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Che cosa è la Mistagogia

Ultimo Aggiornamento: 02/01/2018 22:52
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Sesso: Femminile
02/01/2018 22:46
 
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CAPITOLO V


LA MISTAGOGIA DELLA CONFESSIONE


Un classico aforisma patristico afferma che la Chiesa è sempre da riformare. Potrebbe sembrare una massima irriverente nei riguardi della Chiesa di Cristo: essa, infatti, è santa perché chi l’ha voluta, il suo Capo, è santo. Ma la riforma non riguarda il Capo bensì le membra che non sempre vivono coerentemente con ciò che hanno promesso nel santo Battesimo. I cristiani, infatti, macchiando il proprio abito splendente (la photoidhê stolê ), ricevuto nella santa Iniziazione, hanno la responsabilità di deturpare tutto l’abito bello e prezioso di cui la Chiesa è stata adornata dallo Spirito. La mancanza di coerenza e di fedeltà, concretizzata nei peccati personali dei suoi membri, rende la Chiesa peccatrice. In questo caso allora si può affermare che la Chiesa è da riformare.
La mistagogia della confessione, quindi, dovrà essere strettamente legata al quella del Santo Battesimo. Non si può infatti capire lo stato di peccato, da cui si dovrebbe uscire, senza aver gustato lo stato deificante della divina grazia conferitaci dall’Illuminazione.
S. Ireneo, a proposito di ciò, afferma: "Rinati, mediante il Battesimo, proviamo una grandissima gioia quando pregustiamo in noi stessi le primizie dello Spirito Santo, con la conoscenza dei misteri, la scienza della rivelazione, la parola della sapienza, la fermezza della speranza, i carismi delle guarigioni e il potere sul demonio . Tutto ciò ci compenetra come stillicidio, e, cominciando prima a poco a poco, finisce col produrre molteplici frutti " (25). 
Quando nell’animo del battezzato persiste questo stato di "benessere" e di "opulenza" spirituale, descritto dal santo vescovo di Lione, possiamo dire che la Chiesa è coerente nella santità ricevuta, poiché i suoi membri sono santi, e sanno di esserlo, in quanto uniti, come il tralcio alla vite, al loro Sposo e Signore, e producono molto frutto (Gv 15, 1-8). 
Ma quando nel battezzato invece del frutto dello Spirito: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé (Gal 5,22), troviamo la presenza dell’odio, della tristezza, della guerra, dell’intolleranza, del rancore, della cattiveria, del tradimento, della violenza e dell’orgoglio, della fornicazione, dell’impurità, dell’avarizia, dell’idolatria, ecc. (cf. Gal 5,19 ss) cosa è avvenuto? E come è possibile che l’anima del battezzato, diventata tempio di Dio, possa diventare "ricettacolo di peccato"? 
Il Padre Poemen, in un suo celebre apoftégma, ci insegna che: "La distrazione (da Dio), è l’inizio dei mali " (26), e noi completeremmo: "L’ignoranza di Dio, è sorgente di mali".
La prima - la distrazione - impedisce all’anima di essere attenta alla presenza di Dio in essa e quindi di perseverare nel bene (Dio è assente, faccio quello che voglio). La seconda – l’ignoranza - invece, impedisce all’anima di conoscere chi è veramente Dio e chi è l’uomo,(non conoscendo la volontà di Dio su di me, faccio come meglio mi pare). Il Padre Teóna conferma questa tesi affermando che: " Quando la nostra mente si distoglie dalla contemplazione di Dio, diventiamo prigionieri delle nostre passioni carnali " (27). 
Quando l’attenzione, la conoscenza o la contemplazione, non è più rivolta a Dio, ma qualcos’altro da Lui (sesso, successo, soldi = le tre tentazioni di Gesù nel deserto) allora l’uomo diventa dio a se stesso; si crea una sua norma morale che dà origine di tutti gli atti peccaminosi. E’ il peccato di Adamo che si ripropone. Egli in paradiso si dimentica di Dio, qualcosaltro distrae la sua attenzione da Dio, Dio gli diventa assente e dunque si sente in diritto di fare quello che gli sembra più opportuno (cf. Gn 3, 6).
"Custodire invece incessantemente nella memoria il ricordo di Dio è fonte di ogni bene, di salvezza, di gioia, è difesa contro il nemico " (28).
Il ricordo di Dio, l’attenzione per Lui, possiamo esprimerli anche col concetto di opzione fondamentale per Lui. Essa consiste nella decisione di aderire al Cristo e nella volontà di rimanere a Lui incorporati. 
Nel Battesimo ci è stato chiesto se volevamo unirci a Cristo, e abbiamo optato per il "SI". l’opzione, una volta espressa, rimane valida, fino a che non accade di formularne un’altra contraria. 
Ma il dramma del cristiano di ogni tempo non è solo la perdita della consapevolezza di essersi unito a Cristo per sempre, è, soprattutto, la mancanza di tale cognizione: non sa nulla della presenza di Dio nella sua vita, e non ha coscienza della sua dignità di figlio di Dio perché non ha mai ricevuto un’adeguata mistagogia.
"Ricordare"(far ritornare al cuore) queste verità, al fedele, caduto nell’amartía, o che abitualmente vive nel male, significa fargli venire la nostalgia della santità, che inconsciamente porta nel cuore, e fargli prendere coscienza della sua dignità. Significa fargli capire che il peccato non può essere il suo stile di vita, ma solo un incidente di percorso. Solo allora brillerà nella sua vita la luce della conversione: la metánoia.
Cosa è la metánoia?
Il vocabolo greco metánoia, da cui deriva, impropriamente, la parola latina poenitentia-penitenza, significa "cambiamento della mente", e, per conseguenza: "indirizzo delle scelte dell’individuo verso il Bene, cioè verso Dio"; e , volendo, "attenzione verso Dio e non più verso il proprio egoismo". 

La metánoia inizia dalla presa di coscienza che la vita fino a quel momento condotta nel peccato o nella mediocrità, non è autentica, non ha senso, non porta alla realizzazione dell’ideale cristiano: il raggiungimento della statura di Cristo (cf. Ef 4, 13). Da questa consapevolezza, generata da una "folgorazione spirituale", ossia da una illuminazione interiore sul mistero dell’amore paterno, sponsale e crocifisso di Dio per l’umanità e della nostra iniquità e infedeltà all’alleanza nel suo sangue; o sulla nostra sordità ai suoi richiami, o sui nostri ritardi e ignoranze nell’attuazione della divina volontà e dell’avvento del suo regno in noi; nasce un profondo disagio interiore, che deve sfociare necessariamente nella confessione.
I tempi e i modi della conversione sono molteplici, solo Dio li conosce e sa come intervenire a favore dei suoi figli. La luce metanoetica può sfolgorare improvvisamente e inaspettatamente, come a S. Paolo sulla strada di Damasco; o può brillare dopo una lunga ricerca della verità, come ad Agostino nel giardino di Cassiciaco, quando è invitato a prendere il sacro testo delle Scritture e a leggere, trovandovi la soluzione del suo dramma. 
Ma ci si può ravvedere dopo una meditazione sullo stato del peccato con cui per anni si convive, o dopo una grave colpa commessa. Ci si può convertire dopo una preghiera fatta con umiltà di cuore, o durante una malattia, o a causa di una forte sofferenza, o grazie a un’ottima mistagogia. 
Ma non ci si può convertire per paura dell’inferno! Non sarebbe giusto nei riguardi di Dio che ci ha riscattati dalla schiavitù e ci ha resi suoi figli, e, credo, non sarebbe una conversione vera e convinta. 
Nel nostro studio, analizzando mistagogicamente il Mistero della Confessione, come la Chiesa Bizantina ce lo propone, rifletteremo sulla celebrazione del rito come ritorno alla casa del Padre da cui per nostra colpa ci siamo allontanati, alienati.

ANALISI MISTAGOGICA DEL RITO DEI PENITENTI

Il Mistero della Penitenza, o come è definito dai teologi ortodossi: Mystêrion tês metanoías, ha negli Eukológia, ossia nei libri liturgici attualmente usati nelle comunità cattoliche e ortodosse, una connotazione personale e comunitaria. Essi prevedono un'ufficiatura di una certa prolissità da celebrarsi in Chiesa, davanti all’Icona del Cristo, senza specificarne i tempi o i momenti, con o senza il concorso del popolo di Dio. 
Il rito si può celebrare per uno o più penitenti, salvaguardando la parte personale da quella comunitaria. Certo sarebbe assurdo riproporre ad ogni confessante tutto il rito. 
Attualmente si potrebbe scegliere un giorno al mese dedicato alla celebrazione comunitaria, accompagnata da un’ottima mistagogia, e per il resto lasciare liberi i fedeli di confessarsi quando meglio credono, evitando però la superficialità e di importunare il sacerdote subito prima di una celebrazione o i sacerdoti durante la celebrazione della Divina Liturgia. 
Il seguente rito si trova nel Rituale dei sacramenti, detto Aghiasmatárion, edito a Venezia nel 1893 e in quello di Roma del 1954, che lo riporta leggermente modificato.

L’accoglienza e la benedizione a Dio
Il padre spirituale indossato l'epitrachílion (la stola) di colore rosso cupo, simbolo della penitenza, invita coloro che si devono confessarsi a porsi davanti all'icona di Cristo. Lo stare innanzi all’icona indica che la confessione, come in seguito il sacerdote stesso dirà al penitente, viene fatta al Signore. Lì il celebrante inizia il rito con la formula dossologica non eucaristica: 

" Benedetto il nostro Dio in ogni tempo ora e sempre e nei secoli dei secoli ". "Amìn ".

Litania iniziale
Come ogni Akoluthía anche questa riporta una litania di supplica, in cui si presentano varie intenzioni di preghiera a cui si risponde col Kyrie eléison. In particolare si prega per coloro che si stanno per confessare perché il Signore conceda loro il perdono dei peccati e la remissione delle colpe volontarie ed involontarie. Sembra strano per la nostra mentalità odierna il considerare colpa ciò di cui non si ha intenzione di compiere. Eppure il Signore parla del castigo che si merita non solo il servo che conoscendo la volontà del padrone, agisce contro di essa, ma anche chi non conoscendola agisce allo stesso modo. Il castigo sarà certamente minore ma sarà sempre un castigo (Lc 12, 47-48 ). Un omicidio involontario non si può definire un reato ma rimane comunque un omicidio. Così nella vita del cristiano ci sono le colpe dovute alla volontà di peccare e altre dovute all’ignoranza. Nell’un caso come nell’altro la Chiesa ci insegna a chiedere perdono.

Ma tra le petizioni si trova un’altra in cui si chiede al Signore di concedere ai penitenti un po’di tempo per fare penitenza, si tratta anche qui dell’applicazione della parabola del fico sterile a cui si concede un margine di tempo per poter, dopo la fertilizzazione del terreno, far frutto. Dio è paziente ma anche esigente! (Lc 13, 6 ss).

- La preghiera sui penitenti
Alla fine il sacerdote conclude la litania con una preghiera di supplica che riassume tutto il significato della confessione. In essa si dice che il Signore è il pastore in quanto cerca le sue pecore smarrite, ma è anche l’agnello che espia il peccato del mondo. E’ colui che ha condonato il debito ai due servi debitori e che avendo perdonato la peccatrice, può perdonare anche ai peccatori del nostro tempo i quali sono caduti in peccato non solo per la debolezza della carne ma anche per l’inganno del demonio, che agisce, come dicevamo nell’introduzione alla mistagogia di questo sacramento, nell’animo del battezzato per farlo vivere in uno stato di peccato. Inoltre, grazie alla confessione, si chiede al Signore che liberi i penitenti da ogni censura o anatema lanciati da qualche sacerdote, perché egli ha dato alla Chiesa il potere di legare e di sciogliere.

"La lettura del testo rivela trattarsi di una specie di compromesso tra un ufficio liturgico ricco di elementi provenienti da antichi riti pubblici di penitenza (ufficio vespertino e ufficio monastico) e la confessione privata fatta a un sacerdote che ricorda il padre spirituale monastico" (29).

Le preghiere comuni
Seguono le solite preghiere comuni che si trovano all'inizio di ogni ufficiatura (Trisájion, la supplica alla Santissima Trinità e il Padre nostro).

Il Salmo 50 
Il sacerdote o, se è presente un lettore, legge il salmo penitenziale per eccellenza, quindi declama:

I tre tropári penitenziali e il Kyrie eléison ripetuto 40 volte.
I primi due tropari penitenziali sono rivolti al Signore ed evidenziano lo stato dell’uomo peccatore dinanzi a Dio. Il grido: "Abbi pietà di noi, Signore, abbi pietà di noi, poiché non abbiamo nessuna giustificazione, per questo ti rivolgiamo questa supplica: Abbi di noi pietà" esprime il bisogno di Dio. Il peccato ha privato l’uomo di ogni giustificazione, lo ha alienato, per cui l’unica cosa che deve fare è quello di gridare a Dio, dal profondo del suo baratro, di avere pietà di lui, senza disperare. Il terzo invece è rivolto alla Madre di Dio e contiene gli stessi concetti: si chiede a Maria di aprire la porta della misericordia a coloro che sperano in lei. Essi non rimarranno delusi anzi saranno perdonati, poiché la "benedetta" è la "salvezza" del genere umano.

Il riconoscimento del proprio stato di peccato e la richiesta di perdono
I penitenti, quindi, inchinano il capo e dicono: "Ho peccato, Signore, perdonami!". Poi, rialzato il capo pronunciano la preghiera del pubblicano: "O Dio, sii propizio a me peccatore, ed abbi pietà di me".

La preghiera di supplica
Il sacerdote recita una preghiera di supplica in cui si chiede al Signore di rimettere tutti i peccati dei penitenti, come ha rimesso i peccati di Davide e quelli di Manasse. Egli infatti non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva (Ez 18,23 ), e che bisogna perdonare fino a settanta volte sette (Mt 18,22).

La preghiera del penitente
I penitenti in ginocchio con le mani rivolte all'Icona di Cristo dicono: " Padre, Signore del cielo e della terra, ti confesso ogni cosa nascosta e manifesta del mio cuore e della mia mente, quello che ho fatto fino ad oggi. Per questo chiedo a Te il perdono, giusto e misericordioso giudice, e la grazia di non più peccare ".

A questo punto i penitenti ritornano al loro posto e dal sacerdote rimane solo uno di coloro che devono confessarsi perché la confessione è segreta.
Il sacerdote, "con voce ilare", prescrive la rubrica, esorta il penitente a confessare i propri peccati, dicendogli: " Fratello, poiché sei venuto da Dio e non da me, non ti vergognare. Infatti non a me ti confessi, ma a Dio, alla cui presenza ti trovi".

La confessione dei peccati
Il penitente fa la sua confessione sincera, completa e modesta, l’ha infatti promesso: "ti rivelo ogni cosa nascosta o manifesta". Il sacerdote da parte sua ascolta con tutta umiltà e, a meno che il caso non lo richieda, senza fare domande, perché alle volte si può insinuare la deplorevole curiosità che mette a disagio il penitente. E’ vero che la rubrica prevede che il penitente sia interrogato dal sacerdote, ma pur vero che la discrezione è sempre una gran virtù, quindi, secondo la nostra interpretazione, la rubrica: "con voce ilare", non è altro che un modo di dire, per affermare che il penitente deve sentirsi a suo agio davanti a un tribunale di misericordia e non di curiosità.

A questo proposito Nicodemo l’Agiorita afferma: " Non è necessario che il padre spirituale interroghi il penitente su cosa e cosa ha fatto. E’ lo stesso penitente che da se stesso deve confessare i suoi peccati, per ricevere il perdono, ma se qualcuno, per ignoranza o per mancanza di formazione, o per vergogna non vuol dire per primo e da se stesso i suoi peccati, allora sei costretto a interrogarlo tu per primo sui suoi peccati e quello a rispondere, come dice S. Agostino: "L’esaminatore delicato interroga il penitente su ciò che forse ignora o che per vergogna intende nascondere". Interrogalo se ha mancato in qualcuno dei dieci comandamenti" (30), non su qualcos’altro!

L'atto penitenziale da compiere (l’epitímion)
Terminata la confessione dei peccati, il sacerdote esorta il penitente con parole incoraggianti e con consigli, quindi gli indica un atto penitenziale da compiere: delle preghiere, del digiuno, dell'elemosina ecc., oltre alla necessaria soddisfazione, se ce fosse bisogno.
"Ciò fa parte della Penitenza stessa. Prolunga nel tempo lo spirito di conversione, educa al cambiamento della vita. Non è certamente il prezzo del perdono(perché questo l'ha pagato Cristo). E' invece segno di vera conversione e proposito di cambiare vita" (31).
E’ interessante notare che l’Agiorita esprime a questo proposito dei concetti che ritroviamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica al n° 1640 a proposito della dottrina sulla penitenza. 
Nicodemo così si esprime: " Ricorda ancora di consigliare i peccatori di non pensare che ricevono da Dio la remissione dei loro peccati, solo attraverso il canone (cioè la penitenza da compiere) e la soddisfazione che essi fanno. Questa sarebbe una considerazione eretica. Credano invece che ricevono il perdono: primo, per l’infinita misericordia di Dio; secondo, per la soddisfazione infinita che il Figlio dell’uomo si meritò per i peccatori con la morte e il sangue sulla croce" (32). E il Catechismo così si esprime: " La penitenza che il confessore impone deve tener conto della situazione personale del penitente e cercare il suo bene spirituale, essa deve corrispondere, per quanto possibile, alla gravità e alla natura dei peccati commessi. Può consistere nella preghiera, in un’offerta, nelle opere di misericordia, nel servizio del prossimo, in privazioni volontarie, in sacrifici, e soprattutto nella paziente accettazione della croce che dobbiamo portare. Tali penitenze ci aiutano a configurarci a Cristo che, solo, ha espiato per i nostri peccati una volta per tutte. Esse ci permettono di diventare coeredi di Cristo risorto, dal momento che "partecipiamo alle sue sofferenze"". E citando il Concilio di Trento afferma : " Quindi, l’uomo, non ha che gloriarsi; ma ogni nostro vanto è riposto in Cristo in cui offriamo soddisfazione, facendo "opere degne della conversione" (Lc 8,3), che da lui traggono il loro valore, da lui sono offerte al Padre e grazie a lui sono accettate dal Padre" (33).

L’assoluzione
Il sacerdote impone la stola sul capo del penitente, come segno della protezione di Dio e dell’azione dello Spirito Santo (cf. Lc 1,35; Sl 90, 4) e recita una delle preghiere di assoluzione, (e non tutte quelle previste, per il fatto che sono scritte di seguito, come avviene per le tre preghiere dell’incoronazione!).

" Si tratta di formule deprecative - così come del resto era in uso anche in occidente fino al XIII secolo -. Queste formule mettono in chiara luce che il perdono viene da Dio attraverso il ministero del sacerdote " (34). In questo studio ne esaminiamo la prima.

La litania di supplica
Terminate le confessioni, il sacerdote recita una litania di supplica a cui si risponde col Kyrie eléison.

Il congedo 
Il sacerdote quindi termina con queste parole che ribadiscono la sua ministerialità, anche per questo mistero il Signore si serve di lui: " La grazia dello Spirito Santo, per mio umile mezzo, vi ha assolto e perdonato ". La veste bella al figlio perduto non gliela dà il Padre. Questi chiama i servi a portare la veste e rivestire il figlio. 
I sacerdoti sono dei servi che rivestono dell'abito della grazia del perdono coloro che hanno confessato i loro peccati al Padre della misericordia, e questa scende su di loro tramite il Figlio nello Spirito Santo. 
La remissione dei peccati è dunque, l'opera grandiosa del perdono e dell'amicizia di Dio, frutto esclusivo del puro e gratuito amore del Cristo misericordioso e crocifisso, e la confessione, che ne deriva, non è solo l’accusa dei peccati ma soprattutto l’accettazione di questo mistero e il riconoscimento di quanto Dio ha fatto e farà sempre per noi.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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