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Le Omelie di Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 18/12/2008 18:23
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TUTTE LE OMELIE di SS Benedetto XVI durante le Celebrazioni Eucaristiche:



cliccate qui:
www.vatican.va/holy_father/bened ... dex_it.htm


Qui a seguire l'Omelia, molto importante, per la chiusura del Sinodo dedicato alla Sacra Scrittura....

Alle ore 9.30 di questa mattina, XXX Domenica del tempo "per annum", il Santo Padre Benedetto XVI presiede nella Basilica Vaticana la concelebrazione dell’Eucaristia con i Padri Sinodali, in occasione della conclusione della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si è svolta nell’Aula del Sinodo in Vaticano dal 5 al 26 ottobre 2008, sul tema: Verbum Domini in vita et missione Ecclesiæ ("La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa").
Nel corso del Sacro Rito, dopo la proclamazione del Vangelo, il Papa pronuncia l’omelia che riportiamo di seguito:

# OMELIA DEL SANTO PADRE

Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

cari fratelli e sorelle!

La Parola del Signore, risuonata poc’anzi nel Vangelo, ci ha ricordato che nell’amore si riassume tutta la Legge divina. L’Evangelista Matteo racconta che i farisei, dopo che Gesù ebbe risposto ai sadducei chiudendo loro la bocca, si riunirono per metterlo alla prova (cfr 22,34-35). Uno di questi, un dottore della legge, gli chiese: "Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?" (v. 36). La domanda lascia trasparire la preoccupazione, presente nell’antica tradizione giudaica, di trovare un principio unificatore delle varie formulazioni della volontà di Dio. Era domanda non facile, considerato che nella Legge di Mosè sono contemplati ben 613 precetti e divieti. Come discernere, tra tutti questi, il più grande? Ma Gesù non ha nessuna esitazione, e risponde prontamente: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento" (vv. 37-3Cool. Nella sua risposta, Gesù cita lo Shemà, la preghiera che il pio israelita recita più volte al giorno, soprattutto al mattino e alla sera (cfr Dt 6,4-9; 11,13-21; Nm 15,37-41): la proclamazione dell’amore integro e totale dovuto a Dio, come unico Signore. L’accento è posto sulla totalità di questa dedizione a Dio, elencando le tre facoltà che definiscono l’uomo nelle sue strutture psicologiche profonde: cuore, anima e mente. Il termine mente, diánoia, contiene l’elemento razionale. Dio non è soltanto oggetto dell’amore, dell’impegno, della volontà e del sentimento, ma anche dell’intelletto, che pertanto non va escluso da questo ambito. E’ anzi proprio il nostro pensiero a doversi conformare al pensiero di Dio. Poi, però, Gesù aggiunge qualcosa che, in verità, non era stato richiesto dal dottore della legge: "Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso" (v. 39). L’aspetto sorprendente della risposta di Gesù consiste nel fatto che egli stabilisce una relazione di somiglianza tra il primo e il secondo comandamento, definito anche questa volta con una formula biblica desunta dal codice levitico di santità (cfr Lv 19,1Cool. Ed ecco quindi che nella conclusione del brano i due comandamenti vengono associati nel ruolo di principio cardine sul quale poggia l’intera Rivelazione biblica: "Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti" (v. 40).

La pagina evangelica sulla quale stiamo meditando pone in luce che essere discepoli di Cristo è mettere in pratica i suoi insegnamenti, che si riassumono nel primo e più grande comandamento della Legge divina, il comandamento dell’amore. Anche la prima Lettura, tratta dal libro dell’Esodo, insiste sul dovere dell’amore; un amore testimoniato concretamente nei rapporti tra le persone: devono essere rapporti di rispetto, di collaborazione, di aiuto generoso. Il prossimo da amare è anche il forestiero, l’orfano, la vedova e l’indigente, quei cittadini cioè che non hanno alcun "difensore". L’autore sacro scende a dettagli particolareggiati, come nel caso dell’oggetto dato in pegno da uno di questi poveri (cfr Es 20,25-26). In tal caso è Dio stesso a farsi garante della situazione di questo prossimo.

Nella seconda Lettura possiamo vedere una concreta applicazione del sommo comandamento dell’amore in una delle prime comunità cristiane. San Paolo scrive ai Tessalonicesi, lasciando loro capire che, pur avendoli conosciuti da poco, li apprezza e li porta con affetto nel cuore. Per questo egli li addita come un "modello per tutti i credenti della Macedonia e dell’Acaia" (1 Ts 1,6-7). Non mancano certo debolezze e difficoltà in quella comunità fondata di recente, ma è l’amore che tutto supera, tutto rinnova, tutto vince: l’amore di chi, consapevole dei propri limiti, segue docilmente le parole di Cristo, divino Maestro, trasmesse attraverso un suo fedele discepolo. "Voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore – scrive san Paolo – avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove". "Per mezzo vostro – prosegue l’Apostolo - la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede si è diffusa dappertutto" (1 Ts 1,6.Fico. L’insegnamento che traiamo dall’esperienza dei Tessalonicesi, esperienza che in verità accomuna ogni autentica comunità cristiana, è che l’amore per il prossimo nasce dall’ascolto docile della Parola divina. E’ un amore che accetta anche dure prove per la verità della parola divina e proprio così il vero amore cresce e la verità risplende in tutto il suo fulgore. Quanto è importante allora ascoltare la Parola e incarnarla nell’esistenza personale e comunitaria!

In questa celebrazione eucaristica, che chiude i lavori sinodali, avvertiamo in maniera singolare il legame che esiste tra l’ascolto amorevole della Parola di Dio e il servizio disinteressato verso i fratelli. Quante volte, nei giorni scorsi, abbiamo sentito esperienze e riflessioni che evidenziano il bisogno oggi emergente di un ascolto più intimo di Dio, di una conoscenza più vera della sua parola di salvezza; di una condivisione più sincera della fede che alla mensa della parola divina si alimenta costantemente! Cari e venerati Fratelli, grazie per il contributo che ciascuno di voi ha offerto all’approfondimento del tema del Sinodo: "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa". Tutti vi saluto con affetto. Un saluto speciale rivolgo ai Signori Cardinali Presidenti delegati del Sinodo e al Segretario Generale, che ringrazio per la loro costante dedizione. Saluto voi, cari fratelli e sorelle, che siete venuti da ogni continente recando la vostra arricchente esperienza. Tornando a casa, trasmettete a tutti il saluto affettuoso del Vescovo di Roma. Saluto i Delegati Fraterni, gli Esperti, gli Uditori e gli Invitati speciali: i membri della Segreteria Generale del Sinodo, quanti si sono occupati dei rapporti con la stampa. Un pensiero speciale va ai Vescovi della Cina Continentale, che non hanno potuto essere rappresentati in questa assemblea sinodale. Desidero farmi qui interprete, e renderne grazie a Dio, del loro amore per Cristo, della loro comunione con la Chiesa universale e della loro fedeltà al Successore dell’Apostolo Pietro. Essi sono presenti nella nostra preghiera, insieme con tutti i fedeli che sono affidati alle loro cure pastorali. Chiediamo al «Pastore supremo del gregge» (1 Pt 5, 4) di dare ad essi gioia, forza e zelo apostolico per guidare con sapienza e con lungimiranza la comunità cattolica in Cina, a tutti noi così cara.

Noi tutti, che abbiamo preso parte ai lavori sinodali, portiamo con noi la rinnovata consapevolezza che compito prioritario della Chiesa, all'inizio di questo nuovo millennio, è innanzitutto nutrirsi della Parola di Dio, per rendere efficace l'impegno della nuova evangelizzazione, dell’annuncio nei nostri tempi. Occorre ora che questa esperienza ecclesiale sia recata in ogni comunità; è necessario che si comprenda la necessità di tradurre in gesti di amore la parola ascoltata, perché solo così diviene credibile l’annuncio del Vangelo, nonostante le umane fragilità che segnano le persone. Ciò richiede in primo luogo una conoscenza più intima di Cristo ed un ascolto sempre docile della sua parola.

In quest’Anno Paolino, facendo nostre le parole dell'Apostolo: "guai a me se non predicassi il Vangelo" (1 Cor 9,16), auspico di cuore che in ogni comunità si avverta con più salda convinzione quest’anelito di Paolo come vocazione al servizio del Vangelo per il mondo. Ricordavo all’inizio dei lavori sinodali l’appello di Gesù: "la messe è molta" (Mt 9,37), appello a cui non dobbiamo mai stancarci di rispondere malgrado le difficoltà che possiamo incontrare. Tanta gente è alla ricerca, talora persino senza rendersene conto, dell’incontro con Cristo e col suo Vangelo; tanti hanno bisogno di ritrovare in Lui il senso della loro vita. Dare chiara e condivisa testimonianza di una vita secondo la Parola di Dio, attestata da Gesù, diventa pertanto indispensabile criterio di verifica della missione della Chiesa.

La letture che la liturgia offre oggi alla nostra meditazione ci ricordano che la pienezza della Legge, come di tutte le Scritture divine, è l'amore. Chi dunque crede di aver compreso le Scritture, o almeno una qualsiasi parte di esse, senza impegnarsi a costruire, mediante la loro intelligenza, il duplice amore di Dio e del prossimo, dimostra in realtà di essere ancora lontano dall’averne colto il senso profondo. Ma come mettere in pratica questo comandamento, come vivere l’amore di Dio e dei fratelli senza un contatto vivo e intenso con le Sacre Scritture? Il Concilio Vaticano II afferma essere "necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura" (Cost. Dei Verbum, 22), perché le persone, incontrando la verità, possano crescere nell’amore autentico. Si tratta di un requisito oggi indispensabile per l’evangelizzazione. E poiché non di rado l'incontro con la Scrittura rischia di non essere "un fatto" di Chiesa, ma esposto al soggettivismo e all'arbitrarietà, diventa indispensabile una promozione pastorale robusta e credibile della conoscenza della Sacra Scrittura, per annunciare, celebrare e vivere la Parola nella comunità cristiana, dialogando con le culture del nostro tempo, mettendosi al servizio della verità e non delle ideologie correnti e incrementando il dialogo che Dio vuole avere con tutti gli uomini (cfr ibid., 21). A questo scopo va curata in modo speciale la preparazione dei pastori, preposti poi alla necessaria azione di diffondere la pratica biblica con opportuni sussidi. Vanno incoraggiati gli sforzi in atto per suscitare il movimento biblico tra i laici, la formazione degli animatori dei gruppi, con particolare attenzione ai giovani. È da sostenere lo sforzo di far conoscere la fede attraverso la Parola di Dio anche a chi è "lontano" e specialmente a quanti sono in sincera ricerca del senso della vita.

Molte altre riflessioni sarebbero da aggiungere, ma mi limito infine a sottolineare che il luogo privilegiato in cui risuona la Parola di Dio, che edifica la Chiesa, come è stato detto tante volte nel Sinodo, è senza dubbio la liturgia. In essa appare che la Bibbia è il libro di un popolo e per un popolo; un'eredità, un testamento consegnato a lettori, perché attualizzino nella loro vita la storia di salvezza testimoniata nello scritto. Vi è pertanto un rapporto di reciproca vitale appartenenza tra popolo e Libro: la Bibbia rimane un Libro vivo con il popolo, suo soggetto, che lo legge; il popolo non sussiste senza il Libro, perché in esso trova la sua ragion d'essere, la sua vocazione, la sua identità. Questa mutua appartenenza fra popolo e Sacra Scrittura è celebrata in ogni assemblea liturgica, la quale, grazie allo Spirito Santo, ascolta Cristo, poiché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Scrittura e si accoglie l'alleanza che Dio rinnova con il suo popolo. Scrittura e liturgia convergono, dunque, nell'unico fine di portare il popolo al dialogo con il Signore e all’obbedienza alla volontà del Signore. La Parola uscita dalla bocca di Dio e testimoniata nelle Scritture torna a Lui in forma di risposta orante, di risposta vissuta, di risposta sgorgante dall’amore (cfr Is 55,10-11).

Cari fratelli e sorelle, preghiamo perché dal rinnovato ascolto della Parola di Dio, sotto l'azione dello Spirito Santo, possa sgorgare un autentico rinnovamento nella Chiesa universale, ed in ogni comunità cristiana. Affidiamo i frutti di questa Assemblea sinodale alla materna intercessione della Vergine Maria. A Lei affido anche la II Assemblea Speciale del Sinodo per l’Africa, che si svolgerà a Roma nell’ottobre del prossimo anno. E’ mia intenzione recarmi nel marzo pro esimo in Camerun per consegnare ai rappresentanti delle Conferenze Episcopali dell’Africa l’Instrumentum laboris di tale Assemblea sinodale. Di lì proseguirò, a Dio piacendo, per l’Angola, per celebrare solennemente il 500° anniversario di evangelizzazione del Paese. Maria Santissima, che ha offerto la sua vita come "serva del Signore", perché tutto si compisse in conformità ai divini voleri (cfr Lc 1,3Cool e che ha esortato a fare tutto ciò che Gesù avrebbe detto (cfr Gv 2,5), ci insegni a riconoscere nella nostra vita il primato della Parola che sola ci può dare salvezza. E così sia!

[01658-01.01] [Testo originale: Italiano]

www.vatican.va
[Modificato da Caterina63 18/12/2008 18:23]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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Omelie. L'anno liturgico narrato da Joseph Ratzinger, papa
Con questo titolo è raccolta per la prima volta in un libro la predicazione di Benedetto XVI nelle messe e nei vespri, nell'arco di un anno. Una lettura d'obbligo per capire questo pontificato. Ecco la prefazione. Più una pagina d'assaggio


di Sandro Magister





Le omelie liturgiche sono una vetta del pontificato di Benedetto XVI. La meno frequentata e conosciuta. Di lui hanno fatto notizia e rumore la lezione di Ratisbona, il libro su Gesù, l'enciclica sulla speranza. Molto meno, pochissimo, le prediche che egli rivolge ai fedeli nelle messe che celebra in pubblico.

Eppure, senza le omelie, il magistero di questo papa teologo resterebbe incomprensibile. Così come senza di esse non si capirebbero un san Leone Magno, il primo pontefice di cui sia giunta a noi la predicazione liturgica, un sant'Ambrogio, un sant'Agostino, tutti quei grandi pastori e teologi, colonne della Chiesa, che Joseph Ratzinger ha per maestri.

Anzitutto le omelie sono quanto di più genuino esce dalla mente di papa Benedetto. Le scrive quasi integralmente di suo pugno, talvolta le improvvisa. Ma soprattutto imprime in esse quel tratto inconfondibile che distingue le omelie da ogni altro momento del suo magistero: il loro essere parte di un'azione liturgica, anzi, esse stesse liturgia.

Benedetto XVI l'ha detto chiaro nell'omelia da lui pronunciata il 29 giugno 2008 nella festa dei santi Pietro e Paolo: la sua vocazione è di "servire come liturgo di Gesù Cristo per le genti". L'espressione ardita è di Paolo nel capitolo 15 della Lettera ai Romani. E il papa l'ha fatta propria. Ha identificato la sua missione di successore degli Apostoli proprio nel farsi servitore di una "liturgia cosmica". Poiché "quando il mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano e salvo".

È una visione da vertigine. Ma papa Ratzinger ha questa certezza incrollabile: quando celebra la messa sa che lì c'è tutto l'agire di Dio, intrecciato con i destini ultimi dell'uomo e del mondo. Per lui la messa non è un semplice rito officiato dalla Chiesa. È la Chiesa stessa, abitata dal Dio trinitario. È immagine e realtà della totalità dell'avventura cristiana. Non sbagliavano i pagani colti dei primi secoli, quando per identificare la cristianità la descrivevano nell'atto di celebrare. Perché questa era anche la fede di quei primi credenti. "Sine dominico non possumus", senza l'eucaristia della domenica non possiamo vivere, risposero i martiri di Abitene all'imperatore Diocleziano che proibiva loro di celebrare. E per questo sacrificarono la vita. Benedetto XVI ha richiamato questo episodio nell'omelia della sua prima messa celebrata fuori Roma da papa, a Bari, il 29 maggio del 2005.

In quella stessa omelia il papa definì la domenica "Pasqua settimanale". E con ciò la identificò come l'asse del tempo cristiano. La Pasqua, ossia la passione, la morte e la risurrezione di Gesù, è un atto unico nel tempo, compiuto una volta per tutte, ma è anche un atto compiuto "per sempre", come ben sottolinea la Lettera agli Ebrei. E questa contemporaneità si realizza nell'azione liturgica, dove "la Pasqua storica di Gesù entra nel nostro presente e a partire da lì vuole raggiungere e investire la vita di coloro che celebrano e, quindi, l'intera realtà storica". Da cardinale, nel libro "Introduzione allo spirito della liturgia", Ratzinger scrisse pagine suggestive sul "tempo della Chiesa", un tempo in cui "passato, presente e futuro si compenetrano e toccano l'eternità".

Il tempo della Chiesa è ritmato dalla domenica. Essa è "il primo giorno della settimana" (Matteo 28, 1) e quindi il primo dei sette giorni della creazione. Ma è anche l'ottavo giorno, il tempo nuovo che ha avuto principio con la risurrezione di Gesù. La domenica è dunque per i cristiani, dice Ratzinger, "la vera misura del tempo, l'unità di misura della loro vita", poiché in ogni messa domenicale irrompe la nuova creazione. Lì ogni volta la Parola di Dio si fa carne. Lo mostrano i dipinti di tante chiese del Medioevo e del Rinascimento: da un lato l'Angelo annunziante, dall'altro la Vergine annunziata, e al centro l'altare sul quale in ogni messa "Verbum caro factum est" per opera dello Spirito Santo. Ma anche la struttura della messa mostra ciò in modo lampante, come papa Benedetto ha ricordato in un suo commento alla cena di Gesù risorto con i discepoli di Emmaus, all'Angelus di domenica 6 aprile 2008. Nella prima parte della messa c'è l'ascolto delle Sacre Scritture, e nella seconda ci sono "la liturgia eucaristica e la comunione con Cristo presente nel sacramento del suo Corpo e del suo Sangue". Le due mense, della Parola e del Pane, sono indissolubilmente connesse.

L'omelia fa da ponte tra le due. Il modello è Gesù nella sinagoga di Cafarnao, nel capitolo 4 del Vangelo di Luca. Riavvolto il rotolo delle Scritture, "gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato". Nelle sue omelie, papa Benedetto fa la stessa cosa. Commenta le Scritture e dice che "oggi" esse si compiono nell'atto liturgico che si sta celebrando. Con il riverbero che ne consegue per la vita di tutti, poichè – ha scritto – "la celebrazione non è solo rito, non è solo un gioco liturgico, essa vuole essere 'logiké latreia', trasformazione della mia esistenza in direzione del Logos, contemporaneità interiore tra me e Cristo".

Le Scritture illustrate da Benedetto XVI in ogni omelia sono naturalmente quelle della messa del giorno, alla quale danno l'impronta. E qui entra in campo quell'altra grande articolazione del tempo della Chiesa che è il ciclo dell'anno liturgico. Sul ritmo fondante, quello settimanale delle domeniche, si è innestato fin dai primi secoli cristiani un secondo ritmo, a ciclicità annuale, che ha nella Pasqua il suo perno, e nel Natale e nella Pentecoste altri due centri di gravità. Questo secondo ritmo fa risplendere il mistero cristiano nei suoi aspetti e momenti distinti, lungo l'intero arco della storia sacra. Comincia con le settimane dell'Avvento e prosegue col tempo di Natale e dell'Epifania, con i quaranta giorni della Quaresima, con la Pasqua, con i cinquanta giorni del tempo pasquale, con la Pentecoste. Le domeniche al di fuori di questi tempi forti sono quelle del tempo ordinario, "per annum". In più vi sono le feste: come l'Ascensione, la Trinità, il Corpus Domini, i santi Pietro e Paolo, l'Immacolata, l'Assunta.

Ma l'anno liturgico è molto più che la narrazione a puntate di un'unica grande storia e dei suoi protagonisti. L'Avvento, ad esempio, non è solo memoria dell'attesa del Messia, perché Egli è già venuto e ancora verrà alla fine dei tempi. La Quaresima è sì preparazione alla Pasqua, ma anche al battesimo come matrice della vita cristiana di ciascuno, sacramento amministrato per antica tradizione nella veglia pasquale. L'umano e il divino, il tempo e l'eterno, Cristo e la Chiesa, la vicenda di tutti e di ciascuno sono sorprendentemente intrecciati in ogni momento dell'anno liturgico. Lo attesta una stupenda antifona della festa dell'Epifania: "Oggi allo Sposo celeste si è unita la Chiesa, perché nel Giordano Cristo lavò i suoi peccati. Corrono i Magi coi doni alle nozze regali e i convitati si allietano dell'acqua mutata in vino". I Magi, il battesimo di Gesù nel Giordano, le nozze di Cana, tutto diventa "epifania", manifestazione, dell'unione nuziale tra Dio e l'uomo, di cui la Chiesa è il segno e l'eucaristia il sacramento.


* * *

In questo libro è per la prima volta raccolto un ciclo di omelie di Benedetto XVI. Sono quelle dell'anno liturgico che è iniziato con la prima domenica d'Avvento del 2007, o meglio, con i vespri della vigilia di questa domenica. Questa prima omelia e quella del successivo 31 dicembre sono state pronunciate dal papa durante i vespri, prima del Magnificat. Tutte le altre durante la messa, dopo il Vangelo. La maggior parte hanno avuto luogo a San Pietro, nella basilica o nella piazza; una nella Cappella Sistina; una a San Giovanni in Laterano; una a San Paolo fuori le Mura; quattro in altre chiese di Roma; una a Castel Gandolfo; una ad Albano; le altre in altre città dell'Italia e del mondo dove il papa era in visita: a New York, Genova, Brindisi, Sydney, Cagliari, Parigi.

In due occasioni Benedetto XVI, oltre che celebrare la messa, ha amministrato il battesimo a bambini ed adulti. Una volta ha conferito la cresima a dei giovani. Una volta ha ordinato dei sacerdoti. Un'altra volta ha consacrato gli oli per l'amministrazione dei sacramenti. Un'altra volta ancora ha imposto il pallio ai nuovi arcivescovi metropoliti. In un'occasione ha consacrato una nuova chiesa parrocchiale e in un'altra il nuovo altare di una cattedrale. In tutti questi casi il papa ha dedicato una parte dell'omelia a illustrare questi gesti.

Inoltre, per tre volte la messa è stata preceduta o seguita da una processione: il mercoledì delle Ceneri, la domenica delle Palme e il Corpus Domini. La sera del giovedì santo il papa ha lavato i piedi a dodici persone. La notte di Pasqua ha presieduto la liturgia della luce, con l'accensione del cero pasquale e il canto dell'Exultet.

Il 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, ha partecipato con lui alla messa – ma senza consacrare né fare la comunione – il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, il quale si è anche associato all'omelia, parlando subito prima del papa.

In ogni caso, sempre Benedetto XVI ha poggiato le sue omelie sui brani della Scrittura letti nella messa del giorno o, analogamente, nei vespri. Il lettore troverà tali brani riprodotti al termine di ciascuna omelia: corredo indispensabile per situarla nel suo contesto liturgico. I brani quasi sempre coincidono con le letture del messale romano proclamate quello stesso giorno in quasi tutte le chiese cattoliche del mondo. Dopo le omelie dei vespri d'inizio d'Avvento e del 31 dicembre il lettore troverà anche i testi del Magnificat e del Te Deum.

A leggerle in modo continuato, le omelie di Benedetto XVI disegnano l'arco dell'anno liturgico, e quindi il mistero cristiano, con una nitidezza esemplare. Il disegno ha qua e là dei vuoti, perché in non poche domeniche e feste il papa non celebra in pubblico. Ma lui stesso mostra di voler colmare questi vuoti dedicando a tale scopo i messaggi che rivolge ai fedeli e al mondo tutte le domeniche mezzogiorno prima della preghiera dell'Angelus o, nel tempo pasquale, del Regina Cæli.

Questi messaggi sono spesso delle piccole omelie. Nelle quali Benedetto XVI commenta le letture della messa del giorno. Sono inconfondibilmente di suo pugno, veri gioielli di omiletica minore. In appendice al libro il lettore ne troverà raccolte alcune. E con esse arricchirà la visione di quel capolavoro che è l'anno liturgico narrato da papa Benedetto.

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Il libro, in vendita dal 6 novembre:

Benedetto XVI, "Omelie. L'anno liturgico narrato da Joseph Ratzinger, papa", a cura di Sandro Magister, Libri Scheiwiller, Milano, 2008, pp. 280, euro 15,00.
http://www.librischeiwiller.it/

La sera del 5 novembre, a Roma, nella Sala del Cenacolo di Palazzo Valdina, il libro è stato presentato al pubblico dal cardinale Camillo Ruini e dal ministro della cultura del governo italiano, Sandro Bondi.

Lo stesso giorno "L'Osservatore Romano" ha pubblicato sia la prefazione di Sandro Magister, la stessa qui sopra riprodotta, sia il commento del cardinale Ruini.

Il 2 novembre l'arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del pontificio consiglio della cultura, ha ampiamente recensito il volume sul supplemento domenicale di "Il Sole 24 Ore", il più diffuso quotidiano economico e finanziario d'Italia e d'Europa.

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L'omelia che segue è un esempio splendente della predicazione di papa Joseph Ratzinger. Non è tra quelle raccolte nel volume, è dell'anno liturgico precedente, ma lo stile è lo stesso, inconfondibile. Questa volta Benedetto XVI non legge ma improvvisa, seguendo comunque una traccia accuratamente pensata. Ad ascoltarlo sono i fedeli della chiesa parrocchiale di San Tommaso da Villanova, nella piazza di Castel Gandolfo su cui si affaccia la Villa Pontificia nella quale il papa trascorre l'estate. La messa è iniziata alle 8 di mattina. E terminate le letture...


Omelia nella festa di Maria Assunta al Cielo, 15 agosto 2007

di Benedetto XVI


Cari fratelli e sorelle, nella sua grande opera "La Città di Dio", Sant’Agostino dice una volta che tutta la storia umana, la storia del mondo, è una lotta tra due amori: l’amore di Dio fino alla perdita di se stesso, fino al dono di se stesso, e l’amore di sé fino al disprezzo di Dio, fino all’odio degli altri. Questa stessa interpretazione della storia come lotta tra due amori, tra l’amore e l’egoismo, appare anche nella lettura tratta dall’Apocalisse, che abbiamo sentito ora. Qui, questi due amori appaiono in due grandi figure. Innanzitutto vi è il dragone rosso fortissimo, con una manifestazione impressionante ed inquietante del potere senza grazia, senza amore, dell’egoismo assoluto, del terrore, della violenza.

Nel momento in cui san Giovanni scrisse l’Apocalisse, per lui questo dragone era realizzato nel potere degli imperatori romani anticristiani, da Nerone fino a Domiziano. Questo potere appariva illimitato; il potere militare, politico, propagandistico dell’impero romano era tale che davanti ad esso la fede, la Chiesa appariva come una donna inerme, senza possibilità di sopravvivere, tanto meno di vincere. Chi poteva opporsi a questo potere onnipresente, che sembrava in grado di fare tutto? E tuttavia, sappiamo che alla fine ha vinto la donna inerme, ha vinto non l’egoismo, non l’odio; ha vinto l’amore di Dio e l’impero romano si è aperto alla fede cristiana.

Le parole della Sacra Scrittura trascendono sempre il momento storico. E così, questo dragone indica non soltanto il potere anticristiano dei persecutori della Chiesa di quel tempo, ma le dittature materialistiche anticristiane di tutti i periodi. Vediamo di nuovo realizzato questo potere, questa forza del dragone rosso nelle grandi dittature del secolo scorso: la dittatura del nazismo e la dittatura di Stalin avevano tutto il potere, penetravano ogni angolo, l’ultimo angolo. Appariva impossibile che, a lunga scadenza, la fede potesse sopravvivere davanti a questo dragone così forte, che voleva divorare il Dio fattosi bambino e la donna, la Chiesa. Ma in realtà, anche in questo caso, alla fine, l’amore fu più forte dell’odio.

Anche oggi esiste il dragone in modi nuovi, diversi. Esiste nella forma delle ideologie materialiste che ci dicono: è assurdo pensare a Dio; è assurdo osservare i comandamenti di Dio; è cosa di un tempo passato. Vale soltanto vivere la vita per sé. Prendere in questo breve momento della vita tutto quanto ci è possibile prendere. Vale solo il consumo, l’egoismo, il divertimento. Questa è la vita. Così dobbiamo vivere. E di nuovo, sembra assurdo, impossibile opporsi a questa mentalità dominante, con tutta la sua forza mediatica, propagandistica. Sembra impossibile oggi ancora pensare a un Dio che ha creato l’uomo e che si è fatto bambino e che sarebbe il vero dominatore del mondo. Anche adesso questo dragone appare invincibile, ma anche adesso resta vero che Dio è più forte del dragone, che l’amore vince e non l’egoismo.

Avendo considerato così le diverse configurazioni storiche del dragone, vediamo ora l’altra immagine: la donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi, circondata da dodici stelle. Anche quest’immagine è multidimensionale.

Un primo significato senza dubbio è che è la Madonna, Maria vestita di sole, cioè di Dio, totalmente; Maria che vive in Dio, totalmente, circondata e penetrata dalla luce di Dio. Circondata dalle dodici stelle, cioè dalle dodici tribù d’Israele, da tutto il Popolo di Dio, da tutta la comunione dei santi, e ai piedi la luna, immagine della morte e della mortalità. Maria ha lasciato dietro di sé la morte; è totalmente vestita di vita, è assunta con corpo e anima nella gloria di Dio e così, posta nella gloria, avendo superato la morte, ci dice: Coraggio, alla fine vince l’amore! La mia vita era dire: Sono la serva di Dio, la mia vita era dono di me, per Dio e per il prossimo. E questa vita di servizio arriva ora nella vera vita. Abbiate fiducia, abbiate il coraggio di vivere così anche voi, contro tutte le minacce del dragone.

Questo è il primo significato della donna che Maria è arrivata ad essere. La "donna vestita di sole" è il grande segno della vittoria dell’amore, della vittoria del bene, della vittoria di Dio. Grande segno di consolazione.

Ma poi questa donna che soffre, che deve fuggire, che partorisce con un grido di dolore, è anche la Chiesa, la Chiesa pellegrina di tutti i tempi. In tutte le generazioni di nuovo essa deve partorire Cristo, portarlo al mondo con grande dolore in questo modo sofferto. In tutti i tempi perseguitata, vive quasi nel deserto perseguitata dal dragone. Ma in tutti i tempi la Chiesa, il Popolo di Dio vive anche della luce di Dio e viene nutrito – come dice il Vangelo – di Dio, nutrito in se stesso col pane della Santa Eucaristia. E così in tutta la tribolazione, in tutte le diverse situazioni della Chiesa nel corso dei tempi, nelle diverse parti del mondo, soffrendo vince. Ed è la presenza, la garanzia dell’amore di Dio contro tutte le ideologie dell’odio e dell’egoismo.

Vediamo certamente che anche oggi il dragone vuol divorare il Dio fattosi bambino. Non temete per questo Dio apparentemente debole. La lotta è già cosa superata. Anche oggi questo Dio debole è forte: è la vera forza. E così la festa dell’Assunta è l’invito ad avere fiducia in Dio ed è anche invito ad imitare Maria in ciò che Ella stessa ha detto: Sono la serva del Signore, mi metto a disposizione del Signore. Questa è la lezione: andare sulla sua strada; dare la nostra vita e non prendere la vita. E proprio così siamo sul cammino dell’amore che è un perdersi, ma un perdersi che in realtà è l’unico cammino per trovarsi veramente, per trovare la vera vita.

Guardiamo Maria, l’Assunta. Lasciamoci incoraggiare alla fede e alla festa della gioia: Dio vince. La fede apparentemente debole è la vera forza del mondo. L’amore è più forte dell’odio. E diciamo con Elisabetta: Benedetta sei tu fra tutte le donne. Ti preghiamo con tutta la Chiesa: Santa Maria, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.

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Tutte le omelie di Benedetto XVI, nel sito del Vaticano:

> Omelie

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/index_it.htm
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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18/12/2008 18:21
 
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.........io l'ho già acquistato ed è veramente fondamentale per la RUMINATIO.... Occhiolino


L'anno liturgico narrato da Joseph Ratzinger
Tutte le domande
meritano una risposta

    Giovedì 18 a Venezia, presso la Scuola grande di San Giovanni evangelista, viene presentato il volume curato da Sandro Magister Omelie. L'anno liturgico narrato da Joseph Ratzinger, Papa (Milano, Scheiwiller, 2008, pagine 280, euro 18). All'incontro partecipa anche il cardinale patriarca di Venezia del quale pubblichiamo l'intervento.

    di Angelo Scola

    Penso sia un'esperienza comune di parecchi vescovi e sacerdoti aver visto balenare un'ombra di scetticismo sul volto dell'editore a cui si era appena proposta la pubblicazione di una raccolta di omelie. Non di rado, infatti, il fondato timore di magre vendite mette sulla bocca dell'editore tutta una serie di ragionevolissimi motivi per cui sarebbe molto più opportuno trasformare il contenuto del volume in una raccolta di saggi brevi, togliendo ogni riferimento agli interlocutori e alle occasioni concrete in cui i testi furono pronunciati, senza scartare l'ipotesi - ovviamente ritenuta di gran lunga preferibile - di scrivere ex novo un testo più agile e capace di intercettare i famosi "problemi reali" dell'uomo di oggi.

    Questa sera invece presentiamo una vera e propria raccolta di testi di predicazione liturgica che, per giunta, si è avuto l'ardire di intitolare Omelie. Ovviamente non sfugge a nessuno l'eccezionalità dell'autore. Pubblicare le omelie di Benedetto XVI/Joseph Ratzinger è un'altra cosa, anche dal punto di vista della resa editoriale.

    Ma la ragione profonda di questa sfida dell'editore Scheiwiller è stata ben individuata dall'ideatore e curatore, Sandro Magister. Egli ha identificato come uno degli assi portanti del pensiero del cardinale Ratzinger prima e di Benedetto XVI poi un'affermazione tratta da un celebre intervento dell'allora cardinale sulla catechesi:  "Dio è il tema pratico e il tema realistico per l'uomo - allora e sempre".

    Una tale affermazione, lungi da implicare una considerazione a-storica dell'umana avventura, pretende di coglierla nel suo aspetto più radicale e quindi critico:  la questione del significato e, pertanto, del senso/direzione della storia, del suo destino. La centralità della "questione Dio" per la storia degli uomini accompagna la predicazione di Papa Benedetto e giustifica l'interesse del volume su cui oggi ci chiniamo.
    È proprio questa convinzione che guida anche la narrazione. Il vocabolo è nel titolo ed è doppiamente pregnante:  l'anno liturgico infatti è l'espressione potente del conversatus est cum hominibus di Dio in Gesù Cristo e la teologia di Ratzinger, feconda confluenza di dogma e storia, è in senso pieno narrazione dell'avvenimento dell'incontro personale con Cristo nella Chiesa. Una narrazione dell'anno liturgico compiuta da Papa Benedetto, a dire il grande interesse di questo volume non solo per i credenti.

    La predicazione del Papa, come tutta l'opera del pensatore Ratzinger, è caratterizzata da un profondo teocentrismo. Ma questo termine non può essere adeguatamente compreso se, magari inconsapevolmente, fosse inteso in antitesi con la centralità dell'uomo, della sua storia e di tutta la realtà creata. La centralità di Dio, infatti, lungi dall'andare a detrimento dell'uomo e del cosmo, ne assicura la reale consistenza. Nell'omelia dei Primi Vespri della i Domenica di Avvento, riportata nel volume, dice in proposito il Papa:  "Se manca Dio, viene meno la speranza. Tutto perde di "spessore". È come se venisse a mancare la dimensione della profondità e ogni cosa si appiattisse, privata del suo rilievo simbolico, della sua "sporgenza" rispetto alla mera materialità". Il simbolo rimanda al linguaggio cioè alla relazione interpersonale. E il simbolo cristiano, che ha il suo vertice nell'azione liturgica, è incontro, nella persona, tra cielo e terra, tra eterno e tempo. È storia in senso pieno perché è presente inteso come dinamica unità di passato e futuro.

    Ma perché "Dio non manchi" è necessario che lo si possa riconoscere, cioè incontrare di persona. Infatti, se è vero che la "grande speranza può essere solo Dio", occorre riconoscere che non parliamo di "un qualsiasi Dio, ma (di) quel Dio che possiede un volto umano:  il Dio che si è manifestato nel Bambino di Betlemme e nel Crocifisso-Risorto". È l'evento salvifico di Gesù Cristo, presente nella storia in modo eminente attraverso la liturgia sacramentale ad assicurare che la centralità di Dio non confligge con la centralità dell'uomo-cosmo. Il Dio dal volto umano precede sempre l'uomo - lo aspetta, dice Benedetto XVI - suscitando la sua domanda di salvezza. Di libertà e di felicità potremmo anche dire con le due parole preferite dalla nostra sensibilità di uomini dell'epoca cosiddetta post-moderna. L'invito alla partecipazione alla vita divina è la risposta che fa sorgere la domanda, che scioglie l'enigma dell'uomo senza predeciderne il dramma, come affermava un grande amico del Papa, Hans Urs von Balthasar. ""Sufficiente" è soltanto la realtà di Cristo". Dove il termine "sufficiente" dice l'unico indispensabile.

Così il giovane teologo Joseph Ratzinger. Ora, con la sua predicazione da Papa, è permanentemente teso a proporre con umile tenacia la forza onnicomprensiva di questa affermazione, perché "la fede non dev'essere presupposta, ma proposta". Queste parole con cui il teologo basilese von Balthasar aveva voluto ringraziarlo per l'invio di un suo volumetto negli anni del postconcilio, impressionano il nostro autore per il quale centrale è la consapevolezza che il cristianesimo è "l'incontro tra due libertà:  la libertà di Dio, operante mediante lo Spirito Santo, e la libertà dell'uomo".

    Questo incontro tra la libertà di Dio e la libertà dell'uomo è ben espresso dalla struttura liturgica del destino dell'uomo. Nella solennità dell'Epifania del 2007, Papa Benedetto, parlando del mistero della fedeltà di Dio, affermò con chiarezza che "la Chiesa è, nella storia, al servizio di questo mistero di benedizione per l'intera umanità. In questo mistero di fedeltà di Dio, la Chiesa assolve appieno la sua missione solo quando riflette in se stessa la luce di Cristo Signore, e così è di aiuto ai popoli del mondo sulla via della pace e dell'autentico progresso".

    Riflettere la luce di Cristo nel mondo:  questo è il dono e il compito che la Chiesa ha ricevuto dal Signore. Dono e compito che, ultimamente, si identificano con la sua santità. Essa è, infatti, anzitutto un dono permanentemente ricevuto dal Signore.
    A questo proposito non possiamo dimenticare che il senso originale e primario dell'espressione communio sanctorum - contenuta nel simbolo apostolico - è quello di "comunione nelle cose sante", cioè nei sacramenti. La santità della Chiesa, quindi, è innanzitutto un dono ricevuto. Ecco perché ultimamente non può venire meno.

    Ma questa santità è anche compito per i cristiani. Per indicare la necessaria implicazione di dono e compito, Papa Benedetto nella bella omelia della Missa in Cena Domini, usa una delle sue geniali espressioni di disarmante semplicità ed efficacia. Egli, parlando del dono della riconciliazione che deve diventare pratica di perdono reciproco, afferma:  "Il Signore allarga il sacramentum facendone l'exemplum".

    La santità della Chiesa riverbera in tal modo sul volto del cristiano, del santo (i "cieli" come ricorda Benedetto XVI citando Agostino), la cui libertà si è coinvolta in modo deciso e permanente con Gesù Cristo in forza del dono dello Spirito. La predicazione del Papa abbonda di riferimenti ai santi. Emblematiche, in questo senso, sono le catechesi che ha voluto dedicare prima agli apostoli e poi ai padri della Chiesa. In questo modo il Papa riprende e approfondisce la grande idea di Guardini che la Chiesa deve rinascere dalle anime, dalle persone. Decisiva è per l'uomo di oggi la domanda "Chi è la Chiesa?".

    Più di trent'anni fa diceva in proposito Joseph Ratzinger nel volume Dogma e predicazione:  "Chi incomincia a considerare la vita dei santi, trova un'inesauribile ricchezza di storie che sono più di un esempio omiletico:  testimoniano l'efficacia della chiamata di Cristo in millenni colmi di sangue e di lacrime. Solo se riscopriremo i santi, ritroveremo anche la Chiesa". Ma i santi, nella vita della Chiesa, non sono solo la documentazione della potenza della grazia accolta dalla libertà. Essi sono anche il criterio, il canone, per l'approfondimento dei misteri della fede. Il lettore delle omelie di Papa Ratzinger si imbatte a ogni piè sospinto in riferimenti e citazioni di grandi santi, che illuminano la profondità del mistero:  Ireneo, Agostino - la cui presenza è imponente - Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo, Cromazio di Aquileia, Paolino di Aquileia, Germano di Costantinopoli, Anselmo di Canterbury. I santi dicono, meglio di qualsiasi altra realtà, che "la Chiesa è viva", come affermò il Papa nell'omelia della Santa Messa di inizio pontificato in piazza San Pietro. I santi, in un certo senso, sono l'espressione della "mia memoria della Chiesa", perché "la Chiesa come memoria, è (...) il luogo di ogni fede. Essa sopravvive ai tempi, con degli alti e bassi, sempre però come lo spazio comune della fede". I santi sono i testimoni che nutrono il presente dell'umanità.

    Questa attenzione al soggetto Chiesa che celebra la liturgia, che interpreta la scrittura, che contempla e adora i misteri della fede, spiega anche i pressanti richiami alla conversione presenti nelle omelie di Papa Benedetto. In quella della Veglia Pasquale - madre di tutte le veglie e celebrazioni liturgiche - il Papa dice:  "Conversi ad Dominum:  sempre di nuovo dobbiamo distoglierci dalle direzioni sbagliate, nelle quali ci muoviamo così spesso con il nostro pensare e agire. Sempre di nuovo dobbiamo volgerci verso di Lui, che è la Via, la Verità e la Vita. Sempre di nuovo dobbiamo diventare dei "convertiti", rivolti con tutta la vita verso il Signore. E sempre di nuovo dobbiamo lasciare che il nostro cuore sia sottratto alla forza di gravità, che lo tira giù, e sollevarlo interiormente in alto:  nella verità e nell'amore". La liturgia, l'opera di santificazione che lo Spirito compie nella Chiesa, ha come orizzonte l'adorazione di Dio e la conversione dell'uomo. Una conversione che è determinata dal richiamo al "volgersi della nostra anima verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente, verso la luce vera".

    Potremmo così domandarci se esista ed eventualmente quale sia la chiave unitaria di lettura delle omelie pubblicate in questo volume. Tale chiave, ovviamente, dovrebbe tener conto degli altri pronunciamenti del Papa, poiché il suo ministero pastorale non è divisibile.
    In altra sede ho affermato che il filo rosso che percorre l'insegnamento di Benedetto XVI, e in esso rientrano le omelie, può essere identificato con il titolo della sua prima enciclica:  Deus caritas est. Il Papa mostra che tutte le domande che premono oggi sul cuore dell'uomo meritano una risposta. Egli non cessa di richiamare la sete di verità di ogni uomo e la capacità dell'umana ragione di perseguire la risposta. I testi qui pubblicati alludono spesso, nell'ovvio rispetto della loro specifica natura, non solo alle odierne brucianti questioni antropologiche, ma anche a quelle sociali e cosmologiche. Storia e destino dell'uomo nell'orizzonte del Dio/destino che si è compromesso con la storia sono continuamente intrecciate. Ma la domanda delle domande, quella che la ragione non cessa di porre, in modo più o meno elaborato, è la domanda sull'amore. Non soprattutto la domanda astratta circa la natura dell'amore, ma quella concreta e personale, che ferisce l'esperienza del singolo:  "Alla fine, qualcuno mi ama?".

    A questa domanda radicale risponde Dio stesso rivelando il Suo nome:  "Gesù ci ha manifestato il volto di Dio, uno nell'essenza e trino nelle persone:  Dio è Amore, Amore Padre, Amore Figlio, Amore Spirito Santo (...) Dal nome di Dio dipende la nostra storia; dalla luce del suo volto il nostro cammino".

    L'esperienza dell'amore sgorga per ciascuno di noi da quella dell'essere amati che permanentemente ci precede e ci costituisce. Una precedenza che vive eucaristicamente nella Chiesa. Infatti è proprio nell'Eucaristia che il Dio che ci ha amato per primo viene permanentemente al nostro incontro. E incorporandoci sacramentalmente a Lui ci fa partecipi della sua dinamica di donazione:  "Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Lògos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione" (Deus caritas est, 13). Così l'esperienza dell'essere amati genera la possibilità di amare, espressione compiuta di un cuore convertito e in cammino verso il Signore.

    Nel celeberrimo volume Introduzione al Cristianesimo Joseph Ratzinger afferma con chiarezza che "il Lògos dell'universo, il pensiero creativo fontale è al contempo amore; anzi, è questo pensiero stesso che si estrinseca in maniera creativa, perché in quanto pensiero è amore, è in quanto amore è pensiero. Sussiste una primordiale identità fra verità e amore". Il Dio Amore, che è la verità chiede all'uomo che la sua libertà si esprima in grado massimo nell'adorazione. Dice il Papa:  "Adorare il Dio di Gesù Cristo, fattosi pane spezzato per amore, è il rimedio più valido e radicale contro le idolatrie di ieri e di oggi. Inginocchiarsi davanti all'Eucaristia è professione di libertà". Sono parole che ricordano quelle del gesuita tedesco Alfred Delp, massacrato dai nazisti, citate dall'allora cardinale Ratzinger nella basilica di San Giovanni in Laterano:  "Il pane è importante; la libertà è più importante, ma la cosa più importante di tutte è l'adorazione".

    Annota, a proposito dei grandi oratori romani, Leopardi nello Zibaldone:  "Osservate come l'eloquenza vera non abbia fiorito mai se non quando ha avuto il popolo per uditore. Intendo un popolo padrone di sé, e non servo, un popolo vivo e non un popolo morto". Le omelie di Papa Benedetto hanno certamente come interlocutore un simile popolo e non solo il popolo dei fedeli. La commovente dedizione e decisione con cui il Papa prende sul serio questo popolo spiega lo spessore della sua predicazione e lo straordinario ascolto che riceve da parte di tutti, giovani e adulti, semplici ed eruditi, dai bambini fino agli intellettuali e ai capi di Stato.



(©L'Osservatore Romano - 19 dicembre 2008)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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