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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Udienza Generale del Mercoledì Anno 2020

Ultimo Aggiornamento: 23/12/2020 18:39
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15/04/2020 23:50
 
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UDIENZA GENERALE


Biblioteca del Palazzo Apostolico
Mercoledì, 15 aprile 2020

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Catechesi sulle Beatitudini: 8. «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

La catechesi di oggi è dedicata alla settima beatitudine, quella degli “operatori di pace”, che vengono proclamati figli di Dio. Mi rallegro che essa capiti subito dopo la Pasqua, perché la pace di Cristo è frutto della sua morte e risurrezione, come abbiamo ascoltato nella Lettura di San Paolo. Per capire questa beatitudine bisogna spiegare il senso della parola “pace”, che può essere frainteso o alle volte banalizzato.

Dobbiamo orientarci fra due idee di pace: la prima è quella biblica, dove compare la bellissima parola shalòm, che esprime abbondanza, floridezza, benessere. Quando in ebraico si augura shalòm, si augura una vita bella, piena, prospera, ma anche secondo la verità e la giustizia, che avranno compimento nel Messia, principe della pace (cfr Is 9,6; Mic 5,4-5).

C’è poi l’altro senso, più diffuso, per cui la parola “pace” viene intesa come una sorta di tranquillità interiore: sono tranquillo, sono in pace. Questa è un’idea moderna, psicologica e più soggettiva. Si pensa comunemente che la pace sia quiete, armonia, equilibrio interno. Questa accezione della parola “pace” è incompleta e non può essere assolutizzata, perché nella vita l’inquietudine può essere un importante momento di crescita. Tante volte è il Signore stesso che semina in noi l’inquietudine per andare incontro a Lui, per trovarlo. In questo senso è un importante momento di crescita; mentre può capitare che la tranquillità interiore corrisponda ad una coscienza addomesticata e non ad una vera redenzione spirituale. Tante volte il Signore deve essere “segno di contraddizione” (cfr Lc 2,34-35), scuotendo le nostre false sicurezze, per portarci alla salvezza. E in quel momento sembra di non avere pace, ma è il Signore che ci mette su questa strada per arrivare alla pace che Lui stesso ci darà.

A questo punto dobbiamo ricordare che il Signore intende la sua pace come diversa da quella umana, quella del mondo, quando dice: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). Quella di Gesù è un’altra pace, diversa da quella mondana.

Domandiamoci: come dà la pace il mondo? Se pensiamo ai conflitti bellici, le guerre si concludono, normalmente, in due modi: o con la sconfitta di una delle due parti, oppure con dei trattati di pace. Non possiamo che auspicare e pregare perché si imbocchi sempre questa seconda via; però dobbiamo considerare che la storia è un’infinita serie di trattati di pace smentiti da guerre successive, o dalla metamorfosi di quelle stesse guerre in altri modi o in altri luoghi. Anche nel nostro tempo, una guerra “a pezzi” viene combattuta su più scenari e in diverse modalità.[1] Dobbiamo perlomeno sospettare che nel quadro di una globalizzazione fatta soprattutto di interessi economici o finanziari, la “pace” di alcuni corrisponda alla “guerra” di altri. E questa non è la pace di Cristo!

Invece, come “dà” la sua pace il Signore Gesù? Abbiamo ascoltato San Paolo dire che la pace di Cristo è “fare di due, uno” (cfr Ef 2,14), annullare l’inimicizia e riconciliare. E la strada per compiere questa opera di pace è il suo corpo. Egli infatti riconcilia tutte le cose e mette pace con il sangue della sua croce, come dice altrove lo stesso Apostolo (cfr Col 1,20).

E qui mi domando, possiamo tutti domandarci: chi sono, quindi, gli “operatori di pace”? La settima beatitudine è la più attiva, esplicitamente operativa; l’espressione verbale è analoga a quella usata nel primo versetto della Bibbia per la creazione e indica iniziativa e laboriosità. L’amore per sua natura è creativo – l’amore è sempre creativo – e cerca la riconciliazione a qualunque costo. Sono chiamati figli di Dio coloro che hanno appreso l’arte della pace e la esercitano, sanno che non c’è riconciliazione senza dono della propria vita, e che la pace va cercata sempre e comunque. Sempre e comunque: non dimenticare questo! Va cercata così. Questa non è un’opera autonoma frutto delle proprie capacità, è manifestazione della grazia ricevuta da Cristo, che è nostra pace, che ci ha resi figli di Dio.

La vera shalòm e il vero equilibrio interiore sgorgano dalla pace di Cristo, che viene dalla sua Croce e genera un’umanità nuova, incarnata in una infinita schiera di Santi e Sante, inventivi, creativi, che hanno escogitato vie sempre nuove per amare. I Santi, le Sante che costruiscono la pace. Questa vita da figli di Dio, che per il sangue di Cristo cercano e ritrovano i propri fratelli, è la vera felicità. Beati coloro che vanno per questa via.

E di nuovo buona Pasqua a tutti, nella pace di Cristo!


[1] Cfr Omelia nel Sacrario Militare di Redipuglia, 13 settembre 2014; Omelia a Sarajevo, 6 giugno 2015; Discorso al Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, 21 febbraio 2020.


* * *

Saluto cordialmente i fedeli di lingua italiana. A tutti auguro di vivere appieno il messaggio pasquale, nella fedeltà al proprio Battesimo, per essere testimoni gioiosi di Cristo morto e risorto per noi.  

Saluto infine i giovani, i malati, gli anziani e gli sposi novelli. Carissimi, vi esorto a guardare costantemente a Gesù che ha vinto la morte e che ci aiuta ad accogliere le sofferenze e le prove della vita come preziosa occasione di redenzione e di salvezza. Il Signore vi benedica e la Vergine Maria vi protegga!


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UDIENZA GENERALE

Biblioteca del Palazzo Apostolico
Mercoledì, 29 aprile 2020

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Catechesi sulle Beatitudini: 9. «Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,10)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Con l’udienza di oggi concludiamo il percorso sulle Beatitudini evangeliche. Come abbiamo ascoltato, nell’ultima si proclama la gioia escatologica dei perseguitati per la giustizia.

Questa beatitudine annuncia la stessa felicità della prima: il regno dei Cieli è dei perseguitati così come è dei poveri in spirito; comprendiamo così di essere arrivati al termine di un percorso unitario dipanato negli annunci precedenti.

La povertà in spirito, il pianto, la mitezza, la sete di santità, la misericordia, la purificazione del cuore e le opere di pace possono condurre alla persecuzione a causa di Cristo, ma questa persecuzione alla fine è causa di gioia e di grande ricompensa nei cieli. Il sentiero delle Beatitudini è un cammino pasquale che conduce da una vita secondo il mondo a quella secondo Dio, da un’esistenza guidata dalla carne – cioè dall’egoismo – a quella guidata dallo Spirito.

Il mondo, con i suoi idoli, i suoi compromessi e le sue priorità, non può approvare questo tipo di esistenza. Le “strutture di peccato”,[1] spesso prodotte dalla mentalità umana, così estranee come sono allo Spirito di verità che il mondo non può ricevere (cfr Gv 14,17), non possono che rifiutare la povertà o la mitezza o la purezza e dichiarare la vita secondo il Vangelo come un errore e un problema, quindi come qualcosa da emarginare. Così pensa il mondo: “Questi sono idealisti o fanatici…”. Così pensano loro.

Se il mondo vive in funzione del denaro, chiunque dimostri che la vita può compiersi nel dono e nella rinuncia diventa un fastidio per il sistema dell’avidità. Questa parola “fastidio” è chiave, perché la sola testimonianza cristiana, che fa tanto bene a tanta gente perché la segue, dà fastidio a coloro che hanno una mentalità mondana. La vivono come un rimprovero. Quando appare la santità ed emerge la vita dei figli di Dio, in quella bellezza c’è qualcosa di scomodo che chiama ad una presa di posizione: o lasciarsi mettere in discussione e aprirsi al bene o rifiutare quella luce e indurire il cuore, anche fino all’opposizione e all’accanimento (cfr Sap 2,14-15). È curioso, attira l’attenzione vedere come, nelle persecuzioni dei martiri, cresce l’ostilità fino all’accanimento. Basta vedere le persecuzioni del secolo scorso, delle dittature europee: come si arriva all’accanimento contro i cristiani, contro la testimonianza cristiana e contro l’eroicità dei cristiani.

Ma questo mostra che il dramma della persecuzione è anche il luogo della liberazione dalla sudditanza al successo, alla vanagloria e ai compromessi del mondo. Di cosa si rallegra chi è rifiutato dal mondo per causa di Cristo? Si rallegra di aver trovato qualcosa che vale più del mondo intero. Infatti «quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita?» (Mc 8,36). Quale vantaggio c’è lì?

È doloroso ricordare che, in questo momento, ci sono molti cristiani che patiscono persecuzioni in varie zone del mondo, e dobbiamo sperare e pregare che quanto prima la loro tribolazione sia fermata. Sono tanti: i martiri di oggi sono più dei martiri dei primi secoli. Esprimiamo a questi fratelli e sorelle la nostra vicinanza: siamo un unico corpo, e questi cristiani sono le membra sanguinanti del corpo di Cristo che è la Chiesa.

Ma dobbiamo stare attenti anche a non leggere questa beatitudine in chiave vittimistica, auto-commiserativa. Infatti, non sempre il disprezzo degli uomini è sinonimo di persecuzione: proprio poco dopo Gesù dice che i cristiani sono il «sale della terra», e mette in guardia dal pericolo di “perdere il sapore”, altrimenti il sale «a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente» (Mt 5,13). Dunque, c’è anche un disprezzo che è colpa nostra, quando perdiamo il sapore di Cristo e del Vangelo.

Bisogna essere fedeli al sentiero umile delle Beatitudini, perché è quello che porta ad essere di Cristo e non del mondo. Vale la pena di ricordare il percorso di San Paolo: quando pensava di essere un giusto era di fatto un persecutore, ma quando scoprì di essere un persecutore, divenne un uomo d’amore, che affrontava lietamente le sofferenze della persecuzione che subiva (cfr Col 1,24).

L’esclusione e la persecuzione, se Dio ce ne accorda la grazia, ci fanno somigliare a Cristo crocifisso e, associandoci alla sua passione, sono la manifestazione della vita nuova. Questa vita è la stessa di Cristo, che per noi uomini e per la nostra salvezza fu “disprezzato e reietto dagli uomini” (cfr Is 53,3; At 8,30-35). Accogliere il suo Spirito ci può portare ad avere tanto amore nel cuore da offrire la vita per il mondo senza fare compromessi con i suoi inganni e accettandone il rifiuto. I compromessi con il mondo sono il pericolo: il cristiano è sempre tentato di fare dei compromessi con il mondo, con lo spirito del mondo. Questa – rifiutare i compromessi e andare per la strada di Gesù Cristo – è la vita del Regno dei cieli, la più grande gioia, la vera letizia. E poi, nelle persecuzioni c’è sempre la presenza di Gesù che ci accompagna, la presenza di Gesù che ci consola e la forza dello Spirito che ci aiuta ad andare avanti. Non scoraggiamoci quando una vita coerente col Vangelo attira le persecuzioni della gente: c’è lo Spirito che ci sostiene, in questa strada.



[1] Cfr Discorso ai partecipanti al workshop “Nuove forme di fraternità solidale, di inclusione, integrazione e innovazione”, 5 febbraio 2020: «L’idolatria del denaro, l’avidità, la corruzione, sono tutte “strutture di peccato” – come le definiva Giovanni Paolo II – prodotte dalla “globalizzazione dell’indifferenza”».
 

[Cari Polacchi, saluto cordialmente ognuno di voi e le vostre famiglie. Dopo domani inizieremo il mese mariano, il mese di maggio. Rimanendo nelle case a causa della pandemia, sfruttiamo questo tempo per riscoprire la bellezza di pregare il Rosario e la tradizione delle funzioni mariane. In famiglia, oppure individualmente, in ogni momento fissate con lo sguardo il Volto di Cristo e il cuore di Maria. La sua materna intercessione vi aiuti ad affrontare questo tempo di particolare prova. Vi benedico di cuore.]

* * *

Saluto i fedeli di lingua italiana. Oggi celebriamo la festa di Santa Caterina da Siena, compatrona d’Italia. Questa grande figura di donna attinse dalla comunione con Gesù il coraggio dell’azione e quella inesauribile speranza che la sostenne nelle ore più difficili, anche quando tutto sembrava perduto, e le permise di influire sugli altri, anche ai più alti livelli civili ed ecclesiastici, con la forza della sua fede. Il suo esempio aiuti ciascuno a saper unire, con coerenza cristiana, un intenso amore alla Chiesa ad una efficace sollecitudine in favore della comunità civile, specialmente in questo tempo di prova. Chiedo a Santa Caterina che protegga l’Italia durante questa pandemia; e che protegga l’Europa, perché è patrona d’Europa, che protegga tutta l’Europa perché rimanga unita.

Rivolgo un pensiero speciale ai giovani, agli anziani, ai malati e agli sposi novelli. Tutti esorto ad essere testimoni del Cristo risorto il quale mostra ai discepoli le piaghe ormai gloriose della sua Passione. Di cuore vi benedico.


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UDIENZA GENERALE

Biblioteca del Palazzo Apostolico
Mercoledì, 6 maggio 2020

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Catechesi: 1. Il mistero della preghiera

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi iniziamo un nuovo ciclo di catechesi sul tema della preghiera. La preghiera è il respiro della fede, è la sua espressione più propria. Come un grido che esce dal cuore di chi crede e si affida a Dio.

Pensiamo alla storia di Bartimeo, un personaggio del Vangelo (cfr Mc 10,46-52 e par.) e, vi confesso, per me il più simpatico di tutti. Era cieco, stava seduto a mendicare sul bordo della strada alla periferia della sua città, Gerico. Non è un personaggio anonimo, ha un volto, un nome: Bartimeo, cioè “figlio di Timeo”. Un giorno sente dire che Gesù sarebbe passato di là. In effetti, Gerico era un crocevia di gente, continuamente attraversata da pellegrini e mercanti. Allora Bartimeo si apposta: avrebbe fatto tutto il possibile per incontrare Gesù. Tanta gente faceva lo stesso: ricordiamo Zaccheo, che salì sull’albero. Tanti volevano vedere Gesù, anche lui.

Così quest’uomo entra nei Vangeli come una voce che grida a squarciagola. Lui non ci vede; non sa se Gesù sia vicino o lontano, ma lo sente, lo capisce dalla folla, che a un certo punto aumenta e si avvicina… Ma lui è completamente solo, e nessuno se ne preoccupa. E Bartimeo cosa fa? Grida. E grida, e continua a gridare. Usa l’unica arma in suo possesso: la voce. Comincia a gridare: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (v. 47). E così continua, gridando.

Le sue urla ripetute danno fastidio, non sembrano educate, e molti lo rimproverano, gli dicono di tacere: “Ma sii educato, non fare così!”. Ma Bartimeo non tace, anzi, grida ancora più forte: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (v. 47). Quella testardaggine tanto bella di coloro che cercano una grazia e bussano, bussano alla porta del cuore di Dio. Lui grida, bussa. Quella espressione: “Figlio di Davide”, è molto importante; vuol dire “il Messia” – confessa il Messia –, è una professione di fede che esce dalla bocca di quell’uomo disprezzato da tutti.

E Gesù ascolta il suo grido. La preghiera di Bartimeo tocca il suo cuore, il cuore di Dio, e si aprono per lui le porte della salvezza. Gesù lo fa chiamare. Lui balza in piedi e quelli che prima gli dicevano di tacere, ora lo conducono dal Maestro. Gesù gli parla, gli chiede di esprimere il suo desiderio – questo è importante – e allora il grido diventa domanda: “Che io veda di nuovo, Signore!” (cfr v. 51).

Gesù gli dice: «Va’, la tua fede ti ha salvato» (v. 52). Riconosce a quell’uomo povero, inerme, disprezzato, tutta la potenza della sua fede, che attira la misericordia e la potenza di Dio. La fede è avere due mani alzate, una voce che grida per implorare il dono della salvezza. Il Catechismo afferma che «l’umiltà è il fondamento della preghiera» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2559). La preghiera nasce dalla terra, dall’humus – da cui deriva “umile”, “umiltà” –; viene dal nostro stato di precarietà, dalla nostra continua sete di Dio (cfr ibid., 2560-2561).

La fede, lo abbiamo visto in Bartimeo, è grido; la non-fede è soffocare quel grido. Quell’atteggiamento che aveva la gente, nel farlo tacere: non era gente di fede, lui invece sì. Soffocare quel grido è una specie di “omertà”. La fede è protesta contro una condizione penosa di cui non capiamo il motivo; la non-fede è limitarsi a subire una situazione a cui ci siamo adattati. La fede è speranza di essere salvati; la non-fede è abituarsi al male che ci opprime e continuare così.

Cari fratelli e sorelle, cominciamo questa serie di catechesi con il grido di Bartimeo, perché forse in una figura come la sua c’è già scritto tutto. Bartimeo è un uomo perseverante. Intorno a lui c’era gente che spiegava che implorare era inutile, che era un vociare senza risposta, che era chiasso che disturbava e basta, che per favore smettesse di gridare: ma lui non è rimasto in silenzio. E alla fine ha ottenuto quello che voleva.

Più forte di qualsiasi argomentazione contraria, nel cuore dell’uomo c’è una voce che invoca. Tutti abbiamo questa voce, dentro. Una voce che esce spontanea, senza che nessuno la comandi, una voce che s’interroga sul senso del nostro cammino quaggiù, soprattutto quando ci troviamo nel buio: “Gesù, abbi pietà di me! Gesù, abbi pietà di me!”. Bella preghiera, questa.

Ma forse, queste parole, non sono scolpite nell’intero creato? Tutto invoca e supplica perché il mistero della misericordia trovi il suo compimento definitivo. Non pregano solo i cristiani: essi condividono il grido della preghiera con tutti gli uomini e le donne. Ma l’orizzonte può essere ancora allargato: Paolo afferma che l’intera creazione «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Gli artisti si fanno spesso interpreti di questo grido silenzioso del creato, che preme in ogni creatura ed emerge soprattutto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è un “mendicante di Dio” (cfr CCC, 2559). Bella definizione dell’uomo: “mendicante di Dio”. Grazie.


Saluti:


Dopo domani, venerdì 8 maggio, al Santuario di Pompei si eleverà l’intensa preghiera della “Supplica alla Madonna del Rosario”. Esorto tutti ad unirsi spiritualmente a questo popolare atto di fede e di devozione, affinché per intercessione della Vergine Santa, il Signore conceda misericordia e pace alla Chiesa e al mondo intero.

* * *

Saluto i fedeli di lingua italiana. Abbiamo da poco iniziato il mese di Maggio, che la devozione popolare cristiana consacra alla Madre del Signore. Vi esorto ad affidarvi a Lei, che sotto la Croce ci è stata data come Madre.

Rivolgo un pensiero speciale agli anziani, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Ponetevi con fiducia sotto la materna protezione di Maria e siate certi che Ella non vi farà mancare il suo conforto nell’ora della prova. Il Signore vi benedica e la Madonna vi protegga.




[Modificato da Caterina63 10/05/2020 09:42]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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