Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.

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Lettere di Santa Caterina da Siena da 232 a 310 (4)

Ultimo Aggiornamento: 03/12/2022 11:14
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03/12/2022 11:10
 
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CCLXIII (263) - A monna Montagna, gran serva di Dio, nel contado di Narni, in Capitona



Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.


Carissima e dilettissima madre in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi arsa e consumata nel fuoco della divina carità. La quale carità non cerca le cose sue; cioè che non cerca sè per sè, nè 'l prossimo per sè, nè Dio per sè: ma sè e 'l prossimo per Dio, e Dio per lui medesimo, in quanto egli è degno d'essere amato come somma ed eterna bontà. Questo fuoco arde, e non consuma; e consuma: cioè che non affligge nè dissecca l'anima, ma ingrassala, ungendola di vera e perfetta umiltà, la quale è balia e nutrice di essa carità; e consuma ogni amore proprio spirituale e temporale, e ogni altra cosa che trovasse nell'anima fuore della dolce volontà di Dio.


Dico che consuma l'amore proprio temporale: però che col lume cognobbe, sè e le cose temporali e transitorie essere strumento di morte, che uccidono l'anima che disordinatamente le possiede; e però le comincia a odiare, e gettarle fuore del cuore e della mente sua. E perché l'anima non può vivere senza amore, subito comincia a drizzare l'affetto e l'amore verso la ricchezza delle virtù. Onde questo fuoco d'amore per forza del calore suo consuma in tutto l'altro amore. Poichè l'anima l'ha così consumato in sè, anco non è perfetta; ma insino che ella non giugne alla sua perfezione, gli rimane uno amore proprio spirituale o verso le creature o verso il Creatore:benchè l'uno non è senza l'altro; però che, con quella perfezione che noi amiamo Dio, con quella amiamo la creatura ragionevole. A che s'avvede che questo amore proprio spirituale sia nell'anima? quando la persona ama in sè la propria consolazione, per la quale lasserà di non adoperare la salute del prossimo suo; o quando in quella operazione si vedesse, diminuire la pace e la quiete della mente, o altri esercizi che per sua consolazione volesse fare; o quando alcuna volta amasse la creatura di spirituale amore, e a lei non paresse che quella creatura rispondesse all'amore suo, o che avesse più stretta conversazione e mostrasse più amore a un'altra persona che a lei, ne sostiene pena gravissima, sdegno e dispiacere, e spesse volte giudicio nella mente sua, e dilungamento da quella creatura, sotto colore d'umiltà e di più avere la sua pace: ed egli è 'l proprio amore ch'ella ha a sè medesima. Questi sono e' segni verso la creatura, che l'amore proprio spirituale non è ancora consumato nell'anima verso il Creatore.


E quando la mente ricevesse alcuna tenebra, battaglie, o privazioni delle sue consolazioni usate; se ella perquesto viene a tedio o a confusione di mente, per la quale confusione e tedio spesse volte lasserà il dolce esercizio dell'orazione (la quale cosa non debbe fare, ma per ogni modo debbe pigliare la madre dell'orazione, e non partirla da sè: chè s'ella lassa questo massimamente, o veruno atto virtuoso, segno è che l'amore è mercennaio, cioè che ella ama per propria consolazione, e che l'amore proprio del diletto spirituale è anco radicato nell'anima sua); dico che 'l fuoco della diviria carità il consuma,e leva la imperfezione; fa l'anima perfetta nell'amore di Dio e dilezione del prossimo. Non cura, per onore di Dio e salute dell'anime, di perdere le proprie consolazioni: non rifiuta labore; anco, si diletta di stare in sullamensa del crociato desiderio, accompagnando l'umile immacolato Agnello. Ella piange con quelli che piangono, e fassi inferma con quelli che sono infermi: però che le colpe d'altrui reputa sue. Ella gode con quelli che godono, dilargando 'l cuore nella carità del prossimo; in tanto che quasi più è contenta del bene, pace e consolazione altrui, che di sè medesima. Quello ch'ella ama, vorrebbe che ogni gente l'amasse. Non si scandalizza perché vedesse più amare altrui che sè; ma con vera umiltà sta contenta, perché reputa sè difettuosa, e l'altrevirtuose. E poi le pare giusta cosa e convenevole che quella in cui si truova la virtù, sia più amata di lei. Questa carità unisce l'anima in Dio, annegando la propria volontà, e vestela e uniscela coll'eterna volontà sua; intanto che di neuna cosa si può scandalizzare nè turbare quella mente, se non dell'offese fatte al suo Creatore, e della dannazione dell'anime.


Questo è un fuoco che converte ogni cosa in sè, e fa levare l'affetto dell'anima sopra sè medesima, ricevendo tanta unione per elevazione di mente, ch'ella ha fatta nella divina Carità, che 'l vasello del corpo suo perde ogni sentimento; in tanto che vedendo non vede, udendo non ode, parlando non parla, andando non va, toccando non tocca. Tutti e' senti menti del corpo paiono legati, e pare perduta la virtù perché l'affetto s'è perdutoa sè, e unito in Dio. Onde con la virtù e carità sua ha tratto a sè quell'affetto: e mancano e' sentimenti del corpo; perché più perfetta è l'unione che l'anima ha fatta in Dio, che quella dell'anima nel corpo. Egli trae a sè le potenzie dell'anima, con tutte le sue operazioni. Perché la memoria s'è empita del ricordamento de' beneficii, e della grande bontà sua; l'intelletto ha posto dinanzi a sè la dottrina di Cristo crocifisso, data a noi per amore; e però la volontà corre con grandissimo affetto ad amarla. Allora tutte le operazioni sono ordinate, e congregate nel nome suo. Ella gusta il latte della divina dolcezza, ella s'inebria del sangue di Cristo; e, come ebra, non si vuole satollare altro che d'obbrobri; abbracciando scherni, rimproveri e villanie, freddo e caldo, fame e sete, persecuzioni dagli uomini e molestie dalle demonia: in tutte si gloria col glorioso Paolo in Cristo dolce Gesù.


Dissi che la carità non cercava sè, perché non elegge luogo nè tempo a modo suo, ma secondo che gli è conceduto dalla divina Bontà. E però ogni luogo gli è luogo, e ogni tempo gli è tempo. Tanto gli pesa la tribulazione quanto la consolazione, perché ella cerca l'onore di Dio nella salute dell'anime, con affetto d'acquistare e crescere nelle vere e reali virtù. Qui ha fatto il suo principio;non nelle proprie consolazioni mentali, nè in rivelazioni; non in uccidere il corpo, ma la propria volontà; avendo veduto col lume che in quello non sta la perfezione dell'anima, ma sì in uccidere la propria volontà spirituale e temporale. E però liberamente la getta nella fornace della divina carità. E poichè ella v'è dentro, bisogno è che ella sia arsa e consumata per lo modo detto.


Or dappoi che abbiamo veduto non cavelle (a rispetto di quello che è), quello che dà questa dolce madre della carità; vediamo in che luogo s'acquista, e con che. Dicovelo in poche parole: acquistasi col lume della santissima fede, la quale fede è la pupilla dell'occhio dell'intelletto. Con questo lume vede l'anima quello che debbe amare, e quello che debbe odiare; vedendo, cognosce; e cognoscendo, ama e odia. Ama, dico, quello che ha cognosciuto della divina Bontà; e odia quello che ha veduto della propria malizia e miseria; la quale vede essere necessaria alla salute sua. Chi ne fu cagione? il lume onde venne il cognoscimento, e dal cognoscimento l'amore. Però che la cosa che non si cognosce, non si può amare. Adunque il lume ci conduce a questo fuoco, e è unito l'uno con l'altro; chè fuoco non è senza lume, nè lume senza fuoco. Dove 'l troviamo? nella casa del cognoscimento di noi. In noi troviamo questo dolce e amoroso fuoco; perché per amore Dio ci ha dato l'essere alla immagine e similitudine sua. Per amore siamo ricreati a Grazia nel sangue di Cristo crocifisso; però che l'amore il tenne confitto e chiavellato in croce. Noi siamo quei vaselli che abbiamo ricevuto l'abbondanzia del sangue; e tutte le grazie spirituali e corporali date a noi sopra l'essere, le abbiamo ricevute per amore. Sicchè, in sè trova l'anima e cognosce questo fuoco dolce. Adunque col lume andiamo pella casa del cognoscimento di noi; e ine ci nutricheremo della divina carità, vedendo noi essere amati da Dio inestimabilmente. La quale carità nutrica al petto suo e' figliuoli della virtù, e fa vivere l'anima in Grazia: senz'essa saremmo sterili e privati della vita.


Considerando me questo, dissi ch'io desideravo (e così desidero in me con voi insieme) di vederci arse e consumate nella fornace della divina carità. Prego la clemenzia dello Spirito Santo che questo ci faccia per grazia, acciocchè la divina Bontà sia glorificata in noi, consumando la vita nostra in dolore e amaritudine dell'offese che sono fatte a lui, con umile e fedele e continua orazione per la santa chiesa, e per ogni creatura che ha in sè ragione. Anneghianci nel sangue dell'Agnello. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Umilmente mi vi raccomando. Gesù dolce, Gesù amore.

CCLXIV - A monna Jacoma di misser Trinci da Fuligno

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima suoro in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi fondata in vera e perfetta pazienzia, considerando me, che l'anima non può piacere a Dio nè stare nella sua Grazia senza la virtù della pazienzia. Perocchè, essofatto c'h'ell'è impaziente, è privata di Dio per Grazia (perocchè la impazienzia procede dall'amor proprio di sè medesimo), vestita della propria volontà sensitiva; e l'amor proprio e lapropria sensualità non è in Dio. Adunque vedete, che l'anima, ch'è impaziente, è privata di Dio.

Impossibile è, dice Cristo, che l'uomo possa servire a due signori; perocchè s'egli serve all'uno, egli sarà in contento all'altro, perché sono contrarii. Il mondo e Dio non hanno conformità insieme, e però sono tanto contrarii e' servi del mondo a' servi di Dio. Colui che serve al mondo, non si diletta d'altro, se non d'amare colla propria sensualità e disordinato amore, delizie, ricchezze, stati, onore, e signoria; le quali cose passano tutte come 'l vento, però che non hanno in loro alcuna fermezza nè stabilità.

Appetisce la creatura con amore disordinato la lunga vita, e ella è breve; la sanità, e spesse volte ci convieneessere infermi. E tanto è la poca fermezza loro in ogni diletto e consolazione del mondo, che di bisogno è, ch'elle siano tolte a noi, o che noi siamo tolti a loro. Onde alcuna volta permette Dio che elle siano tolte a noi; e questo è quando noi perdiamo la sustanzia temporale, o eziandio la vita corporale di coloro che noi amiamo: o egli viene caso che noi lassiamo loro, questo è quando Dio ci chiama di questa vita, morendo corporalmente. Dico dunque, che per lo disordinato amore ch'è servi del mondo hanno posto a loro medesimi, col quale amor disordinato amano ogni creatura e figliuoli e marito e fratell e padre e madre, e tutti e' diletti del mondo; perdendoli sostengono intollerabili pene, e sono impazienti e incomportabili a loro medesimi. E non è da maravigliarsene; però che tanto si pérdono con dolore, quanto l'affetto dell'anima le possiede con amore. Onde in questa vita gustano l'arra dell'inferno; in tanto che se essi non si proveggono in ricognoscere le colpe loro, e con vera pazienzia portare, considerando che Dio l'ha permesso per nostro bene; giungono all'eterna dannazione. O quanto è stolto, carissime suoro e figliuole, colui che si dà ad amare questo miserabile signore del mondo, 'l quale non ha in sè alcuna fede; anco, è pieno d'inganno: e ingannato rimane colui che se ne fida! Egli mostra bello, ed egli è sozzo; egli ci vuole mostrare che egli sia fermo e stabile, ed egli si muta. Bene lo vediamo manifestamente; però che oggi siamo ricchi, e domane poveri; oggi signori, e domane vassalli; oggi vivi, e domane morti. Sicchè vediamo dunque, che non è fermo. Questo parbe che volesse dire quel glorioso di Paolo dicendo: «Abbiti cura a coloro che presumono di fidarsi di loro e del mondo; però che quando tu credi benestare, e tu vieni meno». E così è la verità.

Doviamo dunque levarci dall'amore e confidenzia che abbiamo al mondo, poichè ci dà tanto male di colpa e di pena da qualunque lato noi ci volliamo. Elle danno, dico, molestia e scandalo le cose del mondo a chi le possiede fuori di Dio. In Dio dobbiamo amare ciò che noi amiamo, e a gloria e loda del nome suo. E non vorrei però, che voi credeste che Dio non volesse che noi amassimo; però ch'egli vuole che noi amiamo, perché tutte le cose che sono fatte da lui, sono degne d'essere amate; perocchè Dio, che è somma Bontà, ha fatte tutte le cose buone, e non può fare altro che bene. Ma solo il non amarle con ordine secondo Dio, e con vera umiltà, ricognoscendole da lui, è quello che le fa cattive, ed è male di colpa. Questa colpa dunque, che è una nostra disordinata volontà, con la quale noi amiamo, non è degua d'esser amata; anco, è degna d'odio e di pena, perché non è in Dio.

Molto è discordante veramente questo misero signore del mondo da Dio. Dio vuole virtù, e 'l mondo vizio; in Dio è tutta pazienzia, e 'l mondo è impaziente. In Cristo crocifisso è tutta clemenzia ed è fermo e stabile, che mai non si muove, e le sue promesse non fallano mai, perocch'egli è vita, e indi abbiamo la vita. Egli è verità, peròche egli attiene la promessa, ogni bene remunera, e ogni colpa punisce. Egli è luce che ci dà lume; egli è nostra speranza, nostro proveditore e nostra fortezza; e a chi si confida in lui, egli non manca mai; perocchè tanto quanto l'anima si confida nel suo Creatore, tanto è proveduta. Egli tolle la debilezza, e fortifica 'l cuore del tribolato, che con vera umiltà e confidenzia chiede l'adiutorio suo, pur che noi volliamo l'occhio dell'intelletto con vero lume alla sua inestimabile carità. Il qual lume acquisteremo nell'obietto del sangue di Cristo crocifisso; perocchè senza il lume non potremmo vedere quanto è miserabile cosa amare il mondo, nè quanto è bene e utilità amare e temere Dio: perocchè, non vedendo, non si potrebbe amare chi è degno d'amore, nè dispregiare il vizio e 'l peccato, che è degno d'odio.

Ora a questo, dunque, dolce Signore, voglio che con vera pazienzia voi serviate. Voi avete provato quanto è penosa la servitudine del mondo, e con quanta pena vien tosto meno. Dunque accostatevi a Cristo crocifisso, e lui cominciate a servire con tutto il cuore e con tutta l'anima; e con vera pazienzia porterete la santa disciplina che egli v'ha posta non per odio, ma per amore ch'egli ebbe alla salute dell'anima sua, alla quale ebbe tanta misericordia, permettendo che morisse nel servizio della santa Chiesa: che, essendo morto in altro modo, per li molti viluppi e tenerezze del mondo e affanno delli amici e parenti (e' quali spesse volte sono impedimento della nostra salute) averebbe avuto molto che fare. Volendo dunque Dio, che l'amava di singolare amore, provedere alla salute sua, permise di conducerlo a quel punto, il quale fu dolce all'anima sua. E voi dovete esser amatrice più dell'anima che del corpo; però che 'l corpo è mortale, ed è cosa finita, e l'anima è immortale e infinita. Sicchè dunque vedete che la somma Providenza ha proveduto alla sua salute; e a voi ha proveduto di farvi portare delle fadighe, per avere di che remunerarvi in vita eterna. Già abbiamo detto che ogni bene è remunerato, e ogni colpa è punita, cioè ogni pena e tribolazione, che con pazienzia si porta; e ogni impazienzia, mormorazione, e odio che abbiamo contra Dio e 'l prossimo nostro e a noi medesimi; e anco ha voluto il dolce e buono Gesù, che cognosciate che cosa è 'l mondo, e quanto è miserabile cosa a farsi Dio de' figliuoli, o del marito, odello stato, o d'alcuna altra cosa.

E se voi mi diceste: «la fadiga è sì grande, che io non la posso portare»; io vi rispondo, carissima suoro, che la fadiga è piccola, e puossi portare. Dico ch'è piccola, per la piccolezza e brevità del tempo; però che tanto è grande la fadiga quanto è 'l tempo. Chè, passati che noi siamo di questa vita, sono finitele nostre fadighe. Il tempo nostro quanto è? Dicono li Santi, ch'egli è quanto una punta d'aco; che per altezza nè per lunghezza non è cavelle. E così è la vita del corpo nostro: però che subito vien meno quando piace alla divina Bontà di trarci di questa vita.

Dico ancora, che si può portare; perocchè neuno è che le possa tollere da sè per alcuna impazienzia. Onde assai dica: «Io non posso nè voglio portare»: chè gli conviene pur portare. E 'l suo non volere gli aggiugne fadiga sopra fadiga, colla sua propria volontà; nella quale volontà sta ogni pena. Perocchè tanto è grande la fadiga, quanto la volontà la fa grande. Onde, tollimi la volontà, ed è tolta la fadiga.

E con che si tolle questa volontà? Colla memoria del sangue di Cristo crocifisso. Questo sangue è di tanto diletto che ogni amaritudine nella memoria di questo sangue diventa dolce, e ogni gran peso diventa leggiero: però che nel sangue di Cristo troviamo l'amore ineffabile con che siamo amati da lui: perocchè per amore ci ha data la vita, e rendutaci la Grazia, la quale noi per lo peccato perdemmo. Nel sangue troviamo la larghezza della sua misericordia; e ine si vede che Dio non vuole altro che 'l nostro bene. O sangue dolce, che inebrii l'anima! Elli è quel sangue che dà pazienzia; egli ci vesteil vestimento nuziale col quale ci conviene entrare a vita eterna. Questo è il vestimento della carità, senza 'l qualesaremmo cacciati dei convito di vita eterna. Veramente, carissima suoro, che nella memoria di questo sangue acquistiamo ogni diletto, e ogni refrigerio in ogni nostra fadiga e avversità. E però vi dissi che colla memoria del sangue di Cristo si tolleva la volontà sensitiva, la quale ci dà impazienzia; e vesteci la detta memoria del sangue, della volontà di Dio, dove l'anima porta con tanta pazienzia che di neuna altra cosa che le addivenga si può turbare; ma duolsi più quando si sentisse dolore delle fadighe, e ribellare alla volontà di Dio, che non fa delle proprie fadighe. E così dovete far voi, e dolervi del sentimento vostro, che si duole. E per questo modo mortificherete 'l vizio dell'ira e della impazienzia, e verrete a perfetta virtù.

E se voi considerate voi medesima, quante sono le pene che Cristo ha portate per noi, e con quanto amore ve l'ha concedute, solo perché siate santificata in lui; e quanto la fadiga è piccola per la brevità del tempo, come detto è; e come ogni nostra fadiga sarà remunerata: e quanto Dio è buono, e che la sua bontà non può volere altro che tutto a nostro bene; dico che ogni cosa, avendo questa santa considerazione, vi farà portare leggermente, e ogni tribolazione; con vero cognoscimento de' nostri difetti, che meritiamo ogni fadiga; e della bontà di Dio in noi, dove noi troviamo tanta misericordia: perocchè per le nostre colpe meriteremmo pena infinita; ed egli ci punisce con queste pene finite e insiememente si sconta il peccato, e meritiamo vita eterna per la grazia sua, chi serve lui portando con vera pazienzia. Il quale è di tanta benignità, che 'l servire a lui non è essere servo,ma è regnare. E tutti li fa re, e signori liberi; però che gliha tratti della servitudine del dimonio, e del perverso tiranno del mondo, e della oscura sua servitudine.

Orsù dunque, carissime figliuole, poi che è tanto amaro il servire e amare di disordinato amore il mondo, le creature, e noi medesimi; ed è tanto dolce a servire e temere il dolce nostro Salvatore, signor nostro naturale, che ci ha amati prima che noi fossimo, per la sua infinita carità; non è dunque da perdere più 'l tempo. Ma con vero lume e viva fede, confidandoci che egli ci sovverrà a ogni nostro bisogno, il serviamo con tutto il cuore e con tutto l'affetto e con tutte le forze nostre, e con realepazienzia, la quale è piena di dolcezza. Questa virtù è sempre donna, sempre vince, e non è mai vinta; perocchè non si lascia signoreggiare nè possedere dall'ira. Onde chi l'ha, non vede morte eternale; ma in questa vita gusta l'arra di vita eterna. E senz'essa stiamo nella morte, privati del bene della terra, e del bene del cielo. E però dissi, vedendo tanto pericolo, e sentendo che per lo caso occorso a voi n'avevate bisogno acciocchè non perdeste il frutto delle vostre fadighe, dissi, e dico, cheio desideravo di vedervi fondata in vera e perfetta pazienzia. E così dovete fare, acciocchè, quando sarete richieste dalla prima dolce Verità nell'ultimo punto della morte, potiate dire: «Signor mio, io ho corso, e consumata questa vita con fede e speranza ch'io ebbi in te, portando con pazienzia le fadighe che per mio bene mi concedessi. Ora t'addimando per grazia, per li meriti del sangue tuo, che tu mi doni te, il quale sei vita senza morte, luce senza tenebre, sazietà senza alcuno fastidio, e fame dilettevole senza alcuna pena; pieno d'ogni bene in tanto che la lingua nol può dire nè 'l cuore pensare, nè l'occhio vedere quanto bene è quello che tu hai apparecchiato a me e agli altri, che sostengono volontariamente ogni fadiga per tuo amore». Io vi prometto, carissima suoro, che facendo così, Dio vi rimetterà ancora nella casa vostra temporale; e nell'ultimo tornerete nella patria vostra Jerusalem, visione di pace: siccome fece a Job, che, provato ch'ebbe la sua pazienzia (avendo perduto ciò che egli aveva, morti e' figliuoli, e perduto l'avere e toltagli la sanità, in tanto che le sue carni menavano vermini, la moglie gli era rimasta per lo suo stimolo che sempre 'l tribolava; e in tutte queste cose Job non si lagna, ma dice: «Dio me le diede, e Dio me l'ha tolte; in ogni cosa sia glorificato il nome suo»). Vedendo Dio tanta pazienzia in Job, gli restituì d'ogni cosa il doppio più che non avea, dandogli qui la sua Grazia, e nel fine vita eterna.

Or così fate voi. E non vi lasciate ingannare alla passione sensitiva, nè al mondo nè al dimonio nè a detto d'alcuna cretura. E guardatevi dall'odio del cuore verso il prossimo vostro, perocch'egli è la peggiore lebra che sia. L'odio fa nell'anima come colui che vuole uccidere il nemico suo; il quale, vollendo la punta del coltello verso di lui, uccide prima sè medesimo, che egli uccida lui. Così fa l'odio: perocchè prima è morta l'anima dal coltello dell'odio, che egli uccida lui. Spero nella bontà di Dio che 'l farete. E anco acciò meglio il possiate fare, usate di confessarvi spesso, e di ritrovarvi volentieri co'servi di Dio. E dilettatevi dell'orazione, dove l'anima cognosce meglio sè e Dio. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

CCLXV - A Francesco di Pipino sarto da Firenze, e a monna Agnesa sua donna

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figliuoli in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi spogliati di voi medesimi, e vestiti di Cristo crocifisso, morti ad ogni propria volontà, e ogni parere e piacere umano; e solo viva in voi la sua dolce verità. Perocchè in altro modo non veggo che poteste perseverare nella virtù: e non perseverando, non ricevereste la corona della beatitudine; e così avereste perduto il frutto delle vostre fatidighe.

Voglio adunque, figliuoli miei dolci, che in tutto vi studiate d'uccidere questa perversa volontà sensitiva, la quale sempre vuole ribellare a Dio. E il modo da ucciderla è questo: di salir sopra la sedia della coscienzia vostra, e tenervi ragione, e non lassare passare uno minimo pensiero fuora di Dio, che non sia corretto con grande rimproverio. Faccia l'uomo due parti di sè; cioè la sensualità e la ragione: e questa ragione tragga fuore il coltello di due tagli, cioè odio del vizio, e amore della virtù;e con esso tenga la sensualità per serva, dibarbicando e divellendo ogni vizio e movimento di vizio dall'anima sua. E mai non dia a questa serva cosa che gli addimandi; ma coll'amore delle virtù conculcarla sotto e' piedi dell'affetto. Se ella vuole dormire, e tu con la vigilia e coll'umile orazione; se vuole mangiare, e tu digiuna; se sileva a concupiscenzia, e tu colla disciplina; se vuole starsi in negligenzia, e tu coll'esercizio santo; se s'avviluppa, per sua fragilità e per illusione del dimonio, in vani e disonesti pensieri, e tu ti leva col rimproperio, vituperandola, e colla memoria della morte la impaurisci, e con santi pensieri cacciare e' disonesti: e così in ogni cosa farforza a voi medesimi. Ma ogni cosa con discrezione; cioè della vita corporale, pigliando la necessità della natura, acciò che 'l corpo, come strumento, possa aitare all'anima, ed esercitarsi per Dio. Per questo modo, con molta forza e violenzia che farete a questa perversa legge della carne vostra e della volontà propria, averete vittoria di tutti e' vizii, e acquisterete in voi tutte le virtù. Ma questo non veggo che poteste fare mentre fuste vestiti di voi; e però vi dissi che io desideravo di vedervene spogliati, e vestiti di Cristo Crocifisso. E così vi prego strettissimamente che vi ingegniate di fare, acciò che voi siate la gloria mia. Fate, che io vi vegga due specchi di virtù nel cospetto di Dio. E levatevi oggimai da tanta negligenzia e ignoranzia quanto io sento in voi; e non mi date materia di pianto, ma d'allegrezza. Spero nella bontà di Dio, che ancora mi darà consolazione di voi. Non dico più. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

CCLXVI (266) - A misser Ristoro Canigiani

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo,scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi privato d'ogni amore proprio e voi medesimo, acciocchè non perdiate il lume e cognoscimento, di vedere l'amore ineffabile che Dio v'ha. E però che 'l lume è quello che cel fa cognoscere, e l'amore è quella cosa che ci tolle il lume; però ho grandissimo desiderio di vederlo spennto in voi. Oh quanto è pericoloso alla nostra salute quest'amore proprio! Egli priva l'anima della grazia, perché gli tolle la carità di Dio e del prossimo; la quale carità ci fa vivere in grazia. Egli ci priva l'anima del lume, come dicemmo, perché offusca l'occhio dell'intelletto: tolto il lume andiamo in tenebre, e non conosciamo quello che ci è necessario. Che ci è di bisogno cognoscere? La grande bontà di Dio e la ineffabile carità sua verso di noi; la legge perversa che sempre impugna contro lo spirito, e la nostra miseria. In questo cognoscimento l'anima comincia a rendere il debito suo a Dio, cioè la gloria e lode al nome suo, amando lui sopra ogni cosa ,e 'l prossimo come sè medesimo; con fame e desiderio delle virtù: a sè rende odio e dispiacere, odiando in sè il vizio, e la propria sensualità ch'è cagione d'ognivizio. Ogni virtù e grazia acquista l'anima nel cognoscimento di sè, standovi dentro col lume, come detto è. Dove troverà l'anima la ricchezza della contrizione delle colpe sue, e l'abondanzia della misericordia di Dio? In questa casa del cognoscimento di sè.

Or vediamo se noi ce la troviamo o no. Parlianne alcuna cosa; perché, secondo che mi scrivete, voi avete desiderio d'avere contrizione de' vostri peccati; e non potendola avere, per questo lassavate la santa Comunione. E anco, vedremo, se per questo si debba lassare.

Voi sapete che Dio è sommamente buono, e amocci prima che noi fossimo; ed è eterna Sapienzia, e la sua potenzia in virtù è inestimabile: onde per questo siamo certi che egli può, sa e vuole darci quello che ci bisogna. E ben vediamo per pruova che egli ci dà più che noi non sappiamo addimandare, e quello che non è addimandato per noi. Pregammolo noi mai che egli ci creasse più creature ragionevoli alla immagine e similitudine sua, che animali bruti? No. Nè che egli ci creasse a Grazia nel sangue del Verbo unigenito suo Figliuolo, nè che egli ci si lassasse in cibo tutto sè Dio e tutto uomo, la carne e il sangue, il corpo e l'anima unita nella Deità? Oltre a questi altissimi doni, i quali sono sì grandi e tanto fuoco d'amore ci mostrano, che non è cuore tanto duro che a considerarli punto, non si dissolvesse la durizia e freddezza sua; infinite sono le grazie e doni che riceviamo da lui senza nostro addimandare.

Adunque, poich'egli dà tanto senza nostro chiedere; quanto maggiormente compirà e' desiderii nostri quando desidereremone cosa giusta? Anco, chi ce le fa desiderare e addimandare? solamente egli. Dunque se egli le fa addimandare, segno è che egli le vuole compire, e dare quello che noi addimandiamo.

Ma voi mi direte: «Io confesso che egli è ciò che tu dici;ma onde viene che molte volte io addimando e la Contrizione e dell'altre cose, e non pare che mi siano date?». Io vi rispondo: O egli è per difetto di colui che addimanda, dimandando imprudentemente, solo con la parola, e non con altro affetto; e di questi cotali disse 'lnostro Salvatore che 'l chiamamo Signore, Signore, dicendo che non saranno cognosciuti da lui: non, che egli non li cognosca; ma per li loro difetti non saranno cognosciuti dalla misericordia sua. O egli dimanda cosa che, avendola, sarebbe nociva alla salute sua; onde, non avendo quello che dimanda, si l'ha, perocchè egli 'l dimanda credendo che sia suo bene; e avendolo, gli farebbe male; e, non avendolo, gli fa bene; e così Dio ha compita la sua intenzione con la quale egli addimandava. Sicchè dalla parte di Dio, sempre l'abbiamo; ma è ben questo, che Dio sa l'occulto e 'l palese, e cognosce la nostra imperfezione: onde vede che se subito ci desse la grazia come noi la dimandiamo, noi faremmo come l'animale immondo che levato dal mèle 'l quale è dolcissimo, non si cura dappoi di ponersi in su la cosa fetida. Così vede Dio che spesse volte facciamo noi; che, ricevendo delle grazie e delli beneficii suoi, participando la dolcezza della sua carità, non curiamo di ponerci in su le miserie, tornando al vomito del fracidume del mondo. E però Dio alcuna volta non ci dà quello che addimandiamo, così tosto come vorremmo, per farei crescere in fame e in desiderio; perocchè si diletta, cioè piacegli, di vedere innanzi a sè la fame della sua creatura.

Alcuna volta farà la grazia dandola in effetto, ma non per sentimento. Questo modo usa con providenzia, perché cognosce che, s'egli se la sentisse avere, o egli allenterebbe la fune del desiderio, o verrebbe a presunzione: e però sottrae il sentimento, ma non la grazia. Altri sono che ricevono e sentono, secondo che piace alla dolce bontà sua, come nostro medico, di dare a noi infermi, e a ognuno dà per quello modo che bisogna alle nostre infermità. Adunque vedete che, in ogni modo, l'affetto della Creatura col quale dimanda a Dio, sempre è adempito. Ora vediamo quello che dobbiamo addimandare, e con che prudenzia.

Parmi che la prima dolce Verità c'insegni quello che dobbiamo addimandare, quando nel santo Evangelio riprendendo l'uomo della disordinata sollecitudine sua, la quale mette in acquistare e tenere gli stati e ricchezze delmondo, disse: «Non vogliate pensare per lo dì di domane. Basta al dì la sollecitudine sua». Qui ci mostra, che con prudenzia ragguardiamo la brevità del tempo. Poi soggiunge: «Domandate prima il reame del cielo; chè queste cose minime, ben sa il Padre celestiale che voi avete bisogno». Quale è questo reame? e come s'addimanda? è 'l reame di vita eterna, e il reame dell'anima nostra, il quale reame dell'anima, se non è posseduto dalla ragione, giammai non entra nel reame di Dio. Con che s'addimanda? Non solamente con la parola (già abbiamo detto che questi cotali non sono cognosciuti da Dio), ma con l'affetto delle vere e reali virtù. La virtù èquella che dimanda e possiede questo reame del cielo: la quale virtù fa l'uomo prudente, che con prudenzia e maturità adopera in onore di Dio, in salute sua e del prossimo. Con prudenzia porta e sopporta i difetti suoi; con prudenzia ordina l'affetto della carità, amando, Dio sopra ogni cosa, e 'l prossimo come sè medesimo. L'ordine è questo: che egli dispone di dare la vita corporale per lasalute dell'anime, e la sostanzia temporale per campare il corpo del prossimo suo. Quest'ordine pone la carità prudente. Se fosse imprudente, sarebbe tutto 'l contrario: come fanno molti che usano una stolta e matta carità, che molte volte, per campare il prossimo loro (non dico l'anima, ma il corpo) ne pongono l'anima loro, con spargervi menzogne, dando false testimonianze. Costoro perdono la carità, perché non è condita con la prudenzia.

Veduto abbiamo che ci conviene addimandare il reame del cielo prudentemente; ora vi rispondo al modo che dobbiamo tenere della santa Comunione e come ci la conviene prendere. E non dobbiamo usare una stolta umiltà, come fanno gli uomini secolari del mondo. Dico che ci conviene prendere questo dolce Sacramento, perché egli è cibo dell'anima, senza il qual cibo noi non possiamo vivere in Grazia. Però che neuno legame è tanto grande che non si possa e debba tagliare per venire a questo dolce Sacramento. Debbano fare l'uomo dalla parte sua ciò che può; e bastagli. Come il dobbiamo prendere? Col lume della santissima fede, e con la bocca del santo desiderio. Col lume della fede ragguarderete tutto Dio e tutt'uomo in quell'ostia. Allora l'affetto che va dietro all'intelletto, prende con un affettuoso amore e con una santa considerazione de' difetti e peccati suoi; onde viene a contrizione; e considera la larghezza dell'inestiniabile carità di Dio, che con tanto amore se gli è dato in cibo. E perché non gli paia avere quella perfetta contrizione e disposizione che esso medesimo vorrebbe, non debbe lassare; perché solo la buona volontà è sufficiente, e la disposizione che dalla sua parte è fatta.

Anco dico che cel conviene prendere, siccome fu figurato nel Testamento Vecchio, quando fu comandato che si mangiasse l'agnello arrostito e non lesso; tutto e non parte; cinti e ritti, col bastone in mano; e il sangue dell'agnello ponessero sopra 'l liminare dell'uscio. Per questo modo ci conviene prendere questo Sacramento: mangiarlo arrostito, e non lesso; chè essendo lesso, v'è inmezzo la terra e l'acqua, cioè l'affetto terreno, e l'acquadel proprio amore. E però vuol essere arrostito, e non v'è mezzo veruno. Allora si prende arrostito quando il riceviamo col fuoco della divina dolce carità. E dobbiamo esser cinti col cignolo della coscienzia: chè troppo sarebbe sconvenevole cosa che a tanta mondizia e purità s'andasse con la mente e col corpo immondi. Dobbiamo stare ritti, cioè, che 'l cuore e la mente nostra sia tutta fedele e drizzata in Dio; col bastone della santissima croce, onde noi traiamo la dottrina di Cristo crocifisso. Ciò è quel bastone al quale no' ci appoggiamo, e che ci difende da' nemici nostri, cioè da mondo, dal dimonio, e dalla carne. E conviensi mangiarlo, tutto, e non parte: cioè, che col lume della fede dobbiamo ragguardare non solamente l'umanità in questo Sacramento, ma il corpo e l'anima di Cristo crocifisso unita e impastata con la deità, tutto Dio e tutto uomo. Convienci tollere il sangue di questo Agnello, e ponercelo in fronte, cioè confessarlo ad ogni creatura ragionevole, e non dinegarlo mai nè per pena nè per morte. Or così dolcemente ci conviene prendere questo Agnello arrostito al fuoco della carità in sul legno della croce. Così saremo trovati segnati del segno di Tau, e non saremo percossi dall'Angelo percussore.

Dissi che non ci conviene fare, nè voglio che facciate, come molti imprudenti secolari, i quali trapassano quello che gli è comandato dalla santa Chiesa, dicendo: «Io non ne son degno». E così passano lungo tempo col peccato mortale senza il cibo dell'anime loro. O umiltà stolta! E chi non vede che tu non ne sei degno? Qual tempo aspetti d'esser degno? Non l'aspettare; chè tanto ne sarai degno nell'ultimo, quanto nel principio. Chè con tutte le nostre giustizie, mai non ne saremo degni. Ma Dio è colui che è degno, e della sua dignità fa degni noi. La sua dignità non diminuisce mai. Che dobbiamo fare? Disponerci dalla parte nostra, e osservare il dolce comandamento. Che se noi non facessimo così; lassando la Comunione, per siffatto modo, credendo fuggir la colpa, cadremmo nella colpa.

E però io concludo, e voglio, che così fatta stoltizia non sia in voi; ma che vi disponiate, come fedele Cristiano, a ricevere questa santa Comunione per lo modo detto. Tanto perfettamente il farete, quanta starete nel vero cognoscimento di voi: altrimenti no. Perocchè, standoci, ogni cosa vedrete schiettamente. Non allentate il santo desiderio vostro per pena nè per danno, nè per ingiuria o ingratitudine di coloro ai quali voi avete servito; ma virilmente con vera e lunga perseveranzia persevererete insino alla morte. E così vi prego che facciate per amor di Cristo crocifisso. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio, Gesù dolce, Gesù amore.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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