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Il Vangelo sul davanzale (dell'Amico Chisolm)

Ultimo Aggiornamento: 04/08/2012 14:30
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12/02/2009 12:42
 
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Dall'amico Chisolm nel 2002[SM=g1740717]

Mio vecchio amico di giorni e pensieri,
da quanto tempo che ci conosciamo,
venticinque anni sono tanti e diciamo,
un po' retorici, che sembra ieri...

 
Questa canzone di Guccini è una delle mie preferite: è piena di nostalgia e di cose non dette. Anche noi, amici, abbiamo tante cose non dette... Ci scambiamo piccole teologie e grandi passioni, sopportabili malanni e cose più serie, qualche risata e, raramente, qualche lacrima.
Eppure, ognuno di voi, è un vecchio amico di giorni e pensieri, anche se non ci siamo mai visti oltre queste tastiere, anche se molte cose delle nostre vite personali e private, sfuggono alla realtà per entrare in queste maglie virtuali.
Quando leggo storie piccole e grandi (ma ogni storia non è mai piccola...), quando affronto le vostre confessioni, le vostre speranze, il vostro coraggio, mi sento limitato da un volto che manca, da mani che non si possono stringere, da pacche sulle spalle e, perché no? da un buon bicchiere che, forse, berremo insieme solo virtualmente.

 
Invece io so che è diverso e tu sai
quello che il tempo ci ha preso e ci ha dato,
io appena giovane sono invecchiato,
tu forse giovane non sei stato mai.

 
Il bello del nostro incontrarsi alla velocità delle onde elettromagnetiche, è un po' un piccolo mistero di fede...  Fede è credere senza vedere e la nostra amicizia è un volersi bene senza vedersi: in fondo, queste due cose viaggiano con la certezza di un amore fiducioso e, per questo, più forte, più maturo, più pieno.
Certo, è strano vivere in posti differenti, avere vite differenti, gusti differenti e, tuttavia, ritrovarsi nell'unica fede, nell'inesauribile speranza, nell'incolmabile carità.
Mi piace questa canzone, dicevo, ma l'ascolto raramente: non perché sia nostalgica, ma perché quella di Guccini è una nostalgia senza Dio.

Voglio dire che leggendo alcuni messaggi di dolore, degno e pacato, mi sento pieno di nostalgia, ma quella che ha Dio per oggetto... Nostalgia di non aver avuto l'occasione di coltivare questa amicizia collettiva e personale ad un tempo, nostalgia per non aver avuto l'occasione di ridere insieme, mangiare insieme, andare allo stadio insieme.
Bene, questa nostalgia, quella che ha Dio per oggetto e denominatore comune delle nostre vite, mi dice che Guccini sbaglia, pur con la sua canzone molto bella: sbaglia perché la mia nostalgia, amici cari, cessa non appena io apro il rubinetto della speranza e quel potente fiotto di vita che ne esce, irriga l'aridità di certi momenti.

Quel potente getto di speranza mi dice, ci dice come il salmista: che abiteremo per molti anni nella casa del Signore, o come l'autore del Genesi che volle sottolineare Abramo come colui che sperò contro ogni speranza...

 
Quei giorni spesi a parlare di niente,
sdraiati al sole inseguendo la vita,
come l'avessimo sempre capita,
come qualcosa capito per sempre.

 
Il mio Leopardi, le tue teologie,
esiste Dio? Le risate più pazze,
le sbornie assurde, le mie fantasie,
le mie avventure in città con ragazze...

 
Ecco, non mi sento di dire di aver speso male il mio tempo, né di aver troppo inseguito la vita, né di averla capita fino in fondo ma una cosa mi sento di dire: che se non ci fosse Dio a tenermi "in essere" non ci sarebbe vita capace di essere tale.
Non ci sarebbe sole a scaldarmi o luna a stuzzicarmi le corde del cuore, non ci sarebbe pioggia a inzupparmi e ponentino ad asciugarmi, non ci sarebbero canzoni da cantare o bambini a giocare nei cortili, non ci sarebbero rondini puntuali sotto il mio tetto e il mio cane a scodinzolare per il mio ritorno a casa.
Se Dio non mi tenesse in essere, non ci tenesse in essere, se non ne avessimo certezza, allora amici miei, saremmo come quei tristi predicatori di siti nei quali Dio è assoggettato alla parola dell'uomo.

Ma Dio, che tiene tutto in essere è quello stesso Dio che non "spezzerà la canna infranta" né permetterà che il suo "santo veda la corruzione".
E' lo stesso Dio che tiene in essere l'universo e che, per bocca del Figlio, rivolge all'uomo sofferente la domanda topica "...quid vis faciam?" , che vuoi che faccia per te?
"Signore, che io veda se son cieco, ascolti se son sordo,  parli se son muto,  corra come un cervo se sono zoppo, canti alla vita se sento il buio vicino, insomma, o Signore, mantienimi in essere...".

Solo questo volevo dire, e ho fatto un giro lunghissimo per dirlo. Solo questo volevo augurare: credere, sperare, amare. Gli altri verbi possiamo tranquillamente metterli nel cassetto insieme al servizio buono, quello per gli ospiti. Dio solo questi tre verbi usa: crede nell'uomo, spera nell'uomo, ama l'uomo.
L'uomo non può che rispondere di conseguenza.

Con un magnifico atto d'affidamento, breve come un sospiro e, tuttavia, gravido di vita che, in quanto voluta da Dio, non rigetta mai se stessa. Dio non lascia cadere nel fango chi ha tratto dal fango della creazione.
Nell'adorazione eucaristica di domani, userò l'ardire di figlio discolo e impertinente per ricordarglieLo. Rimetterò in quel Pane tutta la poca fede che posseggo, la piccola speranza che coltivo, la minima carità che esercito.
Gli dirò di guardare al dolore dei Suoi figli, di essergli bastone e vincastro, balsamo per il corpo e per lo spirito, in una parola: PADRE.

 
Il Signore vi conceda una notte dolce...

C.

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Sabato Santo è il giorno dell'assenza di Dio.

Cristo è sepolto, Dio ha trasformato il suo amore per l'uomo in impotenza verso il Figlio, lo Spirito ancora non è venuto. Tutto corre in fretta nella Gerusalemme di venti secoli fa e nell'aria si ode ancora il puzzo acre del "mysterium iniquitatis", sulla cui scia, quella dell'ora delle tenebre si rincorrono il tradimento di Giuda e il triplice rinegamento di Pietro. Il popolo redento è in una terra di nessuno, tra la morte e la Pasqua, incerto sul proprio destino affidato ad un uomo che volle farsi prezzo di riscatto.

Non c'è la Chiesa, non c'è Dio, non c'è Cristo, non c'è lo Spirito. C'è solo una Donna a rappresentare il legame tra il già e il non ancora, in quella sua maternità stroncata dalla croce, dal peccato, dalla morte.

Quella Donna, sarà chiamata "Madre della Chiesa" e l'VIII capitolo della Lumen Gentium tratterà della sua relazione col mistero della Chiesa stessa.
Nelle sue meditazioni sulla Settimana santa, Edith Stein penserà con intensa e toccante poesia a quel sabato dell'assenza.
Immagina Maria, traboccante di dolore portata, quasi di peso, a casa del suo figlio ereditato: Giovanni e la immagina chiusa nel mutismo e nell'assenza di sé, tipico stato della maternità offesa e calpestata.

 
"...Avrai lasciato intendere che volevi essere sola. Era di certo impossibile andare al Tempio come facevi di solito il sabato e nelle feste, andarvi tra le persone che Lo avevano crocifisso e che ora ti avrebbero mostrato a dito. L'unico sollievo era restare sola. Una volta le lacrime dovevano pure reclamare il loro diritto. Se il Signore aveva pianto sulla tomba di Lazzaro, non dovevi piangere anche tu, dopo tutto quello che era accaduto? Tutta la Sua vita, che era la Tua vita, ti sarà passata ancora una volta davanti all'anima; tutti i richiami alla sofferenza, tutti i passi dei profeti..."

 
Edith Stein continua con parole molto belle, con una conclusione non dissimile a quella della Lumen Gentium, ma a me piace fermarmi qui, davanti a questo dolore tanto intenso da far sembrare inutile ogni ulteriore commento.
Non so voi, ma il sabato santo mi lascia sempre inebetito: se non avessi la certezza della Pasqua, direi che la morte eterna assomiglia ad un sabato di santa Assenza, di un gregge lasciato senza Pastore, di un breve ma interminabile flash temporale nel quale le tenebre conquistano il loro illusorio potere.

Mi tornano in mente i volti dei miei cari, quelli conosciuti e quelli mai visti e, insieme, la terribile, odiosa, meschina tentazione che tutto sia falso, una grande messa in scena, che nulla ci sia dopo la morte e che l'ora delle tenebre sia l'ora presente, mai revocata ma subdolamente imposta con la malignità del dubbio.

Il Sabato santo è anche questo: tentazione.
Ma non una tentazione qualunque, da sette vizi capitali: magari!
La tentazione che tutto sia un continuum di assenza, di impotenza, di fantastiche invenzioni teologiche...

Allora, in questo sabato tenebroso imploro Maria di distaccarsi dal suo dolore e rincuorarmi perché ho bisogno di credere, di vivere, di sperare. La prego di considerarmi come Giovanni e, abbracciarmela come mia madre, portarmela a casa per ripassare insieme le Scritture e i ricordi di suo Figlio, come quando si sfoglia un album di fotografie.
Metterla, stanca, nella stanza degli ospiti con un brodo caldo che mi toccherà farle bere come con i bambini e sperare che si addormenti.

Poi, vegliarla, come Lei ha fatto con me in tutti questi anni e, sempre nella mia fantasia, addormentarmi stanco ai piedi del suo letto, forse come ha fatto Giovanni.
Poi, chissà come, chissà perché, intuire i bagliori dell'alba prima del gallo e svegliarsi carico d'entusiasmo per dirle: "...Madre mia, è ora..."
E, invece, trovare il letto vuoto e, come sempre, come ogni volta, la sua immagine che mi sorride dal comò, mentre fuori, le campane dissolvono gli ultimi vapori della grande tentazione, quella dell'assenza di Dio...

Un caro saluto a tutti,
C.

                       
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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