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LA VERA RELIGIONE di sant'Agostino Vescovo

Ultimo Aggiornamento: 11/11/2017 19:00
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11/11/2017 18:58
 
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Peccati apparentemente lievissimi che la Scrittura considera gravi.

21. 79. Ci sono poi alcuni peccati che sarebbero ritenuti lievissimi, se nelle Scritture non fossero presentati come piú gravi di quanto s’immagini. Infatti chi potrebbe ritenere colpevole della Geenna colui che dice stupido a suo fratello, se non lo dicesse la Verità 205? Tuttavia il Signore ha immediatamente offerto il rimedio a questa offesa, presentando il precetto della riconciliazione fraterna; infatti ha subito detto: Se dunque presenti la tua offerta all’altare e lí ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te 206, con quel che segue. Oppure chi potrebbe valutare l’entità del peccato derivante dall’osservanza di giorni, mesi, anni e tempi, come fanno quanti intendono o non intendono cominciare qualcosa in giorni o mesi o anni stabiliti, per il fatto che ritengono i tempi piú o meno propizi secondo i vuoti insegnamenti degli uomini 207, se non misurassimo l’entità di questo peccato in base al timore dell’Apostolo, che ha detto a costoro: Temo per voi di essermi affaticato invano a vostro riguardo 208?

 

Peccati gravi minimizzati o negati dall’abitudine.

21. 80. A ciò si aggiunge il fatto che i peccati, la cui abitudine s’è consolidata, per quanto gravi e terribili, sono ritenuti di poco conto o inesistenti, al punto che sembra doveroso non solo non tenerli nascosti, ma addirittura celebrarli o propagandarli, quando, come sta scritto, il peccatore si vanta dei desideri della sua anima e chi compie iniquità riceve benedizioni 209. Nei Libri divini, per indicare tale iniquità si parla di grida, come puoi trovare nel profeta Isaia, quando si parla della vigna cattiva: Io mi aspettavo un giudizio, mentre egli commise iniquità, e grida, anziché giustizia 210. E cosí anche nella Genesi: Le grida di Sodoma e Gomorra si sono moltiplicate 211; infatti quei vizi non soltanto non erano puniti presso di loro, ma addirittura venivano praticati alla luce del sole, come se fossero legalizzati. Allo stesso modo anche ai nostri giorni sono talmente tante, benché non uguali, le mancanze la cui abitudine è ormai apertamente consolidata, che non osiamo per esse scomunicare non solo un laico, ma nemmeno un ecclesiastico. Per questo, commentando alcuni anni fa la Lettera ai Galati, nel punto in cui l’Apostolo dice: Temo per voi di essermi affaticato invano a vostro riguardo 212, sono stato indotto ad affermare: " Guai ai peccati degli uomini, che ci fanno inorridire solo se sono inconsueti; quanto a quelli consueti, invece, per rimettere i quali è stato versato il sangue del Figlio di Dio, per quanto siano tanto gravi da precludere del tutto l’accesso al regno di Dio, a forza di vederli siamo indotti a tollerarli e a forza di tollerarli addirittura a commetterne alcuni! E voglia il cielo, Signore, che almeno non commettiamo tutti quei peccati che non abbiamo potuto impedire! ". Chissà però che un cruccio eccessivo non mi abbia spinto ad un’affermazione incauta.

 

Ignoranza e debolezza cause di peccato.

22. 81. Dirò ora comunque cose che ho già avuto modo di dire anche in altri passi dei miei opuscoli : due sono i motivi per cui pecchiamo, o perché non vediamo che cosa si debba fare, o perché non facciamo quel che già vediamo; in un caso il male consiste nell’ignoranza, nell’altro nella debolezza. A noi tocca indubbiamente contrastare questi mali, ma ne siamo certamente sopraffatti senza l’aiuto divino, che non solo ci fa vedere che cosa si debba fare, ma, anche grazie ad un’integrità recuperata, fa in modo che l’attrazione della giustizia abbia in noi il sopravvento sull’attrazione di quelle cose che ci portano a peccare con piena avvertenza, o perché desideriamo di possederle, o perché temiamo di perderle. A questo punto siamo ormai non soltanto peccatori, come di fatto eravamo peccando per ignoranza, ma anche trasgressori della legge, dal momento che non facciamo quel che si deve fare, ovvero facciamo quel che già sappiamo che non si deve fare. Per tali motivi dobbiamo pregare non solo se abbiamo peccato, perché ci perdoni (e perciò diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori), ma anche perché la sua guida ci aiuti a non peccare (e perciò diciamo: Non indurci in tentazione 213), rivolgendoci a colui del quale nel Salmo si dice: Il Signore è mia luce e mia salvezza 214; è luce per ridurre la nostra ignoranza, salvezza per ridurre la nostra fragilità.

 

La misericordia divina è necessaria per respingere la vergogna che impedisce di fare penitenza.

22. 82. La stessa penitenza, del resto, pur in presenza di un degno motivo per farla secondo il costume della Chiesa, il piú delle volte non viene fatta per debolezza, poiché la vergogna è anche timore di dispiacere, mentre la considerazione degli uomini attrae piú della giustizia in base alle quale ciascuno si umilia con la penitenza. Perciò la misericordia divina è necessaria non solo nell’atto in cui si fa penitenza, ma anche perché sia possibile farla. Altrimenti l’Apostolo non direbbe di alcune persone: Se per caso Dio non conceda loro di pentirsi 215; e l’Evangelista, per preannunziare l’amaro pianto di Pietro, ha detto: Il Signore si volse a guardarlo 216.

 

Il peccato imperdonabile contro lo Spirito Santo.

22. 83. Chi invece non crede alla remissione dei peccati nella Chiesa, disprezza tutta la generosità del dono divino e con questa ostinazione della mente conclude il suo ultimo giorno, è colpevole di quel peccato imperdonabile contro lo Spirito Santo 217, nel quale Cristo rimette i peccati. Ho affrontato questa difficile questione in un piccolo scritto specifico, con tutta la chiarezza di cui sono stato capace.

 

La risurrezione della carne.

23. 84. Per quel che riguarda poi la risurrezione della carne, beninteso non come chi è tornato in vita per poi morire di nuovo, ma risurrezione per la vita eterna, cosí come è risorta la carne di Cristo stesso, non trovo un modo soddisfacente per poter giungere ad una trattazione essenziale e risolvere tutte le questioni solitamente sollevate in proposito. In ogni caso nessun cristiano deve assolutamente mettere in dubbio che è destinata alla risurrezione la carne di tutti gli uomini che sono nati e nasceranno, che sono morti e moriranno.

 

Il caso dei feti abortiti.

23. 85. Ci si imbatte quindi, anzitutto, nella questione relativa ai feti abortiti, evidentemente già nati nel seno materno, ma non ancora in condizione di rinascere. Affermando infatti che risorgeranno, questa tesi può essere comunque accettata riguardo a quelli che sono già formati, ma riguardo a quelli informi, come non essere piú inclini a pensare che periranno, come semi che non siano stati fecondati? Eppure chi arriverebbe a negare, pur non arrivando ad affermarlo, che la risurrezione attuerà compiutamente ogni formazione imperfetta? In tal modo non mancherebbe la perfezione destinata a sopraggiungere con il tempo, cosí come non si verificheranno i difetti che con il tempo erano sopraggiunti, e la natura non sarebbe defraudata di quella conveniente armonia che il tempo avrebbe potuto arrecare, né danneggiata da quelle avversità contrarie che il tempo aveva arrecato. Al contrario giungerà a compimento quel che era ancora incompiuto, cosí come ogni difetto sarà riparato.

 

Quando inizia la vita umana.

23. 86. Tra le persone piú competenti ci si può interrogare al riguardo e discutere nel modo piú circostanziato su una questione di cui ignoro se l’uomo possa venire a capo: quando cioè inizi la vita umana nell’utero e se esista una forma di vita, anche nascosta, che non manifesti ancora le attività proprie di un individuo vivente. Mi pare che ci voglia un bel coraggio, in effetti, per rifiutarsi di considerare come individui viventi quei feti che vengono estratti completamente smembrati dall’utero di donne incinte, per evitare, che rimanendovi ormai morti, finiscano per uccidere anche le madri. In realtà è da quando l’uomo comincia a vivere, che comincia già certamente a morire: una volta morto però, dovunque gli sia potuto capitare di morire, non riesco ad immaginare come costui possa essere escluso dalla risurrezione dei morti.

 

Il caso degli individui deformi.

23. 87. Per quel che riguarda poi gli esseri deformi che nascono e vivono, per quanto precoce possa essere la loro morte, o non si potrà negarne la risurrezione, o non si deve credere che risorgeranno in quella condizione, anziché con una natura reintegrata e risanata. Lungi da noi il pensare che quel neonato con membra doppie, nato non molto tempo fa in Oriente, di cui hanno riferito anche fratelli assolutamente degni di fede che lo hanno visto e sul quale ha lasciato uno scritto il sacerdote Girolamo di santa memoria; lungi da noi il pensare, voglio dire, che a risorgere sarà un uomo con un doppio corpo, e non piuttosto due uomini, come sarebbe dovuto avvenire, se a nascere fossero stati due gemelli. Ugualmente anche tutti gli altri parti, che, in sé considerati, sono definiti deformi in quanto venuti alla luce con qualcosa in piú o in meno, o con una qualche accentuata anomalia, con la risurrezione verranno riportati alle proporzioni della natura umana, in modo che ogni singola anima abbia il suo proprio corpo, senza piú contrarre tutto quel che aveva contratto al momento della nascita, ma dotata, ciascuna per suo conto, di proprie membra, in grado di assicurare la piena integrità del corpo umano.

 

Come viene reintegrato il corpo dell’uomo risorto.

23. 88. In ogni caso dinanzi a Dio non si perde la materia terrena dalla quale viene creata la carne dei mortali; al contrario, quale che sia la polvere o la cenere in cui essa si dissolva, l’esalazione o il vento in cui evapori, la sostanza di altri corpi o addirittura gli elementi in cui si trasformi, il cibo di altri esseri animati, persino umani, in cui si riduca, diventando la loro carne, in un solo istante essa torna a quell’anima umana, dalla quale in origine ebbe la vita, che fa nascere, vivere e crescere l’uomo.

 

L’analogia con la fusione di una statua.

23. 89. Pertanto la stessa materia terrena, che diventa cadavere con l’allontanarsi dell’anima, nella risurrezione non sarà reintegrata in modo che tutto ciò che si disgrega, assumendo via via gli aspetti e le disposizioni sempre nuove di altre realtà, pur ritornando al corpo dal quale si è disgregato, torni necessariamente alle parti originarie del corpo. Altrimenti, se nei capelli ritorna tutto ciò che i tagli frequenti avevano loro sottratto, se nelle unghie ritorna tutto ciò che è stato tante volte accorciato, ecco che questa mostruosità irragionevole e sconveniente diventa un ostacolo per quanti riflettono sul problema, impedendo loro di credere nella risurrezione della carne. È come quando una statua di metallo che si può fondere viene liquefatta con il fuoco, oppure polverizzata, o riagglomerata e un artista intende ricostruirla nelle stesse dimensioni: in tal caso per la sua integrità non conta nulla sapere a quale membro della statua venga restituita una particella materiale, purché tuttavia nella ricostruzione la statua possa recuperare tutta la materia di cui era costituita; allo stesso modo, Dio, artista che opera in modo mirabile e ineffabile, ricostituirà con mirabile e ineffabile prontezza la nostra carne con tutto ciò di cui essa era fatta. Avrà poca importanza allora per tale reintegrazione se i capelli torneranno ai capelli e le unghie alle unghie, o se quanto di essi era perduto sarà trasformato in carne e riportato ad altre parti del corpo, dal momento che ad impedire che ci sia qualcosa di sconveniente sarà la provvidenza dell’artista.

 

Statura e fisionomia dei corpi risorti.

23. 90. Non ne consegue nemmeno che la statura individuale dei risuscitati sarà diversa solo perché l’avevano avuta diversa da vivi, oppure che i magri ritorneranno in vita con la loro magrezza e gli obesi con la loro obesità. Ma se rientra nel progetto del Creatore che i lineamenti individuali conservino un’identità e una somiglianza ben riconoscibile, e che invece a tutti i rimanenti organi corporei sia restituita uguale integrità, la costituzione fisica di ognuno risulterà modificata in modo che nulla di essa vada perduto e ogni eventuale deficienza risulti colmata da colui che poté realizzare dal nulla tutto ciò che volle. Se poi nei corpi di coloro che risorgono si registrerà una giustificabile disuguaglianza, come avviene per le voci che sostanziano il canto, ciò riguarderà in ognuno la costituzione fisica del suo corpo, in modo da restituire anche l’uomo alle schiere degli angeli 218 senza che si presenti al loro sguardo alcunché di sconveniente. Nulla vi sarà, infatti, di indegno, poiché quel che deve essere sarà comunque degno; altrimenti non sarà affatto.

 

Come risorgeranno i corpi dei santi.

23. 91. I corpi dei santi risorgeranno dunque senza alcun difetto, senza alcuna deformità, senza alcuna corruzione, pesantezza o impaccio: la speditezza sarà pari alla contentezza. Per questo motivo sono pure chiamati spirituali, anche se non c’è ombra di dubbio che saranno corpi, non spiriti. Come ora il corpo viene chiamato animale 219, pur essendo un corpo e non un’anima, allo stesso modo allora il corpo sarà spirituale, pur essendo corpo e non spirito. Perciò, se ci si riferisce alla corruzione che ora appesantisce l’anima220 e alle passioni che spingono la carne ad avere desideri contrari allo spirito 221, allora non ci sarà piú carne, ma corpo, poiché si parla anche di corpi celesti 222. Per questo è stato detto: La carne e il sangue non erediteranno il regno di Dio, e, quasi per spiegare tali parole, si è aggiunto: Né ciò che è corruttibile erediterà ciò che è incorruttibile 223. Quel che prima viene detto carne e sangue, dopo viene detto corruttibile; prima si parla di regno di Dio, dopo di incorruttibile. Se invece ci si riferisce alla sostanza, anche allora ci sarà carne; per questo, dopo la risurrezione si parla di carne per indicare il corpo di Cristo 224. Ma se l’Apostolo dice: Si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale 225, è perché l’armonia tra la carne e lo spirito sarà tale e lo spirito potrà vivificare la carne a sé sottomessa senza aver bisogno d’alcun sostentamento, in modo che non ci sia in noi alcun conflitto interno: non avremo avversari da affrontare né dall’esterno, né in noi stessi.

 

La risurrezione di quanti appartengono alla massa condannata.

23. 92. Tutti coloro, poi, che appartengono a quella massa condannata, scaturita dal primo uomo e che non sono liberati dall’unico mediatore fra Dio e gli uomini 226, risorgeranno certamente ognuno con la propria carne, ma per essere puniti insieme al diavolo e ai suoi angeli 227. Serve poi molto allora affaticarsi a ricercare se essi risorgeranno con i difetti e le deformità dei loro corpi, e con le stesse membra che sono state all’origine dei loro difetti e deformità? Non ci deve nemmeno angustiare l’incertezza circa le loro fattezze o bellezza, dal momento che la loro dannazione sarà certa e perenne. Non lasciamoci toccare dal problema riguardante la natura della incorruttibilità del loro corpo, se è vero che potrà soffrire, o della sua corruttibilità, se è vero che non potrà morire. La vita vera è solo quella vissuta felicemente e la vera incorruttibilità solo quando il benessere non è corrotto da alcun dolore. Quando invece chi è infelice non ha la possibilità di morire, è la morte stessa, per cosí dire, che non muore; quando il dolore non uccide, ma tormenta, la corruzione stessa è senza fine. Nelle Sacre Scritture in tal caso si parla di seconda morte 228.

 

Il peccato all’origine della prima e della seconda morte e la pena lievissima dei bambini.

23. 93. Tuttavia se nessuno avesse peccato, all’uomo non sarebbe toccata né la prima morte, che costringe l’anima ad abbandonare il proprio corpo, né la seconda, che non le consente di abbandonare il corpo che merita la sua pena. Certamente lievissima sarà la pena di quanti non hanno aggiunto nient’altro al peccato originale che hanno contratto, mentre per tutti gli altri che hanno aggiunto qualcosa, ci sarà di là una condanna tanto piú sopportabile, quanto minore quaggiù sarà stata l’iniquità.

 

La pena dei dannati e la consapevolezza della grazia dei santi.

24. 94. Mentre quindi gli angeli e gli uomini reprobi rimarranno in una pena eterna, i santi conosceranno in modo piú completo il bene che la grazia avrà loro conferito. Allora dalla stessa realtà delle cose risulterà ancora piú chiaro quel che è stato scritto nel Salmo: La misericordia e il giudizio io ti canterò, Signore229, poiché nessuno è liberato se non per una misericordia non dovuta e nessuno è condannato se non per un giudizio dovuto.

 

Ciò che ora è nascosto sarà svelato.

24. 95. Allora non sarà piú nascosto ciò che ora è nascosto, quando fra due bambini, l’uno dovrà essere scelto per la misericordia, l’altro abbandonato per il giudizio 230, e in questo il primo potrà riconoscere quel che gli sarebbe toccato per il giudizio, se non fosse subentrata la misericordia, e perché sia stato scelto l’uno invece dell’altro, pur essendo unica la condizione di entrambi; e perché poi presso alcuni non si siano compiuti quei prodigi che, se presenti, li avrebbero posti in condizione di fare penitenza, mentre si sono compiuti fra coloro che non avrebbero creduto. Chiarissime sono infatti le parole del Signore: Guai a te, Corazin, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i prodigi che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza nel cilicio e nella cenere 231. E certamente Dio non è stato ingiusto, non volendo la salvezza di quanti avrebbero potuto essere salvi, se solo l’avessero voluto. Allora, nel luminosissimo fulgore della sapienza, si potrà vedere quel che ora è custodito dalla fede dei credenti, prima di averne una conoscenza esplicita: quanto sia certa, immutabile e assolutamente efficace la volontà di Dio; quante possibilità egli abbia senza volerle, mentre non v’è nulla che non voglia senza averne la possibilità; e quanto sia vero quel che si canta nel Salmo: Il nostro Dio sta in alto nei cieli, nei cieli e sulla terra Egli compí tutto ciò che volle 232. Ciò non sarebbe sicuramente vero se Egli avesse voluto qualcosa senza compierlo, e, cosa ancor piú inaccettabile, senza compierlo perché la volontà umana avrebbe impedito la realizzazione di quel che voleva l’Onnipotente. Insomma non accade nulla che non sia l’Onnipotente a volerlo, o permettendo che accade, o compiendolo Egli stesso.

 

Dio opera il bene anche quando permette che accada il male.

24. 96. Non c’è dubbio poi che Dio opera il bene, anche quando permette che accada tutto ciò che di male accade. È solo per un giusto giudizio che Egli lo permette, ed è certamente buono tutto quel che è giusto. Ed anche se tutte le cose cattive, proprio in quanto cattive, non possono essere buone, è tuttavia un bene che ci siano non solo cose buone, ma anche cattive. Se infatti non fosse un bene l’esistenza anche di cose cattive, la bontà dell’Onnipotente non permetterebbe assolutamente che esistessero; non c’è ombra di dubbio infatti che, come è facile per Lui compiere quel che vuole, è altrettanto facile non permettere ciò che non vuole. Se non crediamo questo, si compromette l’inizio stesso della nostra confessione, per cui confessiamo di credere in Dio Padre onnipotente. E non c’è altra ragione per cui Egli viene chiamato onnipotente secondo verità, all’infuori del fatto che Egli può tutto ciò che vuole e non c’è volontà di qualsiasi creatura ad impedire l’attuarsi di una volontà onnipotente.

 

S. Paolo e la volontà di Dio che tutti si salvino.

24. 97. Si deve perciò considerare come si sia potuto dire di Dio (poiché anche questa è parola assolutamente vera dell’Apostolo): Egli vuole che tutti gli uomini siano salvi 233. Ora, dal momento che non tutti lo sono, ed anzi sono molti di piú quelli che non si salvano, sembra proprio che non accada quel che Dio vuole che accada, beninteso per una volontà umana che ostacola la volontà divina. Quando infatti si domanda per quale motivo non tutti si salvino, di solito si risponde perché essi non lo vogliono, ciò che non si può dire certamente dei piú piccoli, ai quali non appartiene ancora il volere e il non volere. Se infatti si ritenesse di dover attribuire alla loro volontà tutto quel che compiono per impulso infantile, dovremmo dire che, all’atto del loro battesimo, si salvano anche contro la propria volontà, quando cercano in tutti i modi di far resistenza. Ma ancor piú evidente è il caso in cui il Signore sgrida la città empia, dicendo: Quante volte ho voluto raccogliere i figli tuoi, come una gallina con i suoi pulcini, e non hai voluto 234. In questo caso è come se la volontà di Dio sia stata sopraffatta dalla volontà degli uomini e colui che è potenza assoluta non abbia potuto compiere ciò che voleva per l’impedimento dovuto al rifiuto dei piú deboli. Dov’è mai, allora, quell’onnipotenza, in virtú della quale nei cieli e sulla terra Egli compí tutto ciò che volle, se volle raccogliere i figli di Gerusalemme e non lo ha fatto? O piuttosto quest’ultima propriamente non volle che i suoi figli fossero raccolti dal Signore? Eppure, nonostante tale rifiuto, Egli raccolse tutti i suoi figli che volle; non è infatti che nei cieli e sulla terra Egli compí alcune cose senza volerle, mentre ne volle altre senza compierle: al contrario Egli compí tutto ciò che volle.

 

Una misericordia gratuita all’origine della scelta fra Giacobbe ed Esaù.

25. 98. Ma quale empia follia può portare a dire che Dio non possa far volgere al bene le volontà cattive degli uomini, scegliendo quelle che vuole, quando e dove vuole ? Ma quando lo fa, è la misericordia a guidarlo, mentre quando non lo fa, è il giudizio; poiché Egli usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole 235. Per poter dir questo, l’Apostolo valorizzava la grazia; a tal fine aveva già parlato dei due gemelli che Rebecca portava in grembo, non ancora nati e senza aver fatto nulla di bene o di male: Perché il disegno divino rimanesse fondato sull’elezione, non in base alle opere, ma alla sua chiamata, le fu detto: Il maggiore sarà sottomesso al minore 236. Ricorse per questo ad un’altra testimonianza dei profeti, dove sta scritto: Ho prediletto Giacobbe, ma ho odiato Esaú 237. Avvertendo tuttavia che quanto è stato detto potrebbe turbare coloro che non riescono a penetrare con l’intelligenza questa profondità della grazia, ha aggiunto: Diremo, dunque che c’è forse ingiustizia presso Dio? Certamente no! 238 Sembra ingiusto infatti che Dio, prescindendo completamente dai meriti legati ad opere buone o cattive, possa prediligere l’uno e odiare l’altro. In questo caso, se avesse voluto che si pensasse alle opere future (buone per l’uno e cattive per l’altro), che Dio certamente conosceva in anticipo, mai avrebbe detto: non in base alle opere, dicendo piuttosto: " in base alle opere future", risolvendo cosí la questione; anzi, non ponendo affatto una questione da risolvere. Ora però, avendo risposto: Certamente no, ossia, certamente l’ingiustizia non è presso Dio, subito dopo, per provare come ciò accada senza alcuna ingiustizia divina, ha detto: Egli infatti dice a Mosè: Proverò misericordia per colui di cui avrò avuto misericordia e accorderò misericordia a colui verso il quale sarò stato misericordio-so

239Chi perciò potrebbe pensare, all’infuori dello stolto, ad un Dio ingiusto, sia quando emette un giudizio di castigo meritato, sia quando accorda una misericordia immeritata? Questa, infine, la conclusione che ne ricava: Dunque non è frutto della volontà, né dello sforzo dell’uomo, ma della misericordia di Dio 240. Entrambi i gemelli nascevano pertanto come figli della collera 241, beninteso non in base alle proprie opere, ma originariamente legati con il vincolo della condanna che risale ad Adamo; eppure, chi disse: Proverò misericordia per colui di cui avrò avuto misericordia, predilesse Giacobbe per una misericordia gratuita, mentre ebbe in odio Esaú per un giudizio dovuto. E benché questo fosse dovuto ad entrambi, l’uno riconobbe nell’altro che, se ad una medesima condizione non corrispondeva un medesimo castigo, egli doveva vantarsi non di meriti personali diversi, ma della generosità della grazia divina, poiché non è frutto della volontà, né dello sforzo dell’uomo, ma dalla misericordia di Dio. Nella sconfinata profondità salvifica di questo mistero è la fisionomia complessiva e, per cosí dire, il volto delle sante Scritture ad invitare quanti sanno contemplarle affinché chi si vanta, si vanti nel Signore242.





 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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