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LA VERA RELIGIONE di sant'Agostino Vescovo

Ultimo Aggiornamento: 11/11/2017 19:00
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11/11/2017 18:33
 
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  68. - SUL TESTO DELLA SCRITTURA:
O UOMO, TU CHI SEI PER DISPUTARE CON DIO?

1. Poiché sembra che l’Apostolo abbia ripreso i curiosi quando dice: O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? 261essi agitano la questione su questo punto e non cessano d’insistere su quella sentenza che condanna la loro curiosità. Gli empi aggiungono anche l’ingiuria, affermando che l’Apostolo, incapace di risolvere la questione, ha rimproverato i ricercatori perché non era in grado di sciogliere la difficoltà. Inoltre alcuni eretici, nemici della Legge e dei Profeti, che ingannano facendo mostra di una scienza che non possiedono, lanciano l’accusa che tutti i passi inseriti dall’Apostolo nel suo discorso a loro riguardo, sono falsi e interpolati da corruttori. Tra i testi interpolati, essi dicono, hanno voluto annoverare anche questo e negare che Paolo abbia detto: O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? Se infatti questo è rivolto a loro, che calunniano per ingannare gli uomini, tacerebbero senza dubbio e non oserebbero promettere agli inesperti, che vogliono ingannare, alcuna conoscenza della volontà di Dio onnipotente. Alcuni però che leggono le Scritture con animo leale e devoto, domandano che cosa si può rispondere ai maldicenti e ai calunniatori. Noi però, attenendoci salutarmente all’autorità apostolica e ritenendo che non sono falsificati i libri custoditi dalla dottrina cattolica, pensiamo il vero: sono indegni e incapaci di comprendere i divini misteri coloro ai quali questi misteri sono celati. A coloro che mormorano e s’indignano perché non intendono i disegni di Dio, quando cominciano a dire: Egli quindi usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole. Allora perché ancora si lamenta? Chi può infatti resistere al suo volere? 262 mentre con queste parole cominciano o a calunniare le Scritture o a cercare di nascondere i propri peccati al punto da disprezzare i precetti che conducono alla vita virtuosa, rispondiamo in tutta franchezza: O uomo, chi sei tu per disputare con Dio? Senza lasciarci impressionare da loro, noi non diamo le cose sante ai cani né gettiamo le nostre perle davanti ai porci 263, purché non siamo noi stessi cani e porci e, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, sui meriti delle anime immaginiamo qualcosa, anche se parziale e oscuro, di sublime e ben lontano da ogni volgare congettura.

2. In questo testo l’Apostolo non proibisce ai santi la ricerca ma a quelli che non sono ancora così radicati e fondati nella carità da poter comprendere con tutti i santi l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità e tutto il resto che si dice nello stesso brano 264. Non ne ha dunque proibito la ricerca dicendo: L’uomo spirituale giudica ogni cosa; egli però non è giudicato da nessuno 265; e soprattutto questo: Noi non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo ma lo Spirito che viene da Dio, per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato 266. A chi dunque l’ha proibita se non agli uomini abietti e terreni, non ancora rigenerati e nutriti interiormente, che portano l’immagine del primo uomo fatto di terra e terreno 267? E poiché non ha voluto obbedire a colui che lo aveva creato è caduto proprio là donde è stato tratto e, dopo il peccato, ha meritato di udire: Sei terra e in terra ritornerai 268. A persone di tal fatta si rivolge dunque l’Apostolo: O uomo, tu chi sei per disputare con DioDirà forse il vaso plasmato a colui che l’ha plasmato: "Perché mi hai fatto così? " 269. Finché dunque sei vaso di argilla e non ancora figlio perfetto, non avendo ancora attinto la pienezza della grazia, per cui ci è dato il potere di diventare figli di Dio 270, sì da poter ascoltare: Non vi chiamo più servi ma amici 271tu chi sei per rispondere a Dio e per voler conoscere la sua intenzione?. Se tu avessi voluto conoscere le intenzioni di un uomo pari a te, avresti agito imprudentemente se prima non fossi stato accolto nella sua amicizia. Come dunque abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo anche l’immagine dell’uomo celeste272, spogliandoci dell’uomo vecchio e rivestendo il nuovo 273, affinché non ci venga detto come al vaso di argilla: Dice forse il vaso al vasaio: " Perché mi hai fatto così? " 274.

3. Perché sia chiaro che questo è detto non per uno spirito già santo, ma per il fango carnale, senti come prosegue: Non è forse in potere del vasaio che con il medesimo impasto di argilla ci faccia o un vaso degno di rispetto, oppure un vaso da contumelia? 275 Dunque dacché la nostra natura ha peccato nel paradiso, dalla provvidenza divina stessa noi siamo formati non secondo il cielo ma secondo la terra, cioè non secondo lo spirito, ma secondo la carne con una generazione destinata alla morte; e così tutti siamo diventati una massa di fango, che è a dire una massa di peccato. E poiché con il peccato abbiamo perduto il merito e, separati dalla misericordia di Dio, null’altro era dovuto a noi peccatori se non l’eterna condanna, come può l’uomo, da questa massa, mettersi a discutere con Dio e dirgli: Perché mi hai fatto così? Se tu vuoi conoscere queste cose, bisogna che ti tolga da questo fango e che diventi figlio di Dio tramite quella stessa misericordia che ha dato il potere di diventare figli di Dio a coloro che credono nel suo nome, e non a coloro che vorrebbero conoscere i misteri di Dio prima di credere, come vorresti tu. Il conoscere infatti è come una paga che si dà a chi l’ha meritata; e il merito si acquista con il credere. Così anche la grazia, che ci vien data per mezzo della fede, non ci vien data per nessun altro merito precedente. E quale altro merito potrebbe avere il peccatore o l’empio? Cristo però è morto per gli empi e i peccatori 276 affinché al credere noi fossimo chiamati, non per i meriti, ma per la grazia, e così, credendo, anche noi potessimo mettere da parte qualche merito. È per questo che ai peccatori viene comandato di credere, perché proprio col credere si purghino dei peccati. Essi infatti non sanno che cosa avranno davanti se vivono rettamente. Così, non potendo saperlo se non vivono rettamente, e, d’altra parte non potendo vivere rettamente se non credono, è più che chiaro che è dalla fede che bisogna incominciare. Ed è così che i comandamenti, con i quali coloro che credono si distaccano dalle cose di questo mondo, rendono puro il loro cuore, perché è solo con esso che si può vedere Dio. Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio 277E anche con le parole della profezia si canta: Nella semplicità del cuore cercatelo 278È giusto quindi quello che vien detto agli uomini che sono immersi nella vecchiezza della vita e hanno l’occhio dell’anima pieno di tenebre: O uomo, e chi sei tu da metterti a discutere con Dio? Oserà forse il vaso plasmato dire a colui che lo plasmò: Perché mi hai fatto così? Forse che il vasaio non è padrone dell’argilla per fare col medesimo impasto un vaso degno di rispetto oppure un vaso da contumelia? Lìberati dal vecchio fermento per diventare un impasto nuovo 279 in cui non restare ancora un bambino in Cristo da dover nutrire sempre col latte 280; fatti uomo una buona volta per trovarti in mezzo a coloro dei quali è detto: Noi parliamo di sapienza tra uomini maturi 281Solo allora potrai capire in modo retto e non disordinato quali siano i meriti così nascosti delle anime e i segreti della grazia e della giustizia di Dio.

4. Anche a proposito del Faraone si può facilmente rispondere che un tale indurimento del cuore, da non credere neppure ai segni più manifesti del volere divino, era la giusta conseguenza dei precedenti demeriti con i quali aveva perseguitato i forestieri nel suo regno. Da un’unica massa, vale a dire di peccatori, ha tratto fuori vasi di misericordia a cui prestare soccorso, quando i figli d’Israele lo avrebbero invocato, e vasi d’ira, cioè il Faraone e il suo popolo: col loro castigo avrebbe istruiti quelli; perché, sebbene gli uni e gli altri fossero peccatori, e di conseguenza appartenessero all’identica massa, era necessario tuttavia trattare in un modo coloro che avevano supplicato nei gemiti l’unico Dio, perché li soccoresse, e in un altro coloro che li avevano afflitti con ingiusti gravami. Ha sopportato dunque con grande pazienza i vasi di collera, già pronti per la perdizione 282. Con l’espressione con grande pazienza ha indicato a sufficienza i loro precedenti peccati, per i quali li aveva sopportati: li avrebbe vendicati a tempo opportuno, quando dalla loro punizione avrebbe prestato soccorso a quelli che sarebbero stati liberati. E questo per far comprendere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia, da lui predisposti alla gloria 283. A questo punto forse sei confuso e ritorni sulla questione precedente. Egli usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole. Perché ancora rimprovera? Chi può infatti resistere al suo volere? 284 Senza dubbio usa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole, eppure questa volontà di Dio non può essere ingiusta. Scaturisce difatti da meriti assai occulti; anche gli stessi peccatori, sebbene a causa del comune peccato costituiscano un’unica massa, non sono tuttavia senza qualche differenza tra loro. In alcuni peccatori precede dunque qualcosa per cui, sebbene non siano ancora giustificati, sono degni di essere giustificati; e in altri peccatori precede ugualmente qualcosa per cui sono meritevoli di ostinazione. Altrove scopri lo stesso Apostolo che dice: Poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata 285. Averli abbandonati a un’intelligenza depravata equivale ad aver indurito il cuore del Faraone 286. L’aver disprezzato la conoscenza di Dio è stato il motivo per cui hanno meritato di essere abbandonati a un’intelligenza depravata.

5. È vero però che non dipende dalla volontà né dagli sforzi, ma dalla misericordia di Dio 287. Sebbene, infatti, qualcuno si renda degno della misericordia di Dio con grande gemito e dolore tanto per i peccati più lievi quanto per quelli più gravi e addirittura numerosi, ciò non dipende da lui, che si perderebbe se fosse abbandonato, ma dalla misericordia di Dio che viene in aiuto alle sue preghiere addolorate. Non basta infatti volere se Dio non usa misericordia. Ma Dio, che chiama alla pace, non usa misericordia se non precede la volontà, perché la pace in terra è per gli uomini di buona volontà 288. E poiché nessuno può volere, senza essere prevenuto e chiamato sia interiormente, dove nessun uomo vede, che esteriormente per mezzo della predicazione o di altri segni manifesti, risulta che è Dio a suscitare in noi questo stesso volere 289. Infatti a quella cena, che nel Vangelo il Signore dice di aver preparato, non tutti gli invitati hanno voluto partecipare, e quelli che sono venuti non sarebbero potuti venire senza essere stati invitati 290. Pertanto quelli non devono attribuire a se stessi di essere venuti, perché sono venuti su invito: né devono incolpare altri, ma se stessi, coloro che non sono voluti venire, perché erano chiamati a partecipare in piena libertà. La chiamata dunque suscita la volontà prima del merito. Di conseguenza se qualcuno attribuisce a se stesso di aver corrisposto alla chiamata, non può attribuire a se stesso di essere stato chiamato. Chi invece non ha risposto all’invito, come non ha avuto alcun merito per essere chiamato, così inizia a meritare il castigo per aver trascurato l’invito a venire. Ci saranno così due cose: Canterò, Signore, la tua misericordia e la tua giustizia 291. La chiamata dipende dalla misericordia; dalla giustizia dipende la felicità di coloro che hanno risposto all’appello e il castigo di coloro che hanno rifiutato di venire. Non si rendeva forse conto il Faraone dei vantaggi derivati al suo paese dalla venuta di Giuseppe 292? La conoscenza di questo fatto costituiva dunque per lui l’appello a non essere ingrato, trattando con indulgenza il popolo d’Israele. Rifiutando di corrispondere a quest’invito e rendendosi crudele verso coloro ai quali doveva umanità e indulgenza, ha meritato come punizione l’indurimento del suo cuore e una tale cecità di spirito da non credere ai numerosi e così grandi ed evidenti prodigi di Dio. Con questo castigo dell’ostinazione e del suo definitivo e visibile naufragio in mare, si poteva istruire il popolo che, a motivo della sua sofferenza, il Faraone aveva meritato, sia l’occulta ostinazione del cuore che la manifesta scomparsa tra i flutti 293.

6. Ora questa chiamata, rivolta secondo l’opportunità dei tempi, sia agli individui che ai popoli e all’intero genere umano, è segno di una disposizione elevata e profonda. Ad essa si riferiscono anche queste parole: Io ti ho santificato nel seno materno 294; e: Ti ho visto quando eri ancora nei lombi di tuo padre 295 e: Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù 296, che sono state pronunciate prima che essi nascessero. Forse possono comprenderle soltanto coloro che amano il Signore loro Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la loro mente e amano il prossimo come se stessi 297. Fondati in una così grande carità forse possono già comprendere con i santi la lunghezza, l’ampiezza, l’altezza e la profondità 298. Bisogna però ritenere con fermissima fede che Dio non fa nulla d’ingiusto e che non c’è alcuna natura che non debba a Dio ciò che è. A Dio si deve infatti ogni splendore, bellezza e armonia delle parti: se tu l’analizzerai a fondo e la eliminerai dalle cose fino alle ultime parti, non rimane più nulla.

 

69. - SUL TESTO: ALLORA LO STESSO FIGLIO SARÀ SOTTOMESSO
A COLUI CHE GLI HA SOTTOMESSO OGNI COSA
 299

1. Coloro che ribattono che il Figlio di Dio non è uguale al Padre, di solito ricorrono con maggior dimestichezza a questo testo dell’Apostolo che afferma: E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti. Non potrebbe infatti sorgere in loro l’errore mascherato del nome cristiano, se non per una cattiva interpretazione della Scrittura. Dicono infatti: Se è uguale, come mai gli sarà sottomesso? La domanda è simile senza dubbio a quella del Vangelo: Se è uguale, come mai il Padre è più grande? Il Signore in persona dice: Il Padre è più grande di me 300. Ora la regola della fede cattolica è questa: quando nelle Scritture si afferma qualcosa per cui il Figlio è inferiore al Padre, lo si intende in rapporto all’umanità [da lui] assunta; quando invece si afferma qualcosa che denota uguaglianza, lo si interpreta in rapporto alla divinità. Risulta dunque chiaro in quale senso è stato detto: Il Padre è più grande di me; e: Io e il Padre siamo uno 301; e: Il Verbo era Dio; e: Il Verbo si è fatto carne; e: Non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo 302. Ma poiché molte espressioni, eccetto quanto concerne l’assunzione dell’umanità, si riferiscono a lui secondo la proprietà personale, in modo che per Padre non si può intendere che il Padre e per Figlio non altri che il Figlio, gli eretici ritengono che in quello che viene affermato e interpretato in questo modo non ci può essere uguaglianza. Sta scritto infatti: Tutto è stato fatto per mezzo di lui 303, senza dubbio per mezzo del Figlio, cioè del Verbo di Dio. Da chi, se non dal Padre? Non c’è mai scritto che il Figlio ha fatto qualcosa per mezzo del Padre. È scritto ancora che il Figlio è immagine del Padre 304; ma non è mai scritto che il Padre è immagine del Figlio. Sta scritto inoltre che uno genera e l’altro è generato; e molte espressioni del genere che riguardano non l’ineguaglianza della sostanza ma la proprietà delle Persone. Poiché essi negano che in questi testi l’uguaglianza sia possibile, dal momento che si addentrano in queste cose con una mentalità troppo grossolana, bisogna incalzarli sotto il peso dell’autorità. Se infatti in quelle affermazioni fosse impossibile cogliere l’uguaglianza tra colui per mezzo del quale tutto è stato fatto e colui dal quale è stato fatto, tra l’immagine e colui del quale è immagine, tra il generato e il generante, l’Apostolo, per chiudere la bocca dei contestatori, non avrebbe in alcun modo usato lo stesso vocabolo, dicendo: Non considerò una rapina la sua uguaglianza con Dio 305.

2. Poiché dunque alcuni testi, riguardanti la distinzione del Padre e del Figlio, sono stati scritti in riferimento alla proprietà del Figlio e altri all’assunzione dell’umanità, per salvaguardare la divinità, l’unità e l’uguaglianza del Padre e del Figlio: è giusto domandarsi se l’Apostolo in questo testo aveva di mira le proprietà delle persone o l’assunzione dell’umanità: Allora anche il Figlio sarà sottomesso a colui che gli ha sottomesso ogni cosa 306. Di solito il contesto scritturistico chiarisce la sentenza quando le espressioni circostanti, che si riferiscono alla presente questione, vengono esaminate con un’analisi diligente. Troviamo infatti che l’Apostolo è giunto a questo testo dopo l’affermazione precedente: Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti 307. Trattava quindi della risurrezione dei morti: essa si è verificata nel Signore secondo l’umanità che ha assunto, come afferma con tutta chiarezza in seguito: Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dai morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta (parusiva), quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. Però quando dice: Ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui il Figlio, sarà sottomesso a colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti 308. È chiaro quindi che questo è stato detto in riferimento all’incarnazione dell’uomo.

3. Ma in questo capitolo, di cui ho riportato tutto il testo, altri punti offrono di solito materia di discussione. Innanzitutto l’affermazione: Quando egli consegnerà il regno a Dio e Padre, come se il Padre ora non possedesse il regno. Quindi il passo: Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi, come se dopo non dovesse più regnare. A questo sembra riferirsi l’affermazione precedente: Poi sarà la fine. Con sacrilega interpretazione essi l’intendono così, come se la parola fine indicasse la distruzione del suo regno, mentre nel Vangelo è scritto: E il suo regno non avrà fine 309. Da ultimo il testo: E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a colui che gli ha sottomesso ogni cosa; essi lo interpretano così come se ora qualcosa non fosse sottomessa al Figlio o egli stesso non fosse sottomesso al Padre.

4. La questione si scioglie considerando il modo di esprimersi. Spesso infatti la Scrittura, parlando di qualcosa che è da sempre, dice che comincia ad esistere in qualcuno, quando questi la conosce. Così nella preghiera del Signore noi diciamo: Sia santificato il tuo nome 310, quasi che in un certo tempo non fosse santo. Come dunque sia santificato sta per "sia riconosciuto come santo", così anche le parole: Quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, stanno per "quando avrà mostrato che il Padre regna", sicché per mezzo della visione e della manifestazione risulti chiaro ciò che ora i fedeli credono e gli infedeli rifiutano. Poi ridurrà al nulla ogni principato e potestà, manifestando senza dubbio il regno del Padre, affinché a tutti sia noto che nessun principato e potestà in cielo e in terra ha avuto da se stesso alcunché del suo potere e dominio, ma l’ha avuto da colui dal quale tutto procede, sia nel campo dell’esistenza che dell’ordinamento. In quella manifestazione nessuno infatti avrà più speranza in qualche principe o in qualche uomo. È quanto già sin d’ora viene cantato con voce profetica: È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nell’uomo; è meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei potenti 311. In questa meditazione l’anima si eleva fin d’ora al regno del Padre, senza fare affidamento sul potere di qualcuno al di fuori di lui, e tanto meno illudersi pericolosamente del proprio. Consegnerà dunque il regno a Dio Padre quando, grazie a lui, si conoscerà il Padre visibilmente. Suo regno sono infatti coloro nei quali ora regna per mezzo della fede. Invero in un modo si parla del regno di Cristo in rapporto al potere della divinità: in questo senso ogni creatura gli è sottomessa; in un altro si parla del suo regno che è la Chiesa, in rapporto alla fede che possiede; in questo senso prega colui che dice: Prendi possesso di noi 312. Nulla infatti è sottratto al suo possesso. In questo senso si dice anche: Quando eravate schiavi del peccato, eravate liberi riguardo alla giustizia313. Ridurrà dunque al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza, sicché nessuno, che vede il Padre per mezzo del Figlio, abbia bisogno o si compiaccia di confidare nel potere personale o di qualche creatura.

5. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi 314. Bisogna, cioè, che il suo regno si manifesti così apertamente che tutti i suoi nemici ammettano che egli regna. Questo infatti vuol dire che i suoi nemici saranno sotto i suoi piedi. Se invece lo riferiamo ai giusti, la parola nemici è detta nel senso che da ingiusti diventano giusti e si sottomettono a lui con la fede. Quanto poi agli ingiusti, che non apparterranno alla beatitudine futura dei giusti, bisogna intenderlo nel senso che anch’essi, nella stessa manifestazione del suo regno, pieni di confusione riconosceranno che egli regna. Di conseguenza il testo: Bisogna che egli regni finché non abbia posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi, non significa che in seguito, dopo aver posto i nemici sotto i suoi piedi, non regnerà più, ma con la frase: Bisogna che egli regni finché non abbia posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi, afferma che è necessario innalzare il suo regno a così grande splendore che i suoi nemici non oseranno in alcun modo negare che egli regna. Infatti sta scritto anche: I nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio, finché abbia pietà di noi 315. Questo non significa però che, dopo aver avuto pietà di noi, dobbiamo distogliere il nostro sguardo da lui, perché la nostra felicità è in rapporto alla gioia della sua contemplazione. Questo è dunque il senso del testo. L’attenzione dei nostri occhi è rivolta al Signore per ottenere la sua misericordia, non per distogliersi in seguito ma per non chiedere più nient’altro. Finché sta quindi al posto di nient’altro. Che c’è infatti di più, ossia con quale maggiore manifestazione si manifesterà il regno di Cristo se non al punto che tutti i nemici riconosceranno che egli regna? Dunque altro è non manifestarsi più, altro non essere più. Non manifestarsi più significa non rivelarsi più apertamente; non essere più vuol dire non durare ulteriormente. E quando mai il regno di Cristo apparirà più chiaramente di quando risplenderà davanti a tutti i nemici?

6. L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte 316. Quando questo corpo mortale sarà rivestito d’immortalità non ci sarà più nient’altro da distruggere. Tutto ha posto sotto i suoi piedi: questo sta ad indicare anche la distruzione della morte. Però quando dice che ogni cosa è stata sottoposta - l’ha detto effettivamente il Profeta nei Salmi 317 -, è chiaro che si deve eccettuare colui che gli ha sottomesso ogni cosa: vuol far capire che il Padre ha sottoposto ogni cosa al Figlio, come lo stesso Signore insegna e predica in molti passi del Vangelo, non solo a motivo della forma di servo, ma anche a motivo del principio da cui procede e per il quale è uguale a colui dal quale procede. Si compiace infatti di riferire tutto ad un unico principio, di cui è immagine 318 e in cui abita tutta la pienezza della divinità 319.

7. E quando tutto gli sarà sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a colui che gli ha sottomesso ogni cosa 320. Non perché ora non sia così, ma perché allora sarà chiaro, secondo il modo di esprimersi spiegato sopra. Perché Dio sia tutto in tutti; egli è la fine, menzionata precedentemente, quando ha voluto inizialmente riassumere tutto sinteticamente e in seguito spiegarlo ed esporlo dettagliatamente. Parlava infatti della risurrezione: Prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine. Egli stesso è la fine, perché Dio sia tutto in tutti. In un senso si parla della fine che esprime compimento, in un altro quando esprime consunzione. Altro è finire un vestito tessendolo, altro finire il cibo, mangiandolo. Si dice poi che Dio è tutto in tutti nel senso che nessuno di coloro che aderiscono a lui, ami contro di lui la propria volontà e sia chiaro a tutti ciò che lo stesso Apostolo dice in un altro passo: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? 321

8. Vi sono poi alcuni che intendono questo testo: Bisogna che egli regni finché ponga tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi, dicendo che qui il termine regnare è preso in un altro significato diverso da quello di regno nella frase: Quando avrà consegnato il regno a Dio e Padre. L’Apostolo avrebbe detto regno nel senso che Dio regge tutto il creato; e avrebbe detto regnare nel senso di condurre un esercito contro il nemico o difendere una città. Pertanto avrebbe detto: Bisogna che egli regni finché ponga tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi, perché un regno, simile a quello che hanno i capi di esercito, non ha più ragione di essere quando il nemico è stato così assoggettato da non potersi più ribellare. Nel Vangelo si dice infatti: E il suo regno non avrà fine 322, nel senso che regnerà in eterno. Quanto poi alla lotta da condurre sotto di lui contro il diavolo, lotta che durerà certamente finché mai porrà tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi, dopo non ci sarà più, perché godremo una pace eterna.

9. Questo è stato detto per farci capire che bisogna riflettere con maggior diligenza anche su questo punto: qual è attualmente il regno del Signore nell’economia del suo mistero, secondo l’incarnazione e la passione. Poiché in quanto Verbo di Dio il suo regno come non ha fine, così non ha né inizio né interruzione. Ma in quanto Verbo fatto carne 323 ha cominciato a regnare nei credenti per mezzo della fede nella sua incarnazione. Come appare anche dal testo: Il Signore ha regnato dal legno 324. Qui ha ridotto al nulla ogni principato, ogni potere e potenza, poiché quelli che credono in lui vengono salvati non per la sua esaltazione ma per la sua umiltà. Questo è stato nascosto ai sapienti e agli intelligenti e rivelato ai piccoli 325; perché a Dio è piaciuto salvare i credenti con la stoltezza della predicazione 326. E l’Apostolo afferma, in mezzo ai piccoli, di non sapere altro, se non Gesù Cristo e questi crocifisso 327. C’è bisogno di questa predicazione finché tutti i nemici saranno posti sotto i suoi piedi, finché tutta la superbia del mondo ceda e si sottometta alla sua umiltà, che mi sembra indicata col termine "piedi". In gran parte questa si è già realizzata e ogni giorno la vediamo realizzarsi. Ma perché ciò accade? Per consegnare il regno a Dio e Padre, per portare cioè alla visione della sua uguaglianza col Padre quelli che si sono nutriti, con fede, della sua incarnazione. Egli si rivolgeva infatti a quelli che già avevano creduto, quando diceva: Se rimanete nella mia parola, sarete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi 328. Consegnerà il regno al Padre, quando, mediante ciò, per cui è uguale al Padre, regnerà in quelli che contemplano la verità e in se stesso, che è l’Unigenito, farà vedere il Padre in visione. Ora regna infatti nei credenti mediante la sua umiliazione, con la quale spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo 329. Ma allora consegnerà il regno a Dio e Padre, quando avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e potenza. Come li annienterà se non con l’umiltà, la pazienza e la debolezza? Quale principato non sarà annullato, quando il Figlio di Dio regna sui credenti proprio perché i principi di questo mondo lo hanno giudicato? Quale potestà non sarà annullata quando colui, per cui tutto è stato fatto, regna sui credenti proprio perché si è talmente assoggettato alle potestà da dire a un uomo: Tu non avresti alcun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto 330? Quale potenza non sarà annullata quando colui, per mezzo del quale sono stati stabiliti i cieli, regna sui credenti proprio perché ha provato la debolezza sino alla croce e alla morte? Proprio in questo modo il Figlio regna nella fede dei credenti. Non si può infatti dire né credere che il Padre si è incarnato o è stato giudicato o crocifisso. Ma nella visione, per cui è uguale al Padre, regna insieme a lui in coloro che contemplano la verità. Poi consegnerà il regno a Dio e Padre, conducendo dalla fede nella sua incarnazione alla visione della divinità quanti ora credono in lui. Egli non lo perderà, ma entrambi si offriranno alla contemplazione come unico oggetto di godimento. È necessario che Cristo regni ancora a lungo negli uomini, ancora incapaci di vedere con mente chiara e luminosa l’uguaglianza del Padre e del Figlio, proprio perché tali uomini possano capire anche ciò che egli ha assunto in proprio, cioè l’umiltà dell’incarnazione, finché non ponga tutti i nemici sotto i suoi piedi, finché, in altre parole, tutta la superbia del mondo non venga sottomessa all’umiltà della sua incarnazione.

10. A ragione è stato detto: Allora anche il Figlio sarà sottomesso a colui che gli ha sottomesso ogni cosa 331, sebbene si riferisca all’assunzione dell’umanità, dato che la questione è sorta discutendo della risurrezione dei morti, è tuttavia giusto chiedersi se sia stato detto di lui solo, come capo della Chiesa 332, oppure del Cristo totale, che comprende insieme il corpo e le membra. Infatti quando dice ai Galati: La Scrittura non dice: E ai tuoi discendenti, come se si trattasse di molti ma: " alla tua discendenza ", come a uno solo, cioè Cristo, perché in questo passo non intendessimo soltanto Cristo, nato dalla vergine Maria, aggiunge: Tutti voi infatti siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo 333. E parlando ai Corinzi della carità, ricavando il paragone dalle membra del corpo, dice: Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo 334. Non ha detto: così anche di Cristo, ma: così anche Cristo, mostrando che si può giustamente parlare anche del Cristo totale, cioè il capo con il suo corpo, che è la Chiesa. In molti passi della Scrittura troviamo che si parla di Cristo in modo da intenderlo con tutte le sue membra, alle quali è stato detto: Voi siete corpo di Cristo e sue membra 335. Non è quindi assurdo intendere nel testo: Allora anche il Figlio sarà sottomesso a colui che gli ha sottomesso ogni cosa, che si tratta non solo del Figlio, capo della Chiesa, ma anche di tutti i santi insieme a lui, che sono uno in Cristo, una sola discendenza di Abramo. La sottomissione poi si riferisce alla contemplazione dell’eterna verità, senza che al conseguimento della beatitudine si opponga alcun movimento dell’animo o qualche membro del corpo: Perché, nella vita in cui nessuno ama il proprio potere, Dio sia tutto in tutti.

 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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