestazione della gloria, che figli di Dio, sebbene questo sia merito di adozione, perché solo l’Unigenito è Figlio per natura. Dunque l’attesa della creazione, cioè la nostra aspettativa, attende la rivelazione dei figli di Dio 237; aspetta cioè il momento in cui appaia quanto è stato promesso, quando si manifesterà nella realtà ciò che ora noi siamo nella speranza. Noi siamo infatti figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è 238. Questa è la rivelazione dei figli di Dio, che ora la creazione aspetta con impazienza. La creazione non attende la rivelazione di un’altra natura, che non sia creatura; ma essa, com’è al presente, aspetta il momento di diventare quello che sarà. Allo stesso modo si potrebbe dire di un pittore, munito dei colori appropriati per il suo quadro, che i colori aspettano la realizzazione dell’immagine; non nel senso che ora sono una cosa, o non saranno colori, ma solo che avranno un’altra dignità.

3. La creazione infatti - dice l’Apostolo - è stata sottomessa alla vanità 239, secondo il detto: Vanità delle vanità e tutto è vanità. Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno per cui fatica sotto il sole? 240 A lui è stato detto: Mangerai il pane con fatica 241La creazione è stata dunque sottomessa alla vanità non per suo volere 242. Opportunamente è stato aggiunto: non per suo volere, perché l’uomo ha volontariamente peccato, ma è stato condannato contro il suo volere. Il peccato è stato dunque spontaneo: agire contro il precetto della verità; pena del peccato è stato invece cedere all’inganno. Dunque la creazione non è stata sottomessa spontaneamente alla vanità, ma per volere di colui che l’ha sottomessa nella speranza 243; in vista cioè della giustizia e clemenza di colui che non ha lasciato impunito il peccato e non ha voluto che il peccatore non fosse guarito.

4. Perché anche la stessa creatura 244, cioè l’uomo stesso, che, avendo perduto a causa del peccato l’impronta dell’immagine, è rimasto semplice creatura: dunque anche la stessa creatura, quella stessa cioè che non è ancora chiamata forma perfetta dei figli, ma solo creatura, sarà liberata dalla schiavitù della morte 245. Perciò quando dice: anch’essa sarà liberata, fa capire anch’essa come anche noi, vale a dire: non si deve disperare di coloro i quali, perché non hanno ancora creduto, non sono ancora chiamati figli di Dio, ma solo creatura. Anch’essi infatti crederanno e saranno liberati dalla schiavitù della morte, come noi che già siamo figli di Dio, sebbene non sia ancora apparso ciò che saremo. Saranno alfine liberati dalla schiavitù della morte alla libertà della gloria dei figli di Dio 246: anch’essi, in altre parole, da schiavi diverranno liberi e da morti saranno glorificati nella vita perfetta che avranno i figli di Dio.

5. Sappiamo infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi 247. Tutta la creazione si riassume nell’uomo, non perché in lui vi siano tutti gli Angeli o le altissime Virtù e Potestà, o il cielo, la terra, il mare e tutto ciò che essi racchiudono, ma perché l’intera creazione o è spirituale o animale o corporea. Se la consideriamo partendo dagli esseri inferiori, la creatura corporea si estende nello spazio; l’animale vivifica i corpi; la spirituale governa l’animalità e la governa bene solo quando si sottomette al governo di Dio. Quando invece ne trasgredisce i precetti, resta impigliata nelle amarezze e miserie procurate da quelle stesse creature che avrebbe dovuto governare. Chi pertanto vive secondo il corpo viene chiamato uomo carnale o animale: carnale perché insegue i beni materiali, animale perché si lascia portare dalla licenza sfrenata della sua anima, non regolata dallo spirito e non trattenuta nei confini dell’ordine naturale, perché lo stesso spirito non si lascia guidare da Dio. Chi invece con lo spirito regge l’anima e con l’anima il corpo - il che non può fare se non si lascia guidare da Dio, perché come l’uomo è capo della donna così Cristo è capo dell’uomo 248 - viene chiamato spirituale. Questa vita ora trascorre con qualche disagio, ma dopo non ne avrà più. E poiché gli Angeli superiori hanno una vita spirituale e quelli inferiori una vita animale, le bestie poi e tutti gli animali hanno una vita carnale, il corpo invece non ha vita ma è vivificato: nell’uomo c’è ogni creatura, perché con lo spirito pensa, con l’anima sente, col corpo si muove localmente. Nell’uomo quindi geme e soffre ogni creatura. L’Apostolo non ha detto tutta ma ogni, come se uno dicesse che tutti gli uomini che sono sani vedono il sole, ma non lo vedono con la totalità di se stessi, perché vedono solo con gli occhi: così nell’uomo si riassume ogni creatura, perché pensa, vive, ha un corpo; ma in lui non c’è tutta la creazione, perché al di fuori di lui sono anche gli Angeli, i quali intendono, vivono e sono, gli animali, che vivono e sono, i corpi che sono semplicemente: vivere è meglio di non vivere, pensare è meglio di vivere senza intelligenza. Quando dunque il misero uomo geme e soffre, ogni creatura geme e soffre fino ad oggi. Ha detto bene fino ad oggi, perché anche se alcuni sono già nel seno di Abramo 249 e il buon ladrone è entrato in paradiso col Signore 250 e ha cessato di soffrire lo stesso giorno in cui ha creduto, tutta la creazione geme e soffre tuttavia sino ad oggi, perché in coloro che non sono ancora liberati essa si ritrova tutta a motivo dello spirito, dell’anima e del corpo.

6. Non solo - prosegue - tutta la generazione geme e soffre, ma anche noi, vale a dire: nell’uomo soffrono insieme non solo il corpo, l’anima e lo spirito per le vicissitudini corporali, ma anche noi, a parte il corpo, gemiamo interiormente, noi che possediamo le primizie dello spirito. Ha detto bene: noi che possediamo le primizie dello spirito per significare coloro i cui spiriti sono già stati offerti a Dio in sacrificio e sono stati avvolti dal fuoco divino della carità. Queste sono le primizie dell’uomo, perché la verità dapprima afferra il nostro spirito e per suo mezzo conquista tutto il resto. Possiede dunque già le primizie offerte a Dio chi dice: Con la mente servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato 251; altrettanto chi dice: Dio a cui servo nel mio spirito 252, come anche colui di cui si dice: Lo spirito è pronto ma la carne è debole 253. Ma poiché aggiunge anche: sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? 254, e si riferisce ancora a tali persone: Darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo dello Spirito che abita in voi 255; non c’è ancora l’olocausto. Ci sarà invece quando la morte sarà assorbita nella vittoria e le si dirà: Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? 256 Ora dunque, afferma, non solo tutta la creazione, ossia quella del corpo, ma anche noi che possediamo le primizie dello spirito, cioè anche noi anime, che abbiamo già offerto a Dio come primizie le nostre menti, gemiamo interiormente, cioè oltre il corpo, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo 257. Aspettiamo cioè che lo stesso corpo, ricevendo il dono dell’adozione a figli, alla quale siamo stati chiamati, manifesti che noi, totalmente liberi ed affrancati da ogni disagio, siamo completamente figli di Dio. Nella speranza infatti noi siamo stati salvati: ma la speranza che si vede non è più speranza 258Quando sarà manifestato ciò che saremo, vale a dire saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è 259, allora sarà dunque realtà ciò che ora è speranza.

7. Se questo capitolo viene spiegato, come si è fatto, evitiamo quelle difficoltà per cui molti uomini sono costretti a dire che tutti gli Angeli e le Virtù celesti sono nel dolore e nei gemiti, finché noi non saremo totalmente liberati, poiché è stato detto: Tutta la creazione geme e soffre 260. Sebbene essi infatti ci aiutino secondo la loro dignità, mentre obbediscono a Dio, che per noi si è degnato d’inviare perfino il suo unico Figlio, bisogna credere tuttavia che lo facciano senza gemiti e dolori, per non ritenerli infelici, e che sia più felice il povero Lazzaro, uno di noi, che già riposa nel seno di Abramo. Tanto più che ha detto che questa stessa creazione, che geme e soffre, è soggetta alla vanità; ammettere questo delle somme e perfette creature, quali le Virtù e le Potestà, è uno sproposito. Ha detto inoltre che deve essere liberata dalla schiavitù della morte: non possiamo credere che vi siano incorsi quelli che in cielo conducono una vita pienamente felice. Non si deve tuttavia affermare nulla superficialmente, ma anche le parole divine si devono affrontare con devota diligenza. Forse la creazione che geme, soffre ed è soggetta alla vanità potrebbe intendersi in un altro modo e applicarsi, senza empietà, anche agli Angeli più eminenti in quanto, per ordine di nostro Signore, vengono in soccorso della nostra infermità. Ma sia che si accetti quella che noi abbiamo proposto o un’altra spiegazione di questo capitolo, bisogna preoccuparsi soltanto di non contraddire o ferire la fede cattolica. So infatti che eretici sconsiderati hanno sciorinato su questo capitolo molte teorie empie e dissennate.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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