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Ultimo Aggiornamento: 22/10/2018 21:02
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22/10/2018 19:37
 
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CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA AL CIMITERO ROMANO DEL VERANO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Solennità di Tutti i Santi
Giovedì, 1° novembre 1984

 

1. “Del Signore è la terra e quanto contiene” (Sal 24, 1). Del Signore è l’universo. Egli è il suo creatore. In mezzo a questo universo è la nostra terra e in essa l’uomo creato a immagine di Dio. Creato come maschio e femmina. All’uomo disse il Creatore: “Riempite la terra; soggiogatela” (Gen 1, 28).

Lungo la sua storia, l’uomo riempie la terra e la soggioga. Tuttavia l’uomo, al tempo stesso, soccombe alla terra. Le soccombe mediante la morte. Ne testimoniano tutti i cimiteri del mondo. Ne testimonia anche questo cimitero romano, Campo Verano. L’uomo torna alla terra dalla quale è stato tratto (cf. Gen 3, 19). Oggi, e ancor più domani, la Chiesa medita il mistero della morte che è la comune sorte dell’uomo sulla terra.

2. Eppure: la terra appartiene al Signore! “Del Signore è la terra e quanto contiene”. Può colui che è stato creato a immagine di Dio stesso, appartenere in modo definitivo alla terra?Soltanto ed esclusivamente alla terra? Può essa sola rimanere il suo destino? Tutto deve terminare col fatto che l’uomo torna in polvere? Questo cimitero nel quale ci troviamo - tutti i cimiteri del mondo - nascondono in sé questa grande, eterna domanda. Se la terra è di Dio, può non essere di Dio, a maggior ragione, colui che è stato creato sulla terra come l’immagine di Dio e la sua somiglianza?

3. Nell’odierna liturgia parla l’apostolo Giovanni, che nella sua prima Lettera scrive: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui” (1 Gv3, 1). L’uomo: realmente figlio di Dio. Adottato come figlio nell’eterno Figlio unigenito, Verbo incarnato. Quest’uomo, al quale la terra sembra togliere definitivamente, mediante la morte, la sua umanità, rendendolo “polvere”, questo stesso uomo, se morto nella grazia di Cristo, porta in sé contemporaneamente la realtà della vita indistruttibile: della vita divina! Il nostro cimitero romano - tutti i cimiteri del mondo - nascondono al tempo stesso questo mistero: ecco i figli di Dio, i figli e le figlie nell’eterno unigenito Figlio, che nel tempo divenne uomo: uno di noi. Per opera dello Spirito Santo nacque dalla Vergine, morì sulla croce e risuscitò da morte. Questo cimitero - tutti i cimiteri del mondo - partecipano alla croce e alla risurrezione di Cristo. La terra è stata visitata dal mistero del Figlio di Dio. La terra è stata visitata dal mistero della redenzione. La morte non ci toglie l’umanità per farla “polvere della terra”. La morte ci restituisce a Dio in Gesù Cristo.

4. “Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3, 2). Viviamo nell’economia della divina rivelazione. Dio ha parlato a noi nel suo Figlio unigenito. Dio, per mezzo di questo Figlio, compie in noi il mistero della figliolanza che è una vita nuova. La vita eterna. La morte chiude e termina irrevocabilmente la vita di ciascuno di noi. Qui finisce tutta la conoscenza che ricaviamo dal mondo. Ma la rivelazione continua. “Ciò che saremo non è stato ancora rivelato”. Con la morte si apre per l’esistenza umana la dimensione dell’eternità. Ciò che l’uomo porta nell’immagine e nella somiglianza di Dio, ritrova il suo “prototipo”: “Lo vedranno così come egli è”.

5. Noi guardiamo quindi questo cimitero romano - tutti i cimiteri del mondo - come il luogo della morte dell’uomo: “è stabilito che gli uomini muoiano una sola volta” (Eb 9, 27). Al tempo stesso, questo è un luogo dove gli uomini, nostri fratelli e sorelle, salgono davanti al cospetto del Signore. Il luogo in cui parla la giustizia e la misericordia, il luogo del giudizio. “Chi salirà il monte del Signore / chi starà nel suo luogo santo? / Chi ha mani innocenti e cuore puro . . . / Egli otterrà benedizione dal Signore, / giustizia da Dio sua salvezza” (Sal 24, 4-5). “È stabilito che gli uomini muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio” (Eb 9, 27).

6. Ed ecco - in questo giorno dedicato in tutta la Chiesa in modo particolare alla preghiera per i morti - noi che siamo ancora pellegrini in questo mondo, ci uniamo a tutti coloro che già se ne sono andati, che riposano in questo cimitero romano - e in tutti i cimiteri del mondo - “Ecco la generazione che lo cerca, / che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe” (Sal 24, 6).

Che sia dato loro di vedere questo volto. Che lo vedano “così come egli è”! Che si compia in loro, in tutta la sua pienezza, la rivelazione iscritta nell’immagine e nella somiglianza di Dio! Tale è la nostra preghiera nel giorno di Tutti i santi, la nostra preghiera nel giorno dei morti.

Preghiera di intercessione.

E, insieme, preghiera di lode. Benedetto sii, Signore, perché tua è la terra e quanto contiene.

Benedetto sii, perché l’uomo non appartiene, in definitiva, alla terra; perché non è sottomesso ad essa; perché in te ha l’eternità! Così Sia!

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OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Cimitero di Milano - Venerdì, 2 novembre 1984

 

Carissimi fratelli e sorelle!

1. Non sembri strano che il Papa incontri una città attiva e operosa come Milano presso il cimitero. Poiché oggi tutti i milanesi visitano il cimitero, anch’io ho voluto unirmi a voi in questo pellegrinaggio alle tombe. Trovo qui espressa un’intuizione preziosa: la vita non può risolversi tutta nel fare, nel lavorare, nel godere, nel soffrire dentro un orizzonte terreno.

Nella doverosa memoria di chi non è più tra noi, la vita ci appare nella dimensione fondamentale: considerazione dei fini ultimi, interrogazione su ciò che viene dopo la morte, sguardo rivolto all’aldilà, al nostro destino eterno.

2. Purtroppo due atteggiamenti svigoriscono questa intuizione validissima, che si esprime nella visita al cimitero. Il pensiero della morte, che coltiviamo specialmente in questo giorno, dedicato al ricordo dei defunti, viene accantonato negli altri giorni dell’anno. La nostra civiltà tende a depistare il pensiero della morte, perché non vuole essere disturbata nel suo sogno di benessere terreno come valore esclusivo per l’uomo, inteso quale soggetto assoluto. L’uomo tende a eliminare dalla propria mente il pensiero che tutto, specie quanto da lui costruito col proprio ingegno e lavoro, debba finire.

La memoria dei defunti, inoltre, tende a volte a generare una devozione solo intimistica, che non è in continuità con la pietà autenticamente cristiana, con la preghiera della Chiesa, con la celebrazione eucaristica, con l’intensa partecipazione alla vita di fede e di carità di tutta la comunità cristiana.

3. Carissimi fedeli, perché non chiedere al nostro patrono san Carlo di illuminarci sul significato della morte? Nonostante i quattro secoli che ci separano da lui, egli ha forse la risposta capace di orientare i nostri passi sulle strade del mondo contemporaneo.

Ciò che balza all’occhio, leggendo la sua biografia, è che san Carlo seppe trarre dal pensiero della morte un messaggio per la vita. È noto che egli prese la decisione definitiva di dedicarsi al servizio di Dio e della Chiesa proprio in occasione della morte del fratello Federico. Essendo rimasto l’unico figlio maschio della famiglia, molti insistevano perché si sposasse e assicurasse una continuità nella discendenza dei Borromeo. Invece proprio la morte del fratello gli aprì gli occhi sulla povertà delle cose umane. Carlo chiese al Papa di essere ordinato presbitero, fece un corso di esercizi spirituali e cominciò risolutamente nel cammino della santità, in cui perseverò per tutta la vita.

Anche dopo la peste, che si abbatté su Milano nel 1576 mietendo migliaia di vittime, san Carlo si rivolse ai milanesi con un “memoriale” in cui chiedeva loro di ricordare il flagello della recente epidemia, apportatrice di sofferenza e di morte, per impegnarsi a cambiare vita. Questa era, infatti, la sua convinzione: la morte deve essere maestra di vita per tutti.

4. Ma come ciò può avvenire? Come è possibile fare della morte il principio vero e profondo di una vita nuova? Qui è necessario ricordare quell’atteggiamento di san Carlo, che a tal punto ha caratterizzato la sua figura spirituale e ha impressionato i suoi contemporanei, da diventare l’atteggiamento in cui più spesso egli è ritratto, cioè la preghiera davanti a Gesù crocifisso. La morte di Cristo in croce è quella che ha aiutato san Carlo a capire il senso della morte e la possibilità di vita nuova, che dalla morte scaturisce. La morte di Cristo è il segno supremo dell’amore di Dio per noi peccatori ed è il modello dell’affidamento dell’uomo alle mani del Padre. Per questo è fonte di vita, vittoria sul male e sul peccato, principio di una vita vissuta nell’obbedienza, nella fedeltà, nella dedizione a Dio e ai fratelli. “Dio è colui per il quale ci affatichiamo - diceva il santo arcivescovo in un discorso pronunciato pochi mesi prima di morire - ; Dio è colui al quale serviamo... O fratelli, o figli, il Figlio di Dio ha fatto e ha sofferto per noi cose molto più grandi... Che cosa, se non l’amore per noi, ha condotto lui, il più bello tra i figli degli uomini, a un tale stato, da non avere né bellezza, né splendore? Ripaghiamo dunque l’amore, con l’amore”.

5. Carissimi milanesi, se vogliamo che il pensiero della morte, che ci ha condotti quest’oggi al cimitero, dove riposano persone che hanno avuto un significato e un’importanza nella nostra vita, non venga dimenticato negli altri giorni della nostra esistenza o non generi solo una pietà sentimentale e privata, dobbiamo illuminarlo e purificarlo con la luce che ci viene dalla morte di Cristo. Questa ci dice che la nostra morte è vinta e redenta. Come Cristo attraverso la morte è giunto alla vita, così anche i credenti in Cristo attraverso la morte sono chiamati alla gioia della risurrezione e della vita immortale. La morte per l’uomo è il momento dell’incontro con Dio: è l’inizio della vita che non avrà fine.

La morte di Cristo, vista come gesto supremo di amore, diventa sorgente di vita non solo oltre la morte, ma già in ordine all’esistenza che conduciamo su questa terra.

Essa ci insegna paradossalmente a non volere e insieme a volere la morte. Ci insegna a non volere quella morte che è frutto di odio, di ingiustizia, di peccato. Anche a Milano si muore per la solitudine, per l’abbandono, per il disprezzo della vita che inizia o finisce, per l’aggressione ingiusta, per l’egoismo di chi non pensa ai gravi bisogni degli altri, per l’inosservanza o la carenza delle leggi. La morte di Cristo ci insegna a non volere con tutte le nostre forze queste morti.

E insieme ci insegna a volere la morte nel senso di prepararci, giorno per giorno, alla morte, nel senso di essere pronti a servire i fratelli fino al dono della vita, fino a spendere giorno per giorno tutte le energie della nostra vita non nella ricerca del nostro interesse egoistico, ma nella dedizione incondizionata al bene dei fratelli.

6. Milanesi, io sono qui con voi a pregare per i vostri morti, per tutti coloro che in questa città, nel corso dei secoli, vissero, faticarono, amarono, gioirono, piansero, morirono, e ora sono nella pace di Dio. Per loro elevo con voi la preghiera del cristiano suffragio.

Il loro ricordo sia per voi di sprone a impegnarvi in una vita degna degli esempi migliori da essi lasciati. Che dal cielo il vostro san Carlo e, con lui, sant’Ambrogio e gli altri vescovi santi, i quali spesero le loro energie al servizio del gregge di Cristo in questa città; che i vostri antenati, i quali credettero, sperarono, amarono in questi stessi luoghi in cui voi oggi abitate, possano essere fieri di voi per la nobiltà dei vostri sentimenti, per la limpidezza della vostra fede, per la coerenza della vostra condotta in ogni circostanza della vita. Che la Milano di oggi, in spirituale sintonia con la Milano cristiana di ieri, passi la fiaccola della fede alla generazione che popolerà la Milano di domani. È la fede, infatti, che alimenta in noi la beata speranza di poterci ritrovare tutti uniti, un giorno, nella gioia senza ombre del cielo.

Così sia!


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CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA NEL CIMITERO ROMANO DEL VERANO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Solennità di tutti i Santi - Venerdì, 1° novembre 1985

 

1. “Apparve una moltitudine immensa” (Ap 7, 9).

Oggi la Chiesa, insieme con l’Autore dell’Apocalisse, aguzza gli occhi della fede per abbracciare il mistero di Tutti i Santi. Professiamo questo mistero nel Simbolo degli apostoli, in unione con la fede della Chiesa universale: “Credo . . . la Chiesa cattolica; la comunione dei santi . . . la risurrezione della carne; la vita eterna”. La fede della Chiesa, che è il popolo di Dio pellegrinante su questa terra verso la Casa del Padre, trova il suo “prolungamento” nel mistero della comunione dei santi. Questa fede ci permette di cercare, in terra, la mediazione e l’intercessione di tutti i Santi e in primo luogo della santissima Madre di Dio, Maria. Questa fede ci induce ad imitare il modello di vita che essi ci hanno dato.

2. Su di essi si è compiuto fino in fondo l’“amore”, che “ci ha dato il Padre”. Ne parla la seconda lettura dell’odierna liturgia. Quest’amore si manifesta nel fatto che, già fin d’ora, noi siamo “chiamati figli di Dio”, e “lo siamo realmente” (1 Gv 3, 1), tuttavia “ciò che saremo non è stato ancora rivelato” (1 Gv 3, 2). L’Apostolo scrive: “Sappiamo però che, quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3, 2). “Egli è puro” - Santo (1 Gv 3, 3). Coloro che vedono Dio “faccia a faccia” (1 Cor 13, 12), “così come egli è” partecipano in modo definitivo alla sua santità. Mediante questa partecipazione anch’essi sono santi. Quindi, la vita eterna si manifesta nel mistero della comunione dei santi.

3. Da questo mistero, di cui fa memoria l’odierna solennità, la Chiesa conduce alla Commemorazione di tutti i fedeli defunti, che sarà celebrata domani. Ci rechiamo alle tombe dei nostri cari, visitiamo i cimiteri. Pensiamo anche a tutti coloro, il cui luogo della sepoltura rimane sconosciuto: a tutti coloro che hanno attraversato la soglia della temporalità e della vita eterna. Per tutti preghiamo. La preghiera della Chiesa abbraccia in modo particolare quelli che, nel cammino a Dio, sono sottomessi alla sofferenza che purifica: le anime del purgatorio. Ad essi si riferiscono anche le parole del Salmo ascoltato alcuni istanti fa nella liturgia della parola: “Chi salirà il monte del Signore, / chi starà nel suo luogo santo? / Chi ha mani innocenti e cuore puro” (Sal 24, 3).

4. Trovandoci, in questo luogo, alla soglia tra la vita temporale e l’eterna, desideriamo ringraziare Gesù Cristo per la luce del Vangelo. Per la luce che scende sulla nostra vita umana dalle otto Beatitudini. È la luce del regno dei cieli, la luce che permette di vedere Dio, la luce della consolazione definitiva. E questa luce si proietta su tutti coloro che sono poveri in spirito, che sono afflitti, miti, che hanno fame e sete di giustizia, che sono puri di cuore, misericordiosi, operatori di pace, perseguitati per causa della giustizia. Sono questi coloro ai quali si rivolge il messaggio delle otto beatitudini. Questa luce della comunione dei santi si proietta su di essi mediante la verità del Vangelo. Il Salvatore del mondo dice: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Mt 11, 28). Ringraziamo quindi per la luce del Vangelo: della buona novella della vita eterna.

5. E ringraziamo per il mistero dell’Agnello di Dio. È proprio lui che si trova in mezzo alla “moltitudine immensa” di coloro, che l’Autore dell’Apocalisse vede nella sua visione escatologica. Ecco, “coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14). Sono “segnati” col segno della sua Redenzione. Gridano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio . . . e all’Agnello” (Ap 7, 10). Ringraziamo quindi per il mistero dell’Agnello, per la sua passione, morte e risurrezione, per la redenzione del mondo, perché questo ci conduce all’eterno tabernacolo, alla comunione dei santi.

6. Che presso le tombe dei nostri fratelli e sorelle in Cristo, vicini e lontani, si rinnovi la nostra fede nella vita eterna. Tutti viviamo nella prospettiva dell’incontro definitivo “a faccia a faccia”, nella prospettiva della “moltitudine immensa” dell’Apocalisse.

Siamo il popolo fedele che cerca Dio: sua “è la terra e quanto contiene, / l’universo e i suoi abitanti” (Sal 24, 1). Sua è l’eternità. La realtà della vita eterna si trova in lui. “Chi salirà il monte del Signore, / chi starà nel suo luogo santo?”. Ecco: la generazione che lo cerca, / che cerca il volto del Dio di Giacobbe (cf. Sal 24, 6), del Dio Vivente.

7. “Credo la Chiesa cattolica; la comunione dei santi; la remissione dei peccati; la vita eterna”. “Splenda ad essi la luce perpetua”, la luce di Dio stesso. Noi, sulla terra, camminiamo in questa luce mediante la fede.

Così sia!

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VISITA ALLA PARROCCHIA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE 
«AD SAXA RUBRA» A GROTTAROSSA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 2 novembre 1986

 

1. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito . . . perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3, 16).

In questo giorno la Chiesa dirige i nostri pensieri e le nostre preghiere, in modo particolare, verso la “vita eterna”. Dopo la solennità di tutti i Santi, oggi, giorno dedicato alla memoria dei defunti, noi desideriamo innanzitutto ricordare quanti, tra i nostri cari, hanno lasciato questa vita. Nel ricordarli, siamo chiamati a riflettere che l’esistenza umana non si risolve tutta dentro l’orizzonte terreno. Siamo invitati a considerare la vita alla luce del fine ultimo, del destino che ci attende dopo la morte, con lo sguardo rivolto alla nostra vocazione eterna. A tutto questo pensiamo in occasione di questa mia visita alla parrocchia dell’Immacolata Concezione di Maria a Grottarossa, ad “saxa rubra” dove, nell’anno 312, come dice la tradizione, prima della storica battaglia tra Costantino e Massenzio, apparve all’imperatore la misteriosa visione della croce con il motto “in hoc signo vinces”.

2. Alla luce della liturgia, che celebra il sacrificio di Cristo, siamo portati a riflettere oggi sul significato della morte. Da una parte, troviamo una riflessione realistica circa la precarietà della vita terrena, votata alla sconfitta; dall’altra il mistero eucaristico proclama che la morte di Cristo si è risolta nella risurrezione, evento decisivo per l’esistenza di ogni uomo.

Di fronte al ricordo dei nostri defunti noi siamo tristi perché siamo costretti a riconoscere con dolore che questo nostro corpo passa: i progetti, che noi costruiamo ogni giorno confidando nella salute, nella forza, nelle doti di cui disponiamo, sono provvisori, sono destinati a spegnersi. Ma, se accettiamo il messaggio che scaturisce dalla parola di Dio, or ora ascoltata, apprendiamo che morire non significa cadere nel nulla, nell’ombra buia della fine totale. Piuttosto significa passare a una nuova condizione di vita che è gloria e beatitudine eterna. La fede illumina il mistero della morte con confortanti certezze.

3. Oggi noi, col libro della Sapienza, professiamo che “le anime dei giusti sono nelle mani di Dio” (Sap 3, 1). La parola che abbiamo sentito ci assicura che Dio ha creato l’uomo per l’immortalità (Sap 2, 23), cioè per la partecipazione a una vita senza fine. Coloro che per le loro opere buone hanno creduto e meritato il premio annunciato dalle promesse vivono nelle mani di Dio e nella pace. Noi, confidando nella parola rivelata, proclamiamo di fronte al mondo che le anime dei giusti dimorano presso Dio nell’amore, poiché egli nella sua sollecitudine non abbandona i suoi né li priva della sua protezione.

Agli occhi del mondo e in una prospettiva esclusivamente terrena “parve che morissero” (Sap 3, 2), ma la morte fisica è per i credenti solo un passaggio da un’esistenza di dolori e di prove alla vita piena e duratura nella felicità di Dio; non più un castigo, ma una liberazione dai molteplici mali, indotti nella vita umana dal peccato. I nostri morti sono nella pace, cioè nel godimento completo dei doni profetizzati, nella salvezza delle realtà finali, ultime ed eterne. Essi sono stati coinvolti nel destino del Cristo Risorto, il quale ha raccolto la loro vita di quaggiù per condurla nella sua gloria. Come scintille infuocate, le anime dei giusti splendono per l’eternità, in virtù della vittoria finale che Cristo glorioso ha operato sulla morte.

4. Il nostro sguardo sull’eternità è poi ancora confortato dalla luce del mistero della comunione dei Santi. Abbiamo ereditato dalle più antiche comunità cristiane la certezza che esiste una partecipazione intensa di vita tra noi e i fratelli che sono nella gloria celeste o che ancora dopo la morte stanno purificandosi (cf. Lumen Gentium, 49). Noi formiamo un’unica realtà soprannaturale, un unico corpo con coloro che ci hanno preceduto nella vita eterna: il corpo mistico di Gesù Cristo. Siamo perciò uniti, mediante Gesù, a quelli che sono entrati nella visione di Dio. Ma essi non ci hanno lasciati. Con loro formiamo una comunità, che si perfeziona nella preghiera e che l’offerta del sacrificio eucaristico realizza in modo eminente. L’amore che verso i nostri morti noi continuiamo a nutrire si esprime nell’orazione e in una singolare partecipazione di grazia, mentre siamo mossi dalla pietà a chiedere la loro intercessione ricordando i loro esempi di vita cristiana. Nella preghiera comune della Chiesa, che rivolgiamo a Dio uniti ai nostri defunti, noi possiamo pregustare quella liturgia della gloria eterna, verso la quale tutti camminiamo sorretti dalla speranza. In forza della comunione con Cristo la morte non elimina la comunione fraterna, ma la esalta e la realizza in una dimensione nuova.

5. Il libro dell’Apocalisse ci assicura che il mondo è aperto a una nuova creazione in forza del Cristo, della sua morte redentrice, della sua risurrezione, della sua vittoria. Le angosce e le pene, come tutte le lotte che hanno segnato l’umanità presente saranno superate, e ci sarà “un nuovo cielo e una nuova terra” (Ap 21, 1). Nasce dalla morte l’uomo nuovo, che viene formato secondo l’immagine di Cristo. Noi siamo invitati ad accogliere questo progetto di Dio.

Gerusalemme, la Chiesa dei santi, che “scende dal cielo, da Dio, pronta come una sposa per il suo sposo” (Ap 21, 2) è l’immagine di quanto l’iniziativa divina vuole compiere per coronare di gloria il destino ultimo della storia umana. Dio risolverà nella più grande gioia e nella più alta glorificazione tutto il travaglio, le sofferenze, il martirio, il lavoro e le aspirazioni dell’umanità segnata dalla morte, ma riscattata dalla morte. Gerusalemme, la città che è simbolo del mondo presente, non sarà distrutta né respinta da Dio eterno, ma sarà da lui interamente rinnovata “come una sposa”, perché egli compie definitivamente con lei l’alleanza. Gerusalemme, la sposa, è segno del rinnovamento indefettibile della carità perfetta portata alla sua pienezza, “dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà Dio-con-loro” (Ap 21, 3). Per questo e in tale modo tutto il pianto versato nel corso di questa nostra lunga e dolorosa storia umana sarà asciugato da Dio, perché l’umanità non sarà più colpita dalla morte né dal dolore, ma avrà una vita e una gioia senza fine. Egli, il Signore, “tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno” (Ap 21, 4).

6. Invochiamo anche noi, perciò, con il salmo responsoriale, la luce della verità che sostiene la speranza: “Manda la tua verità e la tua luce; siano esse a guidami, mi portino al tuo monte santo, alle tue dimore” (Sal 42, 3). Il tempo che fugge inesorabile e sospinge senza sosta tutti noi e le nostre cose verso la meta della morte sia illuminato dalla sublime luce e dalle esaltanti promesse della parola di Dio: questa ci sprona a non fermare i nostri passi su questa terra segnata dalle lacrime, ma a procedere verso la confortante meta del monte di Dio, il luogo in cui egli rivelerà a noi il suo volto, il monte dove egli abita, il paradiso. Chiediamo al Signore che ci renda degni della sua chiamata e ci faccia testimoni di queste verità, così che “sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù” (2 Ts 1, 11-12) da tutti coloro che crederanno per la nostra testimonianza.

7. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito . . . perché chiunque crede in lui . . . abbia la vita eterna” (Gv 3, 16). Dio ha già introdotto nella storia e nel tempo presente colui che annuncia e realizza in sé il momento definitivo della salvezza. In Cristo il tempo futuro della gloria è già presente e operante; la vita vera è una possibilità attuale offerta agli uomini. Confortiamoci dunque noi, Chiesa in cammino, perché con Gesù Cristo è giunta l’ultima fase dei tempi e la rinnovazione del mondo è irrevocabilmente stabilita e in certo modo anticipata già fin d’ora, quaggiù (Lumen Gentium, 48).

Saluto con gioia l’eletta porzione della Chiesa di Cristo che vive nella parrocchia dell’Immacolata. Insieme col card. vicario, saluto il vostro parroco, don Giacomo Ceretto che il card. Gulbinowic, titolare di questa chiesa, ha nominato canonico onorario della cattedrale metropolitana di Breslavia. Saluto gli altri sacerdoti che lo aiutano nel ministero pastorale. Desidero, inoltre, esprimere il mio apprezzamento per le comunità religiose che operano in questo territorio: anzitutto le Suore Francescane Missionarie di Cristo, che con zelo si dedicano alla scuola materna parrocchiale, alla cura degli infermi e alla catechesi; le Suore del Santo Bambino Gesù, che si prestano per le opere della “Caritas” diocesana in favore dei profughi e degli ex carcerati; la comunità della Piccola Casa Sant’Antonio, e ho un pensiero speciale per i bambini colà ospitati con tanto spirito di carità cristiana; la prelatura dell’Opus Dei.

Esprimo ancora il mio compiacimento per i gruppi dei laici che collaborano nelle diverse iniziative di apostolato: i giovani e gli animatori dell’oratorio parrocchiale; il Consiglio pastorale; il gruppo liturgico; i numerosi catechisti; l’Azione Cattolica; le Dame di san Vincenzo.

A tutti voi e a quanti si prodigano per diffondere il Vangelo, condividendo l’impegno spirituale di questa comunità, va il mio animo riconoscente con la mia benedizione, e l’augurio fervido per il vicino 50° anniversario di fondazione della parrocchia.

8. Maria Immacolata, colei che è stata redenta in modo privilegiato, è il segno dell’inizio del progetto di Dio di fare nuova ogni cosa. È lei che disvela, con la sua singolare grazia, la nuova vita introdotta da Dio Padre nelle profondità più intime dell’essere umano. Incoronando la sua immagine ricorderemo proprio questo: che in lei Dio ha dato inizio alla creazione rinnovata. Maria è la prima creatura della nuova Gerusalemme, preparata come una sposa per il suo sposo.

Noi ci rivolgiamo a te, Vergine Santa Immacolata. In te inizia il mistero della Redenzione che ci libera dalla morte, perché l’eredità del peccato non ti ha raggiunta. Tu sei piena di grazia, e in te si apre per noi il regno di Dio, il nuovo avvenire dell’uomo, che può, nella fede, contemplare in te l’opera del suo rinnovamento e il fondamento della sua speranza d’immortalità. Tu porti a noi, nella tua purezza, il Figlio di Dio, la “luce venuta nel mondo”, e conduci tutti noi sulle vie della santità perché possiamo incontrare Cristo, ora e per sempre. Noi t’invochiamo, guidaci lungo il nostro cammino, Vergine Santa, affinché operando la verità veniamo alla luce del tuo Figlio, cerchiamo la grazia della sua parola, percorriamo fedelmente la via che conduce al monte di Dio, al porto soave dove sono giunti i nostri cari e dove, con Gesù, tu ci attendi. Amen.


Al termine dell'omelia

Voglio ancora aggiungere una parola di apprezzamento: direi di più, di ammirazione. prima per le preparazioni in vista della mia visita pastorale di oggi; e anche per l’incoronazione della Vergine Immacolata. Poi voglio esprimere l’apprezzamento e la mia gratitudine per la vostra perseveranza durante il rito sacro svoltosi in un tempo non del tutto favorevole con questa intensa pioggia; essa faceva il suo e nessuno di voi ha perso la serenità. Per questo voglio ringraziarvi e voglio ancora farlo per la vostra generosità verso la mia persona, per le preghiere nel giorno in cui quarant’anni fa ho celebrato la mia prima Messa o piuttosto le mie prime Messe, poiché, si sa bene, che il giorno 2 novembre, giorno dei defunti si celebrano tre Messe, come oggi così allora.

Per tutto questo vi ringrazio e ancora per i doni, direi doni troppo abbondanti, non me li merito. Ringrazio per la presenza dei signori cardinali, per i molti sacerdoti che hanno voluto concelebrare questa santissima Eucaristia con me. Rendiamo grazie a Dio e raccomandiamo tutti nelle nostre preghiere: i nostri cari defunti, i nostri vicini, i nostri genitori, i nostri parenti e tutti i nostri connazionali, tanti defunti sconosciuti; sconosciuti alla memoria umana ma sempre conosciuti a Dio solo; raccomandiamo ciascuno e tutti all’infinita misericordia di Dio onnipotente e immortale, al Cuore santissimo di Gesù e alla Vergine Immacolata. Sia lodato Gesù Cristo.

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[Modificato da Caterina63 22/10/2018 21:00]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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