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Prima di tutto la COMUNIONE ECCLESIALE: ma quale è la vera Chiesa di Cristo?

Ultimo Aggiornamento: 31/10/2012 12:38
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27/11/2008 19:14
 
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Riflessioni su comunicazione e promozione della fede
Prima di tutto la comunione ecclesiale


di Gianfranco Ghirlanda
Gesuita
Rettore Magnifico della Pontificia Università Gregoriana

La Congregazione per la Dottrina della Fede il 30 marzo 1992 emanava un'Istruzione circa alcuni aspetti dell'uso degli strumenti di comunicazione sociale nella promozione della dottrina della fede, in cui, enunciati i diritti e i doveri dei vescovi e dei superiori religiosi e i diritti e i doveri dei fedeli in questo campo, sono richiamate le norme riguardanti i casi in cui è richiesta l'approvazione o la licenza per la pubblicazione di scritti e la procedura da seguire per ottenerle.


L'Istruzione richiama i canoni 209, 1 ("I fedeli sono tenuti all'obbligo di conservare sempre, anche nel loro modo di agire, la comunione con la Chiesa") e 205: "Su questa terra sono nella piena comunione della Chiesa cattolica quei battezzati che sono congiunti con Cristo nella sua compagine visibile, ossia mediante i vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico".

Ogni tipo diritto e dovere nella Chiesa va compreso e regolato in relazione alla comunione ecclesiale.
Alla "comunione ecclesiastica" l'Istruzione si riferisce espressamente, quando, nel capitolo i sulla "Responsabilità dei pastori in genere", afferma che chi, "trasgredendo le norme canoniche, viola i doveri del proprio ufficio, costituisce un pericolo per la comunione ecclesiastica, arreca danno alla fede e ai costumi dei fedeli", per cui è passibile delle sanzioni amministrative o penali previste dal diritto della Chiesa (n. 2d).


La "comunione ecclesiale" viene poi menzionata nel capitolo ii nel contesto della procedura da seguire da parte dell'Ordinario del luogo per dare la licenza per la pubblicazione di uno scritto, nell'affermare: "I rapporti con gli autori siano sempre improntati ad uno spirito costruttivo di dialogo rispettoso e di comunione ecclesiale, che consenta di trovare le vie affinché nelle pubblicazioni non vi sia niente di contrario alla dottrina della Chiesa" (n. 12, 3).


Infine nel capitolo iv su "La responsabilità dei superiori religiosi" è ricordato che "L'azione apostolica degli Istituti religiosi deve essere esercitata a nome e per mandato della Chiesa e va condotta in comunione con essa (cfr. can. 675, 3)" e sono richiamati di seguito i canoni 209, 1 e 590 (n. 16, 2). Questo dovere è ulteriormente richiamato riguardo alle case editrici dei religiosi (n. 18).

Una comunione di carità e di fede

La Relazione finale del Sinodo Straordinario dei vescovi del 1985 afferma che l'ecclesiologia di comunione è il fondamento dell'ordinamento della Chiesa e soprattutto di una corretta relazione tra unità e pluriformità in essa.
L'uomo in quanto immagine somigliante di Dio, è creato per essere in comunione con Dio e con i fratelli. Questo si realizza nella Chiesa, che è il sacramento, strumento efficace, di tale comunione (Lumen gentium, 1). La Chiesa è costituita nella sua pienezza, secondo la sua essenza, proprio in quanto è costituita come comunione, a immagine della comunione tra le tre Persone divine. La Chiesa si presenta, allora, come un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Lumen gentium, 4b). La comunione non è solo una nozione, ma è la realtà stessa della Chiesa.
La comunione dei fedeli, fondata nel battesimo, sotto l'impulso dello Spirito Santo, è in una relazione diretta con l'Eucaristia, la partecipazione alla quale conduce alla comunione con Cristo e con la Trinità (cfr. Unitatis redintegratio, 2b; 15a; 22a; canone 897).


La nozione di "fedele di Cristo" (Christifidelis) esprime la categoria primaria in cui tutti si entra in virtù del battesimo, attraverso il quale si partecipa all'unica fede, basata sull'unica Rivelazione che ha trovato pieno compimento in Gesù Cristo. Tale nozione è stata assunta nel Codex iuris canonici del 1983 (canone 204, 1), e a essa fanno riferimento tutte le altre nozioni riguardanti le persone e le istituzioni ecclesiali. La Chiesa è costituita da Cristo per una "comunione di vita, di carità e di verità" (Lumen gentium, 9b). La carità, come partecipazione all'amore di Dio, è il vincolo dello Spirito Santo che unisce i fedeli sia nella dimensione verticale di amore verso Dio che orizzontale di amore verso i fratelli, per cui la carità come unione con Dio origina la carità come servizio dei fratelli. La comunione di carità implica necessariamente la comunione di vita e la comunione nella verità della fede.


Il legame fondante la comunione tra i fedeli è l'unica fede, virtù teologale ricevuta come dono di grazia nel battesimo, che, però, per la stessa struttura sacramentale della Chiesa, dev'essere manifestata esternamente nella professione di fede.
La fede è il legame fondante la comunione tra i fedeli perché ha un contenuto che è creduto da tutti, il deposito della fede che ci viene dalla Rivelazione, autenticamente interpretata dal Magistero vivo della Chiesa (cfr. Dei verbum, 10a.b). Inoltre, poiché Dio si rivela per comunicare se stesso all'uomo, le verità rivelate, se credute con il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà, sono salvifiche per chi vi aderisce (cfr. Dei verbum, 5; 6a). La comunicazione della fede nell'integrità del suo contenuto è per questo essenziale al costituirsi della Chiesa come comunione di fedeli. Data la natura divina e umana della Chiesa, la professione della fede come fatto esterno e sociale nella Chiesa richiede delle strutture giuridiche, ma il criterio fondamentale nella loro configurazione è la missione data da Cristo alla Chiesa di annunciare e trasmettere la fede, come insieme di verità salvifiche, e di attuare la carità nella vita.

La pienezza della comunione cattolica

La comunione ecclesiastica, che costituisce la pienezza della comunione cattolica (cfr. Orientalium ecclesiarum, 4), regola, da una parte, le relazioni tra i fedeli e le strutture di mediazione umana della comunicazione delle verità di fede e dei mezzi sacramentali di salvezza, e, dall'altra, le relazioni tra le Chiese particolari, "nelle quali si fa presente la Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali" (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera Communionis notio, 7) e tra queste e la Chiesa di Roma, il cui vescovo è il Romano Pontefice, ed è manifestata dalla concelebrazione eucaristica (Unitatis redintegratio, 20; 4c; 15a).


Per il fatto stesso di essere creatura umana l'uomo è persona, in senso antropologico, quindi soggetto di diritti e di doveri naturali. Il non battezzato è soggetto di diritto nella Chiesa solo per tali diritti e doveri naturali. L'uomo è costituito persona dal punto di vista canonico mediante il battesimo, col quale è incorporato a Cristo e alla Chiesa (canone 96); quindi il concetto di persona nella Chiesa è correlativo a quello di fedele. Solo col battesimo, infatti, l'uomo riceve i diritti e i doveri che sono propri dei cristiani in quanto tali e diventa soggetto di diritto nella Chiesa in senso pieno, cioè persona dal punto di vista canonico. Per poter esercitare tali diritti e adempiere tali obblighi è necessario essere nella comunione ecclesiastica e non essere colpiti da una sanzione legittimamente inflitta (canone 96).
Il canone 205 afferma che su questa terra sono pienamente nella comunione della Chiesa cattolica, quindi nella comunione ecclesiastica, quei battezzati che sono congiunti con Cristo nella sua compagine visibile, ossia mediante i vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico. Questi hanno nella Chiesa l'esercizio pieno di tutti i diritti e sono tenuti all'adempimento di tutti gli obblighi.


Nel caso di apostasia, eresia e scisma, la scomunica latae sententiae (cfr. canoni 1364 e 1330) non fa altro che sanzionare la situazione in cui un battezzato si pone rispetto alla comunione ecclesiastica. Chi ripudia totalmente la fede cristiana o nega ostinatamente una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica oppure dubita ostinatamente di essa o rifiuta la sottomissione al Romano Pontefice e la comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti (cfr. canone 751), si pone lui stesso fuori della comunione ecclesiastica. Così non sono altro che una conseguenza della posizione in cui il fedele stesso si mette nei confronti della Chiesa, anche le altre sanzioni previste dal Codice di Diritto Canonico (cfr. canoni 805; 810, 1; 194, 1, 2; 1369; 1371, 1) e richiamate dall'Istruzione del 30 marzo 1992 (n. 2d), nei casi in cui, anche senza arrivare all'apostasia o all'eresia, il fedele mette in pericolo la comunione ecclesiastica.


La comunione gerarchica è elemento costitutivo della comunione ecclesiastica o cattolica. Sebbene nel concilio la comunione gerarchica per sé è relativa al rapporto tra i vescovi e il Romano Pontefice e a quello tra i vescovi e i presbiteri, tuttavia la Chiesa nel suo insieme si può definire una comunione gerarchica in quanto tutti i ministeri e i servizi che vengono svolti in essa sono gerarchizzati in rapporto al ministero del successore di Pietro e dei successori degli Apostoli, perché in tale ministero trovano il proprio analogato principale e quindi la loro definizione (cfr. Congregazione per il Clero e altre, Istruzione Ecclesiae de mysterio, 1, 2). Infatti il ministero del Romano Pontefice e quello dei vescovi è la garanzia nella Chiesa dell'autenticità della parola di Dio che continua a essere annunciata, della verità dei sacramenti che vengono celebrati e della sicurezza della via verso la santità che viene indicata (cfr. Lumen gentium, 18-27; canoni 330; 331; 336; 381, 1; 386; 387; 749; 752-754; 756; 835, 1; 841). Sono la garanzia che la Chiesa di oggi è la Chiesa fondata e voluta da Gesù Cristo e lo sarà fino alla fine dei tempi.

Libertà di ricerca e dovere di conservare la comunione

L'Istruzione del 30 marzo 1992 nell'Introduzione afferma: "Le norme canoniche costituiscono una garanzia per la libertà di tutti: sia dei singoli fedeli, che hanno il diritto di ricevere il messaggio del Vangelo nella sua purezza e nella sua integralità; sia degli operatori pastorali, dei teologi e di tutti i pubblicisti cattolici, che hanno il diritto di comunicare il loro pensiero, salva restando l'integrità della fede e dei costumi ed il rispetto verso i Pastori".
Il canone 218 così si esprime: "Coloro che si dedicano alle scienze sacre godono della giusta libertà di investigare e di manifestare con prudenza il loro pensiero su ciò di cui sono esperti, conservando il dovuto ossequio nei confronti del magistero della Chiesa". Il canone si riferisce ai cultori della scienza teologica e delle altre scienze che in qualche modo sono relazionate con la Rivelazione.


Il diritto alla libertà di investigazione e di manifestazione del proprio pensiero, secondo una deontologia professionale, è un diritto naturale dell'uomo. Poiché la Chiesa è costituita da uomini, che portano con sé tutte le prerogative e le esigenze inscritte nella loro natura, anche tale diritto è rilevante per la Chiesa. Esso, poi, è molte volte messo in relazione al diritto alla libertà di coscienza e alla libertà religiosa, altro diritto fondamentale dell'uomo, che ha rilevanza primaria anche per la Chiesa (cfr. Dignitatis humanae, 10; 12a; canone 748). Tuttavia, una volta che la persona, con piena libertà di coscienza, ha aderito alla fede della Chiesa ed è entrata a far parte di essa, è obbligata a professare integralmente l'unica fede. Entrato nella Chiesa, l'uomo resta uomo, ma accede a un livello superiore, quello della grazia, quindi l'adesione alla fede della Chiesa diventa per lui il primo e supremo valore e dovere (cfr. Dignitatis humanae, 14cd), in modo tale che la sua libera adesione del cuore e della mente alla fede salvifica della Chiesa diventi l'oggetto del diritto naturale alla libertà di coscienza. Si può, allora, affermare che solo nella libera e sincera adesione a quella fede il battezzato continua a esercitare pienamente tale suo diritto umano.

Inoltre, è da tener presente che l'uomo conserva nella Chiesa il suo diritto alla libertà di coscienza e di religione, anche nel senso che, se non volesse conservare l'integrità della fede cattolica oppure se volesse aderire ad altra religione, la Chiesa non lo potrebbe costringere a rimanere nella comunione ecclesiastica, ma egli stesso ne dovrebbe uscire, perché non vi potrebbe più rimanere. La Chiesa, da parte sua, come abbiamo visto, non solo ha il diritto, ma il dovere, di sancire tale autoesclusione con la scomunica, tenendo comunque presente che lo scomunicato rimane sempre membro della Chiesa, in quanto il battesimo, dono indelebile di Dio, non può mai essere cancellato.

Per lui la Chiesa continua a pregare e sperare.
In questo contesto si può comprendere che per conservare la comunione ecclesiale, che è segno della definitiva e piena comunione escatologica tra tutti i redenti in Cristo, il battezzato accetti i limiti imposti dalla Chiesa all'esercizio del diritto alla libera ricerca nelle scienze sacre e all'espressione e divulgazione del suo pensiero (cfr. canoni 212, 3; 218) e può anche arrivare alla rinuncia all'esercizio di esso.


Poiché la Chiesa è la comunione tra tutti coloro che professano l'unica fede e vivono nella carità, l'obbligo primario che scaturisce dal battesimo è quello di conservare la comunione con la stessa Chiesa (cfr. canone 209, 1) e con Dio, cioè di rimanere fedeli alla verità a cui si è liberamente aderito come verità salvifica (cfr. canoni 748, 1; 750; 752-754; 212, 1) e di condurre una vita santa (cfr. canone 210) nell'esercizio della carità. Di fatto si tratta di un duplice aspetto di un unico dovere, in quanto l'obbligo di rimanere fedele alla verità rivelata e di condurre una vita santa e l'obbligo di conservare la comunione con la Chiesa e con Dio si implicano a vicenda: da una parte la comunione con la Chiesa e con Dio si conserva soltanto quando si professa l'unica e vera fede e si esercita la carità, ma dall'altra l'unica fede e la carità sono alimentate solo nella comunione ecclesiale. La professione di fede, poi, come atto salvifico, in quanto attuazione storica della comunione con Dio e con gli uomini, è l'anticipazione della realizzazione escatologica della comunione con Dio e tutti i redenti in Cristo.


Posto questo, è da dire che la ricerca da parte del credente dell'intelligenza della fede (intellectus fidei), che è data dalla teologia, è un'esigenza irrinunciabile della Chiesa (cfr. Congregazione per la Dottrina della fede, Istruzione Donum veritatis, Introduzione). Il teologo, sulla base di un carisma proprio, ha una sua vocazione specifica nella Chiesa, quella "di acquisire, in comunione con il magistero, un'intelligenza sempre più profonda della parola di Dio contenuta nella Scrittura ispirata e trasmessa dalla tradizione viva della Chiesa" (ivi, 6). Quindi, la ricerca teologica presuppone nel teologo la fede come virtù teologale, dono interno di grazia, e l'ossequio dell'intelletto e della volontà alle verità salvifiche, espresso esternamente nella professione dell'integra fede della Chiesa (cfr. ivi, 8-9). Solo così il teologo "aiuta il popolo di Dio, secondo il comandamento dell'apostolo (cfr. 1Pietro 3, 15), a rendere conto della sua speranza a coloro che lo richiedono" (ivi, 6), in quanto, aiutandolo ad approfondire la propria fede, lo sostiene a viverla e a testimoniarla, e "offre il suo contributo perché la fede divenga comunicabile, e l'intelligenza di coloro che non conoscono ancora Cristo possa ricercarla e trovarla" (ivi, 7), assumendo una funzione che può essere detta missionaria.

La ricerca teologica, allora esige "uno sforzo spirituale di rettitudine e di santificazione" (ivi, 9) e una capacità critica che "esige un discernimento che ha il suo principio normativo ultimo nella dottrina rivelata" (ivi, 10). La libertà di ricerca in qualsiasi scienza deve condurre alla configurazione di una verità che scaturisca oggettivamente dall'applicazione rigorosa di un metodo; in teologia la "libertà di ricerca si iscrive all'interno di un sapere razionale il cui oggetto è dato dalla rivelazione, trasmessa e interpretata nella Chiesa sotto l'autorità del magistero e accolta dalla fede" (ivi, 12), quindi s'iscrive all'interno della fede della Chiesa, per cui è impegno specifico del teologo, scaturente dalla sua missione nella Chiesa di incrementare la fede del popolo di Dio, impartire un insegnamento che in nessun modo leda l'integrità della fede o la metta in pericolo con formulazioni ambigue che possono creare confusione nei fedeli (cfr. ivi, 11).

Sarebbe un ledere il diritto dei fedeli di essere istruiti nell'integrità della fede, per poter assolvere al loro obbligo di conservare la comunione con la Chiesa nel vincolo della professione dell'integra fede (cfr. canone 209, 1). Questo non sarebbe solo un non assolvere a un obbligo di giustizia, ma anche un obbligo di carità, in quanto sviare i fedeli dalla professione dell'integra fede significa indirizzarli su una via che può mettere in pericolo la loro salvezza.


Infine, è da dire che coloro che succedono agli Apostoli "hanno ricevuto un carisma sicuro di verità" (Dei verbum, 8b), e quindi il carisma dell'infallibilità in materia di fede e di costumi, che si esprime nell'esercizio della potestà di magistero infallibile e definitivo, che avviene secondo diverse modalità, e nell'esercizio del magistero autentico anche non infallibile e definitivo, ma anch'esso autoritativo per l'assistenza dello Spirito Santo (cfr. Lumen gentium, 25; canoni 749; 750, 752, 753; cfr. Congregazione per la Dottrina della fede, Istruzione Donum veritatis, 15-17; Professio fidei et iusiurandum fidelitatis, 1 luglio 1988).

Il servizio di carità e di giustizia dei pastori, nell'esercizio della loro autorità di magistero consiste nel tutelare il popolo di Dio "da deviazioni e smarrimenti, e garantendogli la possibilità obiettiva di professare senza errori la fede autentica, in ogni tempo e nelle diverse situazioni"; servizio che "non è quindi qualcosa di estrinseco alla verità cristiana né sovrapposto alla fede" (Congregazione per la Dottrina della fede, Istruzione Donum veritatis, 14).

Il teologo, perché l'esercizio del suo carisma di servizio alla verità possa contribuire all'incremento della fede del popolo di Dio, deve aderire più di ogni altro fedele (cfr. canone 212, 1) sia al magistero infallibile che al magistero non infallibile, anche se in modo diverso, in uno spirito di collaborazione (canone 218; cfr. Congregazione per la Dottrina della fede, Istruzione Donum veritatis, 20, 22-31), evitando ogni tipo di dissenso o "magistero parallelo", che metta in pericolo la comunione ecclesiale e crei confusione nei fedeli (cfr. canone 212, 3, e Congregazione per la Dottrina della fede, Istruzione Donum veritatis, 32 e seguenti). L'esigenza del retto esercizio di questi diversi carismi e funzioni nella Chiesa è alla base dell'Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede del 30 marzo 1992.

Conclusione

Da tutto quanto finora detto si trae che, per quello che riguarda in generale il modo di adempimento dei doveri e di esercizio dei diritti dei fedeli nella Chiesa, la prospettiva non può essere l'affermazione e la rivendicazione dei diritti dei singoli in modo individualista.


Allora, quando a causa dell'esercizio di un suo diritto la comunione ecclesiale fosse messa in pericolo, il singolo fedele, e nel caso particolare un teologo, in ragione del dovere fondamentale della carità, deve rinunciare alla rivendicazione di esso, altrimenti a un'ingiustizia subita opporrebbe un'ingiustizia ancora più grande, quella della rottura della comunione. Infatti, nella Chiesa è veramente difficile discernere chiaramente tra i doveri e i diritti personali dei fedeli e quelli comunitari.

La persona nella Chiesa non può mai essere considerata in modo individualistico, in quanto sempre vive e agisce in essa, la alimenta e la edifica con la sua stessa vita e azione. Quindi, quando un fedele adempie i suoi doveri ed esercita i suoi diritti non si può mai dire che lo faccia solo per se stesso, ma sempre anche per il bene di tutta la Chiesa. Per questo la Chiesa si realizza come comunione tra tutti i battezzati, cioè come comunione dei santi, dove il bene di tutti diventa il bene di ciascuno e il bene di ciascuno diventa il bene di tutti (cfr. Giovanni Paolo ii, Esortazione apostolica Christifideles laici, 26).




(©L'Osservatore Romano - 5 settembre 2008)
[Modificato da Caterina63 02/06/2010 14:20]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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