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LA VERA RELIGIONE di sant'Agostino Vescovo

Ultimo Aggiornamento: 11/11/2017 19:00
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11/11/2017 19:00
 
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L’interpretazione paolina dei giudizi di Dio.

25. 99. Avendo quindi valorizzato la misericordia di Dio con le parole: Dunque non è frutto della volontà, né dello sforzo dell’uomo, ma della misericordia di Dio 243, subito dopo l’Apostolo, per valorizzare anche il giudizio, poiché dove non c’è misericordia, c’è il giudizio e non l’ingiustizia (e certamente non c’è ingiustizia presso Dio), ha aggiunto le seguenti parole: Dice infatti la Scrittura al Faraone: Ti ho fatto sorgere per mostrare in te la mia potenza e perché il mio nome venga proclamato su tutta la terra244. Dopo di che, con una conclusione che riguarda entrambe le cose, vale a dire misericordia e giudizio, afferma: Dunque Egli usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole245. Usa misericordia, evidentemente, per la grande bontà, mentre indurisce senza ingiustizia alcuna, cosicché chi è stato liberato non si vanti per i propri meriti, mentre chi è stato condannato non si lamenti di altro che dei propri meriti. È soltanto la grazia, infatti, che distingue i redenti dai perduti, radunati, questi ultimi, in un’unica massa di perdizione dalla comune condizione perpetuatasi dalle origini. A chi accoglie poi tali parole in modo da esclamare: Ma allora perché ancora rimprovera? Chi può resistere al suo volere?246, quasi che il malvagio non risultasse colpevole per il fatto che Dio usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole, giammai dovremmo vergognarci di rispondere come riconosciamo che ha risposto l’Apostolo: Chi sei tu, o uomo, per replicare a Dio? Può forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: Perché mi hai fatto cosí? Il vasaio non ha forse il potere di realizzare con la medesima massa d’argilla un vaso per un uso nobile ed un altro per un uso volgare? 247. In questo passo alcuni ingenui credono che la risposta dell’Apostolo sia stata insufficiente e che egli abbia bloccato l’audacia del proprio antagonista per mancanza di argomenti razionali. In realtà non sono davvero di poco peso le parole: Chi sei tu, o uomo? Di fronte a tali questioni egli infatti richiama l’uomo ad una attenta considerazione delle proprie capacità, certamente in modo sbrigativo, anche se nella sostanza l’argomento razionale è notevole. Chi può mai replicare a Dio, se non comprende queste cose? Se invece le comprende, a maggior ragione non trova di che replicare. Vede bene infatti, se comprende, che tutto quanto il genere umano è stato condannato nella radice della sua apostasia da un giudizio divino talmente giusto, che nessuno avrebbe il diritto di prendersela con la giustizia di Dio, anche se nessuno ne venisse liberato; mentre quelli che sono liberati dovevano esserlo in modo da far risultare, rispetto ai piú che non lo sono, sottomessi ad una condanna assolutamente giusta, quel che avrebbe meritato tutto l’insieme e dove avrebbe condotto anche costoro il giudizio divino dovuto, se non fosse intervenuta la sua misericordia non dovuta. Cosí è stato fatto in modo che sia chiusa ogni bocca 248 a quanti vogliono vantarsi per i propri meriti e chi si vanta, si vanti nel Signore 249.

 

Mirabili le opere di Dio, che attua la sua volontà attraverso le volontà cattive degli uomini.

26. 100. Queste sono le grandi opere del Signore, conformi a tutte le sue volontà 250, e cosí sapientemente conformi, che, nonostante il peccato della creatura, angelica e umana, cioè nonostante questa abbia voluto fare non la volontà di Dio, ma la propria, persino attraverso la medesima volontà della creatura, che ha agito contro la volontà del Creatore, questi ha portato a compimento quel che ha voluto, usando bene anche dei mali, in quanto sommamente buono, in vista della condanna di quanti giustamente predestinò alla pena, e in vista della salvezza di quanti amorevolmente predestinò alla grazia. Per quanto attiene a loro, essi agirono contro la volontà di Dio; per quanto invece attiene all’onnipotenza di Dio, non furono minimamente capaci di riuscirvi. Anzi, proprio in quanto agirono contro la sua volontà, questa si è realizzata in loro. Difatti grandi sono le opere del Signore, conformi a tutte le sue volontà, cosicché anche quanto accade contro la sua volontà, in modo inspiegabile e sorprendente non prescinde mai dalla sua volontà; del resto, ciò non accadrebbe se Egli non lo permettesse ed è evidente che Egli lo permette volontariamente, non involontariamente, né Egli, nella sua bontà, permetterebbe l’accadere del male, se non fosse capace, nella sua onnipotenza, di ricavare il bene anche dal male.

 

Le buone volontà degli uomini possono non coincidere con quelle di Dio e coincidervi quelle cattive.

26. 101. Qualche volta poi è una volontà buona che porta l’uomo a volere qualcosa che Dio non vuole, anche se la sua buona volontà è ben piú grande e certa (non può infatti mai essere cattiva); è il caso in cui un figlio buono vuole che il padre viva, mentre Dio, nella sua buona volontà, vuole che muoia. Può accadere al contrario che una volontà cattiva porti un uomo a volere quel che la volontà buona di Dio vuole, come quando un figlio cattivo vuole la morte del padre, che vuole anche Dio. La volontà del primo è dunque contraria alla volontà divina, mentre quella del secondo vuole la medesima cosa; eppure ad esser in sintonia con la volontà buona di Dio è la pietà del primo, benché voglia una cosa diversa, piuttosto che l’empietà del secondo, che vuole la medesima cosa. Ciò che importa è quale volontà sia confacente all’uomo e a Dio, e quale sia il fine che orienta la volontà di ciascuno, perché possa ricevere approvazione o disapprovazione. Dio infatti porta a compimento alcune volontà sue, sicuramente buone, per mezzo delle volontà cattive di uomini cattivi: cosí Cristo è stato ucciso per noi per mezzo di Giudei malvagi secondo la volontà buona del Padre, ed è stato un bene cosí grande, che l’apostolo Pietro, che non accettava che ciò accadesse, è stato chiamato " Satana " da colui che era venuto per essere ucciso251. Quanto sembravano buone le volontà di devoti credenti, che non volevano che l’apostolo Paolo prendesse la strada di Gerusalemme, perché là non dovesse soffrire i mali che il profeta Agabo aveva predetto 252? Eppure Dio voleva che per annunziare la fede di Cristo egli soffrisse quelle cose, impegnandosi come suo testimone. Egli quindi portò a compimento questa sua volontà buona per mezzo non delle volontà buone dei cristiani, bensí di quelle cattive dei Giudei, ed erano dalla sua parte quanti non volevano quel che egli voleva, anziché quanti resero possibile, con la loro volontà, quel che egli voleva: l’atto fu il medesimo, ma egli lo compí per loro tramite con volontà buona, mentre quelli con volontà cattiva.

 

È in ogni caso invincibile la volontà di Dio.

26. 102. In ogni caso, per quanto forti possano essere le volontà degli angeli o degli uomini, buoni o cattivi, favorevoli o contrari a ciò che Dio vuole, la volontà dell’onnipotente è sempre invincibile; essa non può mai essere cattiva, poiché, anche quando infligge dei mali, è giusta e sicuramente, se è giusta, non è cattiva. Dio onnipotente dunque, sia che per misericordia provi misericordia di chi vuole, sia che per il giudizio indurisca chi vuole, non compie alcuna ingiustizia, non compie nulla contro la propria volontà e tutto ciò che vuole, lo compie.

 

Come interpretare la volontà di Dio che tutti si salvino.

27. 103. Quando perciò noi sentiamo e leggiamo nelle sacre Lettere che è volontà di Dio che tutti gli uomini siano salvi, benché sappiamo con certezza che non tutti gli uomini lo sono, non per questo dobbiamo però sottrarre alcunché alla volontà di Dio onnipotente. Dobbiamo piuttosto intendere ciò che sta scritto: Egli vuole che tutti gli uomini siano salvi 253, come se si dicesse che nessun uomo è salvato, all’infuori di quelli che Egli ha voluto salvi; non che non ci sia nessun uomo all’infuori di chi Egli vuole salvo, ma che nessuno si salvi all’infuori di chi Egli vuole; perciò lo si deve pregare perché lo voglia, poiché accadrà sicuramente solo se Egli avrà voluto. In effetti, parlando in quel modo, l’Apostolo si riferiva proprio al dovere di pregare Dio. Cosí infatti intendiamo anche quel che sta scritto nel Vangelo: Egli illumina ogni uomo che viene sulla terra 254: non perché non ci siano uomini che Egli non illumini, ma perché nessuno è illuminato se non da Lui. Oppure, senza dubbio, è stato detto: Egli vuole che tutti gli uomini siano salvi, non perché non ci siano uomini di cui non volesse la salvezza, Egli che non volle compiere miracoli portentosi presso quei popoli di cui dice che avrebbero già fatto penitenza, se li avesse compiuti 255, ma perché con l’espressione tutti gli uomini, noi intendiamo l’intero genere umano, in tutte le differenze in cui esso si articola: re e privati, nobili e popolani, altolocati e umili, dotti e ignoranti, sani e malati, perspicaci, tardi e sciocchi, ricchi, poveri e benestanti, maschi e femmine, bambini, ragazzi, adolescenti, giovani, adulti e vecchi; di tutte le lingue, costumi, mestieri e professioni; costituiti in una varietà incalcolabile di volontà e di coscienze; e in tutte le altre differenze possibili fra gli uomini. Quale sarebbe fra questi il motivo per cui Dio non vuole che gli uomini di tutte le nazioni siano salvi per mezzo del suo Unigenito e Signore nostro, e cosí faccia, proprio in quanto nella sua onnipotenza non può volere invano tutto quel che ha voluto? L’Apostolo infatti aveva insegnato a pregare per tutti gli uomini, aggiungendo in particolare per i re e per tutti quelli che stanno al potere 256, che si potevano ritenere, nella loro altezzosa superbia terrena, ben lontani dall’umiltà propria della fede cristiana. Perciò, dopo aver detto: Questa è cosa buona al cospetto di Dio, nostro Salvatore 257, che cioè si preghi anche per costoro, ha aggiunto subito, per eliminare la disperazione: Egli vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità 258. Evidentemente Dio ha giudicato cosa buona degnarsi di accordare la salvezza dei grandi per le preghiere degli umili, come vediamo già realizzato. Anche il Signore ha fatto ricorso a questo modo di parlare, quando nel Vangelo ha detto ai farisei: Prelevate la decima della menta, della ruta e di tutto il raccolto 259. Infatti i farisei non prelevavano la decima su qualsiasi prodotto straniero e su tutti i raccolti di tutti gli stranieri in ogni terra. Come dunque qui tutto il raccolto indica ogni genere di raccolto, cosí là con l’espressione tutti gli uomini possiamo intendere ogni genere di uomini. Si può anche intendere in qualunque altro modo, purché però non siamo costretti a credere che Dio onnipotente abbia voluto realizzare qualcosa senza riuscirci. Se infatti non c’è alcun dubbio che Egli nei cieli e sulla terra, come proclama la verità, compí tutto ciò che volle 260, certamente non ha compiuto tutto ciò che non volle compiere.

 

La prescienza di Dio e il peccato di Adamo.

28. 104. Di conseguenza Dio avrebbe voluto conservare anche il primo uomo nella condizione di integrità in cui era stato costituito, conducendolo al momento giusto, dopo aver generato dei figli, ad uno stato migliore, se nella sua prescienza avesse saputo che egli avrebbe voluto restare per sempre senza peccato, cosí come era stato creato; in tale stato non soltanto non gli sarebbe stato possibile commettere peccato, ma nemmeno averne la volontà. Dal momento però che Dio già sapeva che l’uomo avrebbe usato male del libero arbitrio, cioè che avrebbe peccato, si accinse piuttosto a voler trarre il bene anche da colui che faceva il male, in modo che non venisse svuotata la cattiva volontà dell’uomo, ma nondimeno fosse portata a compimento la buona volontà dell’Onnipotente.

 

La condizione originaria e futura dell’uomo.

28. 105. Perciò l’uomo doveva anzitutto esser posto nella condizione di volere sia il bene che il male, in modo che non restasse nel primo caso senza ricompensa, nel secondo senza punizione. Successivamente però sarà in condizione di non poter volere il male, senza per questo esser privato del libero arbitrio. In realtà tale arbitrio sarà ben piú libero, in quanto non potrà essere assolutamente asservito al peccato. Né del resto la volontà è da condannare, o è inesistente, o da non giudicare libera, quando ci fa perseguire la felicità, in modo non solo da non volere l’infelicità, ma da non avere piú assolutamente la possibilità di volerla. Come dunque anche ora la nostra anima è in condizione di non volere l’infelicità, cosí sarà sempre in condizione di non volere l’ingiustizia. Non si doveva però sospendere l’ordine, in base al quale Dio volle mostrare il grado di bontà di un animale razionale, che avesse anche la possibilità di non peccare, pur essendo preferibile essere nella impossibilità di peccare; allo stesso modo fu inferiore, ma fu pur sempre tale, l’immortalità consistente nella possibilità di non morire, restando superiore quella che consisterà nella impossibilità di morire.

 

L’immortalità persa con il libero arbitrio e riconquistabile con la grazia.

28. 106. La natura umana perse quella sua condizione per mezzo del libero arbitrio, mentre per mezzo della grazia guadagnerà questa, che pure era stata sul punto di guadagnare per proprio merito, se non avesse peccato. Neppure allora, per la verità, senza grazia avrebbe potuto esserci alcun merito, poiché, pur essendo il peccato fondato solo sul libero arbitrio, quest’ultimo tuttavia non bastava a perseverare nella giustizia, se dalla partecipazione al bene immutabile non provenisse l’offerta dell’aiuto divino. Come l’uomo ha il potere di morire quando vuole (ognuno di noi infatti può uccidersi, se non altro almeno cessando di alimentarsi), anche se però la volontà non basta per prolungare la vita, se vengono meno gli apporti costituti dagli alimenti o da qualsiasi altra forma di sostegno, cosí l’uomo nel paradiso era capace per mezzo della volontà di darsi la morte abbandonando la giustizia, anche se, per mantenere una vita di giustizia, senza l’aiuto del Creatore, il volere non bastava. Ma dopo quella caduta la misericordia di Dio è piú grande, dal momento che è lo stesso libero arbitrio che deve esser liberato dalla schiavitú, sottomesso com’è al peccato e alla morte. E la liberazione non è assolutamente dovuta a se stessi, bensí alla sola grazia di Dio, riposta nella fede in Cristo, di modo che la stessa volontà, come sta scritto, è predisposta dal Signore 261 ad accogliere gli altri doni di Dio, per mezzo dei quali giungere al dono eterno.

 

La vita eterna come grazia divina e la morte come salario del peccato.

28. 107. Per questo l’Apostolo definisce grazia di Dio la stessa vita eterna, che rappresenta sicuramente la ricompensa per le opere buone: Il salario del peccato, egli dice, è la morte; ma la grazia di Dio è la vita eterna in Cristo Gesú nostro Signore 262. Ora il salario è un debito reso per un servizio militare, e non donato; per questo egli ha detto: Il salario del peccato è la morte, per mostrare che la morte è una conseguenza non immeritata del peccato, ma dovuta. La grazia, poi, se non è gratuita, non è grazia 263. Dunque si deve intendere che i beni stessi meritati dall’uomo sono dono di Dio; quando per essi viene resa la vita eterna, che cosa si rende se non grazia su grazia 264? L’uomo dunque è stato creato retto265, in modo da poter rimanere in quella condizione di rettitudine non senza l’aiuto divino, e da diventare perverso per la propria libertà. A seconda di quale delle due vie avesse scelto, la volontà di Dio sarebbe stata compiuta, o addirittura da lui, o sicuramente sopra di lui. Perciò, visto che egli preferí compiere la propria volontà, piuttosto che quella divina, s’è compiuta sopra di lui la volontà di Dio; Egli dalla medesima massa di perdizione scaturita da quella discendenza, fa un vaso per un uso nobile ed un altro per un uso volgare 266: il primo per misericordia, il secondo per il giudizio. Nessuno quindi dovrà vantarsi dell’uomo e, per questo, nemmeno di sé.

 

L’unico Mediatore che poteva riconciliare con Dio il genere umano.

28. 108. Non ci potrebbe liberare nemmeno l’uomo Gesú Cristo in persona, unico Mediatore tra Dio e gli uomini 267, se non fosse anche Dio. Quando fu creato Adamo, cioè un uomo retto, non c’era bisogno di un mediatore. Quando però i peccati scavarono un solco profondo tra il genere umano e Dio, era necessario che ci riconciliassimo con Dio, fino alla risurrezione della carne nella vita eterna, per mezzo di un mediatore, l’unico ad esser nato, vissuto e ucciso senza peccato; cosí la superbia dell’uomo sarebbe stata smascherata e risanata grazie all’umiltà di Dio, e l’uomo avrebbe potuto accertare quanto si era allontanato da Dio, alla luce della chiamata che gli veniva dal Dio incarnato; cosí, grazie all’uomo Dio, sarebbe stato offerto all’uomo pervicace un esempio di obbedienza e, assumendo l’Unigenito la condizione assolutamente immeritata di servo, si sarebbe spalancata la sorgente della grazia; nella persona del Redentore sarebbe stata quindi prefigurata anche la risurrezione della carne, promessa ai redenti, e il diavolo sarebbe stato sconfitto grazie a quella medesima natura che si compiaceva d’aver ingannato, senza che però l’uomo potesse vantarsene, per non far risorgere la superbia. Ciò non toglie che quanti intendano approfondire questo grande mistero del Mediatore possano cogliere ed esprimere qualcos’altro, o almeno coglierlo, pur senza esprimerlo.

 

Le anime dei defunti prima della risurrezione.

29. 109. Il tempo frapposto tra la morte dell’uomo e la risurrezione finale trattiene le anime in dimore misteriose, a seconda che ciascuna abbia meritato quiete o afflizione, in rapporto a quel che ha ottenuto in sorte finché viveva nella carne.

 

Sacrifici ed elemosine in suffragio di tutti i defunti battezzati.

29. 110. Non si deve nemmeno negare che le anime dei defunti ricevono sollievo dalla pietà dei propri cari che sono in vita, quando viene offerto per loro il sacrificio del Mediatore o si fanno elemosine nella Chiesa. Tutto questo però giova a quanti in vita hanno acquisito meriti che consentissero in seguito di ricavarne vantaggio. C’è infatti un tipo di condotta non cosí buono da non richiedere questi suffragi dopo la morte, né cosí cattivo da non ricavarne giovamento dopo la morte; ve n’è poi uno talmente buono da non richiederne e viceversa uno talmente cattivo da non potersene avvantaggiare, una volta lasciata questa vita. È in questa vita perciò che si acquista ogni merito, che consente a ciascuno di ricavarne sollievo o oppressione. Nessuno però s’illuda di guadagnarsi presso Dio, al momento della morte, quanto ha trascurato quaggiú. Quindi tutte le pratiche solitamente raccomandate dalla Chiesa a favore dei defunti non sono contrarie all’affermazione dell’Apostolo: Tutti dovremo comparire davanti al tribunale di Dio, ciascuno per ricevere la ricompensa per quanto ha fatto finché era nel corpo, sia in bene che in male 268; anche il merito di potersi giovare di queste cose, infatti, ciascuno se l’è procurato finché viveva nel corpo. Ma non tutti se ne giovano: e perché mai, se non perché ciascuno ha condotto, finché era nel corpo, una vita diversa? Ora, dal momento che vengono offerti sia i sacrifici dell’altare sia di qualunque altra elemosina, essi rendono grazie per chi è veramente buono; intercedono per chi non è veramente buono; per chi poi è veramente cattivo, non potendo in alcun modo aiutare i morti, cercano in qualche modo di consolare i vivi. Per quanti poi se ne giovano, il giovamento comporta o la piena remissione o almeno la possibilità di una condanna piú tollerabile.

 

Due città dopo la risurrezione.

29. 111. Ma dopo la risurrezione, una volta attuato un giudizio universale e integrale, esisteranno due diverse città, quella di Cristo e quella del diavolo, quella dei buoni e quella dei cattivi, entrambe comunque composte di Angeli e di uomini. I primi non potranno avere alcuna volontà di peccare, i secondi non potranno averne alcuna possibilità, senza essere in condizione di morire; i primi vivendo veramente e felicemente nella vita eterna, i secondi perseverando infelicemente, senza poter morire, nella morte eterna; gli uni e gli altri senza fine. Tuttavia i primi, nella beatitudine, resteranno in uno stato piú o meno eminente, mentre gli altri, nell’infelicità, in uno stato piú o meno tollerabile.

 

I misericordiosi che non credono all’eternità delle pene.

29. 112. Invano pertanto molti, anzi moltissimi, sono portati dal loro sentimento umano a provare misericordia per quelli che sono condannati ad una pena eterna e a supplizi interminabili, non credendo quindi che avverrà proprio cosí: evidentemente non senza sconfessare le divine Scritture, ma provando in rapporto alle proprie emozioni a smussarne alcuni punti fermi, piegando ad una interpretazione piú debole quelle affermazioni che essi ritengono pronunziate in modo piú intimidatorio che veritiero. Infatti, essi dicono, Dio non dimenticherà la misericordia, e non soffocherà nella sua collera le sue misericordie 269. Questo lo si legge, è vero, in un salmo santo; ma viene inteso senza esitazione come riferito a coloro che sono detti vasi di misericordia 270, poiché anche questi sono liberati dalla miseria non per i propri meriti, bensí per la misericordia di Dio. Oppure, ritenendo che ci si riferisca a tutti, non per questo si deve necessariamente supporre che abbia fine la condanna di coloro dei quali è stato detto: E se ne andranno, questi al supplizio eterno, perché poi, allo stesso modo, non si pensi che un giorno avrà fine anche la felicità di coloro dei quali è stato detto: e i giusti alla vita eterna 271. Pensino semmai, se ciò li appaga, che le pene dei dannati sono in qualche modo attenuate secondo intervalli di tempo determinati. Anche in questo caso, allora, è possibile comprendere che perdura su di loro la collera di Dio 272, cioè la condanna vera e propria (si parla infatti di collera di Dio, non di turbamento dello spirito divino), senza però che Egli soffochi nella sua collera, beninteso una collera che perdura, le sue misericordie, in quanto non pone fine al castigo eterno, ma frappone un alleggerimento agli spasimi; il Salmo infatti non dice: " Per mettere fine alla sua collera ", oppure: " Dopo la sua collera ", bensí: Nella sua collera. Ed anche se questa fosse da sola la minima immaginabile quaggiú, in realtà perdere il regno di Dio, essere esiliato dalla città di Dio, allontanato dalla vita divina, privato di quella sua dolcezza che in cosí grande misura Dio nasconde a coloro che lo temono, ma che ha accordato pienamente a quanti sperano in Lui 273, sono una pena tanto grande, che non ci possono essere tormenti di sorta, a noi noti, paragonabili ad essa, se quella pena è eterna e questi invece durano tutt’al piú per molti secoli.

 

Eterne, anche se differenziate, la pena e la beatitudine.

29. 113. Quella morte perpetua dei dannati, che consiste nell’allontanamento dalla vita di Dio, perdurerà dunque senza fine e sarà comune a tutti, quali che siano le congetture degli uomini intorno alla diversità delle pene, all’alleggerimento o all’interruzione delle sofferenze, in rapporto alle proprie emozioni umane; ugualmente perdurerà la vita eterna comune a tutti i santi, quale che possa essere il diverso grado di gloria che armonicamente rifulge in loro.

 

La buona speranza dei credenti nasce dalla fede.

30. 114. Da questa professione di fede, sinteticamente contenuta nel Simbolo e che, intesa in senso materiale, è il latte dei piccoli274, mentre in realtà, se interpretata attentamente secondo lo spirito, è il cibo dei forti, nasce la buona speranza dei credenti, alla quale s’accompagna la santa carità. Ma di tutto quel che si deve credere per fede, riguarda la speranza soltanto quanto è racchiuso nella preghiera del Signore. Come attesta infatti il linguaggio divino, maledetto sia chiunque ripone la speranza nell’uomo 275; perciò viene incatenato a questa maledizione anche chi ripone la speranza in se stesso. Dobbiamo dunque chiedere soltanto a Dio o il bene che speriamo di compiere o quel che speriamo di conseguire per le opere buone.

 

Le invocazioni del Padre nostro riportate da Matteo.

30. 115. Ebbene nell’evangelista Matteo la preghiera del Signore sembra contenere sette invocazioni 276, in tre delle quali si richiedono beni eterni, mentre nelle altre quattro beni temporali, tuttavia indispensabili per conseguire beni eterni. Dicendo infatti: Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà cosí in cielo come in terra 277 (ed alcuni, non arbitrariamente, hanno compreso nello spirito e nel corpo), si tratta di beni da mantenere in modo assolutamente interminabile: avuto inizio su questa terra, essi s’accrescono in noi in proporzione al nostro progredire; conseguito poi il loro compimento, che si deve sperare nell’altra vita, saranno posseduti per sempre. Dicendo poi: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male 278, chi non vede che ciò riguarda i bisogni della vita presente? Perciò in quella vita eterna, in cui speriamo di essere per sempre, la santificazione del nome di Dio, il suo regno e la sua volontà perdureranno nel nostro spirito e nel nostro corpo in modo compiuto e immortale. Il pane quotidiano poi è chiamato cosí perché in questa vita è necessario, nella misura in cui dev’essere dispensato all’anima ed al corpo, intendendolo sia in senso spirituale, sia in senso materiale, sia in entrambi i sensi. Qui, dove commettiamo peccati, c’è anche la richiesta della remissione; qui ci sono le tentazioni che ci adescano, inducendoci a peccare; qui insomma si trova quel male da cui desideriamo esser liberati; là invece non c’è nulla di tutto questo.

 

Analoghe le invocazioni riportate da Luca.

30. 116. L’evangelista Luca, invece, nella preghiera del Signore non ha incluso sette invocazioni, bensí cinque 279, senza però essersi in realtà discostato dall’altro, indicandoci anzi con questa sua sintesi il modo d’intenderle tutte e sette. Il nome di Dio è certamente santificato nello spirito, mentre il suo regno giungerà con la risurrezione della carne. Mostrando dunque che la terza richiesta è in un certo senso una ripetizione delle due precedenti, Luca l’ha fatta comprendere meglio, tralasciandola. Aggiunge quindi le altre tre, che riguardano il pane quotidiano, la remissione dei peccati, la tentazione da evitare. Quanto poi all’affermazione, riportata alla fine, ma liberaci dal male 280, non l’ha riportata, per farci comprendere che si riferisce alle parole precedenti sulla tentazione. Per questo ha detto: Ma liberaci, anziché: " E liberaci ", come per mostrare che si tratta di un’unica richiesta (" non voler questo, ma quest’altro "), perché ognuno sappia che è liberato dal male in quanto non è indotto in tentazione.

 

Il primato della carità.

31. 117. Consideriamo infine la carità, che l’Apostolo definisce maggiore di queste due 281, cioè della fede e della speranza: quanto piú essa è presente in qualcuno, tanto piú questi è migliore. Quando infatti si chiede di chiunque se sia un uomo buono, non si chiede che cosa creda o in che cosa speri, ma che cosa egli ami. Infatti chi ama rettamente, senza dubbio crede e spera rettamente; chi invece non ama, crede vanamente, anche se quanto crede è vero, e spera vanamente, anche se s’insegna che le cose in cui spera riguardano la vera felicità, a meno che l’oggetto della fede e della speranza sia tale che a colui che lo chiede possa essere concesso il dono di amarlo. E benché sia impossibile sperare senza amare, è possibile tuttavia non amare ciò senza di cui è impossibile raggiungere quanto si spera. È cosí quando si spera nella vita eterna (e chi non l’ama?) e non si ama la giustizia, senza la quale nessuno la raggiunge. Ma è proprio la fede di Cristo, raccomandata dall’Apostolo, che opera per mezzo dell’amore 282, e quel che ancora non possiede nell’amore, chiede di riceverlo, cerca di trovarlo, bussa perché le sia aperto 283. La fede infatti consegue quel che la legge comanda: senza il dono di Dio, cioè senza lo Spirito Santo, per mezzo del quale la carità si diffonde nei nostri cuori 284, la legge potrà comandare, ma non aiutare, rendendo per di piú prevaricatore chi non potrà giustificarsi per l’ignoranza. Dove non c’è la carità di Dio, infatti, è la passione della carne a regnare.

 

I quattro stadi attraverso i quali Dio ha chiamato a sé il suo popolo.

31. 118. Vivere invece secondo la carne, nelle piú profonde tenebre dell’ignoranza, senza alcuna resistenza della ragione, è lo stadio originario dell’uomo. Successivamente, quando grazie alla legge è stata acquisita la conoscenza del peccato 285, mancando ancora l’aiuto dello Spirito divino, chi vuole vivere secondo la legge viene vinto e pecca coscientemente, sottomettendosi alla schiavitú del peccato (esser vinto da qualcuno significa infatti essere suo schiavo286); la conoscenza del comandamento in effetti fa in modo che il peccato produca ogni concupiscenza e si compia, per la prevaricazione che vi si è assommata, quel che sta scritto: È sopraggiunta la legge, perché abbondasse il peccato 287. È questo il secondo stadio dell’uomo. Se invece Dio si è rivolto verso di noi, perché si creda che è Egli stesso che aiuta a portare a compimento i suoi comandamenti, e l’uomo ha cominciato ad agire grazie allo Spirito di Dio, allora egli ha desideri contrari alla carne per la forza superiore della carità288; e cosí, benché ci sia ancora qualcosa da parte dell’uomo che s’oppone all’uomo, finché non è stata risanata tutta la sua infermità, il giusto può nondimeno vivere di fede 289, e vivere giustamente, in quanto non cede alla cattiva concupiscenza, prevalendo il gusto della giustizia. È questo il terzo stadio: la buona speranza dell’uomo; e per chi riesce ad avanzare in esso con religiosa perseveranza, da ultimo resta la pace, che dopo questa vita sarà colmata nella quiete dello spirito e quindi anche nella risurrezione della carne. Di questi quattro diversi stadi, il primo è anteriore alla Legge, il secondo è sotto la Legge, il terzo sotto la grazia, il quarto nella pace piena e compiuta. Il popolo di Dio è stato ordinato secondo questi intervalli di tempo, come è piaciuto a Dio, che tutto dispone con misura, calcolo e peso 290. Esso visse anzitutto prima della Legge; in un secondo tempo sotto la Legge, data per mezzo di Mosè; quindi sotto la grazia, data per mezzo della prima venuta del Mediatore 291. Questa grazia certamente non mancò nemmeno prima a coloro ai quali doveva essere concessa, anche se in forma adombrata e nascosta secondo l’economia temporale. Nessun giusto fra gli uomini antichi infatti avrebbe potuto trovare la salvezza all’infuori della fede in Cristo, o comunque non sarebbero giunte sino a noi profezie piú o meno esplicite attraverso il loro ministero, se Cristo fosse restato sconosciuto anche a quelli.

 

Ma ciò che conta è la grazia della rigenerazione.

31. 119. Quale che sia poi uno dei quattro stadi (o, in un certo senso, età) in cui la grazia della rigenerazione abbia potuto trovare ciascun uomo, qui gli sono rimessi tutti quanti i peccati passati, e quella colpa contratta con la nascita viene dissolta con la rinascita. È talmente vero che lo Spirito soffia dove vuole 292, che alcuni non hanno conosciuto quella seconda condizione di schiavitú sotto la Legge, cominciando invece ad avere l’aiuto divino insieme al suo comandamento.

 

La morte è inoffensiva per chi è stato rigenerato con il battesimo.

31. 120. Prima che l’uomo sia in grado di accogliere il comandamento, egli vive necessariamente secondo la carne. Quando invece è stato ormai compenetrato dal sacramento della rigenerazione, non gli nuocerà minimamente il dover lasciare in quel momento questa vita. Per questo infatti Cristo è morto ed è risorto: per essere il Signore dei morti e dei vivi 293 e il regno della morte non catturerà colui per il quale è morto chi è libero fra i morti.

 

La carità di Dio e del prossimo, culmine di ogni comandamento, nel secolo presente e in quello futuro.

32. 121. Tutti i comandamenti divini insomma si riferiscono alla carità, di cui l’Apostolo dice: Ma il fine del comandamento è la carità che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera 294. Pertanto il fine di ogni comandamento è la carità; ogni comandamento, in altri termini, si riferisce alla carità. Ciò che quindi si compie, vuoi per timore della pena, vuoi per una qualche intenzione carnale, senza riferirsi alla carità diffusa dallo Spirito Santo nei nostri cuori 295, nonostante l’apparenza, non si compie ancora come si dovrebbe. Senza dubbio questa carità riguarda Dio e il prossimo, e certamente da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti 296; aggiungi il Vangelo, aggiungi gli Apostoli: non ha altra origine infatti questa parola che dice: Il fine del comandamento è la carità, e ancora: Dio è carità 297. Tutte le cose che Dio comanda, dunque, come ad esempio: Non commettere adulterio 298, ed anche quelle che non ordina, ma che sono oggetto di una raccomandazione spirituale, come ad esempio: È cosa buona per l’uomo non toccare donna 299, sono compiute rettamente, quando si riferiscono all’amore di Dio e all’amore del prossimo in vista di Dio, sia nel secolo presente che in quello futuro; all’amore di Dio ora per fede, allora per la visione e allo stesso amore del prossimo ora per fede. Noi non conosciamo, infatti, in quanto mortali, i cuori dei mortali. Allora invece il Signore illuminerà i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori, e ciascuno avrà da Dio la sua lode300. Infatti il prossimo loderà e prediligerà nel prossimo ciò che Dio stesso illuminerà, perché non resti nascosto. La passione quindi diminuisce con l’accrescersi della carità, finché questa non raggiunga una dimensione tale rispetto a cui non potrebbe essercene una piú grande: Nessuno infatti ha una carità piú grande di questa: dare la vita per i propri amici 301. Chi poi potrà descrivere la grandezza della carità quando non ci sarà piú alcuna passione da superare, se non altro reprimendola? Infatti l’integrità sarà assoluta, quando non ci sarà piú l’assalto della morte.

 

Conclusione.

33. 122. Ma è ora finalmente di porre termine a questo scritto, che tu stesso vedrai se è necessario chiamare o considerare Manuale. Quanto a me tuttavia, ritenendo che non debba essere sottovalutata la tua ricerca di Cristo, riponendo fede e speranza nel bene che, con l’aiuto del nostro Redentore, può venire da te, pieno di grandissimo amore verso di te, che sei tra le sue membra, ho scritto per te, come ho saputo fare, questo libro intorno alla fede, alla speranza e alla carità, e mi auguro che l’utilità sia pari alla lunghezza.

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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