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Le Catacombe

Ultimo Aggiornamento: 22/03/2011 18:22
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17/10/2009 18:45
 
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L'iconografia di Ottato di Vescera nel complesso callistiano

Un vescovo africano a Roma


di Fabrizio Bisconti


Nel cuore delle Catacombe di San Callisto, a fianco della celebre Cripta dei Papi, negli anni centrali dell'Ottocento, il grande archeologo romano Giovanni Battista de Rossi si imbatté nella monumentale Cripta di Santa Cecilia, che mostrò una serie infinita di sistemazioni, restauri e decorazioni. Tra le altre immagini, in un angolo, come ricorda il de Rossi, si riconoscevano "l'immagine di una giovane santa in ricco vestito, cinta il capo del nimbo, le braccia aperte nell'orazione (...) il busto del Salvatore dipinto dentro l'incavo di una nicchia (...) l'effigie di un vescovo col nome suo scrittogli da presso:  Urbanus" (Città del Vaticano, 1864-1877, La Roma sotterranea cristiana, ii, pp. 113-114). Queste decorazioni, anche in seguito alle valutazioni dell'iconografo tedesco Joseph Wilpert, denunciano una cronologia avanzata che dal momento bizantino giunge al medioevo.
 
Nella cripta si apre un ampio lucernario affrescato e descritto, nel corso del tempo, dal de Rossi, dal Wilpert e da Paul Styger, anche se lo stato di conservazione non aveva mai permesso una lettura dettagliata e coerente, seppure era apparsa sempre evidente una teoria di santi martiri e l'immagine di una santa orante, forse proprio Cecilia, venerata nel complesso catacombale di San Callisto.

Nei primi anni Novanta del secolo scorso, i restauratori della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, coordinati da chi scrive, iniziarono un intervento di restauro, capace di chiarire lo sviluppo del programma iconografico:  un monumentale scenario, organizzato in grandi pannelli sovrapposti, che emulano la decorazione dei catini absidali delle basiliche paleocristiane romane. Nel riquadro più in alto - sotto a un pannello illeggibile, campito, forse, da una mano divina che impugna la corona trionfale - laddove si era sempre riconosciuta la figura di Cecilia in preghiera, è, dunque, ora ben riconoscibile un uomo in assoluto e rigido prospetto, vestito di una candida tunica percorsa da linee scure e mossa da esili e rare panneggiature. Il personaggio sostiene un codice aperto; il volto, completamente perduto, era incorniciato da un ampio nimbo dorato a disco; ai suoi lati sono accesi due ceri.

Il pannello inferiore accoglie una coppia di bianchi ovini ai lati di una croce, mentre, nel quadro inferiore, tre personaggi in tunica e pallio sono definiti dalle didascalie:  Sebastiano, Quirino e Policamo. Alcuni lacerti di affresco delle pareti laterali mostrano brevi tratti di altre teorie di santi anonimi. Le caratteristiche iconografiche e le peculiarità stilistiche avvicinano queste pitture agli affreschi più tardi delle catacombe romane e napoletane, accompagnandoci verso il momento dei pellegrinaggi nei santuari ipogei e in particolare verso i primi anni del VI secolo, cioè verso quella stagione figurativa composita che risente della prima lezione ravennate - come dimostra il pannello degli agnelli alla croce - e verso la tradizione africana. A questo ultimo riguardo, dobbiamo soffermarci sui due ceri posti ai lati della figura del lettore, che rappresentano una connotazione assai fortunata nell'iconografia funeraria d'area africana, specialmente nei mosaici tombali. Dall'Africa il motivo delle candele accese si diffuse nell'altoadriatico, a Ravenna, in Pannonia, in Illiria e specialmente in Campania e a Roma.

Individuata, dunque, la forte componente africana e compresa - nelle grandi linee - la cronologia, che sembra attestarsi e oscillare tra il V e il VI secolo, non resta che riconoscere il personaggio centrale di tutta la scenografia, che è poi il nodo di tutto il programma iconografico. Il primo istinto ci farebbe pensare a Cipriano, per la colleganza con Sisto ii sepolto nella cripta adiacente. I due sono congiunti, ma solo alla fine dell'VIII secolo, nei pannelli dipinti posti a decorare la tomba di Papa Cornelio nello stesso complesso. Il vescovo cartaginese godeva in San Callisto di un culto forte e antico, se già la depositio martyrum, il più antico documento agiografico romano, documenta una regolare celebrazione in suo onore.

Il personaggio potrebbe anche essere identificato con Numidiano, un santo africano ricordato nella lista di Papi e martiri fatta incidere da Sisto III, nel V secolo, in una lastra sistemata nella cripta dei Papi e ora perduta, ove erano ricordati Sisto ii, Cornelio, Ponziano, Fabiano, Eusebio, Dionisio, Eutichiano, Gaio, Felice, Milziade, Stefano, Lucio, Antero, Laudiceo, Policarpo, Urbano, Manno, Giuliano, Numidiano e Ottato.

Su quest'ultimo personaggio, forse aggiunto in un secondo momento nella lista sistina, abbiamo altre notizie provenienti dal cimitero di San Callisto:  la raffigurazione nel pannello della tomba di Cornelio, di cui si è detto, e un'epigrafe, trovata in frammenti dal de Rossi, che ci parla di un Optatus episcopus vesceretanus che recessit Numidiae. Sfogliando le liste episcopali africane ci imbattiamo in un Ottato vescovo di Vescera, attuale Biskra nel sud dell'Algeria, che prese parte al concilio di Cartagine del 411 e a quello di Zerta del 412. Questo si può identificare, presumibilmente, con il vescovo ricordato da Agostino in una lettera inviata al tribuno Bonifazio, incaricato della difesa del limes numidico, lungo il quale si attestava appunto Vescera (Epistulae, 185, 2, 2), da non identificare, invece, con l'Ottato definito, in un'altra lettera, novellus rudisque doctor, con il quale Agostino discute sull'origine dell'anima (Epistulae, 202, 3, 7).

Ottato di Vescera, dunque, giunto probabilmente a Roma a seguito delle persecuzioni vandaliche, o giuntene le spoglie, ebbe sistemazione e memoria a San Callisto, come testimoniano l'epigrafe funeraria, la pittura del lucernario della cripta di Santa Cecilia, di cui si è detto, la menzione al 27 novembre nel Martirologio Geronimiano e il ricordo del tardo itinerario del pellegrino malmesburiense che, tra l'altro, lo associa all'altro africano Policamo, pure ritratto nel santorale di Santa Cecilia. Le reliquie di Ottato, nelle traslazioni altomedievali di Paolo I in San Silvestro in Capite e di Pasquale i in Santa Prassede, sono sempre ricordate unitamente a quelle di Policamo. La congiunzione anche nel lucernario di Santa Cecilia, a questo punto, si arricchisce di suggestioni.

La decorazione del lucernario, a nostro modo di vedere, non può essere associata agli interventi di Sisto iii, seguiti alla prima ondata degli esuli africani, ma deve essere avvicinata agli ultimi anni del pontificato di Simmaco, quando, avendo Teodorico abbandonato al suo destino l'antipapa Lorenzo e i suoi seguaci filobizantini, il Papa poté finalmente esercitare appieno le sue funzioni, aiutando i cattolici perseguitati dai sovrani ariani. Sotto Trasamondo (496-523), infatti, si verificò l'ennesima, ma estrema, recrudescenza delle violenze contro i cattolici. Non è escluso che le nostre pitture riflettano proprio questo stato di cose, se si pone al centro di tutto il programma decorativo la figura di Ottato, che a Roma in genere e a Callisto in specie, poteva essere assurta a manifesto politico-religioso cattolico della interminabile questione vandalo-ariana.

L'ideatore del complesso programma decorativo, forse ispirato dalla lunga lista sistina, compone attorno all'immagine dell'africano Ottato un ampio santorale della via Appia, ma anche un ricco manifesto della recuperata padronanza cattolica dell'autorità pontificia. L'insieme figurativo, da ultimo, testimonia, da un lato, il fenomeno della integrazione e della interazione delle chiese e, dall'altro, il largo gesto dell'accoglienza della comunità di Roma nei confronti dei fratelli d'Africa.


(©L'Osservatore Romano - 18 ottobre 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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