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Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (7)

Ultimo Aggiornamento: 21/08/2018 16:02
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05/04/2018 15:19
 
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INTERVISTA

Burke: Correggere il Papa per obbedire a Cristo
ECCLESIA 05-04-2018

C’è chi accusa di disobbedienza quanti hanno espresso dubbi, domande e critiche all’operato del Papa, ma «la correzione della confusione o dell’errore non è un atto di disobbedienza, bensì un atto di obbedienza a Cristo e perciò al Suo Vicario sulla terra». Così il cardinale Raymond Leo Burke in questa intervista a La Nuova BQ, alla vigilia di un importante convegno che ci sarà a Roma sabato 7 aprile sul tema “Dove va la Chiesa”.

 

Il cardinale Raymond L. Burke

C’è chi accusa di disobbedienza quanti hanno espresso dubbi, domande e critiche all’operato del Papa, ma «la correzione della confusione o dell’errore non è un atto di disobbedienza, ma un atto di obbedienza a Cristo e perciò al Suo Vicario sulla terra». Così si esprime il cardinale Raymond Leo Burke in questa intervista a La Nuova BQ, alla vigilia di un importante convegno che ci sarà a Roma sabato 7 aprile sul tema “Dove va la Chiesa” (clicca qui), di cui lo stesso cardinale Burke sarà uno dei relatori. Il convegno di Roma si svolgerà nel ricordo del cardinale Carlo Caffarra, scomparso lo scorso settembre, uno dei firmatari dei Dubia. Come si ricorderà si tratta di 5 domande a papa Francesco volte ad avere una dichiarazione chiara di continuità con il Magistero precedente in seguito alla confusione creatasi con le diverse e a volte opposte interpretazioni dell’esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia. A quei Dubia, di cui anche il cardinale Burke è un firmatario, mai è stata data risposta né papa Francesco ha mai risposto alla ripetuta richiesta di un’udienza da parte dei cardinali firmatari.

Eminenza, lei sarà uno dei principali relatori al convegno del 7 aprile, che nel nome del cardinal Caffarra si interrogherà sulla direzione della Chiesa. Già dal titolo del convegno si percepisce la preoccupazione per la direzione presa. Quali sono i motivi di tale preoccupazione?
La confusione e la divisione nella Chiesa, sulle questioni fondamentali e più importanti – il matrimonio e la famiglia, i Sacramenti e la giusta disposizione per accedervi, gli atti intrinsecamente cattivi, la vita eterna ed i Novissimi – diventano sempre più diffuse. E il Papa non soltanto rifiuta di chiarire le cose con l’annuncio della costante dottrina e sana disciplina della Chiesa, una responsabilità che è inerente al suo ministero quale Successore di san Pietro, ma aumenta anche la confusione.

Si riferisce anche al moltiplicarsi di dichiarazioni private che vengono riportate da coloro che lo incontrano?
Quello che è successo con l’ultima intervista concessa ad Eugenio Scalfari durante la Settimana Santa e resa pubblica il Giovedì Santo è andato oltre il tollerabile. Che un noto ateo pretenda di annunciare una rivoluzione nell’insegnamento della Chiesa Cattolica, ritenendo di parlare nel nome del Papa, negando l’immortalità dell’anima umana e l’esistenza dell’Inferno, è stata fonte di profondo scandalo non solo per tanti cattolici ma anche per tanti laici che hanno rispetto per la Chiesa Cattolica ed i suoi insegnamenti, anche se non li condividono. Oltretutto il Giovedì Santo è uno dei giorni più santi dell’anno, il giorno in cui il Signore ha istituito il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia e il Sacerdozio, affinché Egli possa offrirci sempre il frutto della Sua redentiva Passione e Morte per la nostra salvezza eterna. Inoltre la risposta della Santa Sede alle reazioni scandalizzate arrivate da tutto il mondo, è stata fortemente inadeguata. Invece di riannunciare chiaramente la verità sulla immortalità della anima umana e sull’Inferno, nella smentita c’è scritto solo che alcune parole citate non sono del Papa. Non dice che le idee erronee, perfino eretiche, espresse da queste parole non sono condivise dal Papa e che il Papa ripudia tali idee quali contrarie alla fede cattolica. Questo giocare con la fede e la dottrina, al livello più alto della Chiesa, giustamente lascia pastori e fedeli scandalizzati.

Se queste cose sono molto gravi, e fonte di imbarazzo, stupisce però anche il silenzio di tantissimi Pastori.
Certo, la situazione è ulteriormente aggravata dal silenzio di tanti vescovi e cardinali che condividono con il Romano Pontefice la sollecitudine per la Chiesa universale. Alcuni stanno semplicemente zitti. Altri fanno finta che non ci sia nulla di grave. Altri ancora diffondono fantasie di una nuova Chiesa, di una Chiesa che prende una direzione totalmente diversa dal passato, fantasticando ad esempio di un “nuovo paradigma” per la Chiesa o di una conversione radicale della prassi pastorale della Chiesa, rendendola completamente nuova. Poi ci sono quelli che sono entusiasti promotori della cosiddetta rivoluzione nella Chiesa Cattolica. Per i fedeli che capiscono la gravità della situazione, la mancanza di direzione dottrinale e disciplinare da parte dei loro pastori li lascia smarriti. Per i fedeli che non capiscono la gravità della situazione, questa mancanza li lascia in confusione ed eventualmente vittime di errori dannosi alle loro anime. Molti che sono entrati nella piena comunione della Chiesa Cattolica, essendosi battezzati in una comunione ecclesiale protestante, perché le loro comunità ecclesiali hanno abbandonato la fede apostolica, soffrono intensamente la situazione: percependo che la Chiesa Cattolica sta andando nella stessa via dell’abbandono della fede.

Quella che lei dipinge è una situazione apocalittica…
Tutta questa situazione mi porta a riflettere sempre più sul messaggio della Madonna di Fátima che ci ammonisce del male - ancora più grave dei gravissimi mali sofferti a causa della diffusione del comunismo ateistico - che è l’apostasia dalla fede dentro la Chiesa. Il n. 675 del Catechismo della Chiesa Cattolica ci insegna che “[p]rima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti“, e che “[l]a persecuzione che accompagna il suo [della Chiesa] pellegrinaggio sulla terra svelerà il «mistero di iniquità» sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità”.

In una tale situazione i vescovi e i cardinali hanno il dovere di annunciare la vera dottrina. Allo stesso tempo devono condurre i fedeli a fare riparazione per le offese a Cristo e le ferite inflitte al Suo Corpo Mistico, la Chiesa, quando la fede e la disciplina non sono giustamente salvaguardate e promosse dai pastori. Il grande canonista del XIII secolo, Enrico da Susa o l’Ostiense, affrontando la difficile questione di come correggere un Romano Pontefice che agirebbe in un modo contrario al suo ufficio, afferma che il Collegio dei Cardinali costituisce un controllo de facto contro l’errore papale.

Senza dubbio, oggi è molto discussa la figura di papa Francesco. Si passa facilmente dall’esaltazione acritica di qualsiasi cosa egli faccia alla critica spietata per ogni suo gesto ambiguo. Ma in qualche modo il problema di come rapportarsi al Papa vale per ogni pontefice. Per cui alcune cose necessitano di essere chiarite. Intanto, cosa rappresenta il Papa per la Chiesa?
Secondo il costante insegnamento della Chiesa, il Papa, per la volontà espressa di Cristo, è “il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli” (Costituzione Dommatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II, n. 23). È l’essenziale servizio del Papa di salvaguardare e promuovere il deposito della fede, la vera dottrina e la sana disciplina coerente con le verità credute. Nell’intervista già citata con Eugenio Scalfari, ci si riferisce compiacenti al Papa come “rivoluzionario”. Ma l’Ufficio Petrino non ha niente, assolutamente niente, da fare con la rivoluzione. Al contrario, esiste esclusivamente per la conservazione e propagazione della fede cattolica immutabile che conduce anime alla conversione di cuore e conduce tutta l’umanità alla unità fondata sull’ordine iscritto da Dio nella Sua creazione e soprattutto nel cuore dell’uomo, l’unica creatura terrena fatta ad immagine di Dio. È l’ordine che Cristo ha restaurato per il Mistero Pasquale che stiamo celebrando in questi giorni. La grazia della Redenzione che promana dal Suo Cuore trafitto glorioso nella Chiesa, nei cuori di suoi membri, dà la forza per vivere secondo questo ordine, cioè in comunione con Dio e con il prossimo. 

Sicuramente il Papa non è un sovrano assoluto, eppure oggi è molto percepito in questo modo. “Se lo dice il Papa…” è il modo comune di troncare qualsiasi domanda o dubbio su alcune affermazioni. C’è una sorta di papolatria. Come vi si risponde?
La nozione della pienezza del potere del Romano Pontefice è stata chiaramente enunciata già da Papa San Leone Magno. I canonisti del Medioevo hanno contributo grandemente all’approfondimento del potere inerente l’Ufficio Petrino. Il loro contributo rimane sempre valido e importante. La nozione è assai semplice. Il Papa, per la volontà divina, gode di tutto il potere necessario per poter salvaguardare e promuovere la vera fede, il vero culto divino, e la richiesta sana disciplina. Questo potere appartiene non alla sua persona ma al suo ufficio di Successore di san Pietro. Nel passato, per lo più, i papi non hanno resi pubblici i loro atti personali o le loro opinioni, proprio per non rischiare che i fedeli siano confusi su quello che fa e pensa il successore di san Pietro. Attualmente, c’è una rischiosa e perfino dannosa confusione della persona del Papa con il suo ufficio che risulta nell’oscuramento dell’Ufficio Petrino e in un concetto mondano e politico del servizio del Romano Pontefice nella Chiesa. La Chiesa esiste per la salvezza delle anime. Qualsiasi atto di un Papa che mina la missione salvifica di Cristo nella Chiesa, sia un atto eretico o sia un atto peccaminoso in se stesso, è semplicemente vuoto dal punto di vista dell'Ufficio petrino. Quindi anche se chiaramente reca gravissimo danno alle anime, non comanda l'obbedienza di pastori e fedeli. Dobbiamo sempre distinguere il corpo dell’uomo che è il Romano Pontefice dal corpo del Romano Pontefice, cioè dell’uomo che esercita l’ufficio di san Pietro nella Chiesa. Non fare la distinzione significa papolatria e finisce con la perdita di fede nell’Ufficio Petrino divinamente fondato e sostenuto.

Nel rapporto con il Papa a cosa un cattolico deve tenere maggiormente?
Il cattolico deve sempre rispettare, in modo assoluto, l’Ufficio Petrino quale parte essenziale dell’istituzione della Chiesa da parte di Cristo. Il momento nel quale il cattolico non rispetta più l’ufficio del Papa si è disposto o allo scisma o alla apostasia dalla fede. Allo stesso tempo, il cattolico deve rispettare l’uomo incaricato con l’ufficio che significa attenzione al suo insegnamento e direzione pastorale. Questo rispetto include anche il dovere di esprimere al Papa il giudizio di una coscienza rettamente formata, quando egli devia o sembra deviare dalla vera dottrina e sana disciplina o abbandona le responsabilità inerenti il suo ufficio. Per il diritto naturale, per i Vangeli, e per la costante tradizione disciplinare della Chiesa, i fedeli sono tenuti ad esprimere ai loro pastori la loro premura per lo stato della Chiesa. Hanno questo dovere al quale corrisponde il diritto di ricevere una risposta dai loro pastori.

Quindi è possibile criticare il Papa? E a quali condizioni?
Se il Papa non adempie il suo ufficio per il bene di tutte le anime, non è soltanto possibile ma anche necessario criticare il Papa. Questa critica deve seguire l’insegnamento di Cristo sulla correzione fraterna nel Vangelo (Mt 18, 15-18). Prima, il fedele o pastore deve esprimere la sua critica in un modo privato, che permetterà al Papa di correggersi. Ma se il Papa rifiuta di correggere il suo modo di insegnare o agire gravemente mancante, la critica deve essere resa pubblica, perché ha da fare con il bene comune nella Chiesa e nel mondo. Alcuni hanno criticato quelli che hanno espresso pubblicamente la critica al Papa quale una manifestazione di ribellione o di disobbedienza, ma domandare – con il rispetto dovuto per il suo ufficio - la correzione di confusione o errore non è un atto di disobbedienza, ma un atto di obbedienza a Cristo e perciò al Suo Vicario sulla terra.  



I VOLUMETTI DI VIGANÒ

Promuovere Francesco ignorando Giovanni Paolo e Benedetto
ECCLESIA 09-04-2018

Continuiamo la lettura dei volumetti sulla "Teologia di papa Francesco", affrontando il saggio di don Roberto Repole dedicato all'ecclesiologia. Laddove risulta che il rapporto tra Chiesa universale e Chiese locali è rovesciato rispetto a quanto codificato dai suoi predecessori.

 

La collana sulla teologia di Francesco

Continuiamo la lettura dei volumetti sulla "Teologia di papa Francesco", editi dalla Libreria Editrice Vaticana, che sono stati al centro del pasticcio che ha coinvolto Benedetto XVI e alla fine provocato le dimissioni di monsignor Dario Edoardo Viganò da prefetto della Segreteria per la Comunicazione. Scopo della collana è l’approfondimento del pensiero teologico dell’attuale Pontefice e la dimostrazione della sua continuità con i predecessori. Dopo aver affrontato i tedeschi Peter Hünermann e Jürgen Werbick, prendiamo ora in esame il lavoro dell'italiano don Roberto Repole, curatore della collana.

Il sogno di una Chiesa evangelica, che si occupa dell’ecclesiologia del Papa, è particolarmente importante perché scritto dal curatore dell’intera collana, don Roberto Repole, torinese, classe 1967, attuale direttore della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, sezione di Torino. Don Repole sceglie una via piuttosto difficile, volendo dimostrare la continuità del Papa con i predecessori, semplicemente ignorando di chiamare in causa tali predecessori. Il Papa più “vecchio” che compare è Giovanni Paolo II, relegato in una noticina, giusto per dire che il suo insegnamento presente in Apostolos Suos, 12 è troppo “all’interno di una cornice ancora tendenzialmente universalistica di Chiesa”.

Questo limite, che risalta, secondo lui, in modo ancora più evidente nella lettera Communionis notio della Congregazione per la Dottrina della Fede (1992), ha fatto sorgere – afferma Repole – “un intenso dibattito teologico che ha visto in Ratzinger e Kasper i due principali protagonisti”. In questa disputa, Francesco ha seguito la posizione di Kasper, sostenitore di una concezione “per cui non si possa intendere l’universalità della Chiesa come realtà previa all’esistenza delle Chiese locali”.

Stranamente si fa finta che Ratzinger sia un teologo che esprime il proprio personale pensiero, dibattendo con un altro teologo (Kasper) e che il Papa attuale avrebbe preferito quest’ultimo. Le cose però sono un tantino diverse: “La Chiesa universale precede le Chiese particolari, e queste devono sempre conformarsi a quella, secondo un criterio di unità e universalità” è un’affermazione che fece Benedetto XVI, in occasione della solennità di Pentecoste del 2010; affermazione da Papa, che riprende in modo sintetico quanto diffusamente spiegato nella già citata Communionis Notio, che egli firma da Prefetto della CDF, con approvazione di un Papa, Giovanni Paolo II. E sempre da Papa pubblicò l’Esortazione Apostolica Ecclesia in Medio Oriente, dove al n. 38 si legge che la Chiesa universale è una realtà preliminare alle Chiese particolari, che nascono nella e dalla Chiesa universale”, precisando che “questa verità riflette fedelmente la dottrina cattolica e particolarmente quella del Concilio Vaticano II. Introduce alla comprensione della dimensione gerarchica della comunione ecclesiale e permette alla diversità ricca e legittima delle Chiese particolari di articolarsi sempre nell’unità”.

È quindi quanto meno curioso che Repole non riporti questi testi, ma riduca il tutto ad una disputa tra teologi, laddove Benedetto XVI intende esporre fedelmente la dottrina cattolica ed anche l’insegnamento del Concilio. Un modo singolare di provare la continuità quello di cancellare qualsiasi testo del Magistero precedente che possa mostrare qualche problema di discontinuità…

Ed infatti Repole presenta una linea diretta tra papa Francesco e il Vaticano II, come se nel frattempo non ci siano stati cinquant’anni di Magistero, che di quel Concilio hanno indicato l’interpretazione. Secondo Repole, l’insegnamento di Francesco segna una “nuova fase di recezione dell’insegnamento ecclesiologico espresso dal Vaticano II”, talmente nuova da non riuscire a trovare agganci se non in Francesco stesso ed in altri nuovi “pontefici”. I più citati: Spadaro, già ben conosciuto; Carlos Maria Galli, decano della Facoltà di teologia di Buenos Aires (della Pontificia Università Cattolica Argentina, il cui rettore è Victor Manuel Fernandez), che con Spadaro ha pubblicato La riforma e le riforme nella Chiesa. Un libro che provocherà la risposta di mons. Agostino Marchetto, che ha dovuto mettere in rilievo come nel volume, gli autori “si situano tutti, o quasi, in una linea unidimensionale di riforma, con sottolineatura della sinodalità-collegialità, senza tener molto presente e sviluppare l’altro polo del fondamentale binomio primato-sinodalità…E proprio per questo, in fondo, monocorde tono del coro e la conseguente unilateralità dell’opera, che è sorta in me l’idea di far udire un’altra voce” (cioè la pubblicazione di Marchetto La riforma e le riforme nella Chiesa. Una risposta).  

Galli - che insieme al gesuita argentino Juan Carlos Scannone, altra firma della collana sulla teologia del Papa - è tra i sostenitori della cosiddetta “teologia del popolo”, è anche autore del volume della collana La Teologia di papa Francescodedicato alla mariologia. Oltre a Spadaro e Galli, l’altra grande auctoritas a cui rinvia il libro di Repole è Kasper. Niente male. Paolo VI, Giovanni Paolo II assenti; Benedetto XVI ridotto a semplice teologo, ma in compenso abbiamo le tre colonne della continuità: Spadaro, Galli e Kasper.

Quest’ultimo poi viene tirato in ballo anche per un’altra chicca: una cosina non proprio indifferente. Le formule dottrinali, scrive Repoli, “sono sempre definitive e provvisorie al tempo stesso, per usare un’espressione adoperata da Kasper già diversi decenni or sono. Tali formulazioni non possono, perciò, costituire un divieto allo sforzo di riesprimere in altri modi quella medesima verità”. Repole, sulla scorta di Evangelii Gaudium, 41, arriva a sostenere che “senza cogliere il senso profondo e il compito delle formule dottrinali, che non impediscono nuove formulazioni… si potrebbe arrivare alla situazione paradossale di sentire un linguaggio formalmente ortodosso che non indirizza al vero Vangelo di Cristo”. Da qui porte aperte a “nuove formulazioni”, a “nuovi linguaggi di espressione della fede”. Per Repole, anche Ratzinger avvallerebbe quanto sopra.

Ora, su un argomento così delicato ci si sarebbe aspettati almeno qualche precisazione in più; e soprattutto, se si cita qualcuno (in questo caso un certo Ratzinger), si dovrebbe esprimere il suo pensiero integralmente, sebbene limitatamente allo spazio a disposizione. Ratzinger, nella frase riportata in nota da Repole, affermava che la formulazione dogmatica certamente non ha la pretesa di essere l’unica possibile, eppure essa obbliga e permane perché “esprime la fede in comune”; cioè per dirla con il documento L’interpretazione dei dogmi, della Commissione Teologica Internazionale (1990), autorizzato dallo stesso cardinal Ratzinger, la Chiesa, per giungere a delle formulazioni, ha sottoposto i termini utilizzati “a un processo di purificazione e di trasformazione o di rielaborazione. Così, ha creato il linguaggio adatto al proprio messaggio”. Proprio per questo, “come comunità della fede, la Chiesa è una comunità nella parola della confessione. Perciò l’unità nelle parole fondamentali della fede fa anche parte… dell’unità della Chiesa”.

La conseguenza di questo processo è diametralmente opposta a quella cui arriva Repole: “Queste parole fondamentali della fede non sono rivedibili, neppure quando ci si propone di non perdere di vista la realtà che è espressa in esse. Ma ci si deve sforzare di assimilarle sempre più e di procedere oltre nella loro spiegazione, grazie a tutta una gamma di forme diverse di evangelizzazione”.

Tout se tient: la posta in gioco è l’unità della Chiesa; se si rinuncia alla precedenza della Chiesa universale rispetto alle chiese particolari, se la sinodalità e la collegialità diventano ipertrofiche, se le formulazioni dogmatiche non solo possono ma devono cambiare, il risultato è che l’unità della Chiesa si frantuma e non a vantaggio di una maggiore libertà dei cristiani, ma per un loro completo naufragio. Ed infatti a tutti questi punti i predecessori di Bergoglio si sono opposti, riequilibrando la barca di Pietro.

La ripetizione mantrica della sinodalità va di pari passo con l’assolutizzazione della concezione della Chiesa come popolo di Dio. Repole decide piuttosto arbitrariamente che “la categoria più importante con cui il Vaticano II ha parlato della Chiesa è stata quella di popolo di Dio”, categoria che diventa centrale nell’ecclesiologia di papa Francesco. Il minimo che si dovrebbe dire è che insieme alla categoria di popolo di Dio, la Sacra Scrittura, la Tradizione della Chiesa, lo stesso Concilio e il Catechismo ne utilizzano altre (Corpo mistico di Cristo, Sposa di Cristo, Tempio dello Spirito Santo, nuova Gerusalemme…), ciascuna delle quali permette di arricchire la nostra comprensione di ciò che permane un mistero e di evitare fughe unilaterali. La stessa Lumen Gentium, subito dopo il secondo capitolo dedicato alla Chiesa popolo di Dio, parla della costituzione gerarchica della Chiesa.

Ma Repole non sembra tenerne molto conto e tira dritto con affermazioni di sconcertante superficialità; secondo lui, l’identificazione della Chiesa come popolo di Dio impedisce di “separare rigidamente una Ecclesia docens ed una Ecclesia discens. All’interno della Chiesa nessuno può essere, infatti, collocato al di sopra degli altri”. Frase certamente ad effetto, adatta alle campagne elettorali, ma non ad un testo di ecclesiologia. Perché un’affermazione così risulta (volutamente?) anfibologica, prestandosi come minimo ad interpretazioni contrarie alla fede cattolica.

Stessa sorte per il continuo ricorrere all’immagine della “Chiesa in uscita” e alla “conversione pastorale”, provocando uno sbilanciamento molto problematico, che finisce con lo snaturare la Chiesa di Dio e la vita cristiana. E’ l’evangelista Marco a ricordare che Gesù “ne costituì Dodici – che chiamò Apostoli – perché stessero con lui e per mandarli a predicare” (Mc. 3, 14): nessuna conversione pastorale, ma semmai cristocentrica.

E’ significativo che in questa presentazione dell’ecclesiologia di Francesco manchi totalmente il riferimento liturgico ed anche quello sacramentale risulta carente. Più correttamente, il cardinal Ratzinger, nel suo noto intervento del 2000 sull’ecclesiologia di Lumen Gentium, faceva notare alcune cose essenziali, sulle quali, non a caso Repole, dice che “si può eccepire”. Così scriveva Ratzinger: “il Vaticano II voleva chiaramente inserire e subordinare il discorso della Chiesa al discorso di Dio, voleva proporre una ecclesiologia nel senso propriamente teo-logico…All’inizio sta l’adorazione. E quindi Dio. Questo inizio corrisponde alla parola della Regola benedettina: Operi Dei nihil praeponatur... La Chiesa si lascia guidare dalla preghiera, dalla missione di glorificare Dio. L’ecclesiologia ha a che fare per sua natura con la liturgia”. Un altro mondo.

E proprio in questo discorso Ratzinger metteva in guardia da alcuni malintesi: “Ero grato e contento, quando il Sinodo del 1985 riportò al centro della riflessione il concetto di «communio». Ma gli anni successivi mostrarono che nessuna parola è protetta dai malintesi, neppure la migliore e la più profonda. Nella misura in cui «communio» divenne un facile slogan, essa fu appiattita e travisata. Come per il concetto di popolo di Dio così si doveva anche qui rilevare una progressiva orizzontalizzazione, l’abbandono del concetto di Dio. L’ecclesiologia di comunione cominciò a ridursi alla tematica della relazione fra Chiesa locale e Chiesa universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l’una e l’altra”. Come dicono a Roma: stiamo da capo a 12.



[Modificato da Caterina63 09/04/2018 08:27]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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