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Arriva la "nuova" pastorale

Ultimo Aggiornamento: 20/07/2020 14:00
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20/07/2020 13:58
 
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VIII.d. Vicario parrocchiale


78. Come arricchimento, all’interno delle possibilità sopra prospettate, può trovare posto la possibilità che un sacerdote venga nominato vicario parrocchiale e incaricato di uno specifico settore della pastorale (giovani, anziani, malati, associazioni, confraternite, formazione, catechesi, etc.), “trasversale” a diverse parrocchie, oppure per adempiere a tutto il ministero, o a una parte precisa di questo, in una di esse[115].


Nel caso dell’incarico conferito a un vicario parrocchiale in più parrocchie, affidate a diversi parroci, sarà conveniente esplicitare e descrivere nel Decreto di nomina, i compiti che gli sono affidati in relazione a ciascuna comunità parrocchiale, nonché il tipo di rapporto da intrattenere con i parroci in relazione alla residenza, al sostentamento e alla celebrazione della Santa Messa.


VIII.e. Diaconi


79. I diaconi sono ministri ordinati, incardinati in una diocesi o nelle altre realtà ecclesiali che ne abbiano la facoltà[116]; sono collaboratori del Vescovo e dei presbiteri nell’unica missione evangelizzatrice con il compito specifico, in virtù del sacramento ricevuto, di «servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità»[117].


80. A salvaguardia dell’identità dei diaconi, in vista della promozione del loro ministero, Papa Francesco ha dapprima messo in guardia contro alcuni rischi relativi alla comprensione della natura del diaconato: «Dobbiamo stare attenti a non vedere i diaconi come mezzi preti e mezzi laici. […] E nemmeno va bene l’immagine del diacono come una specie di intermediario tra i fedeli e i pastori. Né a metà strada fra i preti e i laici, né a metà strada fra i pastori e i fedeli. E ci sono due tentazioni. C’è il pericolo del clericalismo: il diacono che è troppo clericale. […] E l’altra tentazione, il funzionalismo: è un aiuto che ha il prete per questo o per quello»[118].


Proseguendo il medesimo discorso, il Santo Padre ha poi offerto alcune precisazioni in merito al ruolo specifico dei diaconi all’interno della comunità ecclesiale: «Il diaconato è una vocazione specifica, una vocazione familiare cherichiama il servizio[…]Questa parola è la chiave per capire il vostro carisma. Il servizio come uno dei doni caratteristici del popolo di Dio. Il diacono è – per così dire – il custode del servizio nella Chiesa. Ogni parola dev’essere ben misurata. Voi siete i custodi del servizio nella Chiesa: il servizio alla Parola, il servizio all’Altare, il servizio ai Poveri»[119].


81. La dottrina sul diaconato ha conosciuto lungo i secoli un’importante evoluzione. La sua ripresa nel Concilio Ecumenico Vaticano II coincide anche con una chiarificazione dottrinale e con un ampliamento dell’azione ministeriale di riferimento, che non si limita a “confinare” il diaconato nel solo ambito del servizio caritativo o a riservarlo – secondo quanto stabilito dal Concilio di Trento – ai soli transeunti e quasi unicamente per il servizio liturgico. Piuttosto, il Concilio Vaticano II specifica che si tratta di un grado del sacramento dell’Ordine e, perciò, essi «sostenuti dalla grazia sacramentale, nella “diaconia” della liturgia, della predicazione e della carità servono il popolo di Dio, in comunione col vescovo e con il suo presbiterio»[120].


La ricezione post-conciliare riprende quanto stabilito da Lumen gentium e definisce sempre meglio l’ufficio dei diaconi come partecipazione, seppur in un grado diverso, del sacramento dell’Ordine. Nell’Udienza concessa ai partecipanti al Congresso Internazionale sul Diaconato, Paolo VI volle ribadire, infatti, che il diacono serve le comunità cristiane «sia nell’annuncio della Parola di Dio che nel ministero dei sacramenti e nell’esercizio della carità»[121]. D’altra parte, benché nel Libro degli Atti (At 6,1-6) sembrerebbe che i sette uomini scelti siano destinati solo al servizio delle mense, in realtà, lo stesso Libro biblico racconta come Stefano e Filippo svolgano a pieno titolo la “diaconia della Parola”. Dunque, come collaboratori dei Dodici e di Paolo, essi esercitano il loro ministero in due ambiti: l’evangelizzazione e la carità.


Dunque, sono molti gli incarichi ecclesiali che possono essere affidati a un diacono, ossia tutti quelli che non comportano la piena cura delle anime[122]. Il Codice di Diritto Canonico, tuttavia, determina quali uffici sono riservati al presbitero e quali possono essere affidati anche ai fedeli laici, mentre non compare l’indicazione di qualche particolare ufficio in cui il ministero diaconale possa esprimere la sua specificità.


82. In ogni caso, la storia del diaconato ricorda che esso è stato istituito nell’ambito di una visione ministeriale di Chiesa e, perciò, come ministero ordinato al servizio della Parola e della carità; quest’ultimo ambito comprende anche l’amministrazione dei beni. Tale duplice missione del diacono, poi, si esprime nell’ambito liturgico, nel quale egli è chiamato a proclamare il Vangelo e a prestare servizio alla mensa eucaristica. Proprio questi riferimenti potrebbero giovare a individuare compiti specifici per il diacono, valorizzando gli aspetti propri di tale vocazione in vista della promozione del ministero diaconale.


VIII.f. Le persone consacrate


83. All’interno della comunità parrocchiale, in numerosi casi, sono presenti persone appartenenti alla vita consacrata. Questa, «infatti, non è una realtà esterna o indipendente dalla vita della Chiesa locale, ma costituisce un modo peculiare, segnato dal radicalismo evangelico, di essere presente al suo interno, con i suoi doni specifici»[123]. Inoltre, integrata nella comunità insieme ai chierici e ai laici, la vita consacrata «si colloca nella dimensione carismatica della Chiesa. […]La spiritualità degli Istituti di vita consacrata può diventare, sia per il fedele laico che per il presbitero, una significativa risorsa per vivere la propria vocazione»[124].


84. Il contributo che i consacrati possono portare alla missione evangelizzatrice della comunità parrocchiale deriva in primo luogo dal loro “essere”, cioè dalla testimonianza di una radicale sequela di Cristo mediante la professione dei consigli evangelici[125], e solo secondariamente anche dal loro “fare”, cioè dalle opere compiute conformemente al carisma di ogni istituto (ad esempio, catechesi, carità, formazione, pastorale giovanile, cura dei malati)[126].


VIII.g. Laici


85. La comunità parrocchiale si compone in special modo di fedeli laici[127], i quali, in forza del battesimo e degli altri sacramenti dell’iniziazione cristiana, e in molti anche del matrimonio[128], partecipano dell’azione evangelizzatrice della Chiesa, dal momento che «la vocazione e la missione propria dei fedeli laici è la trasformazione delle varie realtà terrene affinché ogni attività umana sia trasformata dal Vangelo»[129].


In modo particolare, i fedeli laici, avendo come proprio e specifico il carattere secolare, ovvero «cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»[130], «possono anche sentirsi chiamati o essere chiamati a collaborare con i loro pastori nel servizio della comunità ecclesiale, per la crescita e la vitalità della medesima, esercitando ministeri diversissimi, secondo la grazia e i carismi che il Signore vorrà loro dispensare»[131].


86. A tutti i fedeli laici si richiede oggi un generoso impegno al servizio della missione evangelizzatrice, innanzitutto con la generale testimonianza di una vita quotidiana conforme al Vangelo nei consueti ambienti di vita e in ogni livello di responsabilità, poi in particolare con l’assunzione di impegni loro corrispondenti al servizio della comunità parrocchiale[132].


VIII.h. Altre forme di affidamento della cura pastorale


87. Esiste poi una ulteriore modalità per il Vescovo – come illustra il can. 517, § 2 – di provvedere alla cura pastorale di una comunità anche qualora, per la scarsità di sacerdoti, non sia possibile nominare un parroco né un amministratore parrocchiale, che possa assumerla a tempo pieno. In tali circostanze pastoralmente problematiche, per sostenere la vita cristiana e far proseguire la missione evangelizzatrice della comunità, il Vescovo diocesano può affidare una partecipazione all’esercizio della cura pastorale di una parrocchia a un diacono, a un consacrato o un laico, o anche a un insieme di persone (ad esempio, un istituto religioso, una associazione)[133].


88. Coloro ai quali verrà in tal modo affidata la partecipazione nell’esercizio della cura pastorale della comunità, saranno coordinati e guidati da un presbitero con legittime facoltà, costituito “Moderatore della cura pastorale”, al quale esclusivamente competono la potestà e le funzioni del parroco, pur non avendone l’ufficio, con i conseguenti doveri e diritti.


Giova ricordare che si tratta di una forma straordinaria di affidamento della cura pastorale, dovuta all’impossibilità di nominare un parroco o un amministratore parrocchiale, da non confondere con l’ordinaria cooperazione attiva e con l’assunzione di responsabilità da parte di tutti i fedeli.


89. In vista del ricorso a tale rimedio straordinario, occorre preparare adeguatamente il Popolo di Dio, avendo poi cura di adottarlo solo per il tempo necessario, non indefinitamente[134]. La retta comprensione e applicazione di tale canone richiede che il ricorso a quanto previsto, «avvenga nell’accurato rispetto delle clausole in esso contenute, ovvero: a)“per carenza di sacerdoti”,e non per ragioni di comodità o di una equivoca “promozione del laicato” […]; b) fermo restando che si tratta di“partecipazione nell’esercizio della cura pastorale”e non di dirigere, coordinare, moderare, governare la parrocchia; cosa che, secondo il testo del canone, compete solo ad un sacerdote»[135].


90. In vista di condurre a buon fine l’affidamento della cura pastorale secondo il can. 517, § 2[136], occorre attenersi ad alcuni criteri. Innanzitutto, trattandosi di una soluzione pastorale straordinaria e temporanea[137], l’unica causa canonica che rende legittimo il ricorso a essa è una mancanza di sacerdoti, tale che non sia possibile provvedere alla cura pastorale della comunità parrocchiale con la nomina di un parroco o di un amministratore parrocchiale. Inoltre, uno o più diaconi saranno da preferire a consacrati e laici per tale forma di gestione della cura pastorale[138].


91. In ogni caso, il coordinamento dell’attività pastorale così organizzata compete al presbitero designato dal Vescovo diocesano come Moderatore; esclusivamente tale sacerdote ha le potestà e le facoltà proprie del parroco; gli altri fedeli hanno, invece, «una partecipazione all’esercizio della cura pastorale della parrocchia»[139].


92. Sia il diacono, sia le altre persone non insignite dell’ordine sacro, che partecipano all’esercizio della cura pastorale, possono compiere soltanto le funzioni che corrispondono al rispettivo stato diaconale o di fedele laico, rispettando «le proprietà originarie di diversità e complementarietà tra i doni e le funzioni dei ministri ordinati e dei fedeli laici, proprie della Chiesa che Dio ha voluto organicamente strutturata»[140].


93. Infine, nel Decreto con cui nomina il presbitero Moderatore è vivamente raccomandato che il Vescovo esponga, almeno sommariamente, le motivazioni in virtù delle quali si è resa necessaria l’applicazione di una forma straordinaria di affidamento della cura pastorale di una o più comunità parrocchiali e, conseguentemente, le forme dell’esercizio del ministero del sacerdote incaricato.


IX. Incarichi e ministeri parrocchiali


94. Oltre alla collaborazione occasionale, che ogni persona di buona volontà – anche i non battezzati – può offrire alle attività quotidiane della parrocchia, esistono alcuni incarichi stabili, in base ai quali i fedeli accolgono la responsabilità per un certo tempo di un servizio all’interno della comunità parrocchiale. Si può pensare, ad esempio, ai catechisti, ai ministranti, agli educatori che operano in gruppi e associazioni, agli operatori della carità e a quelli che si dedicano ai diversi tipi di consultorio o centro di ascolto, a coloro che visitano i malati.


95. In ogni caso, nel designare gli incarichi affidati ai diaconi, ai consacrati e ai fedeli laici che ricevono una partecipazione all’esercizio della cura pastorale, occorre usare una terminologia che corrisponda in modo corretto alle funzioni che essi possono esercitare conformemente al loro stato, così da mantenere chiara la differenza essenziale che intercorre tra il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale, e in modo che sia evidente l’identità dell’impegno ricevuto da ciascuno.


96. In tale senso, innanzitutto, è responsabilità del Vescovo diocesano e, per quanto gli compete, del parroco, che gli incarichi dei diaconi, dei consacrati e dei laici, che hanno ruoli di responsabilità in parrocchia, non siano designati con le espressioni di “parroco”, “co-parroco”, “pastore”, “cappellano”, “moderatore”, “coordinatore”, “responsabile parrocchiale” o con altre denominazioni simili[141], riservate dal diritto ai sacerdoti[142], in quanto hanno diretta attinenza con il profilo ministeriale dei presbiteri.


Nei confronti dei suddetti fedeli e dei diaconi, risultano parimenti illegittime e non conformi alla loro identità vocazionale, espressioni come «affidare la cura pastorale di una parrocchia», «presiedere la comunità parrocchiale», e altre similari, che si riferiscono alla peculiarità del ministero sacerdotale, che compete al parroco.


Più appropriata sembra essere, ad esempio, la denominazione di “diacono cooperatore” e, per i consacrati e i laici, di “coordinatore di.. (un settore della pastorale)”, di “cooperatore pastorale”, di “assistente pastorale” e di “incaricato di.. (un settore della pastorale)”.


97. I fedeli laici a norma del diritto possono essere istituiti lettori e accoliti in forma stabile, tramite apposito rito, secondo il can. 230, § 1. Il fedele non ordinato può assumere la denominazione di “ministro straordinario” solo se, effettivamente, è stato chiamato dall’Autorità competente[143] a compiere le funzioni di supplenza di cui ai cann. 230, § 3 e 943. La deputazione temporanea nelle azioni liturgiche, di cui al can. 230, § 2, anche se si protrae nel tempo, non conferisce alcuna denominazione speciale al fedele non ordinato[144].


Tali fedeli laici devono essere in piena comunione con la Chiesa Cattolica[145], aver ricevuto una formazione adeguata alla funzione che sono chiamati a svolgere, nonché tenere una condotta personale e pastorale esemplare, che li renda autorevoli nello svolgere il servizio.


98. Oltre a quanto compete ai Lettori e agli Accoliti stabilmente istituiti[146], il Vescovo, a suo prudente giudizio, potrà affidare ufficialmente alcuni incarichi[147] ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici, sotto la guida e la responsabilità del parroco, come, ad esempio:


1°. La celebrazione di una liturgia della Parola nelle domeniche e nelle feste di precetto, quando «per mancanza del ministro sacro o per altra grave causa diventa impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica»[148]. Si tratta di una eventualità eccezionale, a cui fare ricorso solo in circostanze di vera impossibilità e sempre avendo cura di affidare tali liturgie ai diaconi, qualora siano presenti;


2°. L’amministrazione del battesimo, tenendo presente che «ministro ordinario del battesimo è il Vescovo, il presbitero e il diacono»[149] e che quanto previsto dal can. 861, § 2 costituisce un’eccezione, da valutarsi a discrezione dell’Ordinario del luogo;


3°. La celebrazione del rito delle esequie, nel rispetto di quanto previsto dal n. 19 dei Praenotanda dell’Ordo exsequiarum.


99. I fedeli laici possono predicare in una chiesa o in un oratorio, se le circostanze, la necessità o un caso particolare lo richiedano, «secondo le disposizioni della Conferenza Episcopale»[150] e «in conformità al diritto o alle norme liturgiche e nell’osservanza delle clausole in essi contenute»[151]. Essi non potranno invece in alcun caso tenere l’omelia durante la celebrazione dell’Eucaristia[152].


100. Inoltre, «dove mancano sacerdoti e diaconi, il Vescovo diocesano, previo il voto favorevole della Conferenza Episcopale e ottenuta la licenza dalla Santa Sede, può delegare dei laici perché assistano ai matrimoni»[153].


X. Gli organismi di corresponsabilità ecclesiale


X.a. Il Consiglio parrocchiale per gli Affari Economici


101. La gestione dei beni di cui ogni parrocchia in diversa misura dispone è un ambito importante di evangelizzazione e di testimonianza evangelica, di fronte alla Chiesa e alla società civile, in quanto, come ha ricordato Papa Francesco, «tutti i beni che abbiamo, il Signore ce li dà per far andare avanti il mondo, per far andare avanti l’umanità, per aiutare gli altri»[154]. Il parroco, quindi, non può e non deve restare solo in tale compito[155], ma è necessario che sia assistito da collaboratori per amministrare i beni della Chiesa innanzitutto con zelo evangelizzatore e spirito missionario[156].


102. Per tale ragione, in ogni parrocchia deve necessariamente essere costituito il Consiglio per gli Affari Economici, organismo consultivo, presieduto dal parroco e formato da almeno altri tre fedeli[157]; il numero minimo di tre è necessario perché si possa considerare “collegiale” tale Consiglio; giova ricordare che il parroco non è compreso tra i membri del Consiglio per gli Affari Economici, ma lo presiede.


103. In assenza di norme specifiche date dal Vescovo diocesano, sarà il parroco a determinare il numero dei membri del Consiglio, in rapporto alle dimensioni della parrocchia, e se essi debbano essere da lui nominati, o piuttosto eletti dalla comunità parrocchiale.


I membri di tale consiglio, non necessariamente appartenenti alla parrocchia stessa, devono essere di provata buona fama, nonché esperti in questioni economiche e giuridiche[158], tali da poter rendere un servizio effettivo e competente, in modo che il Consiglio non sia costituito solo formalmente.


104. Infine, a meno che il Vescovo diocesano non abbia disposto altrimenti, osservate la dovuta prudenza, nonché eventuali norme di diritto civile, nulla vieta che la medesima persona possa essere membro del Consiglio per gli Affari Economici di più parrocchie, qualora le circostanze lo richiedano.


105. Le norme eventualmente emanate in materia da parte del Vescovo diocesano dovranno tenere conto delle situazioni specifiche delle parrocchie, come ad esempio di quelle di consistenza particolarmente modesta o di quelle facenti parte di una unità pastorale[159].


106. Il Consiglio per gli Affari Economici può svolgere un ruolo di particolare importanza nel far crescere, all’interno delle comunità parrocchiali, la cultura della corresponsabilità, della trasparenza amministrativa e del sovvenire alle necessità della Chiesa. In modo particolare, la trasparenza va intesa non solo come formale presentazione di dati, ma piuttosto come doverosa informazione della comunità, e proficua opportunità per un suo coinvolgimento formativo. Si tratta di un modus agendi imprescindibile per la credibilità della Chiesa, soprattutto dove questa si trova ad avere beni significativi da amministrare.


107. Ordinariamente, l’obiettivo della trasparenza può essere conseguito pubblicando il rendiconto annuale che deve essere prima presentato all’Ordinario del luogo[160], con l’indicazione dettagliata delle entrate e delle uscite. Così, dal momento che i beni sono della parrocchia, non del parroco, che pure ne è amministratore, la comunità nel suo insieme potrà essere consapevole di come i beni sono stati amministrati, di quale sia la situazione economica della parrocchia e di quali risorse essa possa effettivamente disporre.


X.b. Il Consiglio pastorale parrocchiale


108. La vigente normativa canonica[161] lascia al Vescovo diocesano la valutazione circa l’erezione nelle parrocchie di un Consiglio pastorale, che può comunque essere considerato ordinariamente come vivamente raccomandato, come ha ricordato Papa Francesco, «Quanto sono necessari, i consigli pastorali! Un Vescovo non può guidare una diocesi senza i consigli pastorali. Un parroco non può guidare la parrocchia senza i consigli pastorali»[162].


L’elasticità della norma permette comunque gli adattamenti ritenuti opportuni nelle circostanze concrete, come, ad esempio, nel caso di più parrocchie affidate a un solo parroco, o in presenza di unità pastorali: è possibile in tali casi costituire un unico Consiglio pastorale per più parrocchie.


109. Il senso teologico del Consiglio pastorale si iscrive nella realtà costitutiva della Chiesa, cioè il suo essere “Corpo di Cristo”, che genera una “spiritualità di comunione”. Nella Comunità cristiana, infatti, la diversità di carismi e ministeri che deriva dall’incorporazione al Cristo e dal dono dello Spirito, non può mai essere omologata fino a diventare «uniformità, obbligo di fare tutto insieme e tutto uguale, di pensare tutti sempre allo stesso modo»[163]. Al contrario, in virtù del sacerdozio battesimale[164], ogni fedele è stabilito per l’edificazione di tutto il Corpo e, al contempo, l’insieme del Popolo di Dio, nella reciproca corresponsabilità dei suoi membri, partecipa della missione della Chiesa, cioè discerne nella storia i segni della presenza di Dio e diventa testimone del Suo Regno[165].


110. Lungi dall’essere un semplice organismo burocratico, dunque, il Consiglio pastorale mette in rilievo e realizza la centralità del Popolo di Dio come soggetto e protagonista attivo della missione evangelizzatrice, in virtù del fatto che ogni fedele ha ricevuto i doni dello Spirito attraverso il battesimo e la cresima: «Rinascere alla vita divina nel battesimo è il primo passo; occorre poi comportarsi da figli di Dio, ossia conformarsi al Cristo che opera nella santa Chiesa, lasciandosi coinvolgere nella sua missione nel mondo. A ciò provvede l’unzione dello Spirito Santo: “senza la sua forza, nulla è nell’uomo” (cfr Sequenza di Pentecoste). […] Come tutta la vita di Gesù fu animata dallo Spirito, così pure la vita della Chiesa e di ogni suo membro sta sotto la guida del medesimo Spirito»[166].


Alla luce di questa visione di fondo, si possono ricordare le parole di S. Paolo VI secondo il quale «È compito del Consiglio Pastorale studiare, esaminare tutto ciò che concerne le attività pastorali, e proporre quindi conclusioni pratiche, al fine di promuovere la conformità della vita e dell’azione del Popolo di Dio con il Vangelo»[167], nella consapevolezza che, come ha ricordato Papa Francesco, il fine di tale Consiglio «non sarà principalmente l’organizzazione ecclesiale, bensì il sogno missionario di arrivare a tutti»[168].


111. Il Consiglio pastorale è un organismo consultivo, retto dalle norme stabilite dal Vescovo diocesano, per definirne i criteri di composizione, le modalità di elezione dei membri, gli obiettivi e il modo di funzionamento[169]. In ogni caso, per non snaturare l’indole di tale Consiglio è bene evitare di definirlo “team” o “équipe”, vale a dire in termini non idonei a esprimere correttamente il rapporto ecclesiale e canonico tra il parroco e gli altri fedeli.


112. Nel rispetto delle relative norme diocesane, è necessario che il Consiglio pastorale sia effettivamente rappresentativo della comunità della quale è espressione in tutte le sue componenti (presbiteri, diaconi, consacrati e laici). Esso costituisce un ambito specifico in cui i fedeli possono esercitare il loro diritto-doveredi esprimere il proprio pensiero ai pastori e comunicarlo anche agli altri fedeli, circa il bene della comunità parrocchiale[170].


La funzione principale del Consiglio Pastorale Parrocchiale sta pertanto nel ricercare e studiare proposte pratiche in ordine alle iniziative pastorali e caritative che riguardano la parrocchia, in sintonia con il cammino della diocesi.


113. Il Consiglio Pastorale Parrocchiale «ha solamente voto consultivo»[171], nel senso che le sue proposte devono essere accolte favorevolmente dal parroco per diventare operative. Il parroco poi è tenuto a considerare attentamente le indicazioni del Consiglio Pastorale, specie se espresse all’unanimità, in un processo di comune discernimento.


Perché il servizio del Consiglio pastorale possa essere efficace e proficuo, occorre evitare due estremi: da una parte, quello del parroco che si limita a presentare al Consiglio pastorale decisioni già prese, o senza debita informazione previa, oppure che lo convoca di rado solo pro forma; dall’altra, quello di un Consiglio in cui il parroco è solo uno dei membri, privato di fatto del suo ruolo di pastore e guida della comunità[172].


114. Infine, è ritenuto conveniente che, per quanto possibile, il Consiglio pastorale sia composto per lo più da coloro che hanno effettive responsabilità nella vita pastorale della parrocchia, o che in essa sono concretamente impegnati, al fine di evitare che le riunioni si trasformino in uno scambio di idee astratte, che non tengono conto della vita reale della comunità, con le sue risorse e problematicità.


X.c. Altre forme di corresponsabilità nella cura pastorale


115. Quando una comunità di fedeli non può essere eretta come parrocchia o quasi-parrocchia[173], il Vescovo diocesano, sentito il Consiglio presbiterale[174], provvederà in altro modo alla sua cura pastorale[175], valutando ad esempio la possibilità di stabilire centri pastorali, dipendenti dal parroco del luogo, come “stazioni missionarie” per promuovere l’evangelizzazione e la carità. In tali casi, occorre dotare tale centro pastorale di una chiesa idonea o di un oratorio[176] e creare una normativa diocesana di riferimento per le sue attività, in modo che esse siano coordinate e complementari rispetto a quelle della parrocchia.


116. I centri così definiti, che in alcune diocesi sono chiamati “diaconie”, potranno essere affidati – ove possibile – a un vicario parrocchiale, o anche, in special modo, a uno o più diaconi permanenti, che ne abbiano la responsabilità e li gestiscano eventualmente insieme alle loro famiglie, sotto la responsabilità del parroco.


117. Tali centri potranno divenire avamposti missionari e strumenti di prossimità, soprattutto nelle parrocchie con un territorio molto esteso, in modo da assicurare momenti di preghiera e adorazione eucaristica, catechesi e altre attività a beneficio dei fedeli, in special modo quelle relative alla carità verso i poveri e i bisognosi e alla cura degli ammalati, sollecitando la collaborazione di consacrati e laici, nonché di ogni persona di buona volontà.


Tramite il parroco e gli altri presbiteri della comunità, sarà cura dei responsabili del centro pastorale garantire la celebrazione quanto più possibile frequente dei Sacramenti, soprattutto della Santa Messa e della Riconciliazione.


XI. Offerte per la celebrazione dei Sacramenti


118. Un tema connesso alla vita delle parrocchie e alla loro missione evangelizzatrice è quello dell’offerta data per la celebrazione della S. Messa, destinata al sacerdote celebrante, e degli altri sacramenti, che spetta invece alla parrocchia[177]. Si tratta di un’offerta che, per sua natura, deve essere un atto libero da parte dell’offerente, lasciato alla sua coscienza e al suo senso di responsabilità ecclesiale, non un “prezzo da pagare” o una “tassa da esigere”, come se si trattasse di una sorta di “imposta sui sacramenti”. Infatti, con l’offerta per la Santa Messa, «i fedeli […] contribuiscono al bene della Chiesa e […] partecipano della sua sollecitudine per il sostentamento dei ministri e delle opere»[178].


119. In tal senso, si rivela importante l’opera di sensibilizzazione dei fedeli, perché contribuiscano volentieri alle necessità della parrocchia, che sono “cosa loro” e di cui è bene che imparino spontaneamente a prendersi cura, in special modo in quei Paesi dove l’offerta della Santa Messa è ancora l’unica fonte di sostentamento per i sacerdoti e anche di risorse per l’evangelizzazione.


120. La suddetta sensibilizzazione potrà procedere tanto più efficacemente quanto più i presbiteri da parte loro offriranno esempi “virtuosi” nell’uso del denaro, sia con uno stile di vita sobrio e senza eccessi sul piano personale, che con una gestione dei beni parrocchiali trasparente e commisurata non su “progetti” del parroco o di un gruppo ristretto di persone, magari buoni, ma astratti, bensì sui reali bisogni dei fedeli, soprattutto i più poveri e bisognosi.


121. In ogni caso, «dall’offerta delle Messe deve essere assolutamente tenuta lontana anche l’apparenza di contrattazione o di commercio»[179], tenuto conto che «è vivamente raccomandato ai sacerdoti di celebrare la Messa per le intenzioni dei fedeli, soprattutto dei più poveri, anche senza ricevere alcuna offerta»[180].


Tra gli strumenti che possono consentire il raggiungimento di tale fine, si può pensare alla raccolta delle offerte in modo anonimo, così che ciascuno si senta libero di donare ciò che può, o che ritiene giusto, senza sentirsi in dovere di corrispondere a un’attesa o a un prezzo.


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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