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APPELLO Oggi ho firmato la Lettera apostolica «Sacrae Scripturae affectus» 16° centenario morte di San Girolamo.

Ultimo Aggiornamento: 08/10/2020 20:24
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08/10/2020 20:18
 
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Oggi ho firmato la Lettera apostolica «Sacrae Scripturae affectus», nel 16° centenario della morte di San Girolamo.

L’esempio di questo grande dottore e padre della Chiesa, che ha messo la Bibbia al centro della sua vita, susciti in tutti un rinnovato amore alla Sacra Scrittura e il desiderio di vivere in dialogo personale con la Parola di Dio.

*

LETTERA APOSTOLICA

SCRIPTURAE SACRAE AFFECTUS

DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
NEL XVI CENTENARIO DELLA MORTE DI SAN GIROLAMO

 

Un affetto per la Sacra Scrittura, un amore vivo e soave per la Parola di Dio scritta è l’eredità che San Girolamo ha lasciato alla Chiesa attraverso la sua vita e le sue opere. Le espressioni tratte dalla memoria liturgica del Santo[1] ci offrono una chiave di lettura indispensabile per conoscere, nel XVI centenario dalla morte, la sua imponente figura nella storia della Chiesa e il suo grande amore per Cristo. Questo amore si dirama, come un fiume in tanti rivoli, nella sua opera di infaticabile studioso, traduttore, esegeta, profondo conoscitore e appassionato divulgatore della Sacra Scrittura; di raffinato interprete dei testi biblici; di ardente e talvolta impetuoso difensore della verità cristiana; di ascetico e intransigente eremita oltre che di esperta guida spirituale, nella sua generosità e tenerezza. Oggi, milleseicento anni dopo, la sua figura rimane di grande attualità per noi cristiani del XXI secolo.

Introduzione

Il 30 settembre del 420 Girolamo concludeva a Betlemme, nella comunità da lui fondata presso la grotta della Natività, la sua vicenda terrena.Si affidava, così, a quel Signore che aveva sempre cercato e conosciuto nella Scrittura, lo stesso che come Giudice aveva già incontrato, febbricitante, in una visione, forse nella Quaresima del 375. In quell’avvenimento, che segnò una svolta decisiva nella sua vita, momento di conversione e cambiamento di prospettiva, egli si sentì trascinato alla presenza del Giudice: «interrogato circa la mia condizione, risposi che ero cristiano. Ma colui che presiedeva soggiunse: “Tu mentisci! Sei ciceroniano, non cristiano”».[2] Girolamo, infatti, aveva amato fin da giovane la limpida bellezza dei testi classici latini, al cui confronto gli scritti della Bibbia gli apparivano, inizialmente, rozzi e sgrammaticati, troppo aspri per il suo raffinato gusto letterario.

Quell’episodio della sua vita favorisce la decisione di dedicarsi interamente a Cristo e alla sua Parola, consacrando la sua esistenza a rendere sempre più accessibili le lettere divine agli altri, con il suo infaticabile lavoro di traduttore e commentatore. Quell’evento imprime alla sua vita un nuovo e più deciso orientamento: diventare servitore della Parola di Dio, come innamorato della “carne della Scrittura”. Così, nella ricerca continua che ha caratterizzato la sua vita, valorizza i suoi studi giovanili e la formazione ricevuta a Roma, riordinando il suo sapere nel più maturo servizio a Dio e alla comunità ecclesiale.

Per questo, San Girolamo entra a pieno titolo tra le grandi figure della Chiesa antica, nel periodo definito il secolo d’oro della Patristica, vero ponte tra Oriente e Occidente: è amico di gioventù di Rufino di Aquileia, incontra Ambrogio e intrattiene una fitta corrispondenza con Agostino. In Oriente conosce Gregorio di Nazianzo, Didimo il Cieco, Epifanio di Salamina. La tradizione iconografica cristiana lo consacra rappresentandolo, insieme ad Agostino, Ambrogio e Gregorio Magno, tra i quattro grandi dottori della Chiesa di Occidente.

Già i miei predecessori hanno voluto ricordare la sua figura in diverse circostanze. Un secolo fa, in occasione del quindicesimo centenario della morte, Benedetto XV dedicò a lui la Lettera enciclica Spiritus Paraclitus (15 settembre 1920), presentandolo al mondo come «doctor maximus explanandis Scripturis».[3] In tempi più recenti, Benedetto XVI ha presentato in due catechesi successive la sua personalità e le sue opere.[4] Ora, nel sedicesimo centenario della morte, desidero anch’io ricordare San Girolamo e riproporre l’attualità del suo messaggio e dei suoi insegnamenti, a partire dal suo grande affetto per le Scritture.

In questo senso, egli può essere posto in connessione ideale, come guida sicura e testimone privilegiato, con la XII Assemblea del Sinodo dei Vescovi, dedicata alla Parola di Dio,[5] e con l’Esortazione Apostolica Verbum Domini (VD) del mio predecessore Benedetto XVI, pubblicata proprio nella festa del Santo, il 30 settembre 2010.[6]

Da Roma a Betlemme

La vita e l’itinerario personale di San Girolamo si consumano lungo le strade dell’impero romano, tra l’Europa e l’Oriente. Nato intorno al 345 a Stridone, al confine tra la Dalmazia e la Pannonia, nel territorio dell’odierna Croazia o Slovenia, riceve una solida educazione in una famiglia cristiana. Secondo l’uso dell’epoca, è battezzato in età adulta negli anni che lo vedono a Roma studente di retorica, tra il 358 e il 364. Proprio in questo periodo romano diventa insaziabile lettore dei classici latini, che studia sotto la guida dei più illustri maestri di retorica del tempo.

Conclusi gli studi, intraprende un lungo viaggio in Gallia che lo porta nella città imperiale di Treviri, oggi in Germania. È là che viene a contatto, per la prima volta, con l’esperienza monastica orientale diffusa da Sant’Atanasio. Matura così un desiderio profondo che lo accompagna ad Aquileia dove inizia, con alcuni suoi amici, «un coro di beati»,[7] un periodo di vita comune.

Verso l’anno 374, passando per Antiochia, decide di ritirarsi nel deserto della Calcide, per realizzare, in maniera sempre più radicale, una vita ascetica in cui grande spazio è riservato allo studio delle lingue bibliche, prima del greco e poi dell’ebraico. Si affida a un fratello ebreo, diventato cristiano, che lo introduce alla conoscenza della nuova lingua ebraica e dei suoni che definisce «striduli e aspirati».[8]

Il deserto, con la conseguente vita eremitica, viene scelto e vissuto da Girolamo nel suo significato più profondo: come luogo delle scelte esistenziali fondamentali, di intimità e di incontro con Dio, dove attraverso la contemplazione, le prove interiori, il combattimento spirituale, arriva alla conoscenza della fragilità, con una maggiore consapevolezza del limite proprio e altrui, riconoscendo l’importanza delle lacrime.[9] Così, nel deserto, avverte la concreta presenza di Dio, il necessario rapporto dell’essere umano con Lui, la sua consolazione misericordiosa. Mi piace al riguardo ricordare un aneddoto, di tradizione apocrifa. Girolamo chiede al Signore: “Cosa vuoi da me?”. Ed Egli risponde: “Ancora non mi hai dato tutto”. “Ma Signore, io ti ho dato questo, questo e questo...” - “Manca una cosa” - “Che cosa?” - “Dammi i tuoi peccati perché io possa avere la gioia di perdonarli ancora”.[10]

Lo ritroviamo ad Antiochia, dove è ordinato sacerdote dal Vescovo Paolino, poi a Costantinopoli, verso il 379, dove conosce Gregorio di Nazianzo e dove prosegue i suoi studi, si dedica alla traduzione in latino di importanti opere dal greco (omelie di Origene e la cronaca di Eusebio), respira il clima del Concilio celebrato in quella città nel 381. In questi anni è nello studio che si rivelano la sua passione e la sua generosità. È una benedetta inquietudine a guidarlo e a renderlo instancabile e appassionato nella ricerca: «Ogni tanto mi disperavo, più volte mi arresi; ma poi riprendevo per l’ostinata decisione d’imparare», condotto dal “seme amaro” di tali studi a raccogliere “frutti saporosi”.[11]

Nel 382 Girolamo torna a Roma, mettendosi a disposizione di Papa Damaso che, apprezzando le sue grandi qualità, ne fa un suo stretto collaboratore. Qui Girolamo si impegna in una incessante attività senza dimenticare la dimensione spirituale: sull’Aventino, grazie al sostegno di donne aristocratiche romane desiderose di scelte radicali evangeliche, come Marcella, Paola e la figlia di lei Eustochio, crea un cenacolo fondato sulla lettura e sullo studio rigoroso della Scrittura. Girolamo è esegeta, docente, guida spirituale. In questo tempo intraprende una revisione delle precedenti traduzioni latine dei Vangeli, forse anche di altre parti del Nuovo Testamento; continua il suo lavoro come traduttore di omelie e commenti scritturistici di Origene, dispiega una frenetica attività epistolare, si confronta pubblicamente con autori eretici, a volte con eccessi e intemperanze, ma sempre mosso sinceramente dal desiderio di difendere la vera fede e il deposito delle Scritture.

Questo intenso e proficuo periodo si interrompe con la morte di Papa Damaso. Si vede costretto a lasciare Roma e, seguito da amici e da alcune donne desiderose di continuare l’esperienza spirituale e di studio biblico avviata, parte alla volta dell’Egitto – dove incontra il grande teologo Didimo il Cieco – e della Palestina, per stabilirsi definitivamente a Betlemme nel 386. Riprende i suoi studi filologici, ancorati ai luoghi fisici che di quelle narrazioni erano stati lo scenario.

L’importanza data ai luoghi santi è evidenziata non solo dalla scelta di vivere in Palestina, dal 386 fino alla morte, ma anche dal servizio per i pellegrinaggi. Proprio a Betlemme, luogo per lui privilegiato, presso la grotta della Natività fonda due monasteri “gemelli”, maschile e femminile, con ospizi per l’accoglienza dei pellegrini giunti ad loca sancta, rivelando la sua generosità nell’ospitare quanti giungevano in quella terra per vedere e toccare i luoghi della storia della salvezza, unendo così la ricerca culturale a quella spirituale.[12]

È nella Sacra Scrittura che, mettendosi in ascolto, Girolamo trova sé stesso, il volto di Dio e quello dei fratelli, e affina la sua predilezione per la vita comunitaria. Da qui il suo desiderio di vivere con gli amici, come già dai tempi di Aquileia, e di fondare comunità monastiche, perseguendo l’ideale cenobitico di vita religiosa che vede il monastero come “palestra” in cui formare persone «che si ritengono inferiori a tutti per essere primi fra tutti», felici nella povertà e capaci di insegnare con il proprio stile di vita. Ritiene formativo, infatti, il vivere «sotto il governo di un unico superiore e in compagnia di molti» per apprendere l’umiltà, la pazienza, il silenzio e la mansuetudine, nella consapevolezza che «la verità non ama gli angoli oscuri, e non cerca i sussurratori».[13] Confessa, inoltre, di «anelare alle cellette del monastero, […] desiderare quella sollecitudine delle formiche, dove si lavora insieme e non esiste niente che sia proprietà di qualcuno, ma tutto è di tutti».[14]

Nello studio Girolamo non trova un effimero diletto fine a sé stesso, ma un esercizio di vita spirituale, un mezzo per arrivare a Dio, e così anche la sua formazione classica viene riordinata nel più maturo servizio alla comunità ecclesiale. Pensiamo all’aiuto dato al Papa Damaso, all’insegnamento che dedica alle donne, specie per l’ebraico, sin dal primo cenacolo sull’Aventino, tanto da fare entrare Paola e Eustochio «nei combattimenti dei traduttori»[15] e, cosa inaudita per il tempo, garantire loro di poter leggere e cantare i Salmi nella lingua originale.[16]

Una cultura, la sua, messa a servizio e ribadita come necessaria ad ogni evangelizzatore. Così ricorda all’amico Nepoziano: «La parola del sacerdote deve prendere sapore grazie alla lettura delle Scritture. Non voglio che tu sia un declamatore o un ciarlatano dalle molte parole, ma uno che comprende la sacra dottrina (mysterii) e conosce fino in fondo gli insegnamenti (sacramentorum) del tuo Dio. È tipico degli ignoranti rigirare le parole e accattivarsi l’ammirazione del popolo inesperto con il parlare velocemente. Chi è senza pudore spesso spiega ciò che non conosce e pretende di essere un grande esperto solo perché riesce a persuadere gli altri».[17]

A Betlemme Girolamo vive, fino alla sua morte nel 420, il periodo più fecondo e intenso della sua vita, completamente dedicato allo studio della Scrittura, impegnato nella monumentale opera della traduzione di tutto l’Antico Testamento a partire dall’originale ebraico. Nello stesso tempo, commenta i libri profetici, i salmi, le opere paoline, scrive sussidi per lo studio della Bibbia. Il prezioso lavoro confluito nelle sue opere è frutto di confronto e di collaborazione, dalla copiatura e collazione dei manoscritti alla riflessione e discussione: «Non mi sono fidato mai delle mie proprie forze per studiare i volumi divini, […] ho l’abitudine di porre questioni, anche a proposito di ciò che credevo sapere, a più ragione su ciò di cui non ero sicuro».[18] Perciò, consapevole del proprio limite, chiede continuo sostegno nella preghiera di intercessione per la riuscita della sua traduzione dei testi sacri «nello stesso Spirito con cui furono scritti»,[19] senza dimenticare di tradurre anche opere di autori indispensabili per il lavoro esegetico, come Origene, in modo da «mettere a disposizione di chi vuole approfondire gli studi scientifici questo materiale».[20]

Lo studio di Girolamo si rivela come uno sforzo compiuto nella comunità e a servizio della comunità, modello di sinodalità anche per noi, per i nostri tempi e per le diverse istituzioni culturali della Chiesa, perché siano sempre «luogo dove il sapere diventa servizio, perché senza un sapere che nasce dalla collaborazione e sfocia nella cooperazione non c’è sviluppo genuinamente e integralmente umano».[21] Fondamento di tale comunione è la Scrittura, che non possiamo leggere da soli: «La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il “noi” nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire».[22]

La robusta esperienza di vita, nutrita dalla Parola di Dio, fa sì che Girolamo, attraverso una fitta corrispondenza epistolare, diventi guida spirituale. Egli si fa compagno di viaggio, convinto che «non c’è arte che s’impari senza maestro», come scrive a Rustico: «ciò che desidero farti capire, prendendoti per mano, come se io fossi un marinaio che, fatta ormai l’esperienza di parecchi naufragi, tenta d’istruire un navigante inesperto».[23] Da quell’angolo pacifico di mondo segue l’umanità in un’epoca di grandi capovolgimenti, segnata da eventi come il sacco di Roma del 410 che lo colpì profondamente.

Alle lettere affida le polemiche dottrinali, sempre nella difesa della retta fede, rivelandosi uomo di relazioni, vissute con forza e con dolcezza, con pieno coinvolgimento, senza forme edulcorate, sperimentando che «l’amore non ha prezzo».[24] Così vive i suoi affetti con impeto e sincerità. Questo coinvolgersi nelle situazioni in cui vive e opera si riscontra anche nel fatto che egli offre il suo lavoro di traduzione e di commento come munus amicitiae. È un dono prima di tutto per gli amici, destinatari e dedicatari delle sue opere e ai quali chiede di leggerle con occhio amichevole piuttosto che critico, e poi per i lettori, i suoi contemporanei e quelli di ogni tempo.[25]

Consuma gli ultimi anni della sua vita nella lettura orante personale e comunitaria della Scrittura, nella contemplazione, nel servizio ai fratelli attraverso le sue opere. Tutto questo a Betlemme, accanto alla grotta dove il Verbo fu partorito dalla Vergine, consapevole che è «felice colui che porta nel suo intimo la croce, la risurrezione, il luogo della nascita e dell’ascensione di Cristo! Felice chi ha Betlemme nel suo cuore, nel cui cuore Cristo nasce ogni giorno!».[26]


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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