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Conferenze sugli scritti di Joseph Ratzinger

Ultimo Aggiornamento: 15/01/2018 11:33
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15/01/2018 09:30
 
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da un’omelia pronunciata a Monaco da J. Ratzinger nel dicembre 1979 

Il magistero ecclesiale protegge la fede dei semplici; di coloro che non scrivono libri, che non parlano in televisione e non possono scrivere editoriali nei giornali: questo è il suo compito democratico. Esso deve dare voce a quelli che non hanno voce.

[...]

Non sono i dotti a determinare ciò che è vero della fede battesimale, bensì è la fede battesimale che determina ciò che c’è di valido nelle interpretazioni dotte. Non sono gli intellettuali a misurare i semplici, bensì i semplici misurano gli intellettuali. Non sono le spiegazioni intellettuali la misura della professione di fede battesimale, bensì la professione di fede battesimale, nella sua ingenua letteralità, è misura di tutta la teologia. Il battezzato, colui che sta nella fede del battesimo, non ha bisogno di essere ammaestrato. Egli ha ricevuto la verità decisiva e la porta con sé con la fede stessa.

[...]

Dovrebbe essere finalmente chiaro anche che dire dell’opinione di qualcuno che essa non corrisponde alla dottrina della Chiesa cattolica non significa violare i diritti umani. Ciascuno deve avere il diritto di formarsi e di esprimere liberamente la propria opinione. La Chiesa con il Concilio Vaticano II si è dichiarata decisamente a favore di ciò e lo è ancora oggi. Ma ciò non significa che ogni opinione esterna debba essere riconosciuta come cattolica. Ciascuno deve potersi esprimere come vuole e come può davanti alla propria coscienza. La Chiesa deve poter dire ai suoi fedeli quali opinioni corrispondono alla loro fede e quali no. Questo è un suo diritto e un suo dovere, affinché il sì rimanga sì e il no no, e si preservi quella chiarezza che essa deve ai suoi fedeli e al mondo.






Unde malum? Da dove viene il male?
Per una riflessione teologica.

E' il testo dal titolo Liquidazione del diavolo, ripubblicato in J.Ratzinger, Dogma e predicazione,Queriniana, Brescia, 1974, pp.189-197.

Esse prendono avvio dalla valutazione critica di un intervento dell'esegeta H.Haag che, negli anni sessanta, si era espresso contro l'idea dell'esistenza del Maligno.
 
Il vangelo della prima domenica di quaresima, che riferisce la tentazione di Gesù ad opera di «Satana», dà occasione di anno in anno di meditare su quella misteriosa potenza, che si nasconde dietro il nome di «Satana». Un ulteriore impulso a questo problema venne alcuni anni fa da Tubinga; nel 1969 Herbert Haag, professore di Antico Testamento, vi aveva pubblicato un libretto con il significativo titolo di La liquidazione del diavolo?.

Questo libretto culmina nella frase: «Noi abbiamo già compreso che nel Nuovo Testamento il concetto di 'diavolo' sta semplicemente al posto del concetto di 'peccato'» (p. 52). Al papa, che aveva sottolineato la reale esistenza di Satana e si era dichiarato contrario alla sua dissoluzione in qualcosa di astratto, Haag ha di recente rimproverato di ricadere nella visione del mondo giudaica dei primi tempi; Paolo VI farebbe confusione, nella Sacra Scrittura, tra visione del mondo ed espressione della fede. Cosa si può dire di ciò? E' importante qui, anzitutto, una precisazione metodologica. Neppure Haag può negare che nel Nuovo Testamento Satana e i demoni giochino un ruolo importante.

Non può contestare nemmeno il fatto che nel Nuovo Testamento il termine «diavolo» non rappresenta affatto un sinonimo di peccato, ma allude ad una potenza esistente; l'uomo è abbandonato ad essa e ne viene liberato per opera di Cristo, perché solo lui, nella sua qualità di «più forte» può legare l'uomo «forte» (Lc11,22; cfr. Mc. 3,27). La supposizione che si avrebbe conosciuto la possibilità di sostituire diavolo con peccato sorge in Haag per via induttiva, senza un vero e proprio fondamento; il «fondamento» si nasconde in una formulazione, che per la sua ovvietà potrebbe indurre a rinunciare ad un esame più preciso: «Nel significato delle forme di pensiero giudaiche di allora il diavolo appare nel Nuovo Testamento come l'esponente del male. Gesù e gli apostoli si muovono entro queste forme di pensiero allo stesso modo del loro ambiente» (p. 47).

Qui si ammette — come il testo afferma indiscutibilmente — che Gesù e gli apostoli fossero convinti dell'esistenza di potenze demoniache; nello stesso tempo, però, si presuppone come del tutto evidente che essi fossero vittime «delle forme di pensiero giudaiche di allora». Da qui non è difficile derivare la conclusione seguente, che cioè «questa concezione non è più conciliabile con la nostra immagine del mondo» (p. 27). Ciò significa che il motivo per il «commiato dal diavolo» non poggia sulle affermazioni bibliche, le quali sostengono il contrario, ma sulla nostra visione del mondo, con la quale esso sarebbe «inconciliabile». In altre parole, Haag congeda il diavolo non come esegeta, come interprete della Scrittura, ma come persona del nostro tempo, che ritiene improponibile l'esistenza di un diavolo. L'autorità in forza della quale egli asserisce il suo giudizio non è, dunque, quella di interprete della Bibbia, ma la visione del mondo a lui contemporanea.

Si potrebbe pensare di aver così eliminato il problema, perché è chiaro ormai che Haag giudica quello che è «conciliabile» con il pensiero moderno, contro il testo della Bibbia, sulla base della sua concezione. Ma la questione non è così semplice perché, in realtà, ci sono delle espressioni nella Bibbia, che non si possono reputare come testimonianza della fede, ma devono venir considerate come struttura della visione dei mondo, nella quale quell'idea particolare si esprime. Questo vale ad esempio per la visione del mondo geocentrica, che venne difesa in un primo momento, contro Copernico e Galilei, come dottrina biblica, finché si riconobbe che la Bibbia non è competente per problemi di astronomia; ciò vale per l'interrogativo sull'origine del mondo; per un certo tempo si volle vederla descritta letteralmente nel primo capitolo della Genesi, finché si ritrovò la strada per dar ragione di nuovo alla chiesa antica nell'ammettere che qui si tratta di affermazioni della potenza di Dio e del compito dell'uomo, ma non di informazioni scientifiche. Si dovrà dichiarare pure che non è affatto sempre chiaro fin dove arrivi l'affermazione di fede della Bibbia e cosa sia soltanto una strumentalizzazione del suo tema peculiare, determinata dal tempo.

Nel medioevo l'idea della terra come centro dell'universo si era fusa così strettamente con la fede nell'incarnazione di Dio, con la speranza in un nuovo cielo e una nuova terra, che la visione del mondo eliocentrica apparve come un attacco al nucleo stesso della fede. Perché Dio infatti dovrebbe essersi fatto uomo su un pianeta privo di importanza dal punto di vista astronomico, posto in mezzo ad un gigantesco universo? La decisiva azione salvifica non era stata privata di una degna sede? Solo con una faticosa lotta si poté arrivare a capire cosa è necessario, e cosa non lo è, per credere nella «discesa» di Dio. Per questo parla a sfavore di Haag la semplicità con cui egli stabilisce ciò che è conciliabile o meno con la visione moderna del mondo; parla contro di lui la falsa pretesa di decidere in qualità di esegeta, benché egli parli come filosofo e la sua unica filosofia consista evidentemente in una irriflessiva modernità. Ma non è ancora stato deciso in senso univoco il problema se qui, forse, non ci si trovi realmente davanti solo ad un modo di vedere determinato dalla visione del mondo, il cui contenuto reale si debba separare dalla forma.

Sorge perciò l'interrogativo: come si può chiarire ciò? Come si può evitare che vengano qui ripetuti degli scontri falsi e dannosi come la disputa con Galileo? Come si può impedire, viceversa, che la modernità venga amputata per amore della fede stessa?

Anche questo è accaduto, da Reimarus fino ai cristiani tedeschi del Terzo Reich; nel mettere in guardia da nuovi casi Galileo, si tace in genere su questo fatto, benché gli effetti di cristianesimi così conformistici fossero probabilmente molto più catastrofici del processo a Galilei, che non fu soltanto un prodotto dell'ostinatezza ecclesiastica, ma la lotta di un'intera società, la quale doveva imparare a superare la scossa ricevuta dai principi spirituali della storia fin'allora vissuta ed a distinguere di nuovo, nel cambiamento dei tempi, tra «stelle fisse» e «pianeti», tra orientamento persistente e movimento transitorio. Non esistono criteri che si possano impiegare subito, e senza tema d'errare, in ogni caso che si presenti; il tracciare dei confini rimane un compito, che richiede anche un continuo sforzo spirituale; si potrà comprendere così una lotta per i confini della fede, finché, per un verso, rimane la disponibilità alla correzione sulla base di un sapere dimostrato e, dall'altra parte, si riconosce che una fede può venir realizzata soltanto nella fede comune con la chiesa; quello che di volta in volta viene considerato sostenibile o meno, non è soggetto alle disposizioni di decisioni private. Anche se non esiste criterio alcuno, che in tutti i singoli casi indichi automaticamente, volta per volta, dove termina la fede e dove inizia la visione del mondo, esistono tuttavia una serie di aiuti per giudicare, i quali indicano la strada da seguire nella ricerca di delucidazioni. Io ne nomino quattro.

Un primo criterio deriva dal rapporto dei due Testamenti. La Bibbia non esiste in uniformità, ma nell'accordo tra Antico e Nuovo Testamento, che nel loro porsi di fronte e nella loro unità si commentano a vicenda. Si deve affermare anzitutto che l'Antico Testamento ha valore soltanto in unione col Nuovo, sotto i suoi segni, per mezzo della sua rapportabilità, come pure che il Nuovo Testamento dischiude il suo contenuto solo grazie al suo continuo riferirsi all'Antico. Questo dato di fatto è generalmente riconosciuto per quanto riguarda le prescrizioni legislative dell'Antico Testamento; esse non hanno valore di legge nella loro letteralità, ma valgono in quanto sono una parte della storia che porta a Cristo, che è terminata in lui. La stessa regola di base, che Paolo ha chiaramente formulato per la questione della legge, determina in generale la relazione dei Testamenti. Se nell'ultimo secolo la si avesse avuta così chiaramente davanti agli occhi come l'ebbero i padri della chiesa, si sarebbe evitata tutta la disputa sul racconto della creazione. In base ad essa, infatti, il racconto della creazione della Genesi non ha valore diretto, come testo veterotestamentario, nella sua nuda letteralità, ma in quanto viene accolto nella prospettiva del Nuovo Testamento, nell'ambito della cristologia. Se si usa questo criterio, si vede che Gv. 1,1 è l'assunzione neotestamentaria del testo della Genesi, la cui vivace descrizione viene riassunta nell'unica affermazione: in principio era il Verbo.

Tutto il resto viene così rimandato nel mondo delle immagini. Ciò che rimane è la provenienza della creazione dalla parola, la quale si rispecchia nell'Antico Testamento in molte parole. Che senso ha questo criterio per le nostre questioni? Chi lo usa va incontro ad un risultato sconcertante. Mentre noi nel problema della creazione e nella questione della legge trovavamo, nel porre il Nuovo Testamento di fronte all'Antico, la tendenza alla concentrazione, al riassunto in un semplice punto centrale, qui appare esattamente il contrario, la tendenza cioè all'espansione; la presentazione di potenze demoniache appare nell'Antico Testamento soltanto gradualmente; nella vita di Gesù invece possiede un peso incredibile, che rimane immutato in Paolo e si mantiene fino agli ultimi scritti del Nuovo Testamento, nelle lettere della prigionia e nel vangelo di Giovanni. Questo processo di intensificazione, di estrema cristallizzazione del demoniaco — che avviene nel passaggio dall'Antico al Nuovo Testamento, proprio in contrapposizione alla figura di Gesù — e la persistenza del tema nell'intera testimonianza neotestamentaria possiedono una notevole forza espressiva. A partire da qui si potrà dire che nella storia iniziale della fede veterotestamentaria l'affermazione di potenze demoniache doveva rimanere in disparte, perché si doveva far accettare, in primo luogo, contro ogni dualità, la fede nel Dio uno ed unico.

In un ambiente saturo di dei, che osservava incerto i cambiamenti tra dei buoni e cattivi, il richiamo a Satana avrebbe tolto la sua chiarezza alla decisiva professione religiosa. Solo quando la tesi dell'unico Dio, con tutte le sue conseguenze, era divenuta possesso imperturbabile di Israele, fu possibile allargare lo sguardo a delle potenze che superavano la dimensione dell'uomo, senza poter mettere in discussione Dio, nella sua unicità. Questo processo storico rimane importante in quanto anche oggi dà un parere vincolante sull'ordine gerarchico della conoscenza di fede. Al primissimo posto sta l'essere Dio di Dio, la sua unicità. La fede cristiana va verso Dio e, a partire da lui, vede il mondo; il cristiano, come dice Gregorio di Nissa a proposito del libro di Qohelet (2,14), ha i suoi occhi nella testa, cioè in alto, non in basso. Egli sa che colui che teme Dio non deve temere niente e nessuno e il timore di Dio è fede, qualcosa di molto diverso da un timore servile, da una paura dei demoni. Ma esso è anche qualcosa di molto diverso da un coraggio millantatore, che non vuol vedere la serietà della realtà. E' proprio del vero coraggio non nascondersi le dimensioni del pericolo, ma essere in grado di percepire la realtà nel suo insieme. E ciò chiarifica anche il fenomeno dell'intensificazione: quanto più l'uomo sta dalla parte di Dio, tanto più egli diventa realistico; quanto più chiari si mostrano i confini della realtà, tanto più chiara diventa anche la contrapposizione a ciò che è santo: le belle maschere del demonio non ingannano più colui che le osserva partendo da Dio. Questo porta già ad un secondo criterio. Si deve indagare di volta in volta in quale rapporto sta un'asserzione con la realizzazione interiore della fede e della vita del credente.

Delle affermazioni che rimangono soltanto modi di vedere teoretici, ma non entrano nel vero e proprio svolgersi dell'esistenza, in via normale non potranno venir annoverate tra ciò che è essenzialmente cristiano. Viceversa ciò che non si presenta come un puro modo di vedere teoretico, ma sta nello spazio dell'esperienza di fede, appare nella vita di fede come dato dell'esperienza, ha una posizione del tutto diversa. L'idea del sorgere e del tramontare del sole, della posizione centrale della terra, poteva essere quindi un modo di vedere naturale e variamente interpretabile della fede, non apparteneva alle sue specifiche esperienze. La mistica, con la sua via dell'unione, portava piuttosto alla relativizzazione di tutti gli schemi di visione del mondo. In questa questione mi sembra di straordinaria importanza il fatto che la lotta con la potenza dei demoni appartiene allo specifico cammino religioso di Gesù stesso. La Bibbia è a conoscenza delle sue tentazioni (Lc. 22,28), non soltanto di quelle che vengono esplicitamente descritte; essa va così avanti da poter affermare che Gesù è venuto nel mondo per distruggere le opere del diavolo (1Gv 3,8). Questa formula compendia ciò che Gesù stesso dice — nella serie di detti sull'uomo più forte e sull'uomo forte — della potenza dei demoni, il cui regno egli, nella forza dello Spirito Santo, porta alla rovina (Mc. 3,20-30). Sorprende che egli, che non voleva lasciarsi trasformare in uomo del miracolo, ritenesse la lotta contro i demoni la parte centrale del suo incarico (vedi ad esempio Mc 1,35-39) e che, di conseguenza, i pieni poteri su di essi costituiscano il nucleo del potere, che egli conferisce ai suoi discepoli: essi vengono mandati «a predicare col potere di cacciare i demoni» (Mc. 3,14s).

La lotta spirituale contro le potenze che rendono schiavi, l'esorcismo su un mondo abbacinato da demoni è una componente inseparabile dell'iter spirituale di Gesù e sta al centro sia della sua particolare missione che di quella dei suoi discepoli. La figura di Gesù, la sua fisionomia spirituale non cambia se il sole gira attorno alla terra oppure se la terra si muove attorno aI sole, se il mondo si è formato per evoluzione oppure no, ma viene decisamente cambiata, se si esclude da essa la lotta con la sperimentata potenza del regno dei demoni. A questo secondo criterio è strettamente collegato il terzo. Una Bibbia senza chiesa sarebbe soltanto una raccolta letteraria. Perciò quando, al di là della necessaria ricerca scientifica di ciò che è strettamente storico, la Bibbia viene esaminata come libro della fede, quando viene cercata la distinzione tra fede e non fede, deve venir in ballo questa unità di Bibbia e chiesa. Come già dicemmo, la fede può venir realizzata soltanto nel credere insieme con tutti; essa svanisce dove viene superata dalla volontà del singolo individuo. Come ulteriore criterio è necessario quindi ricercare in che misura le affermazioni sono state accolte nella fede della chiesa. Ma la fede della chiesa non è un qualcosa del tutto univoco e circoscrivibile, altrimenti la questione sarebbe semplice.

Si deve dunque discernere con più esattezza ed adoperarsi per scoprire in quale misura qualcosa è entrato a far parte della vera ed interiore realizzazione della fede, nella forma di base della preghiera e della vita stessa, al di là delle deviazioni della tradizione. Così, ad esempio, la disputa sulla filiazione divina di Gesù, sulla divinità dello Spirito Santo, sulla unità e trinità di Dio, è stata portata avanti a motivo delle conseguenze per la liturgia battesimale, per la liturgia eucaristica e quindi per il significato della conversione cristiana, quale si presenta nel battesimo. Basilio, ad esempio, che portò a conclusione l'ultima disputa sulla divinità dello Spirito Santo, ha discusso questo problema con molta rigorosità, partendo dall'intima pretesa del battesimo e della sua forma liturgica. Lui sostenne che il battesimo non è un trastullo liturgico, ma la solenne forma ecclesiale della decisione esistenziale, supposta dall'essere cristiano. Si deve poter prenderla alla lettera, soprattutto nel suo avvenimento centrale. Essa specifica cosa avviene nel divenire cristiani e cosa non avviene. Ma, per ritornare alla nostra questione, l'esorcismo e la rinuncia a Satana fanno parte dell'avvenimento centrale del battesimo; quest'ultima, assieme alla promessa a Gesù Cristo, costituisce l'essenziale porta d'ingresso al sacramento. Il battesimo introduce così l'uomo nel modello di esistenza di Gesù Cristo, nella sua lotta e nella sua libertà. Viene a contatto con la sua esperienza spirituale e la trasferisce in colui, che inizia ad imitare Cristo.

Quando l'uomo cammina nella luce di Gesù Cristo il demonio viene trasportato dall'altra parte e diventa così superabile. Ritorna con pieno valore l'affermazione che se si volesse annullare la realtà della potenza demoniaca, si cambierebbe il battesimo e con esso la realizzazione della vita cristiana. Nella ricerca sulla chiesa, d'altronde, si dovrebbe includere l'esperienza dei santi, di coloro che credono in forma esemplare; parlo della loro esperienza, non di tutte le loro idee. Questa esperienza corrisponde all'esperienza di Gesù; con quanta maggior forza diventa visibile e potente ciò che è santo, tanto meno il demonio può nascondersi. Per questo si potrebbe dire senz'altro che lo scomparire dei demoni, il presunto divenire innocuo del mondo vanno di pari passo con lo scomparire di ciò che è santo. Infine, come ultimo criterio, deve venir ricordato il problema della «visione del mondo», della conciliabilità con una conoscenza scientifica. La fede diventerà di continuo la critica di ciò che di volta in volta ha valore di certezza in quanto moderno e nuovo; però essa non può contraddire una conoscenza scientifica garantita, anche se questa deve stabilire dei segni negativi così notevoli.

Si sarebbe curiosi di sapere in base a quali ragioni Haag decide «che questa concezione non è più conciliabile col nostro mondo». E' evidente che essa si oppone al gusto medio della gente; è altrettanto palese che essa non trova nessun appoggio in un mondo considerato funzionalisticamente. Ma in un puro funzionalismo non c'è posto neppure per Dio né per l'uomo come uomo, ma soltanto per l'uomo come funzione; qui dunque crolla molto di più della sola idea del «diavolo». Rimane difficile cercar di sapere in nome di quale filosofia Haag esprima il suo verdetto; secondo le apparenze egli parte da uno schema personalistico fortemente semplificato. Ma le forme del personalismo più approfondite hanno riconosciuto senz'altro che con le sole categorie di io e tu non è possibile spiegare l'intera realtà; proprio il «rapporto» che unisce l'un l'altro i due poli è una realtà caratteristica ed autonoma. Alcuni suggerimenti tratti dal pensiero asiatico fanno oggi risaltare ancor di più questa coesione. Una malattia psichica, così dicono ad esempio, non è un semplice modo di sentirsi dell'io, ma si basa proprio su una perturbazione del «rapporto»; dal momento che il rapporto non è in ordine, è spezzato, sviato, rovesciato, anche l'io stesso è fuori fase. Il rapporto è una forza decisiva del destino della quale il nostro io non può affatto disporre completamente. Il ritenere questo è un razionalismo di una sincerità quasi fantastica. Qui il pensiero moderno mette a disposizione, mi sembra, una categoria che ci può aiutare a comprendere di nuovo e con più esattezza la potenza dei demoni, la cui esistenza è di certo indipendente da tali categorie. Essi sono una potenza del «rapporto», col quale l'uomo è confrontato ad ogni pié sospinto, senza che egli lo possa arrestare.

Paolo intende esattamente questo quando parla dei «signori di questo mondo tenebroso»; quando dice che la nostra lotta è diretta contro di essi, contro le potenze celesti del male, non contro la carne e il sangue (Ef 6,12).Essa si dirige contro quel «rapporto» saldamente stabilito, che lega gli uomini l'uno all'altro e nello stesso tempo li separa uno dall'altro, che usa loro violenza mentre fa da preludio alla loro libertà. Qui si chiarifica una particolarità tutta specifica del demoniaco, cioè la sua assenza di fisionomia, la sua anonimità. Quando si chiede se il diavolo sia una persona, si dovrebbe giustamente rispondere che egli è la non-persona, la disgregazione, la dissoluzione dell'essere persona e perciò costituisce la sua peculiarità il fatto di presentarsi senza faccia, il fatto che l'inconoscibilità sia la sua forza vera e propria. In ogni caso rimane vero che questo rapporto è una potenza reale, meglio, una raccolta di potenze e non una pura somma di io umani. La categoria dell'intermedio, che ci aiuta così a ricomprendere l'essere del demonio, si presta inoltre per un altro servizio parallelo; rende possibile spiegare meglio la vera potenza opposta, che diventa anch'essa sempre più estranea alla teologia occidentale, lo Spirito Santo cioè. Noi potremmo dire, partendo da quella categoria, che egli è quell'intermediario, nel quale Padre e Figlio costituiscono una cosa sola, l'unico Dio; nella forza di questo intermediario il cristiano si pone di fronte a quell'intermediario demoniaco, che sta ovunque «fra mezzo» ed ostacola un'unità.

Un teologo così «libero da pregiudizi» come H. Cox ha di recente affermato che i mass-media, nei modelli di comportamento da loro elogiati, farebbero appello «ai demoni non esorcizzati»; sarebbe perciò molto necessaria «una chiara parola di esorcismo» (Stadt ohne Gott, 1967, p. 210;trad. it.: La città secolare, Vallecchi, Firenze 1968). Forse egli lo pensa solo in termini allegorici, non lo so. Ma chi come cristiano vede i baratri dell'era moderna, vede operare la potenza dei sette demoni, che sono tornati nella casa pulita e vuota e mettono in moto il loro non-essere, costui sa che il compito di esorcista del credente inizia oggi a riacquistare quella necessità, che possedette all'inizio del cristianesimo. Egli sa che in questo campo è debitore di un servizio al mondo e che trascura il suo incarico, se egli aiuta i demoni ad avvilupparsi in quella anonimità, che è il loro elemento prediletto.


[Modificato da Caterina63 15/01/2018 09:31]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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