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Il Pater Noster difeso e spiegato da San Tommaso d'Aquino che NOI NON cambieremo

Ultimo Aggiornamento: 01/02/2018 18:07
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01/02/2018 08:19
 
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Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra

Il terzo Dono prodotto in noi dallo Spirito Santo è il Dono della Scienza. 
Lo Spirito Santo, infatti, non solo produce in noi il Dono del Timore e della Pietà, la quale, come si è detto, è un dolce affetto verso Dio, ma fa sì che l’uomo diventi anche sapiente. Questo chiedeva Davide quando diceva: “Insegnami il senno e la saggezza, perché ho fiducia nei tuoi comandamenti” (Sal 119,66). E questa è la Scienza insegnataci dallo Spirito Santo per la quale l’uomo vive bene. 
Ora tra i vari insegnamenti che riguardano la scienza e la sapienza dell’uomo, il più alto è quello che insegna a non confidare nel proprio giudizio, come dice il Libro dei Proverbi: “Non appoggiarti sulla tua intelligenza” (Pr 3,5). 
Infatti quelli che presumono nel proprio giudizio al punto da non credere agli altri, ma solo a se stessi, sono sempre trovati e giudicati stolti. Si legge nei Proverbi: “Hai visto un uomo che si crede saggio? È meglio sperare in uno stolto che in lui” (Pr 26,12). 
È proprio dell’umiltà l’uomo poi non creda al proprio giudizio: questa infatti ha la sua radice nella sapienza, come si legge in Pr 11,2: “i superbi confidano troppo in se stessi”. 
Questo ce lo insegna lo Spirito Santo col Dono della Scienza, affinché non facciamo la nostra volontà ma quella di Dio. 
E in forza di questo Dono chiediamo a Dio che si faccia la sua volontà come in cielo così in terra. 
In questo si manifesta il Dono della Scienza: perché quando chiediamo a Dio che si faccia la sua volontà, noi ci mettiamo press’a poco nell’atteggiamento di un malato che per guarire chiede al medico qualcosa. E non chiede specificando che cosa vuole, ma si rimette alla sua volontà. Diversamente se facesse solo di sua testa, sarebbe uno stolto. 
Così anche noi dobbiamo chiedere Dio nient’altro al di fuori del compimento della sua volontà, e cioè che la sua volontà si compia in noi. 
Solo allora infatti il cuore dell’uomo è retto: quando concorda con la volontà divina. 
Così ha fatto Cristo: “Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 6,38). 
Cristo infatti, in quanto è Dio, ha la medesima volontà del Padre. 
Ma, in quanto uomo, ha una volontà distinta da quella del Padre. E secondo questa volontà dice di non fare la volontà propria ma quella del Padre. E perciò ci insegna a pregare e a chiedere: “Sia fatta la tua volontà”. 
Ma qual è il significato di questa domanda? Non dice forse il salmista che “tutto ciò che vuole il Signore lo compie in cielo e sulla terra” (Sal 135,6)? 
Se Egli fa tutto quello che vuole sia in cielo che in terra, quale senso può avere il chiedere che si faccia la sua volontà? 
Per capire questo, bisogna sapere che Dio nei nostri riguardi vuole tre cose. E noi chiediamo che queste tre cose si realizzino. 
La prima cosa che Dio vuole da noi, è che noi possediamo la vita eterna. Chi fa una cosa per un determinato scopo, vuole che quella cosa raggiunga lo scopo. Ora Dio ha fatto l’uomo, ma non senza uno scopo, per il nulla. Dice il Salmo: “Forse che hai creato invano tutti i figli degli uomini?” (Sal 88,48). 
Ebbene, Egli ha creato gli uomini per un fine: non però per le voluttà dei sensi, perché queste le possiedono anche gli animali, ma perché possiedano la vita eterna. 
Il Signore dunque vuole che l’uomo abbia la vita eterna. 
Ora, quando un essere consegue il fine per cui è stato fatto, si dice che si salva, e quando non lo consegue si dice che si perde. 
E siccome Dio ha fatto l’uomo per la vita eterna, questi si salva quando la consegue. E questo Dio vuole: “Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 6,40). 
Questa volontà è già compiuta negli Angeli e nei santi che sono nella Patria celeste perché vedono Dio e fruiscono di lui. 
Ma noi desideriamo che la volontà di Dio si compia in noi che siamo in terra così come si è compiuta nei santi in cielo. E questo chiediamo quando diciamo: “Sia fatta la tua volontà”. 
La seconda cosa che Dio vuole da noi, è che osserviamo i suoi comandamenti. Chi infatti desidera una cosa non solo vuole ciò che desidera ma anche i mezzi per conseguirla. 
Anche il medico, che vuole la guarigione del malato, vuole nello stesso tempo la dieta, le medicine e quanto altro è necessario per la sua salute. 
Ebbene, come Dio vuole che noi conseguiamo la vita eterna, così vuole anche che facciamo quanto è necessario per conseguirla, e la conseguiamo osservando i suoi comandamenti. Dice il Signore: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti” (Mt 19,17). E S. Paolo: “Sia razionale il vostro culto... per ravvisare quale sia la volontà di Dio, buona, gradevole e perfetta” (Rm 12,l 2). 
Buona perché è utile, in quanto, come dice Isaia: “Io sono il Signore tuo Dio che ti insegno per il tuo bene, che ti guido per la strada su cui devi andare” (Is 48,17). 
Gradevole perché, anche se non è piacevole per gli altri, è dilettevole per chi ama Dio. Si legge nel Salmo: “Una luce si è levata per il giusto, gioia per i retti di cuore” (Sal 97,11). 
Perfetta perché è bella spiritualmente, in quanto il Signore ci vuole “perfetti com’è perfetto il Padre celeste” (Mt 5,47). 
Perciò quando diciamo “sia fatta la tua volontà”, noi chiediamo di poter osservare i comandamenti di Dio. 
Ma questa volontà di Dio mentre si compie nei giusti, che vengono indicati con la parola cielo, non si compie ancora nei peccatori, indicati con la parola terra. Pertanto chiediamo che si compia la volontà di Dio in terra, ossia nei peccatori, come in cielo, ossia nei giusti. 
Anche dalla terminologia adoperata ci viene un insegnamento. Non dice: fa’, e neppure facciamo; ma sia fatta la tua volontà, perché per avere la vita eterna sono necessarie due cose: la grazia di Dio e la volontà dell’uomo. 
Infatti sebbene Dio abbia creato l’uomo senza l’uomo, tuttavia non lo giustifica senza la sua cooperazione. Dice Sant’Agostino: “Chi ha creato te senza di te, non giustificherà te senza di te”, perché egli vuole che l’uomo cooperi. “Convertitevi a me e io mi rivolgerò a voi” (Zc 1,2); e San Paolo: “Per grazia di Dio sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana” (1 Cor 15,10). 
Non presumere perciò di te stesso ma confida nella grazia di Dio, e non essere negligente, ma impegnati. 
Per questo non si dice facciamo, affinché non sembri che nulla operi la grazia di Dio, e neppure fa’, affinché non sembri che nulla operino la nostra volontà e il nostro sforzo, ma sia fatta, cioè per la grazia di Dio e per l’impegno e lo sforzo nostro. 
La terza cosa che Dio vuole per noi è che siamo restituiti allo stato e alla dignità in cui fu creato il primo uomo: stato e dignità così grandi, che il suo spirito e la sua anima non provavano nessuna ribellione da parte della carne e della sensualità. 
Finché la sua anima rimase soggetta a Dio, anche il corpo rimase così soggetto allo spirito da non sperimentare alcuna corruzione, né di morte, né di malattia, né di altre passioni. 
Da quando invece lo spirito e l’anima, che era intermediaria tra Dio e la carne, col peccato si è ribellata a Dio, anche il corpo si è ribellato all’anima e da allora cominciò a sperimentare la morte e la malattia e una continua ribellione della sensualità allo spirito. Descrivendo questa condizione S. Paolo dice: “Nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente” (Rm 7,23) e “la carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne” (Gal 5,17). 
Vi è dunque una continua lotta tra la carne e lo spirito, e l’uomo con il peccato va sempre più peggiorando. È pertanto volontà di Dio che l’uomo venga restituito allo stato primitivo, in modo che nella carne non ci sia nulla che contrasti lo spirito: “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione” (1 Ts 4,3). 
Questa volontà di Dio non potrà realizzarsi in questa vita, ma solo nella risurrezione dei santi, quando il corpo risorgerà glorificato e sarà incorruttibile e nobilissimo, perché “si semina ignobile e risorge glorioso” (1 Cor 15,43). 
Essa, quanto allo spirito, si compirà nei giusti mediante la giustizia, la conoscenza e la vita. 
E perciò, quando diciamo “sia fatta la tua volontà”, preghiamo che essa si compia anche nella carne, dove con la parola cielo intendiamo lo spirito e con terra intendiamo la carne. 
Questo allora il significato: “Sia fatta la tua volontà”, così in terra, ossia nella nostra carne, come in cielo, ossia nel nostro spirito mediante la giustizia. 
Grazie a questa invocazione, noi giungiamo a quella beatitudine del pianto di cui ha parlato il Signore: “Beati gli afflitti perché saranno consolati” (Mt 5,4). 
E ciò si verifica in ciascuna delle tre spiegazioni. 
In base alla prima: poiché desideriamo la vita eterna, il vederla differita ci è causa di afflizione, come dice anche il Salmo: “Ahimè, è stato prolungato il mio soggiorno” (Sal 120,5). 
Questo desiderio del cielo nei santi è stato talvolta tanto grande da far loro desiderare la morte, che di per sé andrebbe evitata. Dice S. Paolo: “Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore” (2 Cor 5,8). 
Ma anche in base alla seconda interpretazione, quelli che osservano i comandamenti di Dio sono anch’essi nell’afflizione, perché per quanto essi siano dolci all’anima, sono però amari per la carne, che è continuamente macerata. Dice il Salmo: “nell’andare, se ne va e piange” quanto alla carne, “ma nel tornare, viene con giubilo” quanto all’anima (Sal 126,6). 
Ugualmente in base alla terza spiegazione, dalla lotta che c’è continuamente tra la carne e lo spirito, ne deriva l’afflizione. 
È impossibile infatti che l’anima non rimanga ferita dalla carne, almeno per quanto riguarda i peccati veniali. 
E, dovendoli espiare, è nel pianto. Dice il salmista: “Ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio”, cioè le oscurità del peccato, “irroro di lacrime il mio letto” (Sal 6,7), cioè la mia coscienza. 
E coloro che in questo modo piangono, giungono alla Patria, alla quale ci conduca Dio.



Dacci oggi il nostro pane quotidiano

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La domanda è formulata in virtù del dono della fortezza

Capita molte volte che una persona divenga timida per la sua grande scienza e sapienza e che perciò le sia necessaria la fortezza del cuore perché non si abbatta nelle difficoltà. Ebbene, questa Fortezza la infonde lo Spirito Santo, il quale “dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato” (Is 40,29) e di cui dice Ezechiele: “uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi” (Ez 2,2).
Infusa dallo Spirito Santo, questa Fortezza fa sì che il cuore dell’uomo non si deprima per paura delle prove, ma abbia ferma fiducia che quanto gli è necessario gli verrà dato da Dio. Ecco perché lo Spirito Santo, che dona tale Fortezza, ci insegna a chiedere a Dio il nostro pane. E perciò si chiama “Spirito di Fortezza”.

Nelle prime tre domande si chiedono beni spirituali i quali, sebbene abbiano inizio in questo mondo, avranno il loro conseguimento perfetto solo nella vita eterna. Quando dunque diciamo “sia santificato il nome di Dio”, noi chiediamo che la santità di Dio venga riconosciuta; quando diciamo “venga il tuo Regno”, chiediamo di venire resi partecipi della vita eterna; quando diciamo “sia fatta la tua volontà”, chiediamo che la sua volontà abbia il suo compimento in noi.
Tutte cose queste che, pur cominciando a realizzarsi in questo mondo, non possono avere la loro piena realizzazione che nella vita eterna.
Era perciò necessario che chiedessimo a Dio alcune cose che si possono avere in modo perfetto anche nella vita presente.
A tal fine lo Spirito Santo ci ha insegnato a chiedere le cose necessarie alla vita presente, che possiamo avere pienamente in questo mondo, anche per dimostrarci che pure i beni temporali ci vengono dati da Dio. Ed Egli fa questo facendoci dire: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.

Con le parole “dacci oggi il nostro pane quotidiano” lo Spirito Santo ci insegna ad evitare cinque peccati nei quali siamo indotti dal desiderio delle cose temporali.
1 Il peccato di chi, spinto da smodata bramosia, cerca ciò che è al di là del suo stato e della sua condizione, non contento di quanto gli spetta. Per esempio, uno che è soldato, non vuole abiti da soldato, ma da conte; uno che è chierico, non vuole vestiti da chierico, ma da vescovo.
Questo difetto distoglie gli uomini dai beni spirituali, perché il loro desiderio è troppo legato ai beni temporali.
Il Signore ci ha insegnato a evitare questo difetto chiedendoci di domandare solo il pane, cioè l’indispensabile alla vita presente, secondo la condizione di ciascuno. Non ci insegnò, quindi, a chiedere cose delicate, scelte e raffinate, ma il pane, senza del quale la vita dell’uomo non può sussistere ed è indispensabile per tutti, come dice il Siracide: “indispensabili alla vita sono l’acqua, il pane, il vestito” (Sir 29,28). 
Per questo S. Paolo esorta: “Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, contentiamoci di questo” (1 Tm 6,8).

2 - Un secondo peccato è quello di coloro che, per acquisire beni temporali, danneggiano gli altri e li defraudano. E questo è un vizio tanto più pericoloso, quanto più è difficile che il maltolto venga restituito. Dice S. Agostino che “i peccati non vengono rimessi se non si restituisce il maltolto” (Ep. 153,6,20) e S. Gregorio “i ladri mangiano un pane di iniquità”. Ebbene ci viene insegnato a evitare questo vizio, facendoci chiedere il pane “nostro”, non quello degli altri. I ladri, infatti, non mangiano il proprio pane ma quello degli altri.

3 - Un terzo vizio è il soverchio affannarsi.
Ci sono persone che non sono mai contente di quello che hanno, ma vorrebbero avere sempre di più: cosa questa certamente sregolata, perché regola del desiderio è la necessità. Il Saggio chiedeva al Signore: “Non darmi né povertà né ricchezza, ma fammi avere il cibo necessario, perché, una volta sazio, io non ti rinneghi” (Pr 30,8 9). Gesù ci ha insegnato a evitare questo vizio facendoci chiedere il nostro pane “quotidiano”, cioè quello che basta per un giorno o per un solo periodo.

4 - Un quarto vizio è l’ingordigia.
Ci sono persone che vogliono consumare in un solo giorno quanto basterebbe loro per molti giorni. Costoro non chiedono davvero il pane quotidiano, ma il pane di dieci giorni.
E poiché per procurarselo spendono troppo, succede che spendano quanto possiedono. La Scrittura dice: “L’ubriacone e il ghiottone impoveriranno” (Pr 23,21) e ancora: “Un operaio ubriacone non arricchirà” (Sir 19,1).

5 - Il quinto vizio è l’ingratitudine.
Chi ha ricchezze facilmente si insuperbisce e non riconosce che tutto quello che ha gli viene da Dio. Questo è un male molto grande, perché tutti i beni che abbiamo, siano essi spirituali o materiali, ci provengono da Dio, come afferma giustamente il re Davide: “Tutto è tuo, Signore... tutto proviene da te” (1 Cr 29,11 14).

Per rimuovere questo vizio ci è perciò stato insegnato a dire: “Dacci il nostro pane”, affinché impariamo che tutte le nostre cose sono da Dio.
E di questo abbiamo anche una prova. Accade talvolta che qualcuno possieda molte ricchezze, eppure da esse non tragga alcuna utilità, ma anzi soltanto danno spirituale e temporale. Alcuni sono infatti periti proprio a causa delle loro ricchezze. Racconta infatti il Qoelet: “Un brutto malanno ho visto sotto il sole: ricchezze custodite dal padrone a proprio danno. Se ne vanno in fumo queste ricchezze per un cattivo affare e il figlio che gli è nato non ha nulla nelle mani” (Qo 5,12 13).
E ancora: “Un altro male ho visto sotto il sole, che pesa molto sopra gli uomini. A uno Dio ha concesso beni, ricchezze, onori e non gli manca niente di quanto desidera; ma Dio non gli concede di poterne godere, perché è un estraneo che ne gode” (Qo 6,1).
Dobbiamo perciò pregare che le nostre ricchezze tornino a nostra utilità. Qquesto noi chiediamo quando diciamo: “Dacci il nostro pane” vale a dire: “fà che le nostre ricchezze ci siano utili”.
Eviteremo così che capiti anche a noi quanto si legge: “Il suo cibo gli si guasterà nelle viscere, veleno d’aspidi gli sarà nell’intestino. I beni divorati ora rivomita, Dio glieli caccia fuori dal ventre” (Gb 20,14 15).

6 - Un altro vizio troviamo poi nelle cose del mondo, l’eccessiva preoccupazione.
Ci sono alcuni, infatti, che già da oggi si preoccupano di ciò che potrà succedere tra un anno e vi pensano continuamente, sempre inquieti, contrariamente a quanto esorta il Signore: “Non affannatevi dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?” (Mt 6,31).
Per questo il Signore ci insegna a chiedere che ci sia dato oggi il nostro pane, ossia quanto ci è necessario al presente.

Ma ci sono anche altre due specie di pane: quello sacramentale e il pane della Parola di Dio (S. Cipriano, De oratione dominica).
Ebbene, noi chiediamo che il nostro Pane sacramentale, che la Chiesa consacra ogni giorno, perché come lo riceviamo nel Sacramento, così ci giovi per la nostra salvezza. “Io sono il pane disceso dal cielo. - dice Gesù - Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,51). Ma S. Paolo avverte: “Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11, 29).

L’altro pane è la Parola di Dio, dato che “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4).
Quando gli chiediamo di darci il pane, chiediamo perciò a Dio che ci dia la sua parola.
Da essa proviene quella beatitudine promessa a chi ha fame di giustizia. Infatti, una volta ottenuti i beni spirituali, li desideriamo ancora di più. Da questo desiderio nasce la fame, e dalla fame quella sazietà della vita eterna, alla quale noi tendiamo.







[Modificato da Caterina63 01/02/2018 18:07]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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