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LA VERA RELIGIONE di sant'Agostino Vescovo

Ultimo Aggiornamento: 11/11/2017 19:00
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11/11/2017 18:36
 
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79. - PERCHÉ I MAGHI DEL FARAONE HANNO OPERATO
ALCUNI PRODIGI COME 
MOSÈ, SERVO DI DIO? 378

1. Ogni anima esercita in parte un potere personale privato, in parte è soggetta e regolata da leggi universali e pubbliche. Poiché dunque ogni realtà visibile di questo mondo ha una potenza angelica a sé preposta, come testimonia la divina Scrittura in vari testi, sulla realtà a cui è preposta, essa a volte agisce secondo il diritto privato e a volte è tenuta ad agire secondo il diritto pubblico. Poiché il tutto è più importante della parte, ciò che lì fa privatamente, lo compie nella misura che glielo permette la legge universale. Ma ogni anima è tanto più pura per la pietà, quanto meno si compiace del tornaconto personale e, rivolta alla legge universale, la osserva devotamente e volentieri. Ora la legge universale è la Sapienza divina. Ma quanto più gode del proprio bene e, trascurando Dio che governa tutte le anime a loro utilità e salvezza, vuole mettersi al posto di Dio per se stessa e per quanti altri potrà, preferendo il potere personale su di sé e sugli altri invece di quello di Dio su tutti, tanto più è spregevole e tanto più è costretta a subire a sua condanna le leggi divine in quanto pubbliche. Quanto più dunque l’anima umana, abbandonando Dio, si diletta degli onori e del suo potere, tanto più è dominata da tali potestà che godono della loro autonomia e ambiscono di essere onorate dagli uomini come divinità. A queste potestà la legge divina concede spesso di prestare a coloro, che esse hanno meritamente sottomesso a sé, anche qualche prodigio, a titolo privato, da mostrare in quelle cose che esse dominano con un’infima, sebbene perfettamente ordinata, gradazione di potere. Ma, dove la legge divina comanda come legge pubblica, elimina senza dubbio la licenza privata, sebbene anch’essa non abbia alcun valore senza l’autorizzazione della potestà divina universale. Avviene perciò che i santi servi di Dio, quando è per loro un bene avere questo dono, comandino alle potestà inferiori di compiere alcuni prodigi visibili, in forza della legge pubblica e in qualche modo sovrana, ossia per il potere del sommo Dio. Dio stesso infatti comanda in coloro che sono suo tempio e lo amano con grande ardore, disprezzando il proprio potere personale. Invece negli incantesimi dei maghi, compiuti allo scopo di ingannare con i loro adescamenti al fine di dominare coloro a cui concedono tali poteri, le potestà inferiori accondiscendono alle loro preghiere e ai loro riti. In forza del diritto privato esse offrono largamente quanto è loro permesso concedere a coloro che li onorano, li servono e osservano certe condizioni stabilite nei loro misteri. Anche quando sembra che siano i maghi a comandare, essi spaventano le potenze inferiori con i nomi di quelle superiori e mostrano, a coloro che li ammirano, alcuni prodigi sensibili che, per l’infermità della carne, appaiono sensazionali agli uomini incapaci di contemplare le realtà eterne, che il vero Dio invece offre direttamente ai suoi che lo amano. Tutto questo è permesso da Dio che governa con giustizia tutte le cose, distribuendo loro libertà e schiavitù a seconda delle brame e delle scelte. E se talvolta, invocando il sommo Dio, essi ottengono qualcosa che appaga i loro cattivi desideri, non si tratta di una grazia ma di un castigo. Infatti non per nulla dice l’Apostolo: Dio li ha abbandonati ai desideri del loro cuore 379. La facilità a commettere certi peccati è infatti la pena di altri peccati precedenti.

2. Quanto poi alle parole del Signore: Satana non può scacciare Satana 380, perché nessuno, per aver scacciato un demonio invocando il nome di qualche infima potestà, ritenga falsa questa massima del Signore, ma riconosca questo significato: che Satana, anche quando risparmia il corpo o i sensi del corpo, li risparmia per assicurarsi, con l’errore dell’empietà, un maggiore successo sulla volontà dell’uomo stesso. In questo modo Satana non esce, ma penetra più intimamente per operare in lui, come dice l’Apostolo: Secondo il principe delle potenze dell’aria che ora opera nei figli della ribellione 381. Egli infatti non sconvolgeva né tormentava i sensi del corpo né percuoteva i loro corpi, ma regnava nella loro volontà o meglio ancora nella loro cupidigia.

3. Quando il Signore dice che i falsi profeti faranno molti segni e prodigi da indurre in errore, se fosse possibile, anche gli eletti 382, ci invita a comprendere che anche gli uomini scellerati compiono certi prodigi che i santi non possono fare. Non si deve tuttavia per questo concludere che essi sono in posizione più privilegiata davanti a Dio. Neppure i maghi degli Egiziani erano accetti a Dio più del popolo d’Israele, perché quel popolo non poteva fare ciò che essi facevano, sebbene Mosé per grazia di Dio ne facesse di maggiori 383. Ma questi doni non sono concessi a tutti i santi, affinché i deboli non siano ingannati dall’errore assai pericoloso di credere che in tali prodigi vi siano doni più grandi che nelle opere di giustizia, con le quali si guadagna la vita eterna. Ecco perché il Signore proibisce ai discepoli di rallegrarsi per questo, dicendo: Non rallegratevi perché gli spiriti si sottomettono a voi, ma rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli 384.

4. Quando dunque i maghi operano tali prodigi, che talvolta fanno anche i santi, esteriormente sembrano uguali, tuttavia vengono compiuti con uno scopo diverso e una diversa motivazione. Quelli infatti li compiono, cercando la propria gloria, questi cercando la gloria di Dio; quelli inoltre operano per alcune concessioni accordate alle potestà nel loro ordine, come in virtù di contratti privati o benefici, questi invece a pubblica utilità per comando di colui a cui ogni creatura è soggetta. Altro è infatti costringere il padrone a cedere il cavallo a un soldato, altro venderlo a un acquirente oppure donarlo o prestarlo a qualcuno. E come molti cattivi soldati, condannati dalla disciplina militare, atterriscono con le insegne del loro comandante non pochi proprietari ed estorcono loro anche quanto non è concesso dalla legge pubblica, così talvolta i cattivi cristiani, scismatici od eretici, si servono del nome di Cristo o di formule o di sacramenti cristiani per ottenere qualcosa dalle potestà infernali, alle quali è ordinato di arrendersi all’onore di Cristo. Quando invece cedono agli ordini dei malvagi, lo fanno volentieri per sedurre gli uomini, rallegrandosi del loro traviamento. Perciò in modo diverso operano prodigi i maghi, in altro i cattivi cristiani, in altro i buoni cristiani: i maghi per accordi privati, i buoni cristiani per diritto pubblico, i cattivi cristiani per le insegne del diritto pubblico. Non c’è da meravigliarsi che queste insegne siano efficaci, quando sono usate da loro: e anche quando sono usurpate da estranei, che mai hanno dato il loro nome alla milizia cristiana, valgono però per l’onore dell’eccellentissimo Imperatore. Tra questi c’era quel tale di cui i discepoli avevano riferito al Signore che scacciava i demoni nel suo nome, sebbene non fosse con loro al suo seguito 385. Quando invece queste potestà non cedono a queste insegne, è Dio stesso a vietarlo in maniera occulta, perché giudica giusto ed utile così. Infatti in nessun modo qualsiasi spirito osa disprezzare queste insegne, perché tremano dovunque le scorgono. Ma senza che gli uomini se ne rendano conto, altro è ciò che viene comandato da Dio, sia per confondere i cattivi, quando occorre confonderli, come leggiamo negli Atti degli Apostoli, dei figli di Sceva, ai quali uno spirito immondo disse: Conosco Gesù e so chi è Paolo, ma voi chi siete? 386 sia per ammonire i buoni a progredire nella fede e a usare questo potere non per vana gloria ma utilmente, sia per distribuire i carismi tra i membri della Chiesa, come afferma l’Apostolo: Tutti operatori di miracoli? Tutti possiedono doni di far guarigioni? 387 Per questi motivi dunque, il più delle volte non avvertiti dagli uomini, come abbiamo detto, viene comandato da Dio che, nonostante il ricorso a queste insegne, le potestà di tal genere non obbediscano alla volontà umana.

5. Il fatto poi che i cattivi spesso danneggino i buoni nell’ordine temporale, deriva dal fatto che ricevono un potere su di loro a maggior vantaggio dei buoni, esercitandoli alla pazienza. Perciò l’anima cristiana deve essere sempre vigile nelle sue tribolazioni a seguire la volontà del suo Signore, per non attirarsi, resistendo alle disposizioni divine, un più severo giudizio. Infatti ciò che lo stesso Signore ha detto come uomo a Ponzio Pilato, avrebbe potuto dirlo anche Giobbe al diavolo: Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto 388. Deve quindi esserci carissima non la volontà di colui alla cui malizia si dà potere sui buoni, ma la volontà di colui che concede questo potere. Poiché la tribolazione produce pazienza, la pazienza poi una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato 389.

 

80. - CONTRO GLI APOLLINARISTI

1. Poiché alcuni eretici, che dal loro fondatore Apollinare si chiamano Apollinaristi, affermano che nostro Signore Gesù Cristo, essendosi degnato di diventare uomo, non aveva anima umana, alcuni assidui loro ascoltatori, aderendo a loro, si sono compiaciuti di quella dottrina perversa, con la quale quell’individuo sminuiva in Dio la natura umana, negando che avesse l’intelligenza, ossia l’anima razionale, in virtù della quale l’uomo si distingue dagli animali. Ma essi, riflettendo così con se stessi che bisognava ammettere che l’unigenito Figlio di Dio, Sapienza e Verbo del Padre, mediante il quale tutto è stato fatto, avesse assunto sotto la forma del corpo umano un animale qualsiasi, rimasero scontenti di sé, non già a correzione per tornare sulla retta via e confessare che l’uomo completo, senza alcuna diminuzione della natura, era stato assunto dalla Sapienza di Dio, ma per affermare, spinti da maggiore ardire, che aveva assunto solo il corpo umano, rifiutandogli la stessa anima e tutto quello che è vitale nell’uomo, invocando addirittura la testimonianza del Vangelo. Anzi, non comprendendo quell’affermazione, osano opporsi perfidamente alla verità cattolica, dicendo che sta scritto: Il Verbo si è fatto carne ed ha abitato in mezzo a noi 390. Essi infatti pretendono che, sotto questi termini, il Verbo si è talmente unito e rappreso alla carne da non lasciare alcuno spazio non solo per l’intelligenza ma neppure per l’anima umana.

2. Innanzitutto bisogna rispondere loro che l’espressione del Vangelo suona così: Il Signore ha assunto la natura umana sino alla carne visibile e in questa completa unità dell’incarnazione il Verbo è la parte principale, mentre la carne è la più bassa e ultima. Volendo perciò l’Evangelista raccomandarci la profonda umiltà di Dio, che si è umiliato, e volendo rimarcare sino a che punto si è umiliato, ha nominato il Verbo e la carne, senza parlare della natura dell’anima, che è inferiore al Verbo ma superiore alla carne. Egli infatti rileva l’umiltà maggiormente con le parole: Il Verbo si è fatto carne, che con le parole: " Il Verbo si è fatto uomo ". Infatti se queste parole si scrutano minuziosamente, qualcuno, non meno perverso, potrebbe da queste espressioni deformare a tal punto la nostra fede da dire che lo stesso Verbo si è trasformato e cambiato in carne, fino a cessare di essere Verbo, perché sta scritto: Il Verbo si è fatto carne, allo stesso modo che la carne umana, quando diventa cenere, non è carne e cenere ma cenere dalla carne. Secondo l’usanza più comune di esprimersi, una cosa che diventa ciò che prima non era, cessa di essere ciò che era. Ma noi non intendiamo così queste parole. Anch’essi ammettono con noi che il Verbo, rimanendo ciò che è, dal fatto di aver preso la condizione di servo, non si è trasformato in quella natura di cui si dice: Il Verbo si è fatto carne. Pertanto, se in ogni passo dove si nomina la carne e si tace dell’anima, si dovesse intendere che lì non c’è l’anima, allora non avrebbero l’anima neppure coloro di cui è detto: Ogni carne vedrà la salvezza di Dio 391; e ugualmente nel Salmo: Ascolta la mia preghiera; a te verrà ogni carne 392; e ancora nel Vangelo: Come tu gli hai dato potere sopra ogni carne, affinché tutto ciò che gli hai dato non perisca ma abbia la vita eterna 393. Dal che si deduce che è consueto designare gli uomini col semplice nome carne, sicché, secondo questo modo di esprimersi, anche la frase: Il Verbo si è fatto carnesi può intendere nel senso che il Verbo si è fatto uomo. Come infatti si esprime il tutto per la parte e il più delle volte l’uomo con la sola anima, secondo il detto: Tante anime scesero in Egitto 394; così ugualmente si esprime il tutto con la parte e dal solo nome carne si intende l’uomo, come risulta dagli esempi citati.

3. Perciò come noi a questa obiezione, che essi tirano fuori dal Vangelo, rispondiamo che nessuno è così stolto da ritenere che noi siamo costretti da queste parole a credere e a confessare che il Mediatore di Dio e degli uomini, l’uomo Cristo Gesù 395, non avesse l’anima umana, così io domando come essi rispondano alle nostre obiezioni così chiare, con le quali abbiamo dimostrato con innumerevoli passi della Scrittura evangelica ciò che gli Evangelisti hanno detto di lui a proposito di quei sentimenti che non sono possibili senza l’anima. Io non dico infatti da me stesso cose diverse da quelle che lo stesso Signore ricorda molte volte: La mia anima è triste fino alla morte 396; e: Ho il potere di dare la mia anima e di riprenderla di nuovo 397; e: Nessuno ha un amore più grande che dare la sua anima per i propri amici 398. A mio parere solo un ostinato contraddittore può affermare che il Signore ha parlato in senso figurato, come risulta chiaramente dalle molte cose che ha detto in parabole. Sebbene non sia questo il caso, non c’è tuttavia bisogno di polemizzare, quando abbiamo i racconti degli Evangelisti dai quali sappiamo che egli è nato dalla Vergine Maria, è stato preso dai Giudei, flagellato, crocifisso, ucciso e deposto nel sepolcro: tutti avvenimenti che non si possono capire senza il corpo. E nessuno, per quanto stolto, dirà che si devono prendere in senso figurato, essendo stati redatti da coloro che hanno narrato i fatti come li ricordavano. Come dunque questi fatti attestano che egli aveva un corpo, così quei sentimenti mostrano che egli aveva un’anima: è impossibile provare sentimenti senza l’anima. E tuttavia li leggiamo nei racconti degli stessi Evangelisti. Gesù si è meravigliato 399, adirato 400, rattristato 401, rallegrato 402 e così via a non finire. Leggiamo inoltre di sentimenti che richiedono l’azione congiunta dell’anima e del corpo, come aver avuto fame 403, aver dormito 404, essersi seduto stanco del cammino 405 e altri casi del genere. Non possono infatti dire che Dio aveva l’anima, anche se nei libri dell’Antico Testamento si parla di gioia e di ira di Dio e di altri simili sentimenti, e neppure consegue che si debba crederlo. Quelle espressioni sono state infatti dette secondo l’immaginazione profetica non secondo l’obiettività storica. Si parla perfino delle membra di Dio, di mani, piedi, occhi, faccia e così via; e come queste cose non stanno ad indicare che egli abbia un corpo, così quelle non indicano che abbia un’anima. Ma come quello che è stato narrato, parlando delle mani, della testa o di altro di Cristo, indica il suo corpo, così anche quello che, nello stesso genere narrativo, è stato detto dei sentimenti dell’anima, indica la sua anima. È stolto credere all’Evangelista quando narra che ha mangiato e non credergli quando dice che ha avuto fame. Sebbene non consegue che chi mangia abbia fame - leggiamo infatti che anche l’angelo ha mangiato406, ma non che ha avuto fame - e neppure che chi ha fame mangi, perché può astenersi o per qualche impegno o per mancanza di cibo o per impossibilità di nutrirsi; ma quando l’Evangelista tratta di entrambi i casi 407, bisogna accettarli tutti e due, perché ha descritto l’uno e l’altro a testimonianza di fatti realmente accaduti. Come non si può pensare che egli ha mangiato senza il corpo, così non poteva avvenire che egli provasse la fame senza l’anima.

4. Non ci intimorisce neppure quella vana e stupida calunnia con cui, opponendosi con malizia, dicono: Allora era soggetto alla necessità, se ha veramente provato questi sentimenti nell’anima. È facile la risposta: Era dunque soggetto alla necessità, perché è stato preso, flagellato, crocifisso ed è morto! Comprendano una buona volta, senza ostinazione se vogliono, che egli ha accettato veramente le passioni dell’anima, vale a dire i sentimenti, per libera decisione, come gli è piaciuto. Ugualmente ha accettato le passioni del corpo con la stessa disposizione d’animo, senza alcuna necessità. Come noi non moriamo per libera volontà, così non nasciamo per libera volontà. Egli invece liberamente, com’era opportuno, ha mostrato queste due azioni e le ha compiute in tutta verità. Come dunque nessuno, a titolo di necessità, può allontanare noi e loro dal credere a una realissima passione, mediante la quale si rivela il suo corpo, così nessuno, allo stesso titolo di necessità, può distoglierci dal credere all’autenticità dei sentimenti per mezzo dei quali conosciamo la sua anima. Nessuno deve distoglierli dal consentire alla fede cattolica, a meno che non li trattenga la mortale vergogna di dover cambiare una sentenza lungamente e temerariamente sostenuta, ancorché falsa.

 

81. - QUARESIMA E QUINQUAGESIMA

1. Tutto l’insegnamento della sapienza, teso all’istruzione degli uomini, consiste nel riconoscere il Creatore e la creatura, venerando la sovranità del primo e confessando la dipendenza della seconda. Ma il creatore è Dio, dal quale, per il quale e nel quale sono tutte le cose 408; è dunque la Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. La creatura, invece, parte è invisibile, come l’anima; parte visibile, come il corpo. All’invisibile si riferisce il numero tre. Per questo ci viene comandato di amare Dio in tre modi: con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente 409. Al corpo [si riferisce] il numero quattro a ragione della sua composizione ben evidente, cioè caldo e freddo, umido e secco. Alla creatura, nel suo complesso, si assegna pertanto il numero sette. In definitiva tutta la scienza, che riconosce e distingue Creatore e creatura, è indicata dal numero dieci. Questa scienza, in quanto viene indicata dai movimenti dei corpi nel tempo, si fonda sulla credenza e, con l’autorità degli eventi che vanno e vengono, nutre a mo’ di latte i piccoli per renderli idonei alla contemplazione, che non va e viene, ma resta per sempre. In tale condizione chiunque persevera con fede nelle cose che gli sono state narrate e realizzate nel tempo da Dio per la salvezza degli uomini o che vengono predicate come ancora da avverarsi in futuro, e spera nelle promesse e si preoccupa di compiere con infaticabile carità ciò che l’autorità divina comanda, condurrà rettamente la vita presente soggetta alla necessità e al tempo, simboleggiata col numero quaranta. Infatti il numero dieci, che sintetizza tutta la scienza, moltiplicato per quattro, cioè per il numero attribuito al corpo - dato che il processo si svolge con i moti dei corpi ed è, come si è detto, il campo della fede - fa quaranta. E così si ottiene la sapienza stabile e indipendente dal tempo, che è rappresentata dal numero dieci, in modo da aggiungere dieci a quaranta: poiché anche le parti uguali del numero quaranta, prese insieme, fanno cinquanta. Il numero quaranta ha infatti parti uguali: innanzitutto quaranta volte uno, poi venti volte due, dieci volte quattro, otto volte cinque, cinque volte otto, quattro volte dieci, due volte venti. Ora dunque la somma di uno, due, quattro, cinque, otto, dieci e venti fa cinquanta. Pertanto come il numero quaranta, addizionando le sue parti uguali, dà una decina in più e diventa cinquanta, così il tempo della fede nelle cose avvenute e da adempiere per la nostra salvezza, vissuto rettamente, ottiene l’intelligenza della sapienza invariabile, sicché la scienza si consolida non solo con la fede ma anche con l’intelligenza.

2. Per questo motivo la Chiesa del tempo presente, sebbene siamo già figli di Dio, per quanto non appaia ancora ciò che saremo, opera in mezzo alle fatiche e alle sofferenze e in essa il giusto vive di fede 410Se non crederete - è detto - non capirete 411. È questo il tempo in cui gemiamo e sopportiamo in attesa della redenzione del nostro corpo 412: è il tempo celebrato dalla Quaresima. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è 413: quando al quaranta si aggiunge il dieci, non solo meriteremo di credere ciò che appartiene alla fede ma anche di comprendere la piena verità. Ecco la Chiesa futura, in cui non vi sarà più alcuna afflizione né mescolanza di uomini cattivi, nessuna malizia ma letizia, pace e gioia. Essa è simboleggiata dalla celebrazione della Quinquagesima. Pertanto, dopo la risurrezione di nostro Signore da morte, trascorsi quaranta giorni coi suoi discepoli - con questo numero è simboleggiata la stessa economia temporale confacente alla fede -, è asceso al cielo 414 e, passati altri dieci giorni, ha mandato lo Spirito Santo 415: ossia a quaranta si è aggiunto dieci al fine di contemplare non le cose umane e temporali ma le divine ed eterne con il soffio e il fuoco dell’amore e della carità. Ecco perché bisogna segnalare tutto l’insieme, cioè il numero di cinquanta giorni, con una celebrazione festosa.

3. Nostro Signore ha indicato questi due tempi, uno di fatica e di preoccupazione, l’altro di gioia e di sicurezza, anche con le reti gettate in mare. Prima della passione si parla infatti della rete gettata in mare: aveva preso tanti pesci che a mala pena si riusciva a trarla a riva e quasi si rompeva 416. Non era stata gettata a destra: la Chiesa attuale infatti raccoglie anche molti cattivi; però non è stata gettata neppure a sinistra: raccoglie infatti anche i buoni; ma qua e là, ad indicare la mescolanza di buoni e cattivi. Dicendo poi che le reti si rompevano, indica che, ferita la carità, sono sorte molte eresie. Ma dopo la risurrezione, volendo indicare la Chiesa dei tempi futuri, dove tutti saranno perfetti e santi, ha comandato di gettare le reti dalla parte destra: furono presi centocinquantatre grossi pesci con grande meraviglia dei discepoli, perché pur essendo tanto grossi, le reti non si erano rotte 417. La grossezza dei pesci indica la grandezza della sapienza e della giustizia; il numero simboleggia invece la scienza comprendente tanto la condizione temporale quanto l’eterna rigenerazione, la quale, come abbiamo detto, è simboleggiata dal numero cinquanta. Allora, poiché non ci sarà bisogno di sostegni materiali, la fede e la sapienza saranno contenute nell’animo; poiché all’animo si attribuisce, come si è detto, il numero tre, moltiplichiamo per tre il cinquanta e abbiamo centocinquanta. A questo numero si aggiunge la Trinità, perché tutta la perfezione è consacrata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e così si ha centocinquantatre, che è il numero dei pesci presi dalla parte destra.

 

82. - SUL TESTO DELLA SCRITTURA:
ISIGNORE INFATTI CORREGGE COLUI CHE EGLI AMA
E SFERZA CHIUNQUE RICONOSCE COME FIGLIO
 418

1. Molti, mormorando contro le disposizioni di Dio, fanno obiezioni quando vedono i giusti sostenere spesso in questa vita gravi molestie, come se a loro non giovasse nulla servire Dio, perché o subiscono avversità comuni a tutti, e indifferentemente nel corpo e nei danni materiali, nelle ingiurie e in tutte le altre cose che i mortali giudicano mali, o addirittura peggiori a causa della parola di Dio e della sua giustizia, che, sgradite ai peccatori, provocano contro i suoi predicatori reazioni violente, insidie o odi. A costoro bisogna rispondere che se la vita umana fosse solo questa, non parrebbe affatto assurdo che non fosse di alcuna utilità o anzi risultasse dannoso vivere rettamente. Sebbene non siano mancati uomini che hanno scambiato la dolcezza della giustizia e della sua gioia interiore con tutte le fatiche e le molestie materiali, che l’umanità sopporta per la sua condizione mortale, e anche con tutto ciò che con grave offesa viene mosso a causa della stessa giustizia contro coloro che vivono rettamente, tanto da superare, anche senza la speranza della vita eterna, i tormenti per amore della verità, più gioiosamente e lietamente dei lussuriosi che gozzovigliano nell’ebbrezza dei piaceri.

2. A coloro tuttavia, che ritengono Dio ingiusto, perché vedono i giusti nei dolori e nelle sofferenze, o se forse non osano chiamare Dio ingiusto, affermano che o non si cura delle vicende umane oppure che ha stabilito una volta per sempre la fatalità del destino, contro il quale anch’egli non fa niente, perché non si creda che per incostanza venga turbato l’ordine delle cose da lui stabilito, o pensino a qualcos’altro che impedisce a Dio di risparmiare ai giusti questi mali, bisogna dire che non ci sarebbe stata per gli uomini alcuna giustizia, se Dio non si preoccupasse delle vicende umane. Infatti tutta questa giustizia degli uomini, che l’anima umana può conservare facendo il bene e perdere con il peccato, non sarebbe impressa nell’anima se non ci fosse una giustizia immutabile, scoperta interamente dai giusti, quando a lei si convertono, e perduta totalmente dai peccatori, quando si allontanano dalla sua luce. Questa giustizia immutabile è di sicuro quella di Dio: egli non la comunicherebbe per illuminare quanti si convertono a lui, se non si curasse delle vicende umane. Se poi permettesse che i giusti soffrano gravi tormenti per non volere andare contro l’ordine da lui stabilito, neppure lui sarebbe giusto, non perché vuole mantenere il suo ordine ma perché ha stabilito l’ordine delle cose in modo da castigare i giusti con pene immeritate. Chi poi ritiene che Dio non può, almeno in parte, allontanare i mali che affliggono i giusti, è tanto stolto da non comprendere che, come è blasfemo affermare che Dio è ingiusto, è altrettanto blasfemo negare che è onnipotente.

3. Stabiliti rapidamente questi punti della questione in esame, è grandissima empietà dubitare che Dio stesso sia insieme giusto e onnipotente. Il motivo più probabile è che le prove, a cui sono sottoposti i giusti in questa vita, tornino a loro vantaggio. Altra è infatti la giustizia attuale degli uomini per meritare la vita eterna, altra doveva essere quella dell’uomo costituito nel paradiso per conservare e non perdere la stessa salvezza eterna. Come infatti la giustizia divina consiste nel comandare ciò che è utile e nel distribuire pene ai disobbedienti e premi agli obbedienti, così la giustizia dell’uomo consiste nell’obbedire ai precetti salutari. Ma siccome la felicità è nell’animo come la salute nel corpo e come per lo stesso corpo altra è la medicina prescritta per mantenere la salute e altra quella per recuperare la salute perduta, così per la condizione generale dell’uomo altri sono stati i precetti dati allora per non perdere l’immortalità, altri sono quelli che ora sono dati per recuperarla. E come per la salute fisica, se qualcuno, rifiutando le prescrizioni del medico, con le quali si mantiene la buona salute, cade malato, riceve altre prescrizioni per poter guarire. Queste però spesso non bastano se la malattia è tale da richiedere da parte del medico certi interventi il più delle volte aspri e dolorosi, che sono tuttavia necessari per recuperare la salute, sicché accade che l’uomo, sebbene già obbedisca al medico, soffra ancora di dolori non solo a causa della malattia, non ancora guarita, ma anche dei trattamenti della medicina; così l’uomo, caduto per il peccato nella mortalità piena di malanni e di disgrazie di questa vita, perché ha rifiutato di obbedire al primo precetto, col quale avrebbe custodito e conservato la salvezza eterna, da malato ha ricevuto altri precetti, obbedendo ai quali si può dire senza dubbio che vive nella giustizia, anche se è soggetto ancora alle tribolazioni che provengono dalla stessa malattia, non ancora guarita, o dal trattamento medico. A questo trattamento si riferisce il testo: perché il Signore corregge colui che ama e sferza chiunque riconosce come figlio 419. Coloro poi che, disubbidendo a precetti tanto salutari, vivono da iniqui, accrescono grandemente i propri malanni: o da essi traggono innumerevoli sofferenze, fatiche e dolori anche in questa vita, oppure vengono misericordiosamente avvertiti del male in cui si trovano anche dalle pene subite, di modo che ciò che non è sano venga toccato e colpito affinché, ricorrendo alla medicina, siano sanati dalla grazia di Dio. Se poi avranno disprezzato tutto ciò, ossia i richiami delle parole e dei dolori, meriteranno, al termine di questa vita, la giusta dannazione eterna. In conclusione può dire che queste cose sono ingiuste chi ritiene che esista solo questa vita mortale, che ora conduciamo, e non crede alle realtà future divinamente predicate: costui subirà i gravissimi castighi dell’ostinazione dei peccati e della sua infedeltà.

 

83. - LE PAROLE DEL SIGNORE SUL MATRIMONIO:
CHIUNQUE RIPUDIA SUA MOGLIE,
ECCETTO IL CASO DI CONCUBINATO
ECC. 420

Se il Signore per ripudiare la moglie ammette come unica causa la fornicazione e non proibisce di sciogliere il matrimonio pagano, ne segue che il paganesimo è considerato una fornicazione. È chiaro che il Signore nel Vangelo, quando parla di ripudiare la moglie, ammette come unica causa la fornicazione. Qui in verità non si proibisce di sciogliere il matrimonio pagano, perché quando l’Apostolo dà un consiglio su questa materia, affinché il fedele non ripudi il coniuge infedele che vuole restare con lui, dice: Lo dico io, non il Signore, perché si comprenda che il Signore non comanda affatto di ripudiarlo, né sembri che l’Apostolo dia un consiglio contrario al comando del Signore, ma tuttavia lo permette, di modo che nessuno in tale situazione sia costretto dal rigore del comando ma agisca liberamente secondo la volontà del consiglio. Se però qualcuno sostiene che il Signore ammette come unica causa per rimandare il coniuge la fornicazione, come è intesa dal volgo, consistente cioè nel rapporto illecito, può dire così: Il Signore, trattando di questa materia, parlava di due coniugi fedeli, uomo e donna, sicché, se entrambi sono fedeli, a nessuno è lecito ripudiare l’altro, eccettuato il caso di fornicazione. Qui non si può intendere il paganesimo, perché sono entrambi credenti. Anche l’Apostolo sembra fare la stessa distinzione, quando afferma: Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: La moglie non si separi dal marito e, qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito 421. Dal che si capisce che anche se la moglie ha abbandonato il marito, per quella sola causa che permette la separazione, deve rimanere senza sposarsi o, se non sa vivere in continenza, si riconcili col marito, o rinsavito o certo da sopportare, piuttosto che sposare un altro. Poi prosegue a dire: e il marito non ripudi la moglie 422, ingiungendo brevemente all’uomo quanto aveva ordinato alla donna. E dopo queste indicazioni, riprese dal comando del Signore, così continua: Agli altri dico io, non il Signore: Se un fratello ha la moglie non credente, e questa consente a rimanere con lui, non la ripudi; e una donna che abbia il marito non credente, se questo consente a rimanere con lei, non lo ripudi 423. Dal che fa comprendere che il Signore ha parlato di costoro: nessuno dei due deve ripudiare l’altro, se entrambi sono credenti.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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