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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Udienze generali del pontefice da gennaio 2019

Ultimo Aggiornamento: 06/01/2020 15:12
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06/12/2019 08:45
 
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UDIENZA GENERALE


Piazza San Pietro
Mercoledì, 4 dicembre 2019

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Catechesi sugli Atti degli Apostoli - 17. «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge» (At 20,28). Il ministero di Paolo ad Efeso e il congedo dagli anziani

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Il viaggio del Vangelo nel mondo continua senza sosta nel Libro degli Atti degli Apostoli, e attraversa la città di Efeso manifestando tutta la sua portata salvifica. Grazie a Paolo, circa dodici uomini ricevono il battesimo nel nome di Gesù e fanno esperienza dell’effusione dello Spirito Santo che li rigenera (cfr At 19,1-7). Diversi poi sono i prodigi che avvengono per mezzo dell’Apostolo: i malati guariscono e gli ossessi vengono liberati (cfr At 19,11-12). Questo accade perché il discepolo somiglia al suo Maestro (cfr Lc 6,40) e lo rende presente comunicando ai fratelli la stessa vita nuova che da Lui ha ricevuto.

La potenza di Dio che irrompe ad Efeso smaschera chi vuole usare il nome di Gesù per compiere esorcismi ma senza avere l’autorità spirituale per farlo (cfr At 19,13-17), e rivela la debolezza delle arti magiche, che vengono abbandonate da un gran numero di persone che scelgono Cristo e abbandonano le arti magiche (cfr At 19,18-19). Un vero capovolgimento per una città, come Efeso, che era un centro famoso per la pratica della magia! Luca sottolinea così l’incompatibilità tra la fede in Cristo e la magia. Se scegli Cristo non puoi ricorrere al mago: la fede è abbandono fiducioso nelle mani di un Dio affidabile che si fa conoscere non attraverso pratiche occulte ma per rivelazione e con amore gratuito. Forse qualcuno di voi mi dirà: “Ah, sì, questa della magia è una cosa antica: oggi, con la civiltà cristiana questo non succede”. Ma state attenti! Io vi domando: quanti di voi vanno a farsi fare i tarocchi, quanti di voi vanno a farsi leggere le mani dalle indovine o farsi leggere le carte? Anche oggi nelle grandi città cristiani praticanti fanno a queste cose. E alla domanda: “Ma come mai, se tu credi a Gesù Cristo, vai dal mago, dall’indovina, da tutta questa gente?”, rispondono: “Io credo in Gesù Cristo ma per scaramanzia vado anche da loro”. Per favore: la magia non è cristiana! Queste cose che si fanno per indovinare il futuro o indovinare tante cose o cambiare situazioni di vita, non sono cristiane. La grazia di Cristo ti porta tutto: prega e affidati al Signore.

La diffusione del Vangelo ad Efeso danneggia il commercio degli argentieri – un altro problema –, che fabbricavano le statue della dea Artemide, facendo di una pratica religiosa un vero e proprio affare. Su questo io vi chiedo di pensare. Vedendo diminuire quell’attività che fruttava molto denaro, gli argentieri organizzano una sommossa contro Paolo, e i cristiani vengono accusati di aver messo in crisi la categoria degli artigiani, il santuario di Artemide e il culto di questa dea (cfr At 19,23-28).

Paolo, poi, parte da Efeso diretto a Gerusalemme e giunge a Mileto (cfr At 20,1-16). Qui manda a chiamare gli anziani della Chiesa di Efeso – i presbiteri: sarebbero i sacerdoti – per fare un passaggio di consegne “pastorali” (cfr At 20,17-35). Siamo alle battute finali del ministero apostolico di Paolo e Luca ci presenta il suo discorso di addio, una sorta di testamento spirituale che l’Apostolo rivolge a coloro che, dopo la sua partenza, dovranno guidare la comunità di Efeso. E questa è una delle pagine più belle del Libro degli Atti degli Apostoli: vi consiglio di prendere oggi il Nuovo Testamento, la Bibbia, il capitolo XX e leggere questo congedo di Paolo dai presbiteri di Efeso, e lo fa a Mileto. E’ un modo per capire come si congeda l’Apostolo e anche come i presbiteri oggi devono congedarsi e anche come tutti i cristiani devono congedarsi. E’ una bellissima pagina.

Nella parte esortativa, Paolo incoraggia i responsabili della comunità, che sa di vedere per l’ultima volta. E cosa dice loro? «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge”. Questo è il lavoro del pastore: fare la veglia, vegliare su sé stesso e sul gregge. Il pastore deve vegliare, il parroco deve vegliare, fare la veglia, i presbiteri devono vegliare, i Vescovi, il Papa devono vegliare. Fare la veglia per custodire il gregge, e anche fare la veglia su sé stessi, esaminare la coscienza e vedere come si compie questo dovere di vegliare. “Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio» (At 20,28): così dice San Paolo. Agli episcopi è chiesta la massima prossimità con il gregge, riscattato dal sangue prezioso di Cristo, e la prontezza nel difenderlo dai «lupi» (v. 29). I Vescovi devono essere vicinissimi al popolo per custodirlo, per difenderlo; non staccati dal popolo. Dopo aver affidato questo compito ai responsabili di Efeso, Paolo li mette nelle mani di Dio e li affida alla «parola della sua grazia» (v. 32), fermento di ogni crescita e cammino di santità nella Chiesa, invitandoli a lavorare con le proprie mani, come lui, per non essere di peso agli altri, a soccorrere i deboli e a sperimentare che «si è più beati nel dare che nel ricevere» (v. 35).

Cari fratelli e sorelle, chiediamo al Signore di rinnovare in noi l’amore per la Chiesa e per il deposito della fede che essa custodisce, e di renderci tutti corresponsabili nella custodia del gregge, sostenendo nella preghiera i pastori perché manifestino la fermezza e la tenerezza del Divino Pastore.


 

Saluti:

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i professori di Seminari dei Territori di missione, che partecipano al Corso promosso dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; e i gruppi parrocchiali.

Saluto inoltre i partecipanti all’Assemblea nazionale della Federazione Italiana di Attività Educative; i ragazzi di Calusco d’Adda; il Centro anziani di Galatone; e gli Sbandieratori e musici Città di Foligno.

Saluto infine i giovani, gli anziani, gli ammalati e gli sposi novelli. Venerdì prossimo ricorre la memoria di San Nicola di Bari. Imitiamone le virtù, imparando a non anteporre nulla alla carità verso chi è più nel bisogno, ricercando in esso il volto di Dio che si è fatto uomo.

 

 

 

 

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 11 dicembre 2019

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Catechesi sugli Atti degli Apostoli - 18. «Ancora un poco e mi convinci a farmi cristiano!» (At 26,28). Paolo prigioniero davanti al re Agrippa

Cari fratelli e sorelle buongiorno!

Nella lettura degli Atti degli Apostoli, continua il viaggio del Vangelo nel mondo e la testimonianza di San Paolo è sempre più segnata dal sigillo della sofferenza. Ma questa è una cosa che cresce con il tempo nella vita di Paolo. Paolo non è solo l’evangelizzatore pieno di ardore, il missionario intrepido tra i pagani che dà vita a nuove comunità cristiane, ma è anche il testimone sofferente del Risorto (cfr At 9,15-16).

L’arrivo dell’Apostolo a Gerusalemme, descritto al capitolo 21 degli Atti, scatena un odio feroce nei suoi confronti, che gli rimproverano: “Ma, questo era un persecutore! Non fidatevi!”. Come fu per Gesù, anche per lui Gerusalemme è la città ostile. Recatosi nel tempio, viene riconosciuto, condotto fuori per essere linciato e salvato in extremis dai soldati romani. Accusato di insegnare contro la Legge e il tempio, viene arrestato e inizia la sua peregrinazione di carcerato, prima davanti al sinedrio, poi davanti al procuratore romano a Cesarea, e infine davanti al re Agrippa. Luca evidenzia la somiglianza tra Paolo e Gesù, entrambi odiati dagli avversari, accusati pubblicamente e riconosciuti innocenti dalle autorità imperiali; e così Paolo è associato alla passione del suo Maestro, e la sua passione diventa un vangelo vivo. Io vengo dalla basilica di San Pietro e lì ho avuto una prima udienza, questa mattina, con i pellegrini ucraini, di una diocesi ucraina. Come è stata perseguitata, questa gente; quanto hanno sofferto per il Vangelo! Ma non hanno negoziato la fede. Sono un esempio. Oggi nel mondo, in Europa, tanti cristiani sono perseguitati e danno la vita per la propria fede, o sono perseguitati con i guanti bianchi, cioè lasciati da parte, emarginati … Il martirio è l’aria della vita di un cristiano, di una comunità cristiana. Sempre ci saranno i martiri tra noi: è questo il segnale che andiamo sulla strada di Gesù. E’ una benedizione del Signore, che ci sia nel popolo di Dio, qualcuno o qualcuna che dia questa testimonianza del martirio.

Paolo è chiamato a difendersi dalle accuse, e alla fine, alla presenza del re Agrippa II, la sua apologia si muta in efficace testimonianza di fede (cfr At 26,1-23).

Poi Paolo racconta la propria conversione: Cristo Risorto lo ha reso cristiano e gli ha affidato la missione tra le genti, «perché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ottengano il perdono dei peccati e l’eredità, in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede» in Cristo (v. 18). Paolo ha obbedito a questo incarico e non ha fatto altro che mostrare come i profeti e Mosè hanno preannunciato ciò che egli ora annuncia: che «il Cristo avrebbe dovuto soffrire e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe annunciato la luce al popolo e alle genti» (v. 23). La testimonianza appassionata di Paolo tocca il cuore del re Agrippa, a cui manca solo il passo decisivo. E dice così, il re: «Ancora un poco e mi convinci a farmi cristiano!» (v. 28). Paolo viene dichiarato innocente, ma non può essere rilasciato perché si è appellato a Cesare. Continua così il viaggio inarrestabile della Parola di Dio verso Roma. Paolo, incatenato, finirà qui a Roma.

A partire da questo momento, il ritratto di Paolo è quello del prigioniero le cui catene sono il segno della sua fedeltà al Vangelo e della testimonianza resa al Risorto.

Le catene sono certo una prova umiliante per l’Apostolo, che appare agli occhi del mondo come un «malfattore» (2Tm 2,9). Ma il suo amore per Cristo è così forte che anche queste catene sono lette con gli occhi della fede; fede che per Paolo non è «una teoria, un’opinione su Dio e sul mondo», ma «l’impatto dell’amore di Dio sul suo cuore, […] è amore per Gesù Cristo» (Benedetto XVI, Omelia in occasione dell’Anno Paolino, 28 giugno 2008).

Cari fratelli e sorelle, Paolo ci insegna la perseveranza nella prova e la capacità di leggere tutto con gli occhi della fede. Chiediamo oggi al Signore, per intercessione dell’Apostolo, di ravvivare la nostra fede e di aiutarci ad essere fedeli fino in fondo alla nostra vocazione di cristiani, di discepoli del Signore, di missionari.

 

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UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 18 dicembre 2019

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Catechesi: Il presepe, Vangelo domestico

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Tra una settimana sarà Natale. In questi giorni, mentre si corre a fare i preparativi per la festa, possiamo chiederci: “Come mi sto preparando alla nascita del Festeggiato?”. Un modo semplice ma efficace di prepararsi è fare il presepe. Anch’io quest’anno ho seguito questa via: sono andato a Greccio, dove San Francesco fece il primo presepe, con la gente del posto. E ho scritto una lettera per ricordare il significato di questa tradizione, cosa significa il presepe nel tempo del Natale.

Il presepe infatti «è come un Vangelo vivo» (Lett. ap. Admirabile signum, 1). Porta il Vangelo nei posti dove si vive: nelle case, nelle scuole, nei luoghi di lavoro e di ritrovo, negli ospedali e nelle case di cura, nelle carceri e nelle piazze. E lì dove viviamo ci ricorda una cosa essenziale: che Dio non è rimasto invisibile in cielo, ma è venuto sulla Terra, si è fatto uomo, un bambino. Fare il presepe è celebrare la vicinanza di Dio. Dio sempre è stato vicino al suo popolo, ma quando si è incarnato e nato, è stato molto vicino, vicinissimo. Fare il presepe è celebrare la vicinanza di Dio, è riscoprire che Dio è reale, concreto, vivo e palpitante. Dio non è un signore lontano o un giudice distaccato, ma è Amore umile, disceso fino a noi. Il Bambino nel presepe ci trasmette la sua tenerezza. Alcune statuine raffigurano il “Bambinello” con le braccia aperte, per dirci che Dio è venuto ad abbracciare la nostra umanità. Allora è bello stare davanti al presepe e lì confidare al Signore la vita, parlargli delle persone e delle situazioni che abbiamo a cuore, fare con Lui il bilancio dell’anno che sta finendo, condividere le attese e le preoccupazioni.

Accanto a Gesù vediamo la Madonna e San Giuseppe. Possiamo immaginare i pensieri e i sentimenti che avevano mentre il Bambino nasceva nella povertà: gioia, ma anche sgomento. E possiamo anche invitare la Sacra Famiglia a casa nostra, dove ci sono gioie e preoccupazioni, dove ogni giorno ci svegliamo, prendiamo cibo e sonno vicini alle persone più care. Il presepe è un Vangelo domestico. La parola presepe letteralmente significa “mangiatoia”, mentre la città del presepe, Betlemme, significa “casa del pane”. Mangiatoia e casa del pane: il presepe che facciamo a casa, dove condividiamo cibo e affetti, ci ricorda che Gesù è il nutrimento, il pane della vita (cfr Gv 6,34). È Lui che alimenta il nostro amore, è Lui che dona alle nostre famiglie la forza di andare avanti e perdonarci.

Il presepe ci offre un altro insegnamento di vita. Nei ritmi a volte frenetici di oggi è un invito alla contemplazione. Ci ricorda l’importanza di fermarci. Perché solo quando sappiamo raccoglierci possiamo accogliere ciò che conta nella vita. Solo se lasciamo fuori casa il frastuono del mondo ci apriamo all’ascolto di Dio, che parla nel silenzio. Il presepe è attuale, è l’attualità di ogni famiglia. Ieri mi hanno regalato un’immaginetta di un presepe speciale, piccolina, che si chiamava: “Lasciamo riposare mamma”. C’era la Madonna addormentata e Giuseppe con il Bambinello lì, che lo faceva addormentare. Quanti di voi dovete dividere la notte fra marito e moglie per il bambino o la bambina che piange, piange, piange. “Lasciate riposare mamma” è la tenerezza di una famiglia, di un matrimonio.

Il presepe è più che mai attuale, mentre ogni giorno si fabbricano nel mondo tante armi e tante immagini violente, che entrano negli occhi e nel cuore. Il presepe è invece un’immagine artigianale di pace. Per questo è un Vangelo vivo.

Cari fratelli e sorelle, dal presepe possiamo cogliere infine un insegnamento sul senso stesso della vita. Vediamo scene quotidiane: i pastori con le pecore, i fabbri che battono il ferro, i mugnai che fanno il pane; a volte si inseriscono paesaggi e situazioni dei nostri territori. È giusto, perché il presepe ci ricorda che Gesù viene nella nostra vita concreta. E, questo è importante. Fare un piccolo presepe a casa, sempre, perché è il ricordo che Dio è venuto da noi, è nato da noi, ci accompagna nella vita, è uomo come noi, si è fatto uomo come noi. Nella vita di tutti i giorni non siamo più soli, Egli abita con noi. Non cambia magicamente le cose ma, se Lo accogliamo, ogni cosa può cambiare. Vi auguro allora che fare il presepe sia l’occasione per invitare Gesù nella vita. Quando noi facciamo il presepe a casa, è come aprire la porta e dire: “Gesù, entra!”, è fare concreta questa vicinanza, questo invito a Gesù perché venga nella nostra vita. Perché se Lui abita la nostra vita, la vita rinasce. E se la vita rinasce, è davvero Natale. Buon Natale a tutti!

 


[Modificato da Caterina63 06/01/2020 15:12]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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