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L'IMMACOLATA NEL MAGISTERO DELLA CHIESA

Ultimo Aggiornamento: 25/08/2012 00:00
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26/11/2008 10:53
 
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Un cavaliere per l’Immacolata
Il 16 ottobre 1917 nasceva la Milizia dell’Immacolata, per opera di un giovane francescano, Massimiliano Maria Kolbe. Una vita all’insegna di un amore e di una fiducia illimitate nella Vergine Maria.
La figura di Massimiliano Maria Kolbe è senz’altro associata da molti all’offerta eroica della sua vita nel campo di concentramento di Auschwitz. Ma fu in eguale misura un innamorato di Maria e un iniziatore di opere legate a una consacrazione totale all’Immacolata. In particolare, il 16 ottobre 2007 ricorrono i novant’anni della nascita della Milizia dell’Immacolata.
Raimondo (nome di battesimo di Massimiliano) Kolbe nasce a Zdunska Wola (Polonia) l’8 gennaio 1894, da Giulio e Maria Dabrowska.
La svolta della vita di Raimondo è legata proprio alla Madonna, come ha testimoniato la madre dopo la sua morte. Mentre pregava la Vergine e le chiedeva del suo futuro, ella gli aveva risposto mostrandogli due corone: «La corona bianca è il simbolo della castità, la corona rossa è il simbolo del martirio. Entrambe ti sono destinate. Vuoi averle?». La risposta del ragazzo: «Sì, lo voglio». È una decisione per lui irrevocabile.

Pala d’altare a Niepokalanow, raffigurante Kolbe con l’Immacolata.
In seguito a una missione dei francescani nel 1907, Raimondo decide di entrare nel ginnasio del convento. Con l’ingresso in noviziato nel 1910, prende il nome di fra’ Massimiliano. Negli anni di studio a Roma (1912-1919) ha modo di rendersi conto dell’ondata di attività massoniche e dei violenti umori anticlericali in circolazione.
È così che il 16 ottobre 1917 nasce, da un gruppo di sette frati del Collegio Serafico di Roma, la Milizia dell’Immacolata. Il suo fine: «Conseguire la conversione dei peccatori, degli eretici [...] e soprattutto dei massoni, e la santificazione di tutti sotto la tutela della Santissima Vergine Immacolata». Le condizioni di appartenenza: «Consacrarsi completamente alla Santissima Vergine Immacolata come strumento nelle sue mani immacolate e portare la Medaglia miracolosa». I mezzi per l’attività della Milizia: l’esempio, la preghiera, la sofferenza, il lavoro. «L’essenza della dedizione all’Immacolata sta nella volontà: un’anima che compie rettamente il suo dovere è perciò in ogni momento proprietà dell’Immacolata».
Niepokalanow: una città per l’Immacolata
Inutile dire che le prime critiche vennero dagli stessi confratelli. Eppure la Milizia cresce in modo impressionante, arrivando a 700.000 nel 1939: tante le persone che ogni giorno recitavano questa preghiera: «O Maria concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a Te» (fin qui la preghiera della Medaglia miracolosa) «e per tutti quelli che non ricorrono a Te, e soprattutto per i nemici della santa Chiesa e per quelli raccomandati a Te».
Dopo l’ordinazione Kolbe torna in Polonia, a Cracovia, nel 1919, malato di tubercolosi. Vagheggiava una rivista per i membri della Milizia. Nonostante la sua salute e la mancanza di fondi, nel gennaio 1922 usciva il primo numero de Il Cavaliere dell’Immacolata. Ma i sogni di Kolbe non si fermano: desidera una tipografia propria e macchine a motore (nel 1925 la tiratura era già a 25.000 copie).

Padre Kolbe (primo a sinistra) in partenza per il Giappone, sulla nave "Conte rosso".
Il Cavaliere fa scalpore, ottiene persino la benedizione di papa Pio XI, mentre Kolbe parla al primo Congresso dei cattolici polacchi (1926) sulla responsabilità del giornalista. Infine nel 1927, nei pressi di Varsavia, si trova un terreno su cui edificare un convento-editoria. Nasce Niepokalanow ("Città di Maria", alla lettera: "Proprietà dell’Immacolata"): un insieme di baracche all’insegna della povertà francescana. Ma per la "causa" si cercano le macchine più moderne e i mezzi di trasporto più veloci. Niepokalanow inizia con due padri e diciotto fratelli, e negli anni Trenta raggiungerà le mille persone. E intanto Kolbe sogna l’Oriente…
Mugenzai no Sono
Kolbe è orientato alla missione in Giappone. Nel febbraio del 1930 s’imbarca con altri quattro religiosi. Il suo primo pensiero: «Qui stamperemo Il Cavaliere dell’Immacolata in giapponese».
Il 24 aprile 1930 giunge a Nagasaki, in Giappone. Vi urgeva la formazione dei cristiani (a Nagasaki e dintorni c’erano all’epoca circa 60.000 cattolici). Riesce a far uscire Il Cavaliere in breve tempo, con 10.000 copie (grazie a una macchina da stampa con 145.000 caratteri giapponesi!). Sorprendentemente la rivista è richiesta anche da non-cristiani e le copie arriveranno a 65.000 in pochi anni. Il convento attira persino monaci buddisti, cui i frati regalano la Medaglia miracolosa.
A Nagasaki padre Massimiliano può avviare nel 1931 una seconda Niepokalanow: Mugenzai no Sono ("Giardino dell’Immacolata"). Le difficoltà scoraggiano tanti a Niepokalanow, ma non mancano tante persone di buona volontà che aiutano per la stampa, le traduzioni e via dicendo. Anche per padre Kolbe è un cammino che porta a conoscere l’uomo a fondo e a comprendere la necessità di amarlo e sacrificarsi per lui, malgrado tutto.

Il monastero di Niepokalanow fondato da padre Kolbe nel 1927 vicino a Varsavia.
Di nuovo in Polonia
Nel 1933 può rivedere la Niepokalanow "madre delle altre Niepokalanow" che intanto si è sviluppata e di cui scrive: «L’Immacolata è il fine, e la povertà è il capitale: sono le due cose da cui in nessun caso Niepokalanow può allontanarsi». Avvia altri giornali che raggiungono presto alte tirature: tra questi Il giornalino, quotidiano d’attualità, Il giovane Cavaliere dell’Immacolata. Ama dire che «raggiungeranno la perfezione quando il contenuto sarà conforme alla firma del caporedattore: l’Immacolata».
Ha cura di trasmettere lo spirito dell’opera: «Ciò che è veramente essenziale è la nostra vita interiore [...] cioè: essere sempre di più, sempre di più dell’Immacolata, essere Suo cavaliere. Ricordiamoci che l’azione all’esterno è soltanto un di più di ciò che abbiamo». Sa spronare i frati dipingendo un ideale di santità sostanziato di intraprendenza, lavoro, entusiasmo, spirito di sacrificio. Un giorno dice che, per suggellare il proprio amore per l’Immacolata, desidera «versare il sangue in modo degno di un cavaliere».
Con il 1° settembre 1939 arriva la guerra con il suo seguito di distruzioni e sofferenze per l’invasione dei nazisti. Nel 1939 fra’ Massimiliano è imprigionato dai tedeschi una prima volta. Tornato in libertà, può ancora stampare un numero unico del Cavaliere nel novembre 1940.
Ma la Chiesa cattolica è invisa ai nazisti. Niepokalanow viene accusata di istigare l’odio contro i tedeschi con le sue riviste. Il 17 febbraio 1941 compare la Gestapo: padre Kolbe finisce ad Auschwitz. La ferocia delle SS verso i preti è nota. Padre Kolbe vive con eroica serenità di spirito le violenze e l’odio dei carcerieri, conforta i compagni disperati. Infine arriva l’occasione per dare completamente la propria vita: un prigioniero è fuggito dal campo, altri dieci dovranno morire al suo posto, secondo la ferrea legge del lager. Kolbe si fa avanti per sostituire Francesco Gajowniczek, un giovane padre di famiglia. Chiuso nel bunker della fame, viene ucciso dalle SS con un’iniezione di acido fenico. Muore con le ultime parole, «Ave Maria», sulle labbra. È il 14 agosto, la vigilia della festa dell’Assunta.
Vincenzo Vitale
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"Se sarete ciò che dovrete essere, metterete fuoco in Italia e nel mondo intero" (S.Caterina da Siena)

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Da: Soprannome MSN7978PergamenaInviato: 12/12/2007 11.31
http://www.stpauls.it/madre/0711md/0711md15.htm

Alla scuola di Maria
di ALBERTO RUM

Colei che indica la Via


La natura cristocentrica della devozione mariana è ben raffigurata nell’icona della madonna Odighitria, colei che indica la via, cioè Gesù Cristo, Via, Verità e Vita.

In occasione dei cinquant’anni della sua ordinazione sacerdotale, Giovanni Paolo II compose un libro autobiografico, Dono e Mistero, nel quale racconta la storia della sua vocazione sacerdotale. Abbandonandosi all’onda dei ricordi, non può dimenticare il filo mariano della sua vocazione. «Ci fu un momento», confessa, «in cui misi in qualche modo in discussione il mio culto per Maria, temendo che, dilatandosi eccessivamente, potesse finire per compromettere la supremazia del culto dovuto a Cristo. Mi venne allora in aiuto il libro di san Luigi Maria Grignion de Montfort che porta il titolo di Trattato della vera devozione alla Santa Vergine. L’essenza delle verità in esso contenute è incontestabile. L’autore è un teologo di classe. Il suo pensiero mariologico è radunato nel Mistero trinitario e nella verità dell’Incarnazione del Verbo di Dio».

Tutta relativa a Cristo

Questa nota cristocentrica della devozione a Maria noi la vediamo raffigurata nell’icona della Madonna Odighitria: Colei che indica la via, il Cristo, la Via, la Verità e la Vita, icona che Paolo VI delineava, con mano maestra, in un discorso al Concilio Vaticano II: «Soprattutto desideriamo che sia posto chiaramente in luce come Maria, umile serva del Signore, sia tutta relativa a Dio e a Cristo, unico Mediatore e Redentore nostro [...]. La devozione a Maria, lungi dall’essere fine a se stessa, è mezzo invece essenzialmente ordinato ad orientare le anime a Cristo e così congiungerle al Padre, nell’amore dello Spirito Santo». Si potrebbe dire che a fugare dall’animo del giovane Karol Wojtyla il timore che la sua devozione a Maria potesse «compromettere la supremazia del culto dovuto a Cristo», furono le parole che, nel Paradiso dantesco, san Bernardo, cantore della Madonna, rivolge al sommo poeta: «Riguarda omai nella faccia ch’a Cristo – più si somiglia, ché la sua chiarezza – sola ti può disporre a veder Cristo» (Par. XXXII, 85-87).



Madonna Odighitria, icona bizantina di scuola cretese del XVII secolo.

«In realtà», osserva lo stesso Giovanni Paolo II, «riguardo alla devozione mariana, ciascuno di noi deve aver chiaro che non si tratta soltanto di un bisogno del cuore, di un’inclinazione sentimentale, ma che corrisponde anche alla verità oggettiva sulla Madre di Dio» (Varcare la soglia della speranza, p. 231 ).

Maria nel mistero cristiano

Sotto l’immagine di Maria, uno specchio per la Chiesa, Raniero Cantalamessa invita a contemplare la Madonna Odighitria nei tre momenti costitutivi del mistero cristiano: l’Incarnazione, il Mistero pasquale, e la Pentecoste. Maria fu presente in ognuno di quesiti tre momenti. Fu presente nell’Incarnazione perché essa è avvenuta in lei, nel suo grembo. Fu presente nel Mistero pasquale, perché è scritto che «presso la croce di Gesù stava Maria sua madre». E anche nella Pentecoste, perché è scritto che gli apostoli erano «assidui e concordi nella preghiera con Maria, la madre di Gesù». «Seguendo Maria in ognuna di queste tre tappe fondamentali, siamo aiutati a metterci alla sequela di Cristo in modo concreto e risoluto, per rivivere tutto il suo mistero». Scrive il concilio Vaticano II: «Mentre viene predicata e onorata, Maria chiama i credenti al Figlio suo, al suo sacrificio e all’amore del Padre» (Lumen gentium 65).
A commento della densa pagina di teologia e devozione mariana di padre Cantalamessa dovremmo leggere, con l’animo devoto del giovane Karol Wojtyla, l’intero Trattato della vera devozione a Maria: il libro che segnò «una svolta decisiva» nella vita del futuro Giovanni Paolo II.

A dire il vero, il Montfort non fa mai riferimento all’icona Madonna Odighitria. Conosce, però, due altre icone mariane di significato analogo. La prima, desunta dagli scritti di sant’Agostino, è la Madonna stampo di Dio. «Chi viene gettato in questo divino stampo, viene presto formato e modellato in Gesù Cristo e Gesù Cristo in lui; con poca spesa e in poco tempo, diventerà dio poiché è stato gettato nel medesimo stampo che ha dato forma a un Dio» (VD 219). La seconda è quella di Maria albero di vita: «Se Maria, che è l’albero di vita, è ben coltivata nella tua anima, ella porterà frutto a suo tempo, e il frutto non è altro che Gesù Cristo» (VD 216).


A te, caro lettore, la continuata gioia di contemplare l’icona della Madonna Odighitria: Colei che ci indica la Via, e veglia sul nostro cammino.
Alberto Rum
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