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La Pasqua con Maria e gli Apostoli

Ultimo Aggiornamento: 24/04/2011 09:41
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La Santa Vergine con i discepoli alla Pasqua di Gesù


La "Pascalis Via Matris", percorso pasquale della Madre del Signore, scandita in soste di preghiera, meditazione e ispirazione. - Maria ha custodito la ‘sfida pasquale’ di Gesù come conferma della beatitudine del servizio alla parola del Signore.

Il tempo liturgico della Pasqua induce il devoto a cercare la presenza di Maria nel corso della vicenda pasquale di Gesù: dalla Cena del Giovedì Santo alla Risurrezione della Domenica di Pasqua.

Tale devota ricerca non è qualcosa di giustapposto, quasi superfluo nell'espressione della propria fede nel mistero della Pasqua del Signore.

Ogni frammento del mistero pasquale trova al centro Gesù il Cristo e nulla giustifica la distrazione dalla centralità di lui, nemmeno le devozioni mariane. Tuttavia, Maria è presente nel mistero di Cristo e della Chiesa; pertanto, interpretare la sua partecipazione al mistero pasquale equivale a giungere ad una migliore comprensione delle sue relazioni con il Cristo e delle sue funzioni nella Chiesa; ed esternarne in corretta devozione le ispirazioni equivale ad approfondire la nostra partecipazione e il nostro ruolo alla celebrazione della fede, accrescendone l’efficacia.

La presenza della madre di Gesù agli eventi pasquali in parte è documentata, in parte è verosimile. La documentazione biblica conferma che Maria stava ai piedi della croce di Gesù (Gv 19, 25-27) e attesta la sua presenza nella Comunità dei discepoli nei giorni tra l’Ascensione e la Pentecoste ( cfr Atti 1, 14; 2, 1 e contesto). La verosimiglianza propende per non ritenere assente Maria durante altri fondamentali atti del ‘mistero pasquale’, segnatamente la Cena di Gesù con i discepoli e la Risurrezione. Hanno lasciato traccia della propria convinzione alcuni Padri della Chiesa, oratori ed esegeti, mistici e poeti: chi appena con una allusione, chi con abbondanza di espressioni; pensosi, i teologi non escludono la presenza di Maria nelle tappe decisive del mistero pasquale: chi la avvolge di silenzio, chi oggidì concede la possibilità della partecipazione della madre lungo il percorso pasquale del Figlio.

Lungo l’itinerario pasquale delineato negli scritti del Nuovo Testamento si possono isolare quattro quadri o tappe, in ognuna delle quali la devozione mariana può sostare per esprimere una propria formula cultuale e nutrire una propria attesa di ispirazione. Sono una specie di 'corona di un rosario pasquale' o di una "pascalis via matris", ossia percorso o via pasquale della madre, scanditi in quattro soste di preghiera, meditazione, ispirazione.

Di queste tappe, le due che avvolgono nel silenzio la partecipazione di Maria, ossia la Cena pasquale e la Resurrezione di Gesù, meritano una sosta d’indagine quasi a fronte di una provocazione a riflettere per chi sta in attesa. Si tratta di eventi nei quali è possibile rinvenire utilità per la propria fede come devoti di Maria, oltre che come discepoli del Signore.


La Cena pasquale: maturazione vocazionale

Maria partecipa alla Cena pasquale con Gesù. Sono la verosimiglianza e la vocazione di Maria che possono garantire la sua presenza alla prima fondamentale tappa del mistero pasquale, sebbene le narrazioni neotestamentarie stiano silenti. I quattro Vangeli convergono nell’inquadrare la Cena pasquale di Gesù, poichè ciò che a loro interessa trasmetterci sono i gesti, i comandi che Gesù lascia di fare ai suoi. Egli stesso esterna la propria intenzione di celebrare quella Cena "con i miei discepoli" (Mt 26, 18; Mc 1, 14; Lc 22, 11); i tre sinottici isolano all’interno del gruppo di quei discepoli "i dodici" o "gli apostoli" (Mt 26, 20; Mc 14, 17; Lc 22, 14). Secondo Giovanni (cfr Gv 13, 22 e 18, 1) sono presenti "i discepoli": ma il quarto evangelista nota che Gesù consuma la Cena pasquale nell’aura della consumazione del proprio amore; infatti, la narrazione di quell’incontro inizia con queste sublimi commoventi parole: "Prima della festa di pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo avere amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13, 1). San Paolo, testimone di una tradizione ecclesiale apostolica, rimprovera i Cristiani di Corinto perché, invece di costruire comunione celebrando la Cena del Signore - ossia ripetendo la Cena pasquale di Gesù -, persistono o acuiscono individualismi e divisioni (cfr. 1 Cor 11, 18 e contesto). Nella stessa lettera (cfr. 14, 34) egli evidenzia che alle Assemblee liturgiche della Comunità presenziavano tutti i discepoli, uomini e donne. La Cena pasquale costituiva un rito prescritto dalla legge di Mosè, insieme ad Aronne portavoce di Dio medesimo, la primaria memoria della salvezza operata dall’Onnipotente per il popolo, la quale veniva celebrata da tutta la famiglia insieme, oppure con i propri vicini se il nucleo familiare era ristretto (cfr. Es 12, 3-4 e paralleli).

Questi riferimenti biblici convincono che Gesù non escluse dalla celebrazione insieme a sé nessuno dei suoi, nessuno di quanti amava: tanto meno, dunque, poteva essere esclusa sua madre Maria, la quale era di certo a Gerusalemme nei giorni solenni e cruciali della Pasqua. La collocazione dei commensali potrebbe essere stata dislocata nella casa ospitale secondo tradizione o convenienza del momento: nella "sala al piano superiore, grande e addobbata" (Lc 22, 12; Mc 14, 15) i dodici in primo piano, i discepoli discosti e defilati, altri qua e là in vani diversi. Importante era non l’ubicazione del posto a tavola, bensì la qualità della propria presenza e quanto il Signore avrebbe ordinato di fare. Tale modalità di partecipazione continua a valere tuttora come ispirazione per la propria situazione nella Comunità cristiana che si riunisce per la preghiera e si disloca per il servizio.



La fedeltà alla Parola

Nella presenza di Maria alla Cena pasquale con Gesù e i discepoli la devozione mariana trova un completamento per la preghiera e per la meditazione, un incoraggiamento per ispirare la fedeltà alla propria identità vocazionale. La partecipazione di Maria alla Cena pasquale rappresenta così una tappa nella maturazione della sua identità vocazionale e una conferma della qualità nello stile di 'vita discepolare' di ogni servo del Signore.

Le narrazioni evangeliche indugiano nel riferire parole di Gesù; i gesti compiuti sono pochi ed essenziali. Maturazione e conferma, e addirittura anche compiacimento, della identità vocazionale proprio dalle parole di Gesù scendono nel cuore di Maria, che non cerca il proprio ruolo fra i Dodici. Essa era adusa a conservare e ravvivare i messaggi del Signore che percepiva nel proprio dialogo con lui o tramite mediazioni (cfr. Lc 1, 29; 2, 19).

Durante la Cena pasquale Maria ode nuove parole di Gesù e le confronta con altre parole e vicende che custodiva nel cuore. E da tale atteggiamento di attenzione e custodia della parola nel proprio cuore il devoto può ispirarsi per rinfrancare il suo cammino vocazionale.

"Mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e disse: mangiatene, perché questo è il mio corpo; prese il calice del vino e disse: bevetene, perché questo è il mio sangue" (Mt 26, 26-28 e paralleli). L’abitudine a pronunciare o udire siffatte strabilianti parole attenua la forza di un indubbio impatto negli astanti di allora, nonché in chi anche ora si immerge a contemplarne gli abissali significati e conseguenze. Gesù mette a disposizione la totalità della propria individualità, compreso il corpo che rappresenta la visibilità della Incarnazione quale figlio di Dio. Maria era la madre del corpo di Gesù. Le parole eucaristiche confermano l’annuncio ricevuto all’inizio della sua vocazione: la creatura da lei concepita e partorita sarà chiamata figlio dell’Altissimo, il suo nome sarà Gesù perché salverà il suo popolo dai suoi peccati, sarà luce per illuminare le genti (cfr. Lc 1, 30-31.35; 2, 32; Mt 1, 21). Le parole pasquali, per così dire, danno concretezza a quelle.



Quella prima eucaristia per Maria fu memoriale della propria verginità e maternità. Un tale memoriale diviene ispirazione costante - non solo, eventualmente, nel tempo di Pasqua - per il discepolo che sia anche devoto di Maria: avvicinarsi al Signore e alla sua parola senza distrazioni, con integra fiducia, nella disponibilità a testimoniare la parola ed a portare come dono presenza e parola del Signore.

"Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio" (Gv 15, 26-27).

Queste parole echeggiano le parole udite da Maria proprio al principio del suo ‘stare con Gesù’: su lei, prima fra tutti i discepoli, scese lo Spirito Santo che si servì della sua verginità per plasmare il ‘Santo’ che da lei sarebbe nato, il ‘figlio di Dio’ (Lc 1, 35). Forse allora Maria non comprese quale fosse l’identità dello Spirito; nella Cena pasquale matura la sua esperienza di servizio allo Spirito Santo, matura la sua vocazione di testimone, iniziata anticipatamente rispetto ai discepoli con lei commensali quella sera di Pasqua, ai quali viene comandato di ripetere quel Mistero per sempre, fino a quando Egli non ritornerà Glorioso e trionfante. A Lei, che è la Madre non viene chiesto questo servizio, a Lei Dio chiede ancora di farsi testimone di questo Corpo offerto e di questo Sangue versato e, maturando questi sacri Misteri, allora è presente sotto la Croce, per raccogliere quella testimonianza e in qualità di Madre, rivelarla a tutti i suoi figli.

La devozione mariana incoraggia il discepolo di oggi ad una attenzione attiva e discepolare verso lo Spirito Santo, avvicinandosi a lui quando ascolta la parola di Dio ed esplicitando la propria disponibilità come servo del Signore individuato nello stesso Spirito Santo del quale Maria si dichiarò ‘serva’: infatti, quel ‘Signore’ era proprio lo Spirito Santo che sarebbe sceso su di lei, e mediante il suo servizio verso di lui ella adempiva la parola del messaggero, che costituiva la sua vocazione di stare con il Signore come testimone della sua "misericordia che si stende di generazione in generazione su coloro che lo temono" e che "guarda con benevolenza l’umiltà della sua serva" (cfr. Lc 1, 35.38.46.50).


La 'sfida pasquale' di Gesù


"Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni gli altri" (Gv 13, 34-35).

Solo la mistica può scandagliare le risonanze di queste parole pasquali nel cuore della madre di Gesù. L’amore è un abisso, al vertice del quale abita Dio: infatti, "Dio è amore, chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui" (1 Gv 4, 16). Quale era l’amore di Maria? Solo la mistica supplisce davvero all’assenza di memorie; la devozione si cimenta in deduzioni verosimili, la fantasia volteggia nelle altezze dei superlativi. L’atteggiamento di Gesù salito al vertice del suo dono di amore evidenziato proprio nel segno della comunanza pasquale e le insistite parole sulla testimonianza della discepolanza tramite l’amore, anche alla esperienza di Maria aprivano una strada di sconfinati orizzonti di servizio.



L’inizio della sua vocazione era coinciso con l’inizio del nuovo immenso amore, nella sera dell'ultima Cena, nell'estrema donazione del Corpo e del Sangue quale Cibo vero di salvezza. La Vergine Madre, pur senza esplicitare la parola, cantò come amore e con amore la gioia delle grandi cose fatte in lei dall’Onnipotente che aveva volto lo sguardo verso l’umile sua serva; da allora, dopo la disponibilità del farsi serva del Signore, fu riconosciuta ‘beata’, cioè discepola per avere creduto e operato la parola (cfr. Lc 1, 38.45; 11, 27-28); cantò la misericordia del Signore indelebile ormai, giustizia e generosità e fedeltà del Santo (cfr. Lc 1, 46-55). Il Magnificat è canto dell’amore di Dio e per Dio: Gesù, soprattutto con le parole tramandate dall’evangelista Giovanni, formula il proprio originale Magnificat di amore che discende da Dio, che lui riverbera, che i discepoli raccolgono e prolungano.

La ‘sfida pasquale’ di Gesù conferma che lui stesso sta facendo la volontà del Padre, il quale "ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna" (Gv 3, 16). La convinzione che Maria abbia custodito questa ‘sfida pasquale’ di Gesù come una conferma della beatitudine del servizio alla parola ed alla testimonianza del Signore e una condizione per perseverare nella discepolanza del suo Vangelo, può ispirare ogni suo devoto a confrontare la qualità del proprio amore, pure a lui chiesto da Gesù, ricordando e ripetendo anche le parole di Maria all’inizio della sua vocazione e custodendo l’incoraggiamento di lei a fare quanto il Signore gli va dicendo (cfr. Gv 2, 5).

Luigi M. De Candido

www.sanpaolo.org/madre/default.htm


[Modificato da Caterina63 10/01/2011 22:08]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Celebrando il Signore lodiamo Maria

 
di SERGIO GASPARI
  

La presenza di Maria nel triduo pasquale
   

Nelle nostre chiese si trascura la memoria della Vergine nei tre giorni del mistero pasquale. Eppure sia la liturgia che la pietà popolare venerano la Madre nel triduo pasquale come Madre Addolarata sotto la croce, come colei che sosta presso il sepolcro e colei che gioisce nell’incontro col Risorto.
  

La Vergine Maria, senza dubbio, va venerata nel tempo di Avvento-Natale. Ma anche nella celebrazione del mistero pasquale, che è fonte, centro e culmine di tutto l’anno liturgico, secondo l’espressione conciliare (cf Sacrosanctum concilium 10). Certi teologi – richiamandosi alla compassione umana, che descrive la Madre crollata dal dolore straziante tra le pie donne – tendono a vederla quasi esclusivamente nella passione e morte del Figlio crocifisso. Altri, al contrario, sostengono che la liturgia pasquale non accentua i dolori della Madre, ma anch’essi la dimenticano nella gioia della veglia pasquale e nel giorno di Pasqua. Sta di fatto che nelle nostre chiese si trascura la memoria della Vergine nei tre giorni di Pasqua.

In questo contributo vedremo come in una mirabile sinfonia sia la liturgia che la pietà popolare venerano la Madre nella totalità del triduo pasquale: 1) Addolorata accanto alla Croce (venerdì santo); 2) colei che sosta presso il sepolcro (sabato santo); 3) colei che gioisce nell’incontro con il Figlio risorto (veglia pasquale e giorno di Pasqua).

Il rito della "Madonna che scappa", alla vista del Figlio risorto, a Sulmona (Abruzzo).
Il rito della "Madonna che scappa", alla vista del Figlio risorto, a Sulmona (Abruzzo).

Venerdì santo

Il Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti del 2002 (d’ora in avanti DPPL) della Sacra congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, per il venerdì santo ricorda: «Per la sua importanza dottrinale e pastorale, si raccomanda di non trascurare la "memoria dei dolori della beata Vergine Maria"» (n. 145). Difatti In preghiera con Maria la Madre di Gesù. Sussidio per le celebrazioni dell’Anno mariano 1987-1988 (d’ora in poi citato come IPCM), a cura del Comitato nazionale per l’Anno Mariano 1987/88 (Città del Vaticano 1987), suggerisce che, terminata l’adorazione della croce, davanti all’icona mariana «può aver luogo nella stessa "Celebrazione della Passione del Signore" una sobria memoria della presenza della Vergine e del discepolo presso la croce» (p.77).

Dalla comprensione della maternità di Maria presso la croce, «la pietà popolare», prosegue il Direttorio, «ha dato vita a vari esercizi verso la Madre addolorata, tra cui sono da ricordare: 1 il Planctus Mariae, intensa espressione di dolore [...] in cui la Vergine piange non solo la morte del Figlio, innocente e santo, il sommo suo bene, ma anche lo smarrimento del suo popolo e il peccato dell’umanità; 2 l’Ora della Desolata, nella quale i fedeli, con espressioni di commossa devozione, "fanno compagnia" alla Madre del Signore, rimasta sola, immersa in un profondo dolore, dopo la morte del suo unico Figlio; essi, contemplando la Vergine con il Figlio sul grembo – la Pietà –, comprendono che in Maria si concentra il dolore dell’universo per la morte di Cristo; in lei essi vedono la personificazione di tutte le madri che, lungo la storia, hanno pianto la morte di un figlio. Tale pio esercizio [...] non dovrà limitarsi tuttavia ad esprimere il sentimento umano davanti a una madre desolata, ma nella fede della risurrezione, saprà aiutare a comprendere la grandezza dell’amore redentore di Cristo e la partecipazione ad esso della sua Madre» (DPPL 145).

Tra le varie processioni che si svolgono in Italia il venerdì santo, citiamo quella di Riesi (Caltanissetta), dove si evidenzia che la Madre segue il Figlio fin sul Calvario. La mattina del venerdì santo escono le statue di Gesù e di san Giovanni apostolo per rappresentare il tradimento di Giuda e l’arresto di Gesù. Verso le due del pomeriggio escono pure le statue di Gesù e di sua Madre che, dopo vari gesti di reciproca ricerca, si incontrano, mentre i portatori si inginocchiano per permettere alla Madre di baciare la mano del Figlio con un inchino. Poi le statue del Figlio e della Madre si incamminano su una collinetta, simbolo del Calvario, luogo della crocifissione.

Sabato santo

Il Direttorio puntualizza: «Mentre il corpo del Figlio riposa nel sepolcro e la sua anima è scesa negli inferi per annunciare ai suoi antenati l’imminente liberazione dalla regione dell’ombra, la Vergine, anticipando e impersonando la Chiesa, attende piena di fede la vittoria del Figlio sulla morte» (n. 147). La Vergine, che sosta presso il sepolcro del Figlio, è icona della Chiesa che veglia presso la tomba del suo Sposo in attesa di celebrarne la risurrezione (cf DPPL 147). La Lettera circolare della Congregazione per il culto divino Preparazione e celebrazione delle feste pasquali (1988), per la mattina del sabato santo, contempla: 1) la possibilità della «venerazione dell’immagine della beata Maria Vergine Addolorata» (n. 74); 2) la celebrazione dell’Ora della Madre, quale preludio della veglia pasquale (in IPCM, pp. 280-300). Il sabato santo è l’Ora della Madre: Ora in cui la Figlia di Sion e Madre della Chiesa visse la prova suprema della fede: credette contro ogni evidenza, sperò contro ogni speranza.

Risurrezione di Simone Baschenis (XVI secolo), con i simboli della passione.
Risurrezione di Simone Baschenis (XVI secolo), con i simboli della passione.

Veglia pasquale e giorno di Pasqua

«La pietà popolare ha intuito che l’associazione del Figlio alla Madre è costante: nell’ora del dolore e della morte, nell’ora del gaudio e della risurrezione» (DPPL 149). Da qui i pii esercizi:

1 Il saluto pasquale del Risorto alla Madre: «Al termine della veglia pasquale o dopo i secondi vespri della domenica di Pasqua, si compie un breve pio esercizio: si benedicono dei fiori, che saranno distribuiti ai fedeli in segno di gioia pasquale, e si rende omaggio all’immagine dell’Addolorata, che talora viene incoronata, mentre si canta il Regina caeli. I fedeli, che si erano associati al dolore della Vergine per la passione del Figlio, vogliono così rallegrarsi con lei per l’evento della risurrezione» (DPPL 151).

2 La mattina di Pasqua: «L’affermazione liturgica, secondo cui Dio ha riempito di gioia la Vergine nella risurrezione del Figlio, è stata, per così dire, tradotta e quasi rappresentata dalla pietà popolare nel pio esercizio dell’Incontro della Madre con il Figlio risorto: la mattina di Pasqua due cortei, l’uno recante l’immagine della Madre Addolorata, l’altro quella del Cristo risorto, si incontrano per significare che la Vergine fu la prima e piena partecipe del mistero della risurrezione del Figlio» (DPPL 149).

3 È bene ripetere il saluto pasquale alla Madre del Risorto «con particolare solennità [...] o ai vespri o dopo la messa vespertina» (cf IPCM, p. 77).

A Sulmona, in Abruzzo (e in altre zone d’Italia), la mattina di Pasqua ha luogo il rito della "Madonna che scappa", che corre incontro a Cristo risorto. Quando la statua della Vergine viene sollevata in alto, è segno che la Madre ha visto il Figlio risorto e comincia a corrergli incontro. Nella corsa cadono i segni del lutto: il manto nero dell’Addolorata e il fazzoletto bianco che tiene in mano per asciugarsi le lacrime. Ora la statua della Vergine appare in una splendida veste verde, con una rosa rossa in mano, e nello stesso tempo si alzano in volo dodici colombi bianchi, simbolo dei dodici apostoli. Le campane suonano a festa e il corteo si compone con Cristo e la Madre in testa, e gli apostoli dietro.

A Enna, nel cuore della Sicilia, il pomeriggio del giorno di Pasqua ha luogo il rito detto "a paci", la pace, in memoria della riconciliazione che avveniva un tempo fra nobili e plebe a Pasqua. Dai quartieri poveri saliva la statua della Vergine, dai quartieri ricchi saliva la statua di Cristo risorto, e si incontravano nel quartiere alto, dove la plebe, nel resto dell’anno, non poteva entrare. La processione, presenziata dai membri delle Confraternite di San Salvatore e dell’Addolorata, procede a passo lento e cadenzato, fino a quando, davanti alla porta santa del duomo della città, Gesù e sua Madre si vedono e, come un figlio e una madre che non speravano più di potersi riabbracciare, si corrono incontro. Lo stesso rito, incontro della Madre con il Figlio risorto, avviene in alcune regioni, specialmente italiane e spagnole, nel pomeriggio di Pasqua o nei giorni immediatamente successivi.

Nel tempo pasquale è prevista la Via lucis, come seguito e culmine della Via crucis (cf DPPL 153). Se nella Via crucis la Madre accompagnava il fedele a seguire il Figlio nella sofferenza, ora lo invita alla gioia della risurrezione. E al posto della Via Matris dolorosae è prevista la Paschalis Via Matris.

Sergio Gaspari

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Testimone di come il figlio di Dio
si è fatto uomo

Dopo la risurrezione di Gesù, il Cristo-Messia, uscito dal grembo della tomba in modo miracoloso, la Chiesa fu sospinta a chiedersi in che modo Gesù di Nazaret, il Risorto, nacque nel grembo e dal grembo di Maria. Chi poteva rispondere all'interrogativo che si affacciava alla meditazione della minuscola comunità cristiana all'indomani della Risurrezione di Gesù dai morti? La persona più accreditata era sicuramente Maria.

di ARISTIDE SERRA

La Pasqua fu l'epicentro anche della questione mariana.Ciò che avvenne nel cuore del mistero pasquale indusse la Chiesa a interrogarsi più a fondo sulla persona di Maria, sul suo ruolo nella storia della nostra salvezza. E tutto questo - si noti bene - ebbe luogo in stretta connessione con la rivelazione decisiva che la Pasqua aveva proiettato sulla persona di Gesù.

La Risurrezione, in effetti, svelò l'identità profonda di Gesù, come Figlio divino del Padre, nel quale è sigillata l'Alleanza nuova ed eterna di Dio con noi.

Dal grembo della tomba al grembo della Madre

A seguito di questa rivelazione piena sulla persona di Gesù, la comunità cristiana delle origini cominciò a riflettere in maniera nuova sulla Madre di Gesù.

Anzitutto si imponeva una constatazione. La carne del Signore risorto era la carne che il Verbo divino aveva assunto dal grembo di Maria di Nazaret. La Chiesa, pertanto, imparava a venerare Maria come la Madre del suo Signore (cf. Lc 1,43).

Vi fu poi il modo col quale Gesù uscì dalla tomba verso il Padre. Si trattò, in verità, di un fatto prodigioso che impressionò fortemente la Chiesa. Nel momento ineffabile della Risurrezione, la pietra del sepolcro non fu ribaltata, ma rimase sigillata. Solo a risurrezione avvenuta, «... un angelo del Signore - scrive Matteo (28,2.5.6) - sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa e disse alle donne: Gesù il crocifisso... è risorto».

Inoltre le bende funerarie nelle quali era stata composta la salma del Crocifisso non furono sciolte o dipanate, ma giacevano afflosciate nella stessa posizione in cui erano state avvolte attorno al corpo del Signore (cf. Gv 20,5-7). Questo, con loro meraviglia, videro Pietro e Giovanni quando entrarono nel sepolcro il mattino di Pasqua (Gv 20,5-8).

Una conclusione, dunque, andava profilandosi. Gesù, il Cristo-Messia, era uscito dal grembo della tomba in modo miracoloso. E da questo segno la Chiesa fu sospinta a chiedersi in che modo Gesù di Nazaret, il Risorto, nacque nel grembo e dal grembo di Maria.

Natività, anonimo greco, XV sec. Anonimo greco del sec. XV, Natività
(Venezia, Museo dell'Istituto Greco).

Chi poteva rispondere all'interrogativo che si affacciava alla meditazione della minuscola comunità cristiana all'indomani della Risurrezione di Gesù dai morti? La persona più accreditata era sicuramente Maria. Ella possedeva i requisiti per rendere testimonianza all'evento dell'Incarnazione.

Ma quali requisiti? Risponde a questo punto l'evangelista Luca. Egli fissa due condizioni per la «testimonianza» da rendere alla persona di Cristo nella evangelizzazione: la prima è la testimonianza oculare di quanto Gesù fece e disse; la seconda è la comprensione di questi medesimi avvenimenti salvifici.

I requisiti per essere testimoni

Per essere «testimoni» dei gesti di salvezza compiuti da Gesù, occorre in primo luogo averli visti coi propri occhi fin dall'inizio (cf. Lc 1,2). Questo è sicuramente uno dei requisiti fondamentali per divenire annunciatori dell'opera redentrice offertaci in Cristo. Vediamo, dunque, di chiarire il duplice aspetto di questo requisito.

A. La testimonianza oculare. Le varie persone che recano l'annuncio della risurrezione ebbero esperienza diretta di quanto Gesù fece e disse durante il suo ministero prepasquale.

Esse sono: le donne che, tornando dal sepolcro, dicono agli Undici e a tutti gli altri che Gesù è vivo (Lc 24,9.10.23); i due discepoli di Emmaus, i quali riferiscono agli Undici e agli altri come Gesù era apparso loro lungo la via (Lc 24,13-35); i Dodici in genere (At 1,21-22) e, in particolare, Pietro, il quale parla anche a nome degli Undici suoi colleghi in varie occasioni, come nel giorno della Pentecoste (At 2,14-40).

B. «Fin dall'inizio». Con quest'ultima formulazione di Atti 1,21-22 (che abbiamo appena citata), Luca delimita i due poli entro i quali si snoda la vicenda di «tutto ciò che riguarda Gesù il nazareno, che fu potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo» (Lc 24,19). Il punto di partenza, il principio di tali avvenimenti, è designato da Luca con l'espressione avverbiale «fin dall'inizio» (Lc 1,2). In pratica, l'estremo iniziale di questo percorso è segnato dal battesimo di Giovanni; quello conclusivo, poi, coincide con la risurrezione-ascensione del Signore. Entro questi confini è racchiuso - al dire di Pietro - «tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi» (At 1,21).

C. Il caso di Maria. Dalle suddette premesse, sono facilmente intuibili le conseguenze per il discorso sulla Santa Vergine. Gli apostoli, i discepoli, le donne furono sì testimoni oculari e compartecipi della predicazione pubblica di Gesù. Ma chi poteva esserlo per gli anni oscuri dell'infanzia, se non Maria sua madre? Soltanto lei, perciò, di fronte alla meraviglia della Risurrezione di Gesù poteva ripensare le circostanze della nascita di lui e darne la retta spiegazione. Commenta l'esegeta spagnolo Xabier Pikaza: «Gesù non sarebbe stato accolto dalla Chiesa nell'integrità del suo essere uomo se fosse mancata la testimonianza viva di una madre che lo aveva generato e allevato. All'interno della Chiesa, Maria è una parte di Gesù... Vi è qualcosa che né gli apostoli né le donne né i fratelli avrebbero potuto testimoniare. Spetta a Maria consegnare questa parte unica e insostituibile al mistero della Chiesa»

(Estudios Trinitarios 15 [1981], p. 20). 

La testimonianza, in secondo luogo, esige la comprensione dei fatti e delle parole di Gesù. Occorre, in altre parole, comprendere il senso di tutto ciò che riguarda Gesù di Nazaret, alla luce del piano divino espresso nelle Sacre Scritture (Mosè-Profeti-Salmi).

Questa illuminazione circa il significato della persona e dell'opera del Signore Gesù è concessa ai discepoli dal Cristo stesso, mediante lo Spirito Santo che egli invia su di loro. Gesù risorto aprì la mente dei discepoli all'intelligenza delle Scritture e disse: «Così sta scritto: Il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di queste cose voi siete testimoni» (Lc 24,45-48).

Affinché poi i discepoli fossero corroborati nel compito della testimonianza, Gesù soggiunge: «E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto» (Lc 24,49). Il mattino di Pentecoste, «... furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare... come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2,4).

A Pentecoste, anche la Vergine faceva parte della comunità sulla quale discese lo Spirito, che introdusse appieno la Chiesa nelle profondità del mistero di Cristo. Da quel giorno, pertanto, lei pure veniva in possesso dei due requisiti necessari per esercitare la «testimonianza» degli eventi connessi all'infanzia di Gesù. Non solo, infatti, vi fu implicata direttamente la sua persona, ma ne comprese anche il senso che essi avevano nel quadro globale del disegno redentivo. Maria sapeva che il Potente aveva operato in lei «grandi cose» (Lc 1,49). E «le grandi cose» elargite dal Signore anche ad una persona singola, ridondano sempre a beneficio dell'intera comunità del popolo di Dio. Di qui nasce l'obbligo (tanto spesso inculcato nell'AT) di far conoscere tali gesta da una generazione all'altra: «Le insegnerai ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli», esortava Mosè (Dt 4,9).

Maria annuncia le «grandi cose» compiute in lei

Orbene: possiamo allora immaginare la Madre di Gesù ripiegata gelosamente sui misteri divini di cui fu protagonista? E' certamente più conforme al piano divino pensare che dopo la Pasqua, quando cioè lo Spirito illuminò compiutamente la sua intelligenza su quanto Gesù fece e disse, ella abbia riversato sulla Chiesa i tesori che fin lì aveva racchiuso nello scrigno delle sue meditazioni sapienziali (cf. Lc 2,19.51). Così anche Maria, nella Chiesa, diveniva testimone delle cose viste e udite (Cf. Lc 1,2).

Come? Non è necessario pensare ad una predicazione pubblica da parte della madre di Gesù; nulla ci consente di ipotizzare questo. Gli Atti non contemplano alcun caso di donna che predichi in pubblico davanti ad un'assemblea (i tempi erano ancora largamente tributari delle concezioni antiche sul ruolo della donna!). Per altro verso, tuttavia, vediamo che la donna è impegnata nell'evangelizzazione. Volendo limitarci anche solo alla tradizione lucana, dovremo ricordare Maria di Magdala, Giovanna, Maria di Giacomo e le altre donne che erano insieme: sono loro che recano l'annuncio della risurrezione agli Undici e a tutti gli altri (Lc 24,9-10); poi Priscilla che, col marito Aquila, espone in maniera più completa ad Apollo la via di Dio (At 18,26); quindi le quattro figlie nubili del diacono Filippo, che avevano il dono della profezia (At 21,9)... Fuori dagli scritti lucani vi è Paolo che chiama «apostoli insigni» Andronica e Giunia (Rom 16,7); ma è incerto se Giunia fosse uomo o donna.

Quanto alla Vergine, è più verosimile che ella abbia confidato le sue memorie agli apostoli, e che questi le abbiano poi trasmesse apertamente, in maniera ufficiale, alle varie chiese.

Sviluppando i germi della dottrina biblica sulla «memoria-ricordo», già dai secoli IV-V la tradizione della Chiesa ha ritenuto che Maria fosse la principale fonte di informazione sulla nascita e sui primi anni di Gesù. Diversi esponenti di questa dottrina fondano la propria persuasione su Luca 2,19.51: «E sua madre conservava tutte queste cose nel suo cuore». Ecco qualche sobria referenza.

Leonid Ouspensky, Le donne alla tomba di Cristo Leonid Ouspensky,
Le donne alla tomba di Cristo
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Pascasio Radberto (+865) scrive che Maria, dopo l'ascensione di Gesù, «conversa con i testimoni della santa risurrezione, essendo lei stessa testimone ... La beata Maria occupa il primo posto tra le prime coorti del sommo Re ...» (lettera Cogitis me, n.20, in CCL, Cont. Med. 56C, p.118).

Bruno di Segni (+1123), congiungendo Atti 1,14 con Luca 2,19.51, presenta gli apostoli che, alla scuola di Maria, apprendono notizie sugli avvenimenti riguardanti l'infanzia di Gesù, e conclude: «Niente avremmo di tutto questo se Maria non l'avesse custodito. Queste cose ci vengono dai suoi tesori» (Commento a Luca, parte I, cap.II, in PL 165,355.365). La Vergine, insomma, sedeva in mezzo alla comunità cristiana di Gerusalemme come «regina» e «maestra» degli Apostoli.

Suggestivo, poi, e assai originale l'esegesi di Ruperto di Deutz (+ 1130). Volendo spiegare il Cantico dei Cantici 5,7 («Mi hanno trovato le guardie della città che perlustrano la città ..., mi hanno tolto il mantello le guardie delle mura»), Ruperto esce nella seguente parafrasi. Le guardie che fanno la ronda alla città sono gli Apostoli i quali, ogni giorno, nel tempio e nelle case di Gerusalemme non cessavano di evangelizzare la buona novella del Signore Risorto. E prosegue testualmente: «"Mi trovarono". Tutti, infatti, mi cercavano con pia sollecitudine... Costoro mi cercavano e si attendevano molto da me, che [cioè] fosse rimasto in me qualcosa che meritasse la loro ricerca ... "Mi hanno tolto il mantello le guardie delle mura". Ossia, vollero [gli Apostoli] che io rendessi loro del tutto manifesto... ciò che vi era di segreto in me. Fino allora, infatti, avevo tenuto nascosto, come sotto il mantello, tutte le parole che riguardavano il Diletto [Cristo]. Le avevo conservate, ponendole a confronto in cuor mio. Ma fu allora che le misi all'aperto; cioè feci conoscere quanto sarebbe stato necessario e di grande giovamento alla predicazione o anche alla redazione scritta del Vangelo del Diletto» (Commento al Cantico dei Cantici, in CCL Cont. Med. 26, pp.114-115).

Una culla a forma di tomba

Istruita da questo magistero di Maria, la comunità apostolica fu in grado di istituire un avvincente rapporto tra la Pasqua e il Natale, tra la nascita di Gesù dal grembo di Maria e la sua rinascita dal grembo della tomba. La Pasqua rimandava al Natale, e il Natale si chiariva alla luce della Pasqua. La nascita diveniva profezia della rinascita. Ossia: come nel seno e dal seno di Maria lo Spirito Santo suscitò in maniera prodigiosa l'umanità del Verbo (concezione verginale e parto verginale, cioè esente dal normale trauma fisico che lo accompagna), così dal grembo della tomba il medesimo Spirito Santo avrebbe risuscitato in maniera egualmente portentosa quella stessa carne. Come dicevamo in apertura di queste note.

Di atmosfera pasquale sono soffusi i vangeli dell'infanzia. Per esempio, tanto per scendere a qualche esemplificazione mariana, gli evangelisti insinuano una connessione (suggestiva quanto mai!) tra il grembo vergine di Maria e il grembo vergine («nuovo») della tomba di Gesù; tra le fasce in cui Maria avvolse il suo neonato (Lc 2,7b) e le bende funerarie nelle quali Giuseppe di Arimatea avvolse il corpo di Gesù calato dalla croce (Lc 23,53a); tra la mangiatoia nella quale Maria adagiò il Bambino (Lc 2,7c) e il sepolcro nel quale Giuseppe di Arimatea depose Gesù (Lc 23,53b). E' assai importante ricordare che le tre corrispondenze qui segnalate sono state avvertite costantemente dalla tradizione cristiana.

Si direbbe, purtroppo, che oggi sono perle cadute nel dimenticatoio. Dormono nei libri-mattone. La memoria gioiosissima del prossimo compleanno di Gesù, nostro primo Amore (che altro potrebbe essere l'anno duemila?), speriamo riesca a riporle nuovamente nello scrigno dei tesori della nostra fede.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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24/04/2011 09:41
 
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Maria e gli Apostoli furono preparati alla Resurrezione di Gesù in diverse occasioni:
Quando Gesù, ancora fanciullo scomparve e fu ritrovato da Maria e Giuseppe al terzo giorno, fu per essi come un ritorno alla vita di quel figlio che credevano ormai perduto.
E   quando videro risuscitare Lazzaro dopo tre giorni di sepoltura, pure furono preparati a sperare nella grande potenza di quell'Uomo che comandava alla morte.
Chissa cosa effettivamente albergava nei cuori dei discepoli durante quei tre gioni di morte del Maestro.
Qualcuno di essi disse lungo la via di Emmaus:...noi speravamo che...
Ma Egli vinse la morte, la nemica ultima e feroce dell'umanità, e ci ha guadagnato la possibilità, se solo lo vogliamo, di risorgere con Lui.

BUONA PASQUA
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