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Il Papa è davvero infallibile? Cosa è questa Infallibilità?

Ultimo Aggiornamento: 12/12/2018 23:00
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19/01/2017 08:43
 
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  Il Papa: la roccia di tutti i cristiani



Diviso in tre parti – Dio, Gesù Cristo, la Chiesa –, il volume scritto da Ratzinger con il giornalista Peter Seewald risponde alle domande centrali sul rapporto tra l’uomo e la fede, affrontando in profondità questioni di grande attualità e delicatezza. È una sorta di "nuovo rapporto sulla fede", che ha per sottotitolo Essere cristiani nel nuovo millennio.

Dio e il mondo è il titolo del libro (edizioni San Paolo, pagg. 425, lire 42.000 - 2001) che il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha scritto con il giornalista Peter Seewald. Del volume, frutto di un lungo colloquio tenuto nel febbraio 2000 nell’abbazia benedettina di Montecassino, anticipiamo qui di seguito il capitolo dedicato al papato.

PS - Molti considerano la Chiesa un apparato di potere.

JR - «Sì, ma si dovrebbe innanzitutto tenere conto che queste strutture devono esistere in funzione del servizio. Il papa non è il signore supremo – dall’epoca di Gregorio Magno ha assunto il titolo di "servo dei servi di Dio" – ma dovrebbe essere – amo dire – il garante dell’obbedienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, escludendo ogni arbitrio da parte sua. Il papa non può dire: La Chiesa sono io, oppure: La tradizione sono io, ma al contrario ha precisi vincoli, incarna l’obbligo della Chiesa a conformarsi alla parola di Dio. Se nella Chiesa sorgono tentazioni a fare diversamente, a scegliere la via più comoda, deve chiedersi se ciò è lecito.  


Il papa non è dunque un organo che possa dare vita a un’altra Chiesa, ma è un argine contro l’arbitrio. Faccio un esempio: dal Nuovo Testamento sappiamo che il matrimonio sacramentale è indissolubile. Ci sono correnti d’opinione che sostengono che il papa potrebbe abrogare quest’obbligo. Ma non è così. E nel gennaio del 2000, rivolgendosi ai giudici romani, il papa ha detto che, rispetto alla tendenza a voler vedere revocato il vincolo dell’indissolubilità del matrimonio, egli non può fare tutto ciò che vuole, ma deve anzi accentuare l’obbedienza, deve proseguire anche in questo senso il gesto della lavanda dei piedi».

Il cardinale Joseph Ratzinger davanti alla basilica di San Pietro.

PS - Il papato è una delle più affascinanti istituzioni della storia. Ma, oltre alla grandezza, la storia dei papi comprende anche abissi drammatici. Benedetto IX, ad esempio, dopo la sua destituzione, fu il 145°, il 147° e il 150° papa. Salì il soglio pontificio per la prima volta a 12 anni. Ciò nonostante, la Chiesa cattolica continua a credere incrollabilmente nella sua funzione di Vicario di Cristo sulla terra.

JR - «Da un punto di vista meramente storico, il papato costituisce in effetti un fenomeno straordinario. È l’unica monarchia, come si usa dire, ad aver resistito per oltre duemila anni, il che è già di per sé qualcosa di incomprensibile. Direi che uno dei misteri che lasciano trasparire l’esistenza di una forza più grande è la sopravvivenza del popolo ebraico. D’altro canto anche la persistenza del papato è qualcosa che non può non stupire e che solleva degli interrogativi. Con il suo esempio Lei ha già accennato alla degenerazione e alle ferite inferte a questa istituzione tali da provocare, con tutta probabilità, il suo declino definitivo. Se non erro fu Voltaire a dire che era finalmente giunto il tempo per questo Dalai Lama europeo di scomparire e liberare l’umanità dalla sua presenza. Invece il suo ruolo non è venuto meno e questo ci fa comprendere come la sopravvivenza di questa istituzione non dipenda dalle qualità degli uomini che hanno rivestito questa funzione – molti hanno fatto di tutto per infliggere colpi mortali all’istituzione papale – ma da un’altra forza, non umana, il cui solo intervento può spiegare la neutralizzazione dei danni inferti dagli uomini. Quella forza, appunto, che era stata promessa a Pietro. Le porte degli inferi, della morte, non prevarranno contro la Chiesa».

PS - Della cosiddetta infallibilità abbiamo già parlato. Perché questo dogma è stato introdotto così tardi?

JR - «Dobbiamo innanzitutto tenere presente che una dottrina dell’ufficio di Pietro esiste fin dai primordi della Chiesa, e innanzitutto esiste una prassi. La lettera del papa Clemente I alla comunità di Corinto minacciata dalla scissione, scritta attorno al 90 d.C., già mostra la responsabilità della Chiesa e del vescovo di Roma. La responsabilità che gli spettava in quanto punto di convergenza dell’unità dei cristiani era chiaramente dimostrata già nel II secolo dalla disputa sulla festa pasquale. La centralità di Roma assurge sempre più a criterio di riferimento universalmente riconosciuto.


Nel Concilio di Nicea del 325 il primato è attribuito a tre sedi: Roma, Alessandria e Antiochia. Roma ha la priorità, ma anche le altre due sedi sono poste in relazione con Pietro. I delegati papali sono sempre menzionati per primi negli elenchi dei partecipanti ai concili. A Roma si tributa il rispetto dovuto alla cosiddetta prima sedes, e lo stesso concilio di Nicea rafforza questo sistema. Nella successiva storia dei concili la funzione papale emerge con sempre maggiore nettezza. Non solo esercita una funzione di governo universale, perennemente all’opera, come avviene anche oggi, ma nei momenti critici è al vescovo di Roma che spetta una funzione molto specifica. In occasione della crisi ariana, quando l’arianesimo era vicino ad assumere un predominio pressoché totale, sant’Atanasio trova nel papa un sicuro punto di riferimento, e questo accadrà ancora molte volte. Nel 1054 si verifica lo scisma tra Oriente e Occidente. L’Oriente aveva riconosciuto a Roma una particolare funzione, anche se in termini più ristretti di quanto rivendicato da Roma. Dopo lo scisma si rafforza in Roma, soprattutto con Gregorio VII, l’idea del primato cui viene impresso un ulteriore impulso dalla nascita degli ordini mendicanti, legati al papato. Poiché gli ordini non fanno riferimento alla Chiesa locale, non possono che dipendere direttamente da un organo universale quale unica condizione di possibilità per un sacerdozio e dei movimenti che si estendono trasversalmente in tutta la Chiesa, costituendo così anche la premessa ineludibile della missione.

Prassi e formulazioni teoriche procedono parallelamente, anche se in maniera graduale. Già al concilio di Firenze del XV secolo, e ancor prima al concilio di Lione nel XIII secolo si abbozza una prima formulazione della dottrina del primato. A Trento, giacché erano già molti gli elementi attorno a cui ruotava la disputa con i protestanti, si preferì rinunciare a sollevare anche questa questione che fu così ripresa solo nel 1870, con il Concilio Vaticano I che ne diede una formulazione concettualmente rigida, sorprendendo molti. Sappiamo che molti vescovi partirono in anticipo, per evitare di essere costretti a firmare. Ma anche questi vescovi minoritari hanno riconosciuto che la sostanza della dottrina del primato è un elemento essenziale della fede cattolica e ha il proprio fondamento biblico nelle promesse di Cristo a Pietro. Da questo punto di vista il dogma ha precisato e accentuato la dottrina, ma non ha inventato nulla di nuovo: ha solo sintetizzato e concretizzato ciò che era avvenuto e aveva preso forma nel corso della storia».

PS - Pietro poteva intuire a fatica l’onerosità del compito che avrebbe lasciato in eredità ai suoi successori: il papa deve tenere presente come vescovo di Roma la situazione locale, come capo dello Stato della Santa Sede i problemi diplomatici interstatuali e come Santo Padre quelli della Chiesa universale. Deve scrivere allocuzioni, encicliche e prediche, tenere udienze. Poi ci sono le Congregazioni, i tribunali papali, commissioni, consigli e poi gli uffici competenti per la dottrina, la liturgia, la disciplina, l’educazione. Centinaia di case madri degli ordini, più di cento collegi hanno sede a Roma, e così via. Certo il papa ha nel Collegio Cardinalizio un valido staff di consulenti, con corifei di diverse culture, con approccio culturale diverso e con un bagaglio di esperienze politiche diversificato, ma dal Segretariato di Stato arrivano tutti i giorni interi bauli di documenti di cui ogni foglio rappresenta un problema. Vescovi di tutto il mondo lo assalgono con richieste più o meno impossibili. Inoltre non può trascurare la preghiera e la devozione e deve dare un contributo spirituale originale. La Chiesa universale s’ingrandisce sempre più: il papato può rimanere quello di oggi?

JR - «Le modalità concrete possono naturalmente variare. La Chiesa dell’VIII secolo è diversa da quella del XV, che a sua volta è diversa da quella del XX. Molto di quello che Lei ha enumerato può subire dei cambiamenti. Partiamo dallo Stato del Vaticano: è solo una costruzione che serve d’ausilio alla Chiesa. Il papa di per sé non ha alcun bisogno di uno Stato, ma ha bisogno di libertà, di una garanzia d’indipendenza, non può essere al servizio di un governo. Il primato ha potuto svilupparsi a Roma perché l’istituzione imperiale con Costantino si era spostata a Bisanzio, concedendo alla Chiesa di Roma quella libertà di cui aveva bisogno. Spiegare l’efficacia del primato con il suo coincidere con la sede del governo della Chiesa significa, a mio parere, confondere la causa con le conseguenze. Nel corso dei primi tre secoli essere cristiani a Roma significava rischiare il martirio. Questo ha conferito al papa un carattere "martirologico". Solo con lo spostamento a Oriente della sede dell’impero è sorta in Italia, grazie al vuoto di potere creatosi, quella forma di indipendenza religiosa che ha consentito al papa di sottrarsi alla subordinazione diretta al potere politico. Più tardi è nato lo Stato Pontificio, che certo ha comportato molte insane commistioni e infine è crollato nel 1870; grazie a Dio, dobbiamo dire oggi. Al suo posto è subentrata la costruzione di un ministato, che ha solamente la funzione di garantire al Papa la libertà del suo servizio. Se i meccanismi di funzionamento di questo apparato possano essere ulteriormente semplificati, è una questione che può essere affrontata.

Così molti altri elementi cui Lei ha accennato possono essere messi in discussione. Non tutte le case madri devono necessariamente aver sede a Roma. Il numero delle encicliche scritte dal papa, la frequenza dei suoi interventi, sono tutte questioni che variano a seconda delle circostanze e del temperamento stesso dei diversi pontefici. Possiamo comunque chiederci se, nonostante tutto questo, il compito non rimanga eccessivamente oneroso. La massa dei contatti impostigli dalle responsabilità nei confronti della Chiesa universale; le decisioni da prendere; la necessità di non trascurare lo stato contemplativo, di radicare la propria missione nella preghiera: tutto questo rimane un grosso dilemma».


PS - Ma non ci sono oggi anche correnti di pensiero del tutto nuove?

JR - «Si può ragionare sul contributo che forme di decentramento potrebbero dare all’alleggerimento delle funzioni papali. Il papa stesso, nella sua enciclica ecumenica, ha chiesto che venissero avanzati suggerimenti e proposte su una possibile riforma dell’istituzione papale. E già si sono levate diverse voci. L’arcivescovo emerito di San Francisco, Quinn, ha sostenuto con vigore la necessità del decentramento. Si può sicuramente fare molto in questo ambito. Considero però molto importanti le riunioni ad limina, a Roma, delle Conferenze episcopali che implicano contatti e incontri e sono necessarie al rafforzamento dell’unità interna della Chiesa. Le lettere non possono compensare l’incontro personale. Parlarsi, ascoltarsi, guardarsi in faccia, discutere insieme sono elementi insostituibili.


Da questo punto di vista direi che queste forme di incontro personale, che questo papa ha reso più concrete e meno rituali, continueranno ad avere una loro importanza. Proprio perché l’unità, la comprensione reciproca, la capacità di affrontare unitariamente problemi e sfide culturali necessitano di una forza elementare che cresce solo nell’incontro personale.

Oggi anche considerazioni eminentemente razionali ci convincono della necessità di un punto di riferimento unitario qual è il papa. Nel frattempo anche i protestanti si dichiarano a favore di un portavoce della cristianità, di un simbolo dell’unità dei cristiani. E se il papato venisse riformulato in questa direzione, potremmo dichiararci d’accordo, dicono alcuni.

In ogni caso si tratta di un compito oneroso, come l’ha definito Lei, quasi al di là delle umane forze. D’altro canto, è anche un compito imprescindibile e che con l’aiuto del Signore può anche essere portato a termine».

PS - Decentramento significa che anche nella Chiesa cattolica saranno creati dei Patriarcati?

JR - «Sono sempre più in dubbio che questa possa essere la forma organizzativa adeguata a raggruppare grosse unità continentali, prima pensavo anch’io che questa potesse essere la soluzione. Le radici dei Patriarcati affondano nelle loro origini apostoliche. Il Concilio Vaticano II ha invece individuato nelle Conferenze episcopali le forme organizzative di unità sovraregionali, cui si sono poi aggiunte le unità continentali. America Latina, Africa e Asia si sono nel frattempo dotate di sedi di discussione comunitaria – diversamente strutturate – che coinvolgono l’episcopato dell’intero continente. Forse ci sono quindi possibilità più adeguate alla situazione attuale. Devono comunque esistere strutture in cui inquadrare la collaborazione sovraregionale, che conservino sicuramente un certo grado di informalità, che non degenerino in senso burocratico e non aprano varchi al prepotere dei funzionari. Ma sono necessari indubbiamente forum sovraregionali che si facciano anche carico di funzioni fino ad ora svolte da Roma».


PS - È pensabile che il papa sia un giorno riconosciuto anche dalla Chiesa protestante, ortodossa, anglicana?

JR - «È in corso un dialogo teologico formale con la Chiesa ortodossa, che però fino a questo momento non ha osato toccare questo nervo sensibile. Da un lato il primato del papa non è del tutto estraneo alla tradizione ortodossa, visto che Roma è sempre stata riconosciuta come prima sede. D’altro canto il primato contraddice però la struttura ortodossa delle autocefalie (unità ecclesiastiche autonome) tanto che molte sensibilità si opporrebbero, sulla base di ragioni storiche, a un riconoscimento e lo renderebbero più difficoltoso. Ci sono altri ambiti in cui il dialogo ecumenico è meno complicato. Non si deve far conto su rapidi successi, bisogna lavorare con pazienza e tenacia per fare passi avanti.

Gli anglicani, rispondendo all’enciclica ecumenica del papa, hanno sviluppato una visione del papato nel cui quadro hanno sottolineato le condizioni che renderebbero dal loro punto di vista accettabile questa istituzione. È un passo in direzione di Roma. È poi in corso il dialogo sull’Authority in the Church, che ha sullo sfondo anche questa questione. Anche in questo ambito vanno registrati degli avvicinamenti, anche se le origini storiche dell’Anglicanesimo costituiscono un ostacolo. Vedremo.

Il Protestantesimo è una realtà estremamente composita. Da un lato ci sono le Chiese protestanti tradizionali – riformato-luterana, metodista, presbiteriana e così via – in crisi in gran parte del mondo. Le Chiese storiche classiche hanno infatti perso peso a favore degli evangelicals, dei pentecostali, dei movimenti fondamentalisti in cui si è verificata una nuova esplosione di vitalità religiosa che ha scompaginato tutti i giochi. Tradizionalmente evangelicals e fondamentalisti sono sempre stati acerrimi avversari del papato. Ora assistiamo a un’evoluzione sorprendente perché si rendono conto che il papa è quella roccia che rivendica davanti a tutto il mondo quell’identità cristiana, forte, aliena dalle moderne tendenze volte ad annacquarla. Riconoscono quindi nel papa, da un certo punto di vista, un alleato, anche se non vengono meno le loro antiche riserve. Quindi il quadro è in movimento. Ciò che speriamo dobbiamo attenderlo con fiducia ma anche con grande pazienza».



 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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