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Conferenze sugli scritti di Joseph Ratzinger

Ultimo Aggiornamento: 15/01/2018 11:33
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15/01/2018 09:23
 
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da J. Ratzinger, Una compagnia sempre riformanda, in J. Ratzinger, La Bellezza. La Chiesa, LEV-Itaca, Roma-Castel Bolognese, pp. 44-46

È diffusa oggi qua e là, anche in ambienti ecclesiastici elevati, l'idea che una persona sia tanto più cristiana quanto più è impegnata in attività ecclesiali. Si spinge ad una specie di terapia ecclesiastica dell'attività, del darsi da fare; a ciascuno si cerca di assegnare un comitato o, in ogni caso, almeno un qualche impegno all'interno della Chiesa. In un qualche modo, così si pensa, ci deve sempre essere un'attività ecclesiale, si deve parlare della Chiesa o si deve fare qualcosa per essa o in essa. Ma uno specchio che riflette solamente se stesso non è più uno specchio; una finestra che invece di consentire uno sguardo libero verso il lontano orizzonte, si frappone come uno schermo fra l'osservatore ed il mondo, ha perso il suo senso. 
Può capitare che qualcuno eserciti ininterrottamente attività associazionistiche ecclesiali e tuttavia non sia affatto un cristiano. Può capitare invece che qualcun altro viva solo semplicemente della Parola e del Sacramento e pratichi l'amore che proviene dalla fede, senza essere mai comparso in comitati ecclesiastici, senza essersi mai occupato delle novità di politica ecclesiastica, senza aver fatto parte di sinodi e senza aver votato in essi, e tuttavia egli è un vero cristiano.








Il testo che mettiamo a disposizione sul nostro sito ha per titolo originario Libertà e verità. E’ apparso a firma dell’allora cardinale Joseph Ratzinger su Studi Cattolici, 430, del dicembre 1996.

Indice


Libertà e verità

Nella coscienza dell'umanità di oggi la libertà appare largamente come il bene più alto, al quale tutti gli altri beni sono subordinati. Nella giurisprudenza la libertà dell'arte, la libertà di espressione del pensiero hanno sempre la preminenza su ogni altro valore morale. Valori che entrino in concorrenza con la libertà, che possano indurre a limitarla, appaiono come vincoli, come "tabù", cioè come relitti di arcaici divieti e timori. L'agire politico deve legittimarsi per il fatto che favorisce la libertà. Anche la religione può continuare a essere accettabile solo nella misura in cui si presenta come forza liberatrice per le singole persone e per l'umanità nel suo insieme. Nella scala dei valori, dai quali dipendono l'uomo e la sua vita umanamente degna, la libertà appare decisamente come il vero valore fondamentale e come il diritto umano fondante

Ci accostiamo invece piuttosto con sospetto alla nozione di verità: ci si ricorda al riguardo di tutti quei sistemi e opinioni per i quali già in passato si è preteso il concetto di verità; quante volte, in tal modo, la pretesa di verità fu un mezzo per opprimere la libertà. A ciò si aggiunge lo scetticismo, alimentato dalle scienze della natura, nei confronti di tutto quanto non sia matematicamente spiegabile o documentabile: tutto in ultimo sembra essere solo valutazione soggettiva, che non può pretendere alcun carattere vincolante comune. L'atteggiamento moderno nei confronti della verità si rivela nel modo più chiaro nella domanda di Pilato: che cos'è la verità? Chi con la sua vita e con la sua parola e azione afferma di essere al servizio della verità, deve essere preparato a venir classificato come sognatore o come fanatico. Infatti "lo sguardo sull'aldilà ci è interdetto"; queste parole di Goethe, tratte dal Faust, connotano la sensibilità di tutti noi

Indubbiamente, davanti a una pretesa di verità che si presenti con troppa sicurezza, vi sono sufficienti motivi per chiedere con prudenza: che cos'è la verità? Ma vi sono altrettanti motivi per porre la domanda: che cos'è la libertà? Cosa intendiamo in realtà quando esaltiamo la libertà e la collochiamo sul gradino più alto della nostra scala di valori? Io credo che il contenuto collegato in generale al desiderio di libertà sia illustrato in modo preciso nelle parole con le quali, una volta, Karl Marx ha espresso il suo sogno di libertà. La condizione della futura società comunista renderà possibile "fare oggi questo, domani quello, al mattino andare a caccia, al pomeriggio pescare, a sera dedicarsi all'allevamento del bestiame, dopo la cena discutere di quanto al momento avrò voglia [...]" [K. MARX - F. ENGELS, Werke, Berlin 1961-1971, vol. 3, p. 33; citazione da K. LÖW, Warum fasziniert der Kommunismus?, Köln 1980, p. 65]. 

Proprio in questo senso la mentalità media irriflessa intende con libertà il diritto e la possibilità di fare tutto ciò che si desidera in un determinato momento e di non dover fare quello che non si vuole. Detto altrimenti: libertà significherebbe che la propria volontà sia l'unica norma del nostro fare e che essa possa volere tutto e abbia anche la possibilità di mettere in pratica tutto ciò che è voluto. A questo punto emergono ovviamente degli interrogativi: quanto è libera in realtà la volontà? E quanto è ragionevole? E una volontà irragionevole è una volontà veramente libera? Una libertà irragionevole è davvero libertà? È veramente un bene? La definizione della libertà a partire dalle possibilità della volontà e dalle possibilità di mettere in pratica ciò che è voluto non deve dunque essere completata mediante il legame con la ragione, con la totalità dell'essere umano, affinché non si giunga alla tirannia dell'irrazionalità? E non apparterrà alla collaborazione fra ragione e volontà di cercare anche la ragione comune a tutti gli uomini e, dunque, la reciproca tollerabilità delle libertà? È evidente che nella questione della ragionevolezza della volontà e del suo legame con la ragione si nasconde implicitamente anche la questione della verità

A tali questioni ci costringono non soltanto astratte riflessioni filosofiche, ma tutta la nostra concreta situazione sociale, in cui effettivamente l'esigenza di libertà è continua, anche se invero sempre più drammaticamente si manifestano dubbi verso tutte le forme dei movimenti di liberazione e dei sistemi di libertà finora conosciute. Non dimentichiamo che il marxismo si è presentato come una grande forza politica del nostro secolo con la pretesa di dischiudere il nuovo mondo della libertà e dell'uomo liberato. Proprio questa sua promessa di conoscere la via scientificamente assicurata verso la libertà e di saper costruire il mondo nuovo gli ha guadagnato molti degli spiriti più audaci della nostra epoca; in definitiva, il marxismo appariva come la forza per mezzo della quale la dottrina cristiana della redenzione poteva trasformarsi in una realistica prassi di liberazione; come la forza per far giungere il regno di Dio in quanto vero regno dell'uomo. Il crollo del socialismo reale negli Stati dell'Europa orientale non ha del tutto allontanato tali speranze, che qua e là persistono silenziose e sono alla ricerca di nuove forme. 

Al crollo politico ed economico non ha corrisposto nessun reale superamento culturale, e in questo senso la questione posta dal marxismo non è ancora affatto risolta. Nondimeno, che il sistema marxista non funzionasse come era stato promesso, è evidente. Che questo presunto movimento di liberazione fosse, accanto al nazionalsocialismo, il più grande sistema di schiavitù della storia contemporanea, nessuno può in realtà più negarlo: le dimensioni della cinica distruzione dell'uomo e del mondo vengono invero spesso vergognosamente taciute, ma nessuno può più contestarle. 

La superiorità morale del sistema liberale in politica e in economia, apparsa con tanta evidenza, non suscita tuttavia alcun entusiasmo. Troppo grande è il numero di coloro che non partecipano dei frutti di questa libertà, anzi, perdono completamente ogni libertà: la disoccupazione diviene nuovamente un fenomeno di massa; la sensazione dell'inutilità, della superfluità, angoscia le persone non meno della povertà materiale. Lo sfruttamento senza scrupoli si diffonde; la criminalità organizzata si avvale delle opportunità offerte dal mondo liberale, e in tutto si aggira il fantasma della mancanza di senso. 

Il filosofo polacco Andrej Szizypiorski, nel corso delle Settimane universitarie di Salisburgo del 1995, ha impietosamente descritto il dilemma della libertà, presentatosi dopo la caduta del muro; merita di essere ascoltato più estesamente: "Non vi è alcun dubbio che il capitalismo abbia realizzato un grande progresso. E neppure vi è alcun dubbio che esso non abbia soddisfatto le attese. Nel capitalismo si continua a udire il grido di masse immense, il cui desiderio non è stato soddisfatto [...]. Il crollo della concezione sovietica del mondo e dell'uomo nella prassi politica e sociale è stata una liberazione dalla schiavitù per milioni di vite umane. Ma nel patrimonio del pensiero europeo, alla luce della tradizione degli ultimi due secoli, la rivoluzione anticomunista significa anche la fine delle illusioni illuministiche; la distruzione, dunque, della concezione intellettuale che stava a fondamento dello sviluppo della prima Europa. È subentrata un'epoca strana, a nessuno finora nota, quella dell'uniformizzazione dello sviluppo. E d'improvviso si è reso evidente - certo per la prima volta nella storia - che vi era solo un'unica ricetta, un'unica strada, un unico modello e un'unica maniera di configurare il futuro. E gli uomini persero la fede nel senso dei mutamenti in atto. Persero anche la speranza che il mondo fosse realmente modificabile e che valesse la pena modificare il mondo [...]. L'attuale mancanza di alternative fa tuttavia porre alla gente domande del tutto nuove. La prima domanda: e se forse l'Occidente non aveva ragione? La seconda domanda: ma se l'Occidente non aveva ragione, chi aveva allora ragione? Poiché per nessuno in Europa può esserci dubbio che il comunismo non avesse ragione, sorge la terza domanda: esiste davvero una ragione? Ma se così è, tutto il patrimonio di pensiero dell'illuminismo non ha alcun valore [...]. Forse la vaporiera dell'illuminismo, andata a riposo dopo due secoli di utile lavoro, senza guasti, si è fermata davanti ai nostri occhi e con la nostra partecipazione. E il vapore soltanto sale nell'aria. Se le cose stanno effettivamente così, le prospettive sono allora oscure" [Cito dal manoscritto reperibile presso le Settimane universitarie di Salisburgo]. 

Sebbene si possano qui porre anche delle controdomande, il realismo e la logica degli interrogativi di fondo di Szizypiorski non devono venir accantonati; ma, al tempo stesso, la diagnosi è così inquietante che non ci si può fermare ad essa. Non aveva ragione nessuno? Forse non esiste una ragione? I fondamenti dell'illuminismo europeo, sui quali si appoggia il nostro cammino di libertà, sono falsi o almeno carenti? La domanda: "Che cos'è la libertà?" non è in fondo meno complicata della domanda: "Che cos'è la verità?". Il dilemma dell'illuminismo, nel quale ci siamo innegabilmente venuti a trovare, ci costringe a porre in modo nuovo entrambe le questioni e anche a cercare nuovamente il loro collegamento. Per andare avanti, dobbiamo dunque riflettere di nuovo sul punto di partenza del cammino moderno della libertà; la correzione di rotta, di cui abbiamo manifestamente bisogno affinché nell'oscuramento delle prospettive siano nuovamente visibili delle vie, deve ritornare ai medesimi punti di partenza e di lì ricominciare. Naturalmente, nel ristretto ambito di una conferenza posso solo cercare di gettare alcuni sprazzi di luce, accennando ai valori e ai pericoli del cammino dell'epoca moderna, per aiutare così una rinnovata riflessione.

La moderna storia della libertà

Non vi è alcun dubbio: l'epoca che chiamiamo età moderna è determinata sin dall'inizio dal tema della libertà; la ricerca di nuove libertà è certamente l'unico motivo che giustifica una tale periodizzazione. Lo scritto polemico di Lutero, Della libertà del cristiano, dà subito inizio al tema in toni forti [Al riguardo cfr per esempio E. LOHSE, Martin Luther, München 198 1, pp. 60 s.; 86 ss.]. Fu il richiamo della libertà che rese attente le persone, che mise in moto una vera valanga e fece scaturire dagli scritti di un monaco un movimento di massa che modificò radicalmente il volto del mondo medioevale. Si trattava della libertà della coscienza nei confronti dell'autorità ecclesiastica; quindi, in assoluto, della più intima libertà dell'uomo. Non gli ordinamenti della comunità salvano l'uomo, ma la sua fede totalmente personale in Cristo. Che d'improvviso tutto il sistema dell'ordinamento della Chiesa medioevale non contasse fondamentalmente più, fu avvertito come un formidabile impulso di liberazione. Gli ordinamenti, che in verità dovevano sostenere e salvare, apparvero. come un peso; essi non sono più vincolanti, cioè non hanno più alcun significato redentivo. La redenzione è liberazione, liberazione dal giogo degli ordinamenti sovraindividuali. Anche se non si dovrebbe parlare di individualismo della Riforma, tuttavia la nuova rilevanza del singolo e lo spostamento della relazione tra la coscienza del singolo e l'autorità sono tratti salienti. Questo movimento di liberazione rimase certo limitato sul piano propriamente religioso. Laddove esso, come nella guerra dei contadini e nel movimento dei battisti, divenne anche un programma politico, Lutero vi si oppose con forza. Nell'ambito politico, al contrario, con la creazione delle Chiese di Stato e territoriali il potere dell'autorità civile si accrebbe e rafforzò. Nel mondo anglosassone, poi, da questa nuova mescolanza di potere religioso e potere politico fuoriescono le Freechurches (libere Chiese), le quali diventano precorritrici di una nuova struttura della storia, che nella seconda fase dell'evo moderno, l'illuminismo, assume chiara configurazione. 

Comune a tutto l'illuminismo è la volontà di emancipazione, anzitutto nel senso del kantiano sapere aude: osa di fare uso tu stesso della tua ragione. Si tratta del distacco della ragione del singolo dai vincoli dell'autorità, i quali devono essere tutti criticamente esaminati. Solo ciò che è ragionevolmente comprensibile deve valere. Questo programma filosofico è per sua essenza anche un programma politico: solo la ragione deve dominare, in ultimo non deve esserci altra autorità se non quella della ragione. Solo ciò che è comprensibile ha valore; ciò che non è ragionevole, cioè comprensibile, non può neppure obbligare. Questo orientamento di fondo dell'illuminismo si riscontra tuttavia in filosofie sociali e in programmi politici diversi, anzi contrapposti. A mio parere si potrebbero distinguere due grandi correnti: il filone anglosassone più orientato secondo il diritto naturale, che tende alla democrazia costituzionale come l'unico sistema realistico di libertà; a esso si contrappone l'approccio radicale di Rousseau, che in ultimo mira all'anarchia piena. Il pensiero giusnaturalistico critica il diritto positivo, le forme concrete di autorità, a partire dal criterio di misura dei diritti innati della persona, che precedono tutti gli ordinamenti giuridici, di cui sono la misura e il fondamento. 

"L'uomo è creato libero, è libero, foss'anche nato in catene", ha detto in questo senso Friedrich von Schiller. Non è questa una frase per consolare gli schiavi con una riflessione metafisica, ma una parola di lotta, una massima d'azione. Gli ordinamenti giuridici che creano schiavitù sono ordinamenti ingiusti. A partire dalla creazione l'uomo possiede diritti, che devono essere fatti valere perché vi sia giustizia. La libertà non viene concessa all'uomo dall'esterno. Egli ha un diritto per il fatto che è stato creato libero. Da una tale riflessione si è sviluppata l'idea dei diritti dell'uomo come Magna charta del moderno movimento della libertà. 

Se qui si parla di natura, essa non è dunque semplicemente intesa come un sistema di ritmi biologici. Piuttosto, viene detto che prima di ogni forma di ordinamento esistono dei diritti nell'uomo stesso, a partire dalla sua natura. L'idea dei diritti dell'uomo è, in questo senso, anzitutto un'idea rivoluzionaria: essa si pone contro l'assolutismo dello Stato, contro l'arbitrio della legislazione positiva. Ma è anche un'idea metafisica: nell'essere stesso si fonda una pretesa etica e giuridica. Non è cieca materialità, che si possa poi modificare secondo la mera convenienza. La natura reca in sé uno spirito, porta in se stessa ethos e dignità e costituisce così il diritto alla nostra liberazione e ne è insieme la misura. Questo, in fondo, è sostanzialmente il concetto di natura di Romani 2, ispirato alla Stoa e trasformato a partire dalla teologia della creazione che qui incontriamo: i pagani conoscono la legge "per natura" e sono così legge a se stessi (cfr Rm 2,14). 

La specifica caratteristica illuministico-moderna di questa linea di pensiero si potrà certamente vedere nel fatto che la pretesa di un diritto della natura è, nei confronti delle forme di autorità costituite, soprattutto rivendicazione dei diritti dell'individuo nei confronti dello Stato, nei confronti delle istituzioni. Come natura dell'uomo viene prima di tutto considerato che egli ha dei diritti di fronte alla comunità, diritti che devono essere difesi davanti alla comunità: l'istituzione appare come il polo opposto alla libertà; come portatore della libertà appare l'individuo e come scopo di essa la piena emancipazione dell'individuo. 

Da tale punto di vista questa corrente si avvicina al secondo orientamento, dall'impostazione molto più radicale: per Rousseau tutto ciò che è stato elaborato dalla ragione e dalla volontà è contro la natura, ne è la corruzione e la negazione. Il concetto di natura non è a sua volta plasmato dal concetto di diritto, che come legge di natura si troverebbe al fondamento di tutte le nostre istituzioni. Il concetto rousseauiano di natura è antimetafisico, legato al sogno della libertà totale, senza alcuna regola [Cfr D. WYSS, Zur Psychologie und Psychopathologie der Verblendung: J. J. Rousseau und M. Robespierre, die Begründer des Sozialismus, in "Jahres - und Tagungsbericht der Görres - Gesellschaft", 1992, pp. 33-45; R. SPAEMANN, Rousseau - Bürger ohne Vaterland. Von der Polis zur Natur, München 1980]. 

Qualcosa di simile riemerge in Nietzsche, che contrappone l'ebbrezza dionisiaca all'ordine apollineo ed evoca così i contrasti originari della storia della religione: gli ordinamenti della ragione, simboleggiata da Apollo, corrompono la libera, illimitata ebbrezza della natura [Cfr P. KÖSTER, Der sterbende Gott. Nietzsches Entwurf übermenschlicher Grösse, Meisenheim 1972; R. LÖW, Nietzsche Sophist und Erzieher, Weinheim 1984]. Klages ha ripreso lo stesso motivo con l'idea dello spirito come avversario dell'anima: lo spirito non è il grande, nuovo dono, nel quale soltanto finalmente si darebbe libertà, ma il disgregatore dell'originario con la sua passionalità e la sua libertà [Cfr Th. STEINBÜCHEL, Die Philosophische Grundlegung der christlichen Sittenlehre, I 1, Düsseldorf 19473, pp. 118-132]. 

Da un certo punto di vista questa dichiarazione di guerra allo spirito è antilluministica, e in questo senso il nazionalsocialismo poteva richiamarsi a tali orientamenti nella sua ostilità verso l'illuminismo e nel suo culto di "sangue e terra". Ma il motivo di fondo dell'illuminismo, il grido alla libertà, non solo è presente anche qui, ma è portato alla sua forma più radicale. Nei radicalismi politici del secolo passato, come di quello presente, tali tendenze rispuntano continuamente in modalità molteplici di fronte alla forma democratica addomesticata della libertà. La rivoluzione francese, iniziata con un'idea democratica costituzionale, recise rapidamente da sé questi legami e si mise sui binari di Rousseau e del concetto anarchico di libertà; proprio così essa divenne, inevitabilmente, una dittatura sanguinaria. 

Anche il marxismo continua questa linea estrema: esso ha sempre criticato la libertà democratica come libertà apparente e promesso una libertà migliore, più radicale. Il suo fascino veniva anzi proprio dal fatto che prometteva una libertà più grande, e più audace, di quella realizzata nelle democrazie. Due aspetti del sistema marxista mi sembrano essere particolarmente importanti per la problematica della libertà nell'epoca moderna e per il problema della libertà e verità: 

a) il marxismo muove dall'idea che la libertà è indivisibile; quindi, come tale, sussiste solo se è la libertà di tutti. La libertà è legata all'uguaglianza: perché vi sia libertà, deve anzitutto essere stabilita l'uguaglianza. Ciò significa che, al fine della piena libertà, sono necessarie rinunce di libertà. La solidarietà di coloro che combattono per la libertà di tutti precede la realizzazione delle libertà individuali. La citazione di Marx, dalla quale siamo partiti, mostra che in realtà alla fine l'idea della libertà illimitata dell'individuo è di nuovo presente, ma per il momento vige la superiorità dell'aspetto comunitario, la superiorità dell'uguaglianza sulla libertà e dunque il diritto della comunità rispetto all'individuo

b) Collegato con quanto precede è il presupposto che la libertà del singolo dipenda dalla struttura dell'insieme e che la lotta per la libertà debba essere condotta innanzitutto non come lotta per i diritti dell'individuo, ma come lotta per una struttura del mondo diversa. Di fronte alla questione di quale aspetto questa struttura debba avere, e quali siano pertanto i mezzi razionali per la sua edificazione, al marxismo è manifestamente mancato il respiro. Infatti anche un cieco poteva vedere che nessuna delle strutture costruite rendeva reale quella libertà, a motivo della quale era richiesta la rinuncia alla libertà stessa. 

Ma gli intellettuali sono ciechi, laddove si tratta delle creazioni del loro pensiero. Per questa ragione hanno potuto rinunciare a ogni realismo e continuare a combattere per un sistema, le cui promesse non potevano essere mantenute. Ci si aiutò con una fuga nella mitologia: la nuova struttura avrebbe creato un uomo nuovo, poiché, in realtà, solo con un uomo nuovo, con uomini totalmente diversi, le promesse avrebbero potuto trovare attuazione. Se nell'istanza della solidarietà e nell'idea dell'indivisibilità della libertà si trova la connotazione morale del marxismo, nel suo preannuncio dell'uomo nuovo si fa manifesta una menzogna che paralizza anche l'approccio morale. Verità parziali sono collegate a una menzogna, e per questo l'insieme fallisce: la menzogna sulla libertà vanifica anche gli elementi veri. La libertà senza la verità non è libertà. 

Noi siamo oggi a questo punto. Siamo giunti di nuovo esattamente alle problematiche che Szizypiorski ha formulato così drasticamente a Salisburgo. Che cos'è la menzogna, ora lo sappiamo, almeno in relazione alle forme di marxismo finora realizzate. Ma che cos'è la verità, lo ignoriamo ancora. Sì, il timore cresce: non esiste affatto una verità? Non esistono affatto la giustizia e il diritto? Ci dobbiamo accontentare di ordinamenti sempre provvisori per garantire il minimo di moralità e di convivenza pacifica? Ma anche questi ordinamenti minimi hanno davvero successo, come mostrano i recentissimi sviluppi nei Balcani e in tante altre parti del mondo? Lo scetticismo cresce e le sue ragioni si rafforzano, e tuttavia non scompare la volontà di un mondo migliore, di un mondo della perfetta libertà. 

La sensazione che la democrazia non sia ancora la forma giusta della libertà è abbastanza generale e si diffonde sempre più. La critica marxista della democrazia non può facilmente essere messa da parte: quanto libere sono le elezioni? Quanto è manipolata la volontà mediante la pubblicità, dunque tramite il capitale, tramite alcuni padroni dell'opinione pubblica? Non esiste forse la nuova oligarchia di coloro che determinano che cosa è moderno e progressista, che cosa deve pensare una persona illuminata? La crudeltà di questa oligarchia, la sua possibilità di condanne pubbliche, è da tempo conosciuta. Chi volesse opporsi è un nemico della libertà, perché egli impedisce la libera espressione del pensiero. E che cosa dire della formazione del consenso negli organi di rappresentanza democratica? Chi potrebbe ancora credere che il bene comune sia ivi l'elemento davvero determinante? Chi potrebbe dubitare del potere di interessi, le cui mani sporche divengono visibili sempre più di frequente? E più in generale: il sistema della maggioranza e minoranza è veramente un sistema di libertà? E associazioni di interessi di ogni tipo non stanno diventando decisamente più forti della rappresentanza propriamente politica, del Parlamento? In questo groviglio di poteri cresce in modo sempre più minaccioso il problema dell'ingovernabilità: la volontà di affermazione dei diritti dei gruppi opposti blocca la libertà dell'insieme. 

C'è senza dubbio la tentazione di soluzioni autoritarie, la fuga davanti alla libertà non padroneggiata. Ma questo atteggiamento non è ancora determinante per lo spirito del secolo. La corrente radicale dell'illuminismo non ha perduto la sua efficacia, diviene anzi più forte. Proprio di fronte ai limiti della democrazia diventa più forte il grido verso una totale libertà. E, comunque, nella mentalità dominante "legge e ordine" hanno sempre decisamente il significato di opposizione alla libertà. Istituzione, tradizione, autorità appaiono in sé come il polo opposto alla libertà. La nota anarchica del desiderio di libertà si fa più forte, perché le forme vigenti della libertà comunitaria non soddisfanno. Le grandi promesse dell'inizio dell'epoca moderna non sono state mantenute, ma il loro fascino è inalterato. La vigente forma democratica della libertà non può più oggi essere difesa semplicemente con questa o quella riforma legislativa. La questione tocca i fondamenti stessi. Si tratta di che cosa è l'uomo e di come egli, in quanto singolo e nel suo insieme, possa vivere giustamente. 

Come si vede, il problema politico, filosofico e religioso della libertà è diventato un tutto inscindibile; chi cerca vie per il futuro, deve tenere in considerazione l'insieme e non può accontentarsi di pragmatismi superficiali. Prima di tentare nell'ultima parte di indicare alcune linee per un cammino che sembra per me aprirsi, vorrei ancora gettare uno sguardo sulla filosofia della libertà forse più radicale del nostro secolo, quella di Jean Paul Sartre, nella quale il problema appare in tutta la sua serietà e in tutta la sua gravità. Sartre percepisce la libertà dell'uomo come la sua condanna. A differenza dell'animale, l'uomo non ha nessuna "natura". L'animale vive la sua esistenza secondo una norma in lui innata; non ha bisogno di riflettere su che cosa deve fare della sua vita. Ma l'essere uomo è indeterminato. È un problema aperto. Io stesso devo decidere che cosa voglio intendere con essere uomo, che cosa farne, come configurarlo. L'uomo non ha alcuna natura, ma è solo libertà. Deve vivere la vita da qualche parte, ma comunque essa finisce nel vuoto. Questa libertà senza un significato è l'inferno dell'uomo. Ciò che allarma in questa impostazione di pensiero è che qui la separazione di libertà e verità è portata alle estreme conseguenze: non esiste nessuna verità. La libertà non ha nessuna direzione e nessun criterio [Cfr J. PIEPER, Kreatürlichkeit und menschliche Natur. Anmerkungen zum philosophischen Ansatz von J. P. Sartre, in ID., "Über die Schwierigkeit, heute zu glauben", München 1974, pp. 304-321]. Ma questa totale assenza di verità - la totale assenza di ogni legame anche morale e metafisico, la libertà assolutamente anarchica come determinazione essenziale dell'essere umano - si svela, per colui che cerca di viverla, non come l'esaltazione suprema dell'esistenza, ma come la vanificazione della vita, come il vuoto assoluto, come la definizione della condanna. Nell'estrapolazione di un radicale concetto di libertà, che per Sartre stesso fu esperienza di vita, diviene visibile che la liberazione dalla verità non produce la pura libertà, ma la toglie. La libertà anarchica, assunta in modo radicale, non redime l'uomo, ma ne fa una creatura fallita, un essere senza senso.

   continua








Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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