A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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S.Giuseppe Casto Sposo di Maria e Custode della Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 03/05/2014 22:26
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DECRETO DI S. S. IL PAPA PIO IX
proclamante S. Giuseppe
PATRONO DELLA CHIESA CATTOLICA



All'Urbe e all'Orbe.

Nella stessa maniera che Dio aveva costituito quel Giuseppe, procreato dal patriarca Giacobbe, soprintendente a tutta la terra d'Egitto, per serbare i frumenti al popolo, così, imminendo la pienezza dei tempi, essendo per mandare sulla terra il suo Figlio Unigenito Salvatore del mondo, scelse un altro Giuseppe, di cui quello era figura, e lo fece Signore e Principe della casa e possessione sua e lo elesse Custode dei precipui suoi tesori.

Di fatto, egli ebbe in sua sposa l'Immacolata Vergine Maria, dalla quale nacque di Spirito Santo il Signor Nostro Gesù Cristo che presso gli uomini degnossi di essere riputato figlio di Giuseppe, e gli fu soggetto. E Quegli, che tanti re e profeti bramarono vedere, Giuseppe non solo Lo vide, ma con Lui ha dimorato e con paterno affetto L'ha abbracciato e baciato; e per di più ha nutrito accuratissimamente Colui che il popolo fedele avrebbe mangiato come pane disceso dal cielo, per conseguire la vita eterna. Per questa sublime dignità, che Dio conferì a questo fedelissimo suo Servo, la Chiesa ebbe sempre in sommo onore e lodi il Beatissimo Giuseppe, dopo la Vergine Madre di Dio, sua sposa, e il suo intervento implorò nei momenti difficili.

Ora, poiché in questi tempi tristissimi la stessa Chiesa, da ogni parte attaccata da nemici, è talmente oppressa dai più gravi mali, che uomini empi pensarono avere finalmente le porte dell'inferno prevalso contro di lei, perciò i Venerabili Eccellentissimi Vescovi dell'universo Orbe Cattolico inoltrarono al Sommo Pontefice le loro suppliche e quelle dei fedeli alla loro cura commessi chiedendo che si degnasse di costituire San Giuseppe Patrono della Chiesa Cattolica. Avendo poi nel Sacro Ecumenico Concilio Vaticano più insistentemente rinnovato le loro domande e i loro voti, il Santissimo Signor Nostro Pio Papa IX, costernato per la recentissima e luttuosa condizione di cose, per affidare Sè e i fedeli tutti al potentissimo patrocinio del Santo Patriarca Giuseppe, volle soddisfare i voti degli Eccellentissimi Vescovi e solennemente lo dichiarò Patrono della Chiesa Cattolica, ingiungendo che la sua festa, cadente nel 19 di marzo, per l'avanti fosse celebrata con rito doppio di prima classe, senza ottava pero, a motivo della Quaresima.

Egli stesso inoltre ha disposto che tale dichiarazione, a mezzo del presente Decreto della Sacra Congregazione dei Riti *), fosse resa di pubblica ragione in questo giorno sacro all'Immacolata Vergine Madre di Dio e Sposa del castissimo Giuseppe.

Non ostante qualsivoglia cosa in contrario.


Il dì 8 dicembre 1870.

Card. PATRIZI
Prefetto della S. C. dei RR.
Vescovo di Ostia e Velletri.


DOMENICO BARTOLINI
Segretario della S. C. dei RR.

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*) Quando si pensi in quali tragiche circostanze fu pubblicato questo Decreto, all'indomani cioè della presa di Roma, si comprenderà facilmente, non solo l'importanza di questa proclamazione ma altresì perché essa sia stata promulgata a mezzo di un Decreto della S. Congr. dei Riti. anziché con Bolla o Lettera Papale, per evitare cioè al Pontefice l'umiliazione e l'onta della revisione e controllo del Governo italiano, a cui allora si pretendeva venissero sottoposti gli Atti Pontifici.






**********************************************************


Dai "Discorsi" di san Bernardino da Siena, sacerdote
(Disc. 2 su san Giuseppe; Opera 7,16.27-30)
Il fedele nutrizio e custode

Regola generale di tutte le grazie singolari partecipate a una creatura ragionevole è che quando la condiscendenza divina sceglie qualcuno per una grazia singolare o per uno stato sublime, concede alla persona così scelta tutti i carismi che le sono necessari per il suo ufficio. Naturalmente essi portano anche onore al prescelto. Ecco quanto si è avverato soprattutto nel grande san Giuseppe, padre putativo del Signore Gesù Cristo e vero sposo della regina del mondo e signora degli angeli. Egli fu scelto dall'eterno Padre come fedele nutrizio e custode dei suoi principali tesori, il Figlio suo e la sua sposa, e assolse questo incarico con la più grande assiduità. Perciò il Signore gli dice: Servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore (cfr. Mt 25,21).
Se poni san Giuseppe dinanzi a tutta la Chiesa di Cristo, egli è l'uomo eletto e singolare, per mezzo del quale e sotto il quale Cristo fu introdotto nel mondo in modo ordinato e onesto. Se dunque tutta la santa Chiesa è debitrice alla Vergine Madre, perché fu stimata degna di ricevere Cristo per mezzo di lei, così in verità dopo di lei deve a Giuseppe una speciale riconoscenza e riverenza.
Infatti egli segna la conclusione dell'Antico Testamento e in lui i grandi patriarchi e i profeti conseguono il frutto promesso. Invero egli solo poté godere della presenza fisica di colui che la divina condiscendenza aveva loro promesso.
Certamente Cristo non gli ha negato in cielo quella familiarità, quella riverenza e quell'altissima dignità che gli ha mostrato mentre viveva fra gli uomini, come figlio a suo padre, ma anzi l'ha portata al massimo della perfezione.
Perciò non senza motivo il Signore soggiunge: "Entra nella gioia del tuo Signore". Sebbene sia la gioia della beatitudine eterna che entra nel cuore dell'uomo, il Signore ha preferito dire: "Entra nella gioia", per insinuare misticamente che quella gioia non solo è dentro di lui, ma lo circonda ed assorbe da ogni parte e lo sommerge come un abisso infinito.
Ricòrdati dunque di noi, o beato Giuseppe, ed intercedi presso il tuo Figlio putativo con la tua potente preghiera; ma rendici anche propizia la beatissimo Vergine tua sposa, che è Madre di colui che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli infiniti. Amen.


****************************************************



La Preghiera ufficiale della Chiesa

A te, o beato Giuseppe


A te, o beato Giuseppe,
stretti dalla sofferenza,
ricorriamo,
e fiduciosi invochiamo
la tua protezione,
insieme a quella della tua
santissima Sposa.
Per quel sacro
vincolo di carità
che ti strinse
all’Immacolata Vergine
Madre di Dio,
e per l’amore paterno
che portasti al fanciullo Gesù,
riguarda,
Te ne preghiamo,
con occhio clemente,
la cara eredità
che Gesù acquistò
col Suo Sangue
e con il tuo potere ed aiuto
assistici nei nostri bisogni.

Proteggi, o custode
della Divina famiglia,
l’ eletta prole del tuo Gesù;
allontana da noi
o amatissimo padre,
gli errori ed i vizi
che corrompono il mondo,
assistici propizio dal cielo
in questa lotta con il male,
o nostro forte difensore;
e come salvasti dalla morte
il bambino Gesù,
così ora difendi la Santa Chiesa
da ogni insidia e
da ogni avversità,
e sostieni ciascuno di noi
affinchè con il tuo esempio
ed il tuo aiuto
possiamo onestamente vivere
devotamente morire
ed ottenere l’eterna betitudine
in cielo.

Amen.




E' prevista l'indulgenza parziale al fedele che devotamente recita questa Preghiera
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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La parola dei Santi:

Glorioso San Giuseppe,
Sposo di Maria Vergine,
accordaci
la tua protezione paterna:
noi te ne supplichiamo
per il cuore di Gesù Cristo.

Tu, la cui protezione
si estende a tutte
le nostre necessità
e sa renderci possibili
le cose più impossibili,
apri i tuoi occhi di padre
sugli interessi dei tuoi figli.

Nell’affanno e nella pena
che ci opprimono,
noi ricorriamo con fiducia a te;
degnati di prendere sotto
la tua caritatevole protezione
quest’affare importante e difficile
che è causa
delle nostre preoccupazioni.
Fà che la sua felice riuscita
torni a gloria di Dio
e a bene dei suoi servitori.
Amen.

San Francesco di Sales


***************************************

O San Giuseppe,
Scelto da Dio
per essere su questa terra
custode di Gesù e
sposo purissimo di Maria,
tu hai trascorso la vita
nell’adempimento
perfetto del dovere,
sostentando
con il lavoro delle tue mani
la Santa Famiglia di Nazareth,
proteggi propizio noi che,
fiduciosi ci rivolgiamo a te.
Tu conosci
le nostre aspirazioni,
le nostre angustie,
le nostre speranze:
a te ricorriamo,
perchè sappiamo
in trovare in te
chi ci protegge.
Anche tu hai sperimentato
la prova, la fatica, la stanchezza;
ma il tuo animo,
ricolmo della più profonda pace,
esultò di gioia per l’intimità
con il Figlio di Dio a te affidato,
e con Maria, sua dolcissima Madre.
Aiutaci a comprendere
che non siamo soli
nel nostro lavoro,
a saper scoprire
Gesù accanto a noi,
ad accoglierlo con la grazia
e custodirlo con la fedeltà
come tu hai fatto.
Ottieni che nella nostra famiglia
tutto sia santificato
nella carità,
nella pazienza,
nella giustizia
e nella ricerca del bene.
Amen.

B. Pontefice Giovanni XXIII

********************************************************

Preghiera a San Giuseppe

O caro San Giuseppe,
amico e protettore di tutti,
custode di Gesù
e di tutti quelli
che invocano il tuo aiuto.
Tu sei grande
perchè ottieni da Dio
tutto quello che
gli uomini ti chiedono.
Ti prego di accogliere
la mia preghiera:
veglia e custodisci
tutte le famiglie
perchè vivano l’armonia,
l’unità,
la fede,
l’amore che regnava
nella Famiglia di Nazareth.
Guarda con tenerezza particolare
le famiglie dei disoccupati,
dona a tutti un lavoro,
affinchè con la loro opera
creino un mondo migliore
e diano lode a Dio Creatore.
Ti affido la Chiesa,
in particolare il Papa,
i Vescovi, i Sacerdoti
e tutti i missionari
perchè si sentano
sostenuti dalla Tua paternità.
Chi li può amare
più di Te,
o caro San Giuseppe?
Proteggi tutte le persone consacrate,
perchè trovino
nella tuia obbedienza
e adesione alla
Volontà di Dio,
esempio per vivere nel silenzio,
nell’umiltà,
nella gioia
e nella missionarietà
la vita di unione con Dio
che le rende felici
nel compimento
della divina volontà.
La gioia di sentirsi di Dio
è così grande
che non ha paragoni;
solo in Diosi trova
tutta la felicità.
San Giuseppe
esaudisci la mia preghiera.

Papa Giovanni Paolo II

********************************************

AVE GIUSEPPE


Ave o Giuseppe
uomo giusto
sposo verginale di Maria
padre davidico del Messia.
Tu sei benedetto fra tutti gli uomini
e benedetto e' il figlio di Dio che a Te fu affidato Gesu'.
San Giuseppe,patrono della chiesa universale,
custudisci le nostre famiglie nella pace e nella Grazia Divina
e soccorrici nell'ora della nostra morte .
AMEN

*******************************************


BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
IV Domenica d'Avvento, 18 dicembre 2005



Cari fratelli e sorelle!

In questi ultimi giorni dell’Avvento la liturgia ci invita a contemplare in modo speciale la Vergine Maria e san Giuseppe, che hanno vissuto con intensità unica il tempo dell'attesa e della preparazione della nascita di Gesù. Desidero quest'oggi rivolgere lo sguardo alla figura di san Giuseppe. Nell'odierna pagina evangelica san Luca presenta la Vergine Maria come "sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe" (Lc 1, 27). È però l'evangelista Matteo a dare maggior risalto al padre putativo di Gesù, sottolineando che, per suo tramite, il Bambino risultava legalmente inserito nella discendenza davidica e realizzava così le Scritture, nelle quali il Messia era profetizzato come "figlio di Davide". Ma il ruolo di Giuseppe non può certo ridursi a questo aspetto legale. Egli è modello dell'uomo "giusto" (Mt 1, 19), che in perfetta sintonia con la sua sposa accoglie il Figlio di Dio fatto uomo e veglia sulla sua crescita umana. Per questo, nei giorni che precedono il Natale, è quanto mai opportuno stabilire una sorta di colloquio spirituale con san Giuseppe, perché egli ci aiuti a vivere in pienezza questo grande mistero della fede.

L'amato Papa Giovanni Paolo II, che era molto devoto di san Giuseppe, ci ha lasciato una mirabile meditazione a lui dedicata nell'Esortazione apostolica Redemptoris Custos, "Custode del Redentore". Tra i molti aspetti che pone in luce, un accento particolare dedica al silenzio di san Giuseppe. Il suo è un silenzio permeato di contemplazione del mistero di Dio, in atteggiamento di totale disponibilità ai voleri divini. In altre parole, il silenzio di san Giuseppe non manifesta un vuoto interiore, ma, al contrario, la pienezza di fede che egli porta nel cuore, e che guida ogni suo pensiero ed ogni sua azione. Un silenzio grazie al quale Giuseppe, all'unisono con Maria, custodisce la Parola di Dio, conosciuta attraverso le Sacre Scritture, confrontandola continuamente con gli avvenimenti della vita di Gesù; un silenzio intessuto di preghiera costante, preghiera di benedizione del Signore, di adorazione della sua santa volontà e di affidamento senza riserve alla sua provvidenza. Non si esagera se si pensa che proprio dal "padre" Giuseppe Gesù abbia appreso - sul piano umano - quella robusta interiorità che è presupposto dell'autentica giustizia, la "giustizia superiore", che Egli un giorno insegnerà ai suoi discepoli (cfr Mt 5, 20).

Lasciamoci "contagiare" dal silenzio di san Giuseppe! Ne abbiamo tanto bisogno, in un mondo spesso troppo rumoroso, che non favorisce il raccoglimento e l'ascolto della voce di Dio. In questo tempo di preparazione al Natale coltiviamo il raccoglimento interiore, per accogliere e custodire Gesù nella nostra vita.


[SM=g27986]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Esortazione Apostolica REDEMPTORIS CUSTOS
di Papa GIOVANNI PAOLO II
Sulla figura e la missione di San GIUSEPPE
nella vita di Cristo e della Chiesa



Ai Vescovi
ai sacerdoti e ai diaconi
ai religiosi e alle religiose
a tutti i fedeli



INTRODUZIONE

1. Chiamato ad essere il custode del redentore, «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sè la sua sposa» (Mt 1,24).

Ispirandosi al Vangelo, i padri della Chiesa fin dai primi secoli hanno sottolineato che san Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all'educazione di Gesù Cristo (cfr. S. Irenaei, «Adversus haereses», IV, 23, 1: S. Ch. 100/2, 692-694), così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine santa è figura e modello.

Nel centenario della pubblicazione dell'epistola enciclica «Quamquam Pluries» di papa Leone XIII (die 15 aug. 1889: «Leonis XIII P. M. Acta», IX [1890] 175-182) e nel solco della plurisecolare venerazione per san Giuseppe, desidero offrire alla vostra considerazione, cari fratelli e sorelle, alcune riflessioni su colui al quale Dio «affidò la custodia dei suoi tesori più preziosi» (S. Rituum Congreg., «Quemadmodum Deus», die 8 dec. 1870: «Pii IX P. M. Acta», pars I, vol. V, 282; Pii IX, «Inclytum Patriarcham», die 7 iul. 1871: «l. c.» 331-335). Con gioia compio questo dovere pastorale, perché crescano in tutti la devozione al patrono della Chiesa universale e l'amore al Redentore, che egli esemplarmente servì.

In tal modo l'intero popolo cristiano non solo ricorrerà con maggior fervore a san Giuseppe e invocherà fiduciosamente il suo patrocinio, ma terrà sempre dinanzi agli occhi il suo umile, maturo modo di servire e di «partecipare» all'economia della salvezza (cfr. S. Ioannis Chrysostomi, «In Matth. Hom.», V, 3: PG 57, 57s; Dottori della Chiesa e Sommi Pontefici, anche in base all'identità del nome, hanno indicato il prototipo di Giuseppe di Nazareth in Giuseppe d'Egitto per averne in qualche modo adombrato il ministero e la grandezza di custode dei più preziosi tesori di Dio Padre, il Verbo Incarnato e la sua Santissima Madre: cfr. v. g., S. Bernardi, «Super "Missus est" Hom.», II, 16: «S. Bernardi Opera», IV, 33s; Leonis XII, «Quamquam Pluries», die 15 aug. 1889: «l. c.» 179).

Ritengo, infatti, che il riconsiderare la partecipazione dello sposo di Maria al riguardo consentirà alla Chiesa, in cammino verso il futuro insieme con tutta l'umanità, di ritrovare continuamente la propria identità nell'ambito di tale disegno redentivo, che ha il suo fondamento nel mistero dell'Incarnazione.

Proprio a questo mistero Giuseppe di Nazaret «partecipò» come nessun'altra persona umana, ad eccezione di Maria, la madre del Verbo incarnato. Egli vi partecipò insieme con lei, coinvolto nella realtà dello stesso evento salvifico, e fu depositario dello stesso amore, per la cui potenza l'eterno Padre «ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo» (Ef 1,5).

I

IL QUADRO EVANGELICO

Il matrimonio con Maria

2. «Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,20-21).

In queste parole è racchiuso il nucleo centrale della verità biblica su san Giuseppe, il momento della sua esistenza a cui in particolare si riferiscono i padri della Chiesa.

L'evangelista Matteo spiega il significato di questo momento, delineando anche come Giuseppe lo ha vissuto. Tuttavia, per comprenderne pienamente il contenuto ed il contesto, è importante tener presente il passo parallelo del Vangelo di Luca. Infatti, riferendoci al versetto che dice: «Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo» (Mt 1,18), l'origine della gravidanza di Maria «per opera dello Spirito Santo» trova una descrizione più ampia ed esplicita in quel che leggiamo in Luca circa l'Annunciazione della nascita di Gesù: «L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria» (Lc 1,26-27). Le parole dell'angelo: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28), provocarono un turbamento interiore in Maria ed insieme la spinsero a riflettere. Allora il messaggero tranquillizza la Vergine ed al tempo stesso le rivela lo speciale disegno di Dio a suo riguardo: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai e partorirai un figlio, e lo chiamerai Gesù. Egli sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre» (Lc 1,30-32).

L'Evangelista aveva poco prima affermato che, al momento dell'Annunciazione, Maria era «promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe». La natura di queste «nozze» viene spiegata indirettamente, quando Maria, dopo aver udito ciò che il messaggero aveva detto della nascita del Figlio, chiede: «Come avverrà questo? Non conosco uomo» (Lc 1,34). Allora le giunge questa risposta: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su di te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Maria, anche se già «sposata» con Giuseppe, rimarrà vergine, perché il bambino, concepito in lei sin dall'Annunciazione, era concepito per opera dello Spirito Santo.

A questo punto il testo di Luca coincide con quello di Matteo (1,18) e serve a spiegare ciò che in esso leggiamo. Se, dopo le nozze con Giuseppe, Maria «si trovò incinta per opera dello Spirito Santo», questo fatto corrisponde a tutto il contenuto dell'Annunciazione e, in particolare, alle ultime parole pronunciate da Maria: «Avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38). Rispondendo al chiaro disegno di Dio, Maria col trascorrere dei giorni e delle settimane si rivela davanti alla gente e davanti a Giuseppe come «incinta», come colei che deve partorire e porta in sé il mistero della maternità.

3. In queste circostanze «Giuseppe suo sposo che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto» (Mt 1,19). Egli non sapeva come comportarsi di fronte alla «mirabile» maternità di Maria. Certamente cercava una risposta all'inquietante interrogativo, ma soprattutto cercava una via di uscita da quella situazione per lui difficile. «Mentre dunque stava pensando a queste cose, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te, Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati"» (Mt 1,20-21).

Esiste una stretta analogia tra l'«Annunciazione» del testo di Matteo e quella del testo di Luca. Il messaggero divino introduce Giuseppe nel mistero della maternità di Maria. Colei che secondo la legge è la sua «sposa», rimanendo vergine, è divenuta madre in virtù dello Spirito Santo. E quando il Figlio, portato in grembo da Maria, verrà al mondo, dovrà ricevere il nome di Gesù. Era, questo, un nome conosciuto tra gli Israeliti ed a volte veniva dato ai figli. In questo caso, però, si tratta del Figlio che - secondo la promessa divina - adempirà in pieno il significato di questo nome: Gesù - Yehossua', che significa: Dio salva.

Il messaggero si rivolge a Giuseppe come allo «sposo di Maria», a colui che a suo tempo dovrà imporre tale nome al Figlio che nascerà dalla Vergine di Nazaret, a lui sposata. Si rivolge, dunque, a Giuseppe affidandogli i compiti di un padre terreno nei riguardi del Figlio di Maria.

«Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). Egli la prese in tutto il mistero della sua maternità, la prese insieme col Figlio che sarebbe venuto al mondo per opera dello Spirito Santo: dimostrò in tal modo una disponibilità di volontà, simile a quella di Maria, in ordine a ciò che Dio gli chiedeva per mezzo del suo messaggero.

II

IL DEPOSITARIO DEL MISTERO DI DIO

4. Quando Maria, poco dopo l'Annunciazione, si recò nella casa di Zaccaria per visitare la parente Elisabetta, udì, proprio mentre la salutava, le parole pronunciate da Elisabetta «piena di Spirito Santo» (Lc 1,41). Oltre alle parole che si ricollegavano al saluto dell'angelo nell'Annunciazione, Elisabetta disse: «E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45). Queste parole sono state il pensiero-guida dell'enciclica «Redemptoris Mater», con la quale ho inteso approfondire l'insegnamento del Concilio Vaticano II che afferma: «La beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla Croce» («Lumen Gentium», 58), «andando innanzi» (cfr. «Lumen Gentium», 63) a tutti coloro che mediante la fede seguono Cristo.

Ora, all'inizio di questa peregrinazione la fede di Maria si incontra con la fede di Giuseppe. Se Elisabetta disse della Madre del Redentore: «Beata colei che ha creduto», si può in un certo senso riferire questa beatitudine anche a Giuseppe, perché rispose affermativamente alla Parola di Dio, quando gli fu trasmessa in quel momento decisivo. Per la verità, Giuseppe non rispose all'«annuncio» dell'angelo come Maria, ma «fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa». Ciò che egli fece è purissima «obbedienza della fede» (cfr. Rm 1,5; 16,26; 2Cor 10,5-6).

Si può dire che quello che Giuseppe fece lo unì in modo del tutto speciale alla fede di Maria: egli accettò come verità proveniente da Dio ciò che ella aveva già accettato nell'Annunciazione. Il Concilio insegna: «A Dio che rivela è dovuta "l'obbedienza della fede", per la quale l'uomo si abbandona totalmente e liberamente a Dio, prestandogli il "pieno ossequio dell'intelletto e della volontà" e assentendo volontariamente alla rivelazione da lui fatta» («Dei Verbum», 5). La frase sopracitata, che tocca l'essenza stessa della fede, si applica perfettamente a Giuseppe di Nazaret.

5. Egli, pertanto, divenne un singolare depositario del mistero «nascosto da secoli nella mente di Dio» (cfr. Ef 3,9), come lo divenne Maria, in quel momento decisivo che dall'Apostolo è chiamato «la pienezza del tempo», allorché «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» per «riscattare coloro che erano sotto la legge», perché «ricevessero l'adozione a figli» (cfr. Gal 4,4-5). «Piacque a Dio - insegna il Concilio - nella sua bontà e sapienza di rivelare se stesso e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2Pt 1,4)» («Dei Verbum», 2).

Di questo mistero divino Giuseppe è insieme con Maria il primo depositario. Insieme con Maria - ed anche in relazione a Maria - egli partecipa a questa fase culminante dell'autorivelazione di Dio in Cristo, e vi partecipa sin dal primo inizio. Tenendo sotto gli occhi il testo di entrambi gli evangelisti Matteo e Luca, si può anche dire che Giuseppe è il primo a partecipare alla fede della Madre di Dio, e che, così facendo, sostiene la sua sposa nella fede della divina Annunciazione. Egli è anche colui che è posto per primo da Dio sulla via della «peregrinazione della fede», sulla quale Maria - soprattutto dal tempo del Calvario e della Pentecoste - andrà innanzi in modo perfetto (cfr. «Lumen Gentium», 63).

6. La via propria di Giuseppe, la sua peregrinazione della fede si concluderà prima, cioè prima che Maria sosti ai piedi della Croce sul Golgota e prima che ella - ritornato Cristo al Padre - si ritrovi nel Cenacolo della Pentecoste nel giorno della manifestazione al mondo della Chiesa, nata nella potenza dello Spirito di verità. Tuttavia, la via della fede di Giuseppe segue la stessa direzione, rimane totalmente determinata dallo stesso mistero, del quale egli insieme con Maria era divenuto il primo depositario. L'Incarnazione e la Redenzione costituiscono un'unità organica ed indissolubile, in cui l'«economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi tra loro» («Dei Verbum», 2). Proprio per questa unita papa Giovanni XXIII, che nutriva una grande devozione per san Giuseppe, stabilì che nel canone romano della Messa, memoriale perpetuo della Redenzione, fosse inserito il suo nome accanto a quello di Maria, e prima degli apostoli, dei Sommi Pontefici e dei martiri (cfr. S. Rituum Congreg., «Novis hisce temporibus, die 13 nov. 1962: AAS 54 [1962]).

Il servizio della paternità

7. Come si deduce dai testi evangelici, il matrimonio con Maria è il fondamento giuridico della paternità di Giuseppe. E' per assicurare la protezione paterna a Gesù che Dio sceglie Giuseppe come sposo di Maria. Ne segue che la paternità di Giuseppe - una relazione che lo colloca il più vicino possibile a Cristo, termine di ogni elezione e predestinazione (cfr. Rm 8,28s) - passa attraverso il matrimonio con Maria, cioè attraverso la famiglia.

Gli evangelisti, pur affermando chiaramente che Gesù è stato concepito per opera dello Spirito Santo e che in quel matrimonio è stata conservata la verginità (cfr. Mt 1,18-24; Lc 1,26-34), chiamano Giuseppe sposo di Maria e Maria sposa di Giuseppe (cfr. Mt 1,16.18-20.24; Lc 1,27; 2,5).

Ed anche per la Chiesa, se è importante professare il concepimento verginale di Gesù, non è meno importante difendere il matrimonio di Maria con Giuseppe, perché giuridicamente è da esso che dipende la paternità di Giuseppe. Di qui si comprende perché le generazioni sono state elencate secondo la genealogia di Giuseppe. «Perché - si chiede santo Agostino - non lo dovevano essere attraverso Giuseppe? Non era forse Giuseppe il marito di Maria? (...) La Scrittura afferma, per mezzo dell'autorità angelica, che egli era il marito. Non temere, dice, di prendere con te Maria come tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Gli viene ordinato di imporre il nome al bambino, benché non nato dal suo seme. Ella, dice, partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù. La Scrittura sa che Gesù non è nato dal seme di Giuseppe, poiché a lui preoccupato circa l'origine della gravidanza di lei è detto: viene dallo Spirito Santo. E tuttavia non gli viene tolta l'autorità paterna, dal momento che gli è ordinato di imporre il nome al bambino. Infine, anche la stessa Vergine Maria, ben consapevole di non aver concepito Cristo dall'unione coniugale con lui, lo chiama tuttavia padre di Cristo» («Sermo 51», 10, 16: PL 38, 342).

Il Figlio di Maria è anche figlio di Giuseppe in forza del vincolo matrimoniale che li unisce: «A motivo di quel matrimonio fedele meritarono entrambi di essere chiamati genitori di Cristo, non solo quella madre, ma anche quel suo padre, allo stesso modo che era coniuge di sua madre, entrambi per mezzo della mente, non della carne» (S. Augustini, «De nuptiis et concupiscentia» I, 11, 12: PL 44, 421; cfr. Eiusdem, «De consensu evangelistarum», II, 1, 2: PL 34, 1071; Eiusdem, «Contra Faustum», III, 2: PL 42, 214). In tale matrimonio non mancò nessuno dei requisiti che lo costituiscono: «In quei genitori di Cristo si sono realizzati tutti i beni delle nozze: la prole, la fedeltà, il sacramento. Conosciamo la prole, che è lo stesso Signore Gesù; la fedeltà, perché non c'è nessun adulterio; il sacramento, perché non c'è nessun divorzio» (S. Augustini, «De nuptiis et concupiscentia», I, 11, 13: PL 44, 421; cfr. Eiusdem, «Contra Iulianum», V, 12, 46: PL 44, 810).

Analizzando la natura del matrimonio, sia sant'Agostino che san Tommaso la collocano costantemente nell'«indivisibile unione degli animi», nell'«unione dei cuori», nel «consenso» (S. Augustini, «Contra Faustum», XXIII, 8: PL 42, 470s; Eiusdem, «De consensu evangelistarum», II, 1, 3: PL 34, 1072; Eiusdem, «Sermo 51», 13, 21: PL 38, 344s; S. Thomae, «Summa Theologiae», III, q. 29, a. 2, in conclus.), elementi che in quel matrimonio si sono manifestati in modo esemplare. Nel momento culminante della storia della salvezza, quando Dio rivela il suo amore per l'umanità mediante il dono del Verbo, è proprio il matrimonio di Maria e Giuseppe che realizza in piena «libertà» il «dono sponsale di sé» nell'accogliere ed esprimere un tale amore (cfr. «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 1 [1980] 88-92.148-152.428-431). «In questa grande impresa del rinnovamento di tutte le cose in Cristo, il matrimonio, anch'esso purificato e rinnovato, diviene una realtà nuova, un sacramento della nuova Alleanza. Ed ecco che alle soglie del Nuovo Testamento, come già all'inizio dell'Antico, c'è una coppia. Ma, mentre quella di Adamo ed Eva era stata sorgente del male che ha inondato il mondo, quella di Giuseppe e di Maria costituisce il vertice, dal quale la santità si espande su tutta la terra. Il Salvatore ha iniziato l'opera della salvezza con questa unione verginale e santa, nella quale si manifesta la sua onnipotente volontà di purificare e santificare la famiglia, questo santuario dell'amore e questa culla della vita» (Pauli VI, «Allocutio ad Motum "Equipes Notre-Dame», 7, die 4 maii 1970: Insegnamenti di Paolo VI, VIII [1970] 428. Luades Familiae Nazarethanae, quae domesticae communitatis perfectum habendum est exemplar, similes inveniuntur, v. g., apud Leonis XIII, «Neminem Fugit», die 14 iun. 1892: «Leonis XIII P. M. Acta», XII [1892] 149s; apud Benedicti XV, «Bonum Sane», die 25 iul. 1920: AAS 12 [1920] 313-317).

Quanti insegnamenti da ciò derivano oggi per la famiglia! Poiché «l'essenza ed i compiti della famiglia sono ultimamente definiti dall'amore» e «la famiglia riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l'amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell'amore di Dio per l'umanità e dell'amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa» («Familairis Consortio», 17), e nella santa Famiglia, in questa originaria «Chiesa domestica» («Familiaris Consortio», 49; cfr. «Lumen Gentium», 11; «Apostolicam Actuositatem», 11) che tutte le famiglie cristiane debbono rispecchiarsi. In essa, infatti, «per un misterioso disegno di Dio è vissuto nascosto per lunghi anni il Figlio di Dio: essa, dunque, è il prototipo e l'esempio di tutte le famiglie cristiane» («Familiaris Consortio», 85).

8. San Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l'esercizio della sua paternità: proprio in tal modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della Redenzione ed è veramente «ministro della salvezza» (cfr. S. Ioannis Chrysostomi, «In Matth. Hom.», V, 3: PG 57, 57s). La sua paternità si è espressa concretamente «nell'aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell'incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta; nell'aver usato dell'autorità legale, che a lui spettava sulla sacra Famiglia, per farle totale dono di sè, della sua vita, del suo lavoro; nell'aver convertito la sua umana vocazione all'amore domestico nella sovrumana oblazione di sè, del suo cuore e di ogni capacità nell'amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa» («Insegnamenti di Paolo VI», IV [1966] 110).

La liturgia, ricordando che sono stati affidati «alla premurosa custodia di san Giuseppe gli inizi della nostra redenzione» («Missale Romanum», Collecta «in Sollemnitate S. Ioseph Sponsi B.V.M») precisa anche che «Dio lo ha messo a capo della sua famiglia, come servo fedele e prudente, affinché custodisse come padre il suo Figlio unigenito» («Missale Romanum», Praefatio «in Sollemnitate S. Ioseph Sponsi B.V.M.»). Leone XIII sottolinea la sublimità di questa missione: «Egli tra tutti si impone nella sua augusta dignità, perché per divina disposizione fu custode e, nell'opinione degli uomini, padre del Figlio di Dio. Donde conseguiva che il Verbo di Dio fosse sottomesso a Giuseppe, gli obbedisse e gli prestasse quell'onore e quella riverenza che i figli debbono al loro padre» («Quamquam Pluries», die 15 aug. 1889: «Leonis XIII P. M. Acta», IX [1890] 178).

Poiché non è concepibile che a un compito così sublime non corrispondano le qualità richieste per svolgerlo adeguatamente, bisogna riconoscere che Giuseppe ebbe verso Gesù «per speciale dono del Cielo, tutto quell'amore naturale, tutta quell'affettuosa sollecitudine che il cuore di un padre possa conoscere» (Pii XII, «Nuntius radiophonicus ad alumnos transmissus in Scholis Catholicis Foederatarum Americae Civitatum discentes», die 19 febr. 1958: AAS 50 [1958] 174).

Con la potestà paterna su Gesù, Dio ha anche partecipato a Giuseppe l'amore corrispondente, quell'amore che ha la sua sorgente nel Padre, «dal quale prende nome ogni paternità nei cieli e sulla terra» (Ef 3,15).

Nei Vangeli è presentato chiaramente il compito paterno di Giuseppe verso Gesù. Difatti, la salvezza, che passa attraverso l'umanità di Gesù, si realizza nei gesti che rientrano nella quotidianità della vita familiare, rispettando quella «condiscendenza» inerente all'economia dell'Incarnazione. Gli evangelisti sono molto attenti a mostrare come nella vita di Gesù nulla sia stato lasciato al caso, ma tutto si sia svolto secondo un piano divinamente prestabilito. La formula spesso ripetuta: «Così avvenne, affinché si adempissero...» e il riferimento dell'avvenimento descritto a un testo dell'antico testamento tendono a sottolineare l'unità e la continuità del progetto, che raggiunge in Cristo il suo compimento.

Con l'Incarnazione le «promesse» e le «figure» dell'antico testamento divengono «realtà»: luoghi, persone, avvenimenti e riti si intrecciano secondo precisi ordini divini, trasmessi mediante il ministero angelico e recepiti da creature particolarmente sensibili alla voce di Dio. Maria è l'umile serva del Signore, preparata dall'eternità al compito di essere madre di Dio; Giuseppe è colui che Dio ha scelto per essere «l'ordinatore della nascita del Signore» (Origenis, «Hom. XIII in Lucam» 7: S. Ch. 87, 214), colui che ha l'incarico di provvedere all'inserimento «ordinato» del Figlio di Dio nel mondo, nel rispetto delle disposizioni divine e delle leggi umane. Tutta la vita cosiddetta «privata» o «nascosta» di Gesù è affidata alla sua custodia.

Il censimento

9. Recandosi a Betlemme per il censimento in ossequio alle disposizioni della legittima autorità, Giuseppe adempì nei riguardi del Bambino il compito importante e significativo di inserire ufficialmente il nome «Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret» (cfr. Gv 1,45) nell'anagrafe dell'impero. Tale iscrizione manifesta in modo palese l'appartenenza di Gesù al genere umano, uomo fra gli uomini, cittadino di questo mondo, soggetto alle leggi e istituzioni civili, ma anche «salvatore del mondo». Origene descrive bene il significato teologico inerente a questo fatto storico, tutt'altro che marginale: «Poiché il primo censimento di tutta la terra avvenne sotto Cesare Augusto, e tra tutti gli altri anche Giuseppe si fece registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta, poiché Gesù venne alla luce prima che il censimento fosse compiuto, a chi consideri con diligente attenzione sembrerà esprimere una sorte di mistero il fatto che nella dichiarazione di tutta la terra dovesse essere censito anche Cristo. In tal modo, con tutti registrato, tutti egli poteva santificare, con tutta la terra inscritto nel censimento, alla terra offriva la comunione con sè, e dopo questa dichiarazione tutti gli uomini della terra scriveva nel libro dei viventi, onde quanti avessero creduto in lui, fossero poi inscritti nel cielo con i Santi di colui a cui è la gloria e l'impero nei secoli dei secoli. Amen» («Hom. XI in Lucam», 6: S. Ch. 87, 194 et 196).




La nascita a Betlemme

10. Quale depositario del mistero «nascosto da secoli nella mente di Dio», e che comincia a realizzarsi davanti ai suoi occhi «nella pienezza del tempo», Giuseppe è insieme con Maria, nella notte di Betlemme, testimone privilegiato della venuta del Figlio di Dio nel mondo. Così scrive Luca: «Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo» (Lc 2,6-7).

Giuseppe fu testimone oculare di questa nascita, avvenuta in condizioni umanamente umilianti, primo annuncio di quella «spoliazione» (cfr. Fil 2,5-8), a cui Cristo liberamente accondiscese per la remissione dei peccati. Nello stesso tempo egli fu testimone dell'adorazione dei pastori, giunti sul luogo della nascita di Gesù dopo che l'angelo aveva recato loro questa grande, lieta notizia (cfr. Lc 2,15-16); più tardi fu anche testimone dell'omaggio dei magi, venuti dall'Oriente (cfr. Mt 2,11).

La circoncisione

11. Essendo la circoncisione del figlio il primo dovere religioso del padre, Giuseppe con questo rito (cfr. Lc 2,21) esercita il suo diritto-dovere nei riguardi di Gesù.

Il principio secondo il quale i riti dell'antico testamento sono l'ombra della realtà (cfr. Eb 9,9s; 10,1), spiega perché Gesù li accetti. Come per gli altri riti, anche quello della circoncisione trova in Gesù il «compimento». L'alleanza di Dio con Abramo, di cui la circoncisione era segno (cfr. Gen 17,13), raggiunge in Gesù il suo pieno effetto e la sua perfetta realizzazione, essendo Gesù il «sì» di tutte le antiche promesse (cfr. 2Cor 1,20).

L'imposizione del nome

12. In occasione della circoncisione, Giuseppe impone al bambino il nome di Gesù. Questo nome è il solo nel quale si trova la salvezza (cfr. At 4,12); ed a Giuseppe ne era stato rivelato il significato al momento della sua «annunciazione»: «E tu lo chiamerai Gesù: egli, infatti, salverà il suo popolo dai i suoi peccati» (Mt 1,21). Imponendo il nome, Giuseppe dichiara la propria legale paternità su Gesù e, pronunciando il nome, proclama la di lui missione di salvatore.

La presentazione di Gesù al tempio

13. Questo rito, riferito da Luca (2,22s), include il riscatto del primogenito e illumina la successiva permanenza di Gesù dodicenne nel tempio.

Il riscatto dei primogenito è un altro dovere del padre, che è adempiuto da Giuseppe. Nel primogenito era rappresentato il popolo dell'alleanza, riscattato dalla schiavitù per appartenere a Dio. Anche a questo riguardo Gesù, che è il vero «prezzo» del riscatto (cfr. 1Cor 6,20; 7,23; 1Pt 1,19), non solo «compie» il rito dell'antico testamento, ma nello stesso tempo lo supera, non essendo egli un soggetto da riscattare, ma l'autore stesso del riscatto.

L'Evangelista rileva che «il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui» (Lc 2,33) e, in particolare, di ciò che disse Simeone, indicando Gesù, nel suo cantico rivolto a Dio, come la «salvezza preparata da Dio davanti a tutti i popoli» e «luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele» e, più avanti, anche come «segno di contraddizione» (cfr. Lc 2,30-34).

La fuga in Egitto

14. Dopo la presentazione al tempio l'evangelista Luca annota: «Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui» (Lc 2,39-40).

Ma, secondo il testo di Matteo, prima ancora di questo ritorno in Galilea, è da collocare un evento molto importante, per il quale la divina Provvidenza ricorre di nuovo a Giuseppe. Leggiamo: «Essi (i magi) erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: "Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo"» (Mt 2,13). In occasione della venuta dei magi dall'Oriente, Erode aveva saputo della nascita del «re dei Giudei» (cfr. Mt 2,2). E quando i magi partirono, egli «mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù» (Mt 2,16). In questo modo, uccidendo tutti, voleva uccidere quel neonato «re dei Giudei», del quale era venuto a conoscenza durante la visita dei magi alla sua corte. Allora Giuseppe, avendo udito in sogno l'avvertimento, «prese con sè il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: "Dall'Egitto ho chiamato mio figlio"» (Mt 2,14-15; cfr. Os 11,1).

In tal modo la via del ritorno di Gesù da Betlemme a Nazaret passò attraverso l'Egitto. Come Israele aveva preso la via dell'esodo «dalla condizione di schiavitù» per iniziare l'antica alleanza, così Giuseppe, depositario e cooperatore del mistero provvidenziale di Dio, custodisce anche in esilio colui che realizza la nuova alleanza.

La permanenza di Gesù al tempio

15. Dal momento dell'Annunciazione Giuseppe insieme con Maria si trovò in un certo senso nell'intimo del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio e che si era rivestito di carne: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Egli abitò in mezzo agli uomini, e l'ambito della sua dimora fu la santa Famiglia di Nazaret - una delle tante famiglie di questa cittadina della Galilea, una delle tante famiglie della terra di Israele. Ivi Gesù cresceva e «si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui» (Lc 2,40). I Vangeli riassumono in poche parole il lungo periodo della vita «nascosta», durante il quale Gesù si prepara alla sua missione messianica. Un solo momento è sottratto da questo «nascondimento» ed è descritto dal vangelo di Luca: la pasqua di Gerusalemme, quando Gesù aveva dodici anni.

Gesù partecipò a questa festa come un giovane pellegrino insieme con Maria e Giuseppe. Ed ecco: «Trascorsi i giorni della festa, mentre riprendeva la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero» (Lc 2,43). Passato un giorno, se ne resero conto ed iniziarono le ricerche «tra i parenti e i conoscenti». «Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che lo udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte» (Lc 2,46-47). Maria domanda: «Figlio, perché ci hai fatto cosi? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). La risposta di Gesù fu tale che i due «non compresero le sue parole». Aveva detto: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49-50).

Udì questa risposta Giuseppe, per il quale Maria aveva appena detto «tuo padre». Difatti così tutti dicevano e pensavano: «Gesù era figlio, come si credeva, di Giuseppe» (Lc 3,23). Nondimeno, la risposta di Gesù nel tempio doveva rinnovare nella consapevolezza del «presunto padre» ciò che questi aveva udito una notte, dodici anni prima: «Giuseppe,... non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo». Già da allora egli sapeva di essere depositario del mistero di Dio, e Gesù dodicenne evocò esattamente questo mistero: «Devo occuparmi delle cose del Padre mio».

Il sostentamento e l'educazione di Gesù a Nazaret

16. La crescita di Gesù «in sapienza, in età e in grazia» (Lc 2,52) avvenne nell'ambito della santa Famiglia sotto gli occhi di Giuseppe, che aveva l'alto compito di «allevare», ossia di nutrire, di vestire e di istruire Gesù nella legge e in un mestiere, in conformità ai doveri assegnati al padre.

Nel sacrifico eucaristico la Chiesa venera la memoria anzitutto della gloriosa sempre Vergine Maria, ma anche del beato Giuseppe (cfr. «Missale Romanum», «Prex Eucharistica I»), perché «nutrì colui che i fedeli dovevano mangiare come pane di vita eterna» (S. Rituum Congreg., «Quemadmodum Deus», die 8 dec. 1870: «Pii IX P. M. Acta», pars I, vol V, 282).

Da parte sua, Gesù «era loro sottomesso» (Lc 2,51), ricambiando col rispetto le attenzioni dei suoi «genitori». In tal modo volle santificare i doveri della famiglia e del lavoro, che prestava accanto a Giuseppe.

III

L'UOMO GIUSTO-LO SPOSO

17. Nel corso della sua vita, che fu una peregrinazione nella fede, Giuseppe, come Maria, rimase fedele sino alla fine alla chiamata di Dio. La vita di lei fu il compimento sino in fondo di quel primo «fiat» pronunciato al momento dell'Annunciazione, mentre Giuseppe - come è già stato detto - al momento della sua «annunciazione» non proferì alcuna parola: semplicemente egli «fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore» (Mt 1,24). E questo primo «fece» divenne l'inizio della «via di Giuseppe». Lungo questa via i Vangeli non annotano alcuna parola detta da lui. Ma il silenzio di Giuseppe ha una speciale eloquenza: grazie ad esso si può leggere pienamente la verità contenuta nel giudizio che di lui dà il Vangelo: il «giusto» (Mt 1,19).

Bisogna saper leggere questa verità, perché vi è contenuta una delle più importanti testimonianze circa l'uomo e la sua vocazione. Nel corso delle generazioni la Chiesa legge in modo sempre più attento e consapevole una tale testimonianza, quasi estraendo dal tesoro di questa insigne figura «cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52).

18. L'uomo «giusto» di Nazaret possiede soprattutto le chiare caratteristiche dello sposo. L'Evangelista parla di Maria come di «una vergine, promessa sposa di un uomo... chiamato Giuseppe» (Lc 1,27). Prima che comincia a compiersi «il mistero nascosto da secoli» (Ef 3,9), i Vangeli pongono dinanzi a noi l'immagine dello sposo e della sposa. Secondo la consuetudine del popolo ebraico, il matrimonio si concludeva in due tappe: prima veniva celebrato il matrimonio legale (vero matrimonio), e solo dopo un certo periodo, lo sposo introduceva la sposa nella propria casa. Prima di vivere insieme con Maria, Giuseppe quindi era già il suo «sposo»; Maria però, conservava nell'intimo il desiderio di far dono totale di sè esclusivamente a Dio. Ci si potrebbe domandare in che modo questo desiderio si conciliasse con le «nozze». La risposta viene soltanto dallo svolgimento degli eventi salvifici, cioè dalla speciale azione di Dio stesso. Fin dal momento dell'Annunciazione Maria sa che deve realizzare il suo desiderio verginale di donarsi a Dio in modo esclusivo e totale proprio divenendo madre del Figlio di Dio. La maternità per opera dello Spirito Santo è la forma di donazione, che Dio stesso si attende dalla Vergine, «promessa sposa» di Giuseppe. Maria pronuncia il suo «fiat».

Il fatto di esser lei «promessa sposa» a Giuseppe è contenuto nel disegno stesso di Dio. Ciò indicano entrambi gli evangelisti citati, ma in modo particolare Matteo. Sono molto significative le parole dette a Giuseppe: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20). Esse spiegano il mistero della sposa di Giuseppe: Maria è vergine nella sua maternità. In lei «il Figlio dell'Altissimo» assume un corpo umano e diviene «il figlio dell'uomo».

Rivolgendosi a Giuseppe con le parole dell'angelo, Dio si rivolge a lui come allo sposo della Vergine di Nazaret. Ciò che si è compiuto in lei per opera dello Spirito Santo esprime al tempo stesso una speciale conferma del legame sponsale, esistente già prima tra Giuseppe e Maria. Il messaggero chiaramente dice a Giuseppe: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa». Pertanto, ciò che era avvenuto prima - le sue nozze con Maria - era avvenuto per volontà di Dio e, dunque, andava conservato. Nella sua divina maternità Maria deve continuare a vivere come «una vergine, sposa di uno sposo» (cfr. Lc 1,27).

19. Nelle parole dell'«annunciazione» notturna Giuseppe ascolta non solo la verità divina circa l'ineffabile vocazione della sua sposa, ma vi riascolta, altresì, la verità circa la propria vocazione. Quest'uomo «giusto» che, nello spirito delle più nobili tradizioni del popolo eletto, amava la Vergine di Nazaret ed a lei si era legato con amore sponsale, è nuovamente chiamato da Dio a questo amore.

«Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24); quello che è generato in lei «viene dallo Spirito Santo»: da tali espressioni non bisogna forse desumere che anche il suo amore di uomo viene rigenerato dallo Spirito Santo? Non bisogna forse pensare che l'amore di Dio, che è stato riversato nel cuore umano per mezzo dello Spirito Santo (cfr. Rm 5,5), forma nel modo più perfetto ogni amore umano? Esso forma anche - ed in modo del tutto singolare - l'amore sponsale dei coniugi, approfondendo in esso tutto ciò che umanamente è degno e bello, ciò che porta i segni dell'esclusivo abbandono, dell'alleanza delle persone e dell'autentica comunione sull'esempio del mistero trinitario.

«Giuseppe... prese con sè la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio» (Mt 1,24-25). Queste parole indicano un'altra vicinanza sponsale. La profondità di questa vicinanza, la spirituale intensità dell'unione e del contatto tra le persone - dell'uomo e della donna - provengono in definitiva dallo Spirito, che dà la vita (Gv 6,63). Giuseppe, obbidiente allo Spirito, proprio in esso ritrovò la fonte dell'amore, del suo amore sponsale di uomo, e fu questo amore più grande di quello che «l'uomo giusto» poteva attendersi a misura del proprio cuore umano.

20. Nella liturgia Maria è celebrata come «unita a Giuseppe, uomo giusto, da un vincolo di amore sponsale e verginale» («Collectio Missarum de Beata Maria Virgine», I, «Sancta Maria de Nazareth», Praefatio). Si tratta, infatti, di due amori che rappresentano congiuntamente il mistero della Chiesa, vergine e sposa, la quale trova nel matrimonio di Maria e Giuseppe il suo simbolo. «La verginità e il celibato per il Regno di Dio non solo non contraddicono alla dignità del matrimonio, ma la presuppongono e la confermano. Il matrimonio e la verginità sono i due modi di esprimere e di vivere l'unico mistero dell'alleanza di Dio col suo popolo» («Familiaris Consortio», 16), che è comunione di amore tra Dio e gli uomini.

Mediante il sacrificio totale di sè Giuseppe esprime il suo generoso amore verso la Madre di Dio, facendole «dono sponsale di sé». Pur deciso a ritirarsi per non ostacolare il piano di Dio che si stava realizzando in lei, egli per espresso ordine angelico la trattiene con sè e ne rispetta l'esclusiva appartenenza a Dio.

D'altra parte, è dal matrimonio con Maria che sono derivati a Giuseppe la sua singolare dignità e i suoi diritti su Gesù. «E' certo che la dignità di Madre di Dio poggia sì alto, che nulla vi può essere di più sublime; ma perché tra la beatissima Vergine e Giuseppe fu stretto un nodo coniugale, non c'è dubbio che a quell'altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di gran lunga tutte le creature, egli si avvicinò quanto mai nessun altro. Poiché il connubio è la massima società e amicizia, a cui di sua natura va unita la comunione dei beni, ne deriva che, se Dio ha dato come sposo Giuseppe alla Vergine, glielo ha dato non solo a compagno della vita, testimone della verginità e tutore dell'onestà, ma anche perché partecipasse, per mezzo del patto coniugale, all'eccelsa grandezza di lei» (Leone XIII, «Quamquam Pluries», die 15 aug. 1889: «Leonis XIII P. M. Acta» IX [190] 177s).



21. Un tale vincolo di carità costituì la vita della santa Famiglia prima nella povertà di Betlemme, poi nell'esilio in Egitto e, successivamente, nella dimora a Nazaret. La Chiesa circonda di profonda venerazione questa Famiglia, proponendola quale modello a tutte le famiglie. Inserita direttamente nel mistero dell'Incarnazione, la Famiglia di Nazaret costituisce essa stessa uno speciale mistero. Ed insieme - così come nella Incarnazione - a questo mistero appartiene la vera paternità: la forma umana della famiglia del Figlio di Dio - vera famiglia umana, formata dal mistero divino. In essa Giuseppe è il padre: non è la sua una paternità derivante dalla generazione; eppure, essa non è «apparente», o soltanto «sostitutiva», ma possiede in pieno l'autenticità della paternità umana, della missione paterna nella famiglia. E' contenuta in ciò una conseguenza dell'unione ipostatica: umanità assunta nell'unità della Persona divina del Verbo-Figlio, Gesù Cristo. Insieme con l'assunzione dell'umanità, in Cristo è anche «assunto» tutto ciò che è umano e, in particolare, la famiglia, quale prima dimensione della sua esistenza in terra. In questo contesto è anche «assunta» la paternità umana di Giuseppe.

In base a questo principio acquistano il loro giusto significato le parole rivolte da Maria a Gesù dodicenne nel tempio: «Tuo padre ed io... ti cercavamo». Non è questa una frase convenzionale: le parole della Madre di Gesù indicano tutta la realtà dell'Incarnazione, che appartiene al mistero della Famiglia di Nazaret. Giuseppe, il quale sin dall'inizio accettò mediante «l'obbedienza della fede» la sua paternità umana nei riguardi di Gesù, seguendo la luce dello Spirito Santo, che per mezzo della fede si dona all'uomo, certamente scopriva sempre più ampiamente il dono ineffabile di questa sua paternità.

IV

IL LAVORO ESPRESSIONE DELL'AMORE

22. Espressione quotidiana di questo amore nella vita della Famiglia di Nazaret è il lavoro. Il testo evangelico precisa il tipo di lavoro, mediante il quale Giuseppe cercava di assicurare il mantenimento alla Famiglia: quello di carpentiere. Questa semplice parola copre l'intero arco della vita di Giuseppe. Per Gesù sono questi gli anni della vita nascosta, di cui parla l'Evangelista dopo l'episodio avvenuto al tempio: «Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso» (Lc 2,51) Questa «sottomissione», cioè l'obbedienza di Gesù nella casa di Nazaret, viene intesa anche come partecipazione al lavoro di Giuseppe. Colui che era detto il «figlio del carpentiere» aveva imparato il lavoro dal suo «padre» putativo. Se la Famiglia di Nazaret nell'ordine della salvezza e della santità è l'esempio e il modello per le famiglie umane, lo è analogamente anche il lavoro di Gesù a fianco di Giuseppe carpentiere. Nella nostra epoca la Chiesa ha messo questo in rilievo pure con la memoria liturgica di san Giuseppe artigiano, fissata al primo maggio. Il lavoro umano e, in particolare, il lavoro manuale trovano nel Vangelo un accento speciale. Insieme all'umanità del Figlio di Dio esso è stato accolto nel mistero dell'Incarnazione, come anche è stato in particolare modo redento. Grazie al banco di lavoro presso il quale esercitava il suo mestiere insieme con Gesù, Giuseppe avvicinò il lavoro umano al mistero della Redenzione.

23. Nella crescita umana di Gesù «in sapienza, in età e in grazia» ebbe una parte notevole la virtù della laboriosità, essendo «il lavoro un bene dell'uomo» che «trasforma la natura» e rende l'uomo «in un certo senso più uomo» («Laborem Exersens», 9).

L'importanza del lavoro nella vita dell'uomo richiede che se ne conoscano ed assimilino i contenuti «per aiutare tutti gli uomini ad avvicinarsi per il suo tramite a Dio, creatore e redentore, a partecipare ai suoi piani salvifici nei riguardi dell'uomo e del mondo e per approfondire nella loro vita l'amicizia con Cristo, assumendo mediante la fede viva una partecipazione alla sua triplice missione: di sacerdote, di profeta e di re» («Laborem Exercens», 24. Hac recentiore aetate Summi Pontifices assidue S. Ioseph tamquam operariorum opificumque «exemplum» exhibuerunt; cfr. v. g., Leonis XIII, «Quamquam Pluries», die 15 aug. 1889»: «Leonis XIII P. M. Acta», IX [1890] 180; Benedicti XV, «Bonum Sane» die 25 iul. 1920: AAS 12 [1920] 314-316; Pii XII, «Allocutio», die 11 mar. 1945: AAS 37 [1945] 72; Eiusdem, «Allocutio», die 1 maii 1955: AAS 47 [1955] 406; Ioannis XXIII, «Nuntius radiophonicus», die 1 maii 1960: AAS 52 [1960] 398).

24. Si tratta, in definitiva, della santificazione della vita quotidiana, che ciascuno deve acquisire secondo il proprio stato e che può esser promossa secondo un modello accessibile a tutti: «San Giuseppe è il modello degli umili che il cristianesimo solleva a grandi destini; San Giuseppe è la prova che per essere buoni ed autentici seguaci di Cristo non occorrono "grandi cose", ma si richiedono solo virtù comuni, umane, semplici, ma vere ed autentiche» («Insegnamenti di Paolo VI», VII [1969] 1268).

V

IL PRIMATO DELLA VITA INTERIORE

25. Anche sul lavoro di carpentiere nella casa di Nazaret si stende lo stesso clima di silenzio, che accompagna tutto quanto si riferisce alla figura di Giuseppe. E' un silenzio, però che svela in modo speciale il profilo interiore di questa figura. I Vangeli parlano esclusivamente di ciò che Giuseppe «fece»; tuttavia, consentono di scoprire nelle sue «azioni», avvolte dal silenzio, un clima di profonda contemplazione. Giuseppe era in quotidiano contatto col mistero «nascosto da secoli», che «prese dimora» sotto il tetto di casa sua. Questo spiega, ad esempio, perché santa Teresa di Gesù, la grande riformatrice del Carmelo contemplativo, si fece promotrice del rinnovamento del culto di san Giuseppe nella cristianità occidentale.

26. Il sacrificio totale, che Giuseppe fece di tutta la sua esistenza alle esigenze della venuta del Messia nella propria casa, trova la ragione adeguata nella «sua insondabile vita interiore, dalla quale vengono a lui ordini e conforti singolarissimi, e derivano a lui la logica e la forza, propria delle anime semplici e limpide, delle grandi decisioni, come quella di mettere subito a disposizione dei disegni divini la sua libertà, la sua legittima vocazione umana, la sua felicità coniugale, accettando della famiglia la condizione, la responsabilità ed il peso, e rinunciando per un incomparabile virgineo amore al naturale amore coniugale che la costituisce e la alimenta» («Insegnamenti di Paolo VI», VII [1969] 1268).

Questa sottomissione a Dio, che è prontezza di volontà nel dedicarsi alle cose che riguardano il suo servizio, non è altro che l'esercizio della devozione, la quale costituisce una delle espressioni della virtù della religione (cfr. S. Thomae, «Summa Theologiae», II-II, q. 82, a. 3, ad 2).

27. La comunione di vita tra Giuseppe e Gesù ci porta a considerare ancora il mistero dell'Incarnazione proprio sotto l'aspetto dell'umanità di Cristo, strumento efficace della divinità in ordine alla santificazione degli uomini: «In forza della divinità le azioni umane di Cristo furono per noi salutari, causando in noi la grazia sia in ragione del merito, sia per una certa efficacia» (cfr. S. Thomae, «Summa Theologiae», II-II, q. 8, a. 1, ad 1).

Tra queste azioni gli evangelisti privilegiano quelle riguardanti il mistero pasquale, ma non omettono di sottolineare l'importanza del contatto fisico con Gesù in ordine alle guarigioni (cfr., ex. gr., Mc 1,41) e l'influsso da lui esercitato su Giovanni il Battista, quando entrambi erano ancora nel grembo materno (cfr. Lc 1,41-44).

La testimonianza apostolica non ha trascurato - come si è visto - la narrazione della nascita di Gesù, della circoncisione, della presentazione al tempio, della fuga in Egitto e della vita nascosta a Nazaret a motivo del «mistero» di grazia contenuto in tali «gesti», tutti salvifici, perché partecipi della stessa sorgente di amore: la divinità di Cristo. Se questo amore attraverso la sua umanità si irradiava su tutti gli uomini, ne erano certamente beneficiari in primo luogo coloro che la volontà divina aveva collocato nella sua più stretta intimità: Maria sua madre e il padre putativo Giuseppe (cfr. Pii XII, «Haurietis Aquas», III, die 15 maii 1956: AAS 48 [1956] 329s).

Poiché l'amore «paterno» di Giuseppe non poteva non influire sull'amore «filiale» di Gesù e, viceversa, l'amore «filiale» di Gesù non poteva non influire sull'amore «paterno» di Giuseppe, come inoltrarsi nelle profondità di questa singolarissima relazione? Le anime più sensibili agli impulsi dell'amore divino vedono a ragione in Giuseppe un luminoso esempio di vita interiore.

Inoltre, l'apparente tensione tra la vita attiva e quella contemplativa trova in lui un ideale superamento, possibile a chi possiede la perfezione della carità. Seguendo la nota distinzione tra l'amore della verità («caritas veritatis») e l'esigenza dell'amore («necessitas caritatis») (cfr. S. Thomae, «Summa Theologiae», II-II, q. 182, a. 1, ad 3), possiamo dire che Giuseppe ha sperimentato sia l'amore della verità, cioè il puro amore di contemplazione della verità divina che irradiava dall'umanità di Cristo, sia l'esigenza dell'amore, cioè l'amore altrettanto puro del servizio, richiesto dalla tutela e dallo sviluppo di quella stessa umanità.

VI

PATRONO DELLA CHIESA DEL NOSTRO TEMPO

28. In tempi difficili per la Chiesa Pio IX, volendo affidarla alla speciale protezione del santo patriarca Giuseppe, lo dichiarò «Patrono della Chiesa cattolica» (S. Rituum Congreg., «Quemadmodum Deus», die 8 dec. 1870: «Pii IX P. M. Acta», pars I, vol. V, 283). Il Pontefice sapeva di non compiere un gesto peregrino, perché a motivo dell'eccelsa dignità concessa da Dio a questo suo fedelissimo servo, «la Chiesa, dopo la Vergine Santa, sposa di lui, ebbe sempre in grande onore e ricolmò di lodi il beato Giuseppe, e di preferenza a lui ricorse nelle angustie» (S. Rituum Congreg., «Quemadmodum Deus, die 8 dec. 1870: «Pii IX P. M. Acta+, pars I, vol. V, 282s).

Quali sono i motivi di tanta fiducia? Leone XIII li espone così: «Le ragioni per cui il beato Giuseppe deve essere considerato speciale Patrono della Chiesa, e la Chiesa, a sua volta, ripromettersi moltissimo dalla tutela e dal patrocinio di lui, nascono principalmente dall'essere egli sposo di Maria e padre putativo di Gesù... Giuseppe fu a suo tempo legittimo e naturale custode, capo e difensore della divina Famiglia... E' dunque cosa conveniente e sommamente degna del beato Giuseppe, che, a quel modo che egli un tempo soleva tutelare santamente in ogni evento la famiglia di Nazaret, così ora copra e difenda col suo celeste patrocinio la Chiesa di Cristo» («Quamquam Pluries», die 15 aug. 1889: «Leonis XIII P. M. Acta», IX [1890] 177-179).

29. Questo patrocinio deve essere invocato ed è necessario tuttora alla Chiesa non soltanto a difesa contro gli insorgenti pericoli, ma anche e soprattutto a conforto del suo rinnovato impegno di evangelizzazione nel mondo e di rievangelizzazione in quei «paesi e nazioni dove - come ho scritto nell'esortazione apostolica "Christifideles Laici" - la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti», e che «sono ora messi a dura prova» (34). Per portare il primo annuncio di Cristo o per riportarlo laddove esso è trascurato o dimenticato, la Chiesa ha bisogno di una speciale «virtù dall'alto» (cfr. Lc 24,49; At 1,8), donazione certo dello Spirito del Signore non disgiunta dall'intercessione e dall'esempio dei suoi santi.

30. Oltre che nella sicura protezione, la Chiesa confida anche nell'insigne esempio di Giuseppe, un esempio che supera i singoli stati di vita e si propone all'intera comunità cristiana, quali che siano in essa la condizione e i compiti di ciascun fedele.

Come è detto nella costituzione del Concilio Vaticano II sulla divina Rivelazione, l'attegiamento fondamentale di tutta la Chiesa deve essere quello del «religioso ascolto della Parola di Dio» («Dei Verbum», 1), ossia dell'assoluta disponibilità a servire fedelmente la volontà salvifica di Dio, rivelata in Gesù. Già all'inizio della Redenzione umana troviamo incarnato il modello dell'obbedienza, dopo Maria, proprio in Giuseppe, colui che si distingue per la fedele esecuzione dei comandi di Dio.

Paolo VI invitava a invocarne il patrocinio «come la Chiesa, in questi ultimi tempi, è solita a fare, per sè, innanzitutto, con una spontanea riflessione teologica sul connubio dell'azione divina con l'azione umana nella grande economia della redenzione, nel quale la prima, quella divina, è tutta a sè sufficiente ma la seconda, quella umana, la nostra, sebbene di nulla capace (cfr. Gv 15,5), non è mai dispensata da un'umile, ma condizionale e nobilitante collaborazione. Inoltre, protettore la Chiesa lo invoca per un profondo e attualissimo desiderio di rinverdire la sua secolare esistenza di veraci virtù evangeliche, quali in San Giuseppe rifulgono» («Insegnamenti di Paolo VI», VII [1969] 1268).

31. La Chiesa trasforma queste esigenze in preghiera. Ricordando che Dio ha affidato gli inizi della nostra Redenzione alla custodia premurosa di san Giuseppe, gli chiede di concederle di collaborare fedelmente all'opera di salvezza, di donarle la stessa fedeltà e purezza di cuore che animò Giuseppe nel servire il Verbo incarnato e di camminare sull'esempio e per l'intercessione del santo, davanti a Dio nelle vie della santità e della giustizia (cfr. «Missale Romanum», Collecta; Super oblata «in Sollemnitate S. Ioseph Sponsi B. M. V.»; Post communio «in Missa votiva S. Ioseph»).

Già cento anni fa Papa Leone XIII esortava il mondo cattolico a pregare per ottenere la protezione di san Giuseppe, patrono di tutta la Chiesa. L'epistola enciclica «Quamquam Pluries» si richiamava a quell'«amore paterno» che Giuseppe «portava al fanciullo Gesù», ed a lui, «provvido custode della divina Famiglia», raccomandava «la cara eredità che Gesù Cristo acquistò col suo sangue». Da allora la Chiesa - come ho ricordato all'inizio - implora la protezione di san Giuseppe - «per quel sacro vincolo di carità che lo strinse all'Immacolata Vergine Madre di Dio» e gli raccomanda tutte le sue sollecitudini, anche per le minacce che incombono sulla famiglia umana.

Ancora oggi abbiamo numerosi motivi per pregare nello stesso modo: «Allontana da noi, o padre amatissimo, questa peste di errori e di vizi..., assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre...; e come un tempo scampasti dalla morte la minacciata vita del bambino Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità» (cfr. «Oratio ad Sanctum Iosephum», quae proxime sequitur textum ipsius Epist. Enc. «Quamquam Pluries"» die 15 aug. 1889: «Leone XIII P. M. Acta», IX [1890] 183). Ancora oggi abbiamo perduranti motivi per raccomandare a san Giuseppe ogni uomo.

32. Auspico vivamente che il presente ricordo della figura di Giuseppe rinnovi anche in noi gli accenti della preghiera che un secolo fa il mio predecessore raccomandò di innalzare a lui. E' certo, infatti, che questa preghiera e la figura stessa di Giuseppe acquistano una rinnovata attualità per la Chiesa del nostro tempo, in relazione al nuovo millennio cristiano.

Il Concilio Vaticano II ha di nuovo sensibilizzato tutti alle «grandi cose di Dio», a quell'«economia della salvezza», della quale Giuseppe fu speciale ministro. Raccomandandoci, dunque, alla protezione di colui al quale Dio stesso «affidò la custodia dei suoi tesori più preziosi e più grandi» (S. Rituum Congreg., «Quemadmodum Deus, die 8 dec. 1870: «Pii IX P M. Acta», pars I, vol. V, 282), impariamo al tempo stesso da lui a servire l'«economia della salvezza». Che san Giuseppe diventi per tutti un singolare maestro nel servire la missione salvifica di Cristo, compito che nella Chiesa spetta a ciascuno e a tutti: agli sposi ed ai genitori, a coloro che vivono del lavoro delle proprie mani o di ogni altro lavoro, alle persone chiamate alla vita contemplativa come a quelle chiamate all'apostolato.

L'uomo giusto, che portava in sè tutto il patrimonio dell'antica alleanza, è stato anche introdotto nell'«inizio» della nuova ed eterna alleanza in Gesù Cristo. Che egli ci indichi le vie di questa alleanza salvifica sulla soglia del prossimo millennio, nel quale deve perdurare e ulteriormente svilupparsi la «pienezza del tempo» ch'è propria del mistero ineffabile della Incarnazione del Verbo.

Che san Giuseppe ottenga alla Chiesa ed al mondo, come a ciascuno di noi, la benedizione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.



Dato a Roma, presso san Pietro, il 15 agosto
solennità dell'Assunzione della beata Vergine Maria
dell'anno 1989, undecimo di pontificato.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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"Qualunque grazia si domanda a San Giuseppe verrà certamente concessa, chi vuole credere faccia la prova affinchè si persuada"
Santa Teresa D'Avila

Io non capisco come si possa pensare a Maria tutta occupata nelle sue cure al Bambino Gesù, senza ringraziare S. Giuseppe per tutti gli aiuti, che presto in quel tempo alla Madre e al Figlio! S. Giuseppe è maestro d'orazione e di vita interiore: chi non ha ehi gl'insegni a pregare, prenda per maestro questo glorioso Santo, e non fallirà la strada. Egli è il mio avvocato e protettore, padre e signore!
Santa Teresa del Bambin Gesù



Qui non vi sono che tre umili persone che si amano, e proprio esse cambieranno la faccia del mondo (P. Claudel)

PER INCREMENTARE LA NOSTRA
DEVOZIONE A SAN GIUSEPPE

CATECHESI
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Il silenzio interiore di S. Giuseppe

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Quanto sia importante osservare il silenzio ad imitazione di S. Giuseppe

"Il silenzio ben inteso, unito al timor di Dio, è come un carro di fuoco che porta l'anima al cielo come fu portato il profeta Elia. O silenzio! felicità delle anime interiori, scala dei cielo, strada dei regno di Dio; o silenzio! Sorgente della compunzione, specchio in cui il peccatore vede i suoi peccati, principio di luce, di mitezza, di umiltà, freno all'udito, salvaguardia degli occhi, legame della lingua; o silenzio! Porto sicuro ove si trova la tranquillità dell'anima, scuola della lettura, dell'orazione, della contemplazione, aiuto per acquistare tutte le virtù e sorgente di ogni bene" (S. Giovanni Crisostomo).
L' elogio sul silenzio fatto da questo Padre della Chiesa, ha come scopo farcelo stimare, amare e praticare. Fermiamoci a farne alcune considerazioni.
Il silenzio è sempre stato considerato come uno dei pilastri portanti e dei sostegni
più solidi e necessari della vita spirituale.
S. Bernardo dice: "Il silenzio è nostro custode e la nostra forza risiede in lui; il silenzio è il fondamento della vita spirituale, per mezzo di esso si acquisisce la giustizia e la virtù: parlate poco con gli uomini e sperate molto in Dio ".
Il profeta Isaia afferma che "Nel silenzio e nella speranza risiederà la vostra forza" (30,15).
S. Giacomo ci ammonisce dicendoci che chi aspira alla sapienza e alla virtù, non ne avrà che l'ombra se non sa frenare la lingua (cf 1,26).
S. Giovanni Climaco dice: "Il silenzio è un declivio insensibile verso la strada della virtù ed una segreta elevazione verso Dio; il silenzio ci rende attenti a noi stessi, apre il nostro cuore alle ispirazioni divine, ci dispone ad accogliere le sue grazie" come ben dice il profeta Geremia: "È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore" (Lam 3,26)".

Un monaco diceva all'abate Sisoes: "Padre desidero grandemente conservare la mia anima pura, che debbo fare? - Fratello, rispose l'abate, lo potete fare col silenzio". Inoltre il silenzio è la migliore disposizione all'orazione
Senza di esso la nostra preghiera sarà un pullulare di distrazioni.
Il profeta Osea ci dice: "Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore" (2,9).
È per questo che S. Giovanni Climaco chiama il silenzio "padre dell'orazione" e dice che colui che accuratamente lo osserva si avvicina a Dio ed è illuminato dalla sua luce.
Ecco quali sono i frutti dei silenzio, ecco il vero mezzo che ci mette sulla via della santità ad esempio dei grande S. Giuseppe: il silenzio produce il raccoglimento, il raccoglimento la devozione, la devozione l'orazione, l'orazione l'unione con Dio, l'unione con Dio la santità.
Senza il silenzio non può esserci il raccoglimento: più un'anima chiacchiera e si distrae in cose dei mondo più si svuota perdendo la devozione, e lo spirito di orazione. Quindi tornerà con molta fatica alla preghiera e all'orazione mentale e all'unione con Dio.

Il silenzio interiore di S. Giuseppe

Il silenzio interiore (apatheia - impassibilità) consiste nella grande pace di tutte le facoltà dell'anima, nel perfetto riposo di tutte le sue potenze e nella tranquillità della coscienza Esso nasce dalle parole che Dio sussurra all'orecchio del cuore dei profeta S. Davide "Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore" (Sal 85,9).
Questo silenzio differisce dal sonno in quanto che le anime interiori lo gustano vegliando. Si vedono talvolta anime inquiete e turbate ritrovare la calma e la pace dopo aver ascoltato alcune parole proferite da un uomo di Dio.
Si raccolgono in se stesse e sentono il cuore liberato dalle inquietudini che l'agitavano. Ora quale non doveva essere la virtù delle parole di Gesù e di Maria per mettere la pace nei cuori?
Ora il fortunato S. Giuseppe ebbe la grazia di vivere accanto al Salvatore e alla Tutta Santa ed ascoltare dalla loro bocca quelle soavi parole che bastarono a fargli godere il silenzio interiore quale riflesso della celeste beatitudine.

La vita di S. Giuseppe fu una continua preghiera. In compagnia dei Re dei cielo non poteva che meditare e gustare le cose dei cielo. Mentre Gesù cresceva in età, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini, S. Giuseppe cresceva in raccoglimento ed unione con il Dio Salvatore; non occupandosi delle cose esteriori se non nella misura strettamente necessaria ai bisogni della Sacra Famiglia.
S. Bernardino da Siena afferma che il santo padre putativo di Gesù fu innalzato al più alto grado di contemplazione. Egli ebbe l'altissimo favore di godere delle più intime comunicazioni dello S. Santo e delle più rare grazie del Cuore divino di Gesù.
E sebbene sia così necessario e proficuo per il progresso nella vita spirituale il silenzio esteriore, tuttavia lo è maggiormente quello interiore, poiché senza questo il primo perde gran parte della sua forza e non produce gli effetti desiderati: "A che serve la solitudine dei corpo se manca quella dei cuore?" esclama S. Gregorio.
E l' imitazione di Cristo: "Colui che desidera servire Dio deve cercare ed amare la solitudine interiore, senza la quale la solitudine esteriore diventa moltitudine. Si deve, pertanto stimare maggiormente la solitudine dell'anima o interiore che il silenzio esteriore. Il silenzio interiore è uno dei più nobili esercizi che conduce alla santità; per esso l'anima compie grandi cose quando sembra che non faccia nulla; dice molto quando tace, s'avvicina a Dio e si unisce profondamente a Lui allontanandosi dalle creature.

L'anima parla conversa con qualche creatura e tace quando non comunica con nessuno. Più il suo cuore si libera da esse sull'esempio di S. Giuseppe, più pensa e si occupa unicamente di Dio. Alle volte il silenzio dell'anima differisce da quello dei corpo. Il corpo non può parlare che per mezzo della lingua; mentre l'anima parla con l'intelletto, con la volontà, con l'immaginazione e con la passione. Parla con l'intelletto ad una creatura quando si ricorda di essa e nutre per essa dell'affetto; le parla quando se la rappresenta davanti e se la immagina; le parla ancora quando è dominata da una passione per la medesima.
È in questo modo che l'anima parla alle creature. L' anima tace quando non fa nulla di tutto questo, e allora si può dire libera quando si occupa di Dio solo, lo loda, lo adora, lo benedice, lo ringrazia, gli dà gloria, e si lancia in Lui con atti di fede, speranza e carità. Ma alla perfezione di questo silenzio interiore l'anima vi giunge quando, non parlando più ad alcuna creatura, non parla nemmeno a Dio, ma ascolta attentamente con grande rispetto le mozioni della sua grazia.
Essa Lo vede in se stessa come nel suo tempio; sente interiormente la Sua voce soave, sapiente, e misericordiosa che le sussurra: "Ascolta figlia, guarda, porgi l'orecchio…" Ed ella risponde; poiché Dio mi onora della sua parola: "Ascolterò ciò che mi dirà il Signore... e mi dirà parole di pace che arrecano felicità e gioia" (cf Sal 45,11. 85,9)
È in questo modo che l'anima pratica l'orazione di silenzio, come fece Maria ai piedi dei Signore, attenta a guardarlo e ad ascoltarlo; ad effondersi e trasformarsi interamente in lui con tutto l'affetto dei suo cuore.


Eccellenza del silenzio interiore

Disposizioni necessarie per conseguirlo


Il silenzio interiore supera in eccellenza tutto quello che noi potremmo dirne; esso è uno dei più grandi omaggi che possiamo rendere a Dio.
"Tibi silentium laus". Il silenzio è la tua lode.
Che può mai fare l'uomo davanti all'infinita maestà di Dio, contemplandone le di Lui perfezioni ? Può soltanto tacere stupito. L' Areopagita dice che quando una cosa oltrepassa il nostro concetto, e non si può esprimerla in parole, si tace.
S. Ambrogio afferma che la cosa più conveniente ai misteri della nostra fede è quella di meditarli in silenzio. Questo silenzio interiore procura all'anima beni immensi; la distacca dalle creature per unirla a Dio che è l'unico principio della sua purezza, santità, forza e perfezione di tutti i beni.

Geremia dice che il solitario siederà in silenzio e con questo s'innalzerà sopra di sé, delle sue inclinazioni e della sua natura corrotta (cf 15, 17 ssgg.). Questa nuova virtù che divinizza le anime, ha vari gradi di perfezione, più è perfetta e più fa sentire all'anima ineffabili dolcezze. Dio che ne è il principio agisce nell'anima con ispirazioni così suadenti e soavi, tanto che ella si lascia condurre fiduciosamente da Lui. E così fissa in Dio, perde l'attenzione a se stessa; è come il ferro nel fuoco che si confonde con esso, è come la stilla di rugiada che si perde nelle onde dell'oceano, o come il sottile vapore attirato e investito dal sole, il quale pare cessi di essere ciò che era per essere trasformato in luce.
Questo silenzio, nel Cantico dei cantici, è paragonato al sonno della sposa; lo sposo proibisce espressamente alle amiche di svegliarla prima che ella lo voglia.

S. Gregorio Magno, S. Bernardo e molti altri Padri applicano queste parole alla contemplazione e all'orazione di silenzio, perché colui che dorme non parla a nessuno, non vede e non sente nessuno.
Così è dei silenzio interiore, nel quale si è molto sobri di relazioni con le creature.

Dio ha dato il sonno all'uomo per la conservazione della sua salute, dopo aver lavorato tutto il giorno, ha bisogno di non vedere, non ascoltare e tacere. Mentre riposano le facoltà intellettuali, il corpo si rinvigorisce. Lo stesso avviene dei sonno dell'orazione e dei silenzio interiore necessario all'anima, la quale occupata esteriormente da mille impegni, cessa di parlare, di vedere e di udire e di darsi anche a molte opere buone; ella ha bisogno di riposarsi e di ritemprarsi ed acquistare nuove forze per agire sempre in modo soprannaturale. Ce lo conferma il Vangelo di S. Marco al cap. 6,31: Gesù dice agli Apostoli tornati dalla predicazione: "Venite in disparte, in luogo solitario, a riposarvi un poco".
Come all'uomo che pur si nutre di buone e sostanziose vivande, se però non dorme si debilita, così chi si occupa di fare molte opere buone e sante si debilita si svuota se gli manca il sonno dell'orazione, se non dorme e si ritempra in essa.
Il P. Baldassare Alvarez ( maestro di S. Teresa d'Avila e dei ven. Ludovico da Puente gesuita, essendo stato interrogato dal suo Superiore P. Claudio Acquaviva su come faceva orazione, rispose: "Medito talvolta ruminando nella mia mente qualche parola della Sacra Scrittura; altre volte ragiono e non medito, ma mi tengo in silenzio e in riposo davanti a Dio". Che ricco tesoro è questo silenzio e questo riposo !......

Quale stima dobbiamo avere dei silenzio interiore!...... Con quale cura lo dobbiamo praticare! Impegniamoci a non lasciarci dominare dall'urgenza di apostolato ma dominiamo sempre noi la situazione.
Quanto è necessario l'ordine nella carità! Regola aurea, ma relegata nel dimenticatoio da molti confessori (e direttori di anime ).
Il primo posto a Dio, poi a noi stessi e poi ai fratelli. Stiamo in guardia che col pretesto di salvare gli altri non danniamo noi stessi.
L'esagerato diffonderci di noi verso il prossimo, ci inaridisce; la nostra preghiera diventa superficiale, diventa solo un muovere le labbra di poco o nullo valore.

Raccogliamoci, facciamo tacere "quelle maledette occupazioni" e ascoltiamo Dio ed una sola sua parola ci gioverà più di mille parole che vorremmo dire a Lui. Se il Signore ci dice: "Ascolta Israele e non parlare" (cf Dt 6,4 e altrove) rispondiamo con Samuele: "Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta" (1 Sam 3,9).
Il demonio, nemico acerrimo di colui che prega, fa di tutto per immergerci in mille cose buone in mille occasioni di apostolato, pur di appannarci con le eccessive occupazioni le soavi mozioni dello S. Spirito che sussurra all'anima silenziosa e orante e disturbarci anche quando partecipiamo alla Sacra Liturgia.
Stiamo in guardia e ritorniamo con volontà ferma e con l'aiuto di Dio all'interno di noi stessi per adorare Dio Uno e Trino vivente nel Tempio della nostra anima.

Vigiliamo sulla fantasia (la "matta di casa") che ci può agitare ed inquietare con le sue chimere Con fiducia ferma offriamola e deponiamola ai piedi dei Signore perché la controlli e la imbrigli, e non ci ostacoli nel servizio soave e pacifico di Sua Divina Maestà
Il grande silenzioso e contemplativo S. Giuseppe interceda presso la sua santissima sposa ed Ella presso Dio, perché ci ottengano il silenzio interiore mezzo indispensabile per il nostro progresso spirituale e che Lui praticò fedelissimamente a Nazareth nella Sacra Famiglia


Sintesi da: card. Giuseppe Calass Vives O.F.M. Cap., Summa Iosephina, Roma 1907: P. Huguet, L' interiore di S. Giuseppe, Torino 1892


[SM=g27986]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Una devozione profonda a Maria porta inevitabilmente ad amare il suo CASTISSIMO sposo, i Santi lo avevano capito e non vi è un solo santo al mondo e nel tempo che non abbia vissuto questa esperienza mistica e che non abbia trasmesso agli altri questo dono prezioso...

Invochiamolo e preghiamolo con fede ed amore [SM=g27988]

HANNO DETTO DI SAN GIUSEPPE:


1. - Dal Vangelo.

Giuseppe da Nazareth, figlio di Davide, uomo giusto, marito di Maria, padre di Gesù, salvatore della vita del Salvatore.

2. - Nella liturgia.

Certa speranza della nostra vita, sostegno del mondo, illustre per meriti, ministro della nostra salute, padre del Verbo, vincitore dell'inferno, servo fedele e prudente, quasi padre del Re, padrone della sua casa e principe di ogni sua possessione, procuratore della Chiesa di Dio.

3. - Da Origene.

Giusto nella legge, nelle parole, nei fatti, nel giudizio della grazia; umilissimo, stimasi indegno di stare con Maria.

4. - Da Eusebio di Cesarea.

In lui un esimio pudore, una modestia e una prudenza somma; eccellente nella pietà verso Dio, splendeva di una meravigliosa bellezza anche nel sembiante.

5. - Da S. Ilario di Poitiers.

La sua vita è tipica: egli fu come gli Apostoli, alle cui cure fu affidato Cristo, perché lo portassero traverso il mondo; perciò esemplare e figura degli uomini apostolici.

6. - Da S. Efrem siro.

Paradiso di delizie, sollievo della Madre di Dio. Pare di sentirlo: « E donde a me questo, ch'io sia sposo alla Madre del mio Dio? Donde a me che il Figlio di Dio sia diventato mio figlio? Ecco che mi è stata resa la corona di Davide, dal momento che il Signore di Davide è venuto nelle mie mani!»

7. - Da S. Basilio Magno.

Qual Angelo o Santo merito di essere padre del Figlio di Dio ? Solo Giuseppe. Quindi egli è «Fatto tanto più grande degli Angeli, quanto più di loro ha ereditato un nome sovraeccellente!» (Cf Ebr 1, 4).

8. - Da S. Gregorio Nisseno.

I sacerdoti d'Israele furono guidati divinamente nello scegliere Giuseppe a sposo di Maria.

9. - Da S. Epifanio.

Grande tra gli uomini, fedele nei costumi, pio nello stesso suo sembiante.

10. - Da S. Giovanni Crisostomo.

Era colmo di straordinaria riverenza per il Bambino Gesù, e, quando Maria lo poso nella mangiatoia, Giuseppe s'inchino a contemplarlo, il suo cuore fu inondato di gioia, ma non oso toccarlo. Insigne in tutto, fornito d'ogni sorta di virtù, sapiente oltre la legge, era sempre intento alla meditazione dei Profeti.

- Da S. Agostino.


Vero marito di Maria, benché vergine; e vero padre di Gesù, benché non L'abbia procreato: se, adottando un figlio di una donna qualsiasi, avrebbe avuto diritto di dirsi suo padre, tanto più allevando come suo il Figlio della sua consorte! Chi dice non doversi chiamare padre Giuseppe per non avere generato Gesù, cerca nel procrear figli più la libidine che l'affetto: Giuseppe ottenne colla carità meglio assai di quel che altri colla carne; e anche quelli che adottano figli, castamente li procreano coll'affetto meglio che colla carne. Come Cristo morente non affido che a un vergine la sua Madre Vergine, cos; nemmeno l'avrebbe data in sposa a Giuseppe, se questi non fosse stato più che vergine! Onore della verginità e guardiano della castità, adunque!


- Da S. Girolamo.

Più custode che marito per Maria, dovette essere vergine per poter essere chiamato padre del Signore. Intanto fu il Salvatore dell'onore della Madre di Dio.

fonte:

www.totustuus.org/S.Joseph/documenti/S.Joseph_documenti...






SPOSA DI GIUSEPPE
(da "Un anno con Maria - meditazioni quotidiane" del S.P. Giovanni Paolo II)

- Giuseppe addestra all'umile arte del falegname il Figlio dell'Altissimo.
Accanto a Lui Maria fa lieta la sua casa di una limpida gioia - (dalla Liturgia)

NON TEMERE DI PRENDERE CON TE MARIA
"Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perchè quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1, 20-21)
Troviamo queste parole nel capitolo primo del Vangelo secondo Matteo. Esse -soprattutto nella seconda parte- suonano simili a quelle che ascoltò Miriam, cioè Maria, nel momento dell'Annunciazione.
Quelle parole furono pronunciate a Nazaret " a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria" (Lc 1, 27)
La descrizione dell'Annunciazione si trova nel Vangelo secondo Luca.

GIUSEPPE, CHE ERA GIUSTO...
Matteo nota di nuovo che, dopo le nozze di Maria con Giuseppe "prima che andassero a vivere insieme, ella si trovò incinta 'per opera dello Spirito Santo' " (Mt 1,18)
Così dunque si compì in Maria il mistero che aveva avuto il suo inizio nel momento dell'Annunciazione, nel momento in cui la Vergine rispose alle parole di Gabriele:"Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38)
A mano a mano che il mistero della maternità di Maria, si rivelava alla coscienza di Giuseppe, egli, "che era giusto, non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto" (Mt 1,19), così dice il seguito della descrizione di Matteo.
E proprio allora Giuseppe, Sposo di Maria e dinanzi alla legge già suo marito, riceve la sua personale "Annunciazione".
Egli sente durante la notte le parole che sono "spiegazione" e nello stesso tempo invito da parte di Dio:"Non temere di prendere con te Maria" (ibid. 1,20)

LA SPOSA DI GIUSEPPE
La lettura del Vangelo secondo San Matteo ci invita a meditare su di un momento particolare della vita di Giuseppe di Nazaret, un momento pieno di contenuto divino ed insieme di profonda verità umana.
Leggiamo: "Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo" (Mt 1,18).
Quando ascoltiamo queste parole, ci vengono in mente quelle altre ben note, che recitiamo quotidianamente, nella preghiera del mattino, del mezzogiorno e della sera:"L'Angelo del Signore recò l'annuncio a Maria ed Ella 'concepì per opera dello SpiritoSanto' ".

IL MISTERO DI MARIA
Per opera dello Spirito Santo fu concepito il figlio di Dio per diventare uomo: figlio di Maria. Questo fu il mistero dello Spirito Santo e di Maria. Il Mistero della Vergine, che alle parole della annunciazione rispose:"Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1.38)
E così è avvenuto:"Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv1, 14). E soprattutto venne ad abitare nel seno della Vergine che - rimanendo vergine - diventò madre: "si trovò incinta per opera dello Spirito Santo" (Mt 1. 18).
"Questo fu il mistero di Maria"

ACCETTARE DIO
Giuseppe non sapeva che in Colei di cui egli era sposo, anche se, in ottemperanza alla legge ebraica non l'aveva ancora accolta sotto il suo tetto, si era compiuta quella "promessa della Fede" fatta ad Abramo, di cui parla San Paolo. Che cioè si era compiuta in lei, in Maria della stirpe di Davide, la profezia che un tempo il profeta Natan aveva rivolto a Davide.
La profezia e la promessa della Fede, la cui realizzazione attendeva tutto il Popolo, l'Israele della divina elezione, e tutta l'umanità.
Questo fu il mistero di Maria. Giuseppe non conosceva questo mistero. Non glielo poteva trasmettere Lei, perchè era mistero superiore alla capacità dell'intelletto umano ed alle possibilità della lingua umana.
Non era possibile trasmetterlo con alcun mezzo umano. Si poteva "soltanto accettarlo da Dio" e "credere". Così come credette Maria.

IN MARIA SI COMPIE
LA PROMESSA DI FEDE

Giuseppe non conosceva il mistero di Maria e per questo internamente soffriva moltissimo. Leggiamo:"Giuseppe, suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto" (Mt 1. 19)
Ma venne una certa notte, quando anche Giuseppe "credette". Fu rivolta a Lui la parola di Dio e divenne chiaro per Lui il mistero di Maria, della sua Sposa e Coniuge. Egli credette che, ecco, in Lei si era compiuta la promessa della fede ad Abramo e la profezia che aveva udito il re Davide (ambedue, Giuseppe e Maria, erano della stirpe di Davide).
"Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perchè quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1, 20-21).

IL MISTERO VERGINALE DI GIUSEPPE
Cristo - quasi contro le attese della tradizione vetero-testamentaria - nacque da Maria, che al momento dell'annunciazione dice chiaramente di se stessa:"Com'è possibile? non conosco uomo" (Mt 1, 20), e professa, cioè, la sua verginità. E sebbene Egli nasca da lei come ogni uomo, come figlio di sua madre, sebbene questa sua venuta nel mondo sia accompagnata dalla presenza di un uomo che è sposo di Maria e, davanti alla legge e agli uomini, suo marito, tuttavia la maternità di Maria è verginale: e a questa verginale maternità di Maria corrisponde il mistero verginale di Giuseppe, che, seguendo la voce dall'alto, non esita a "prendere Maria.. perchè quel che è generato in lei viene dallo spirito Santo" (ibid. 13, 55).

"QUEL CHE E' GENERATO IN LEI VIENE DALLO SPIRITO SANTO"
Sebbene "il concepimento verginale e la nascita al mondo di Gesù Cristo" fossero nascoste agli uomini, sebbene agli occhi dei suoi conterranei di Nazaret egli fosse ritenuto "figlio del carpentiere" ('ut putabatur filius Ioseph'), tuttavia la stessa realtà e verità essenziale del suo concepimento e della nascita si discosta in se stessa da ciò che nella tradizione dell'Antico Testamento fu esclusivamente in favore del matrimonio, e che rendeva la continenza incomprensibile e socialmente sfavorita.
Perciò, come poteva essere compresa "la continenza per il regno dei cieli", se il Messia atteso doveva essere "discendente di Davide", e cioè, come si riteneva, doveva essere figlio della stirpe reale "secondo la carne"?
Solo Maria e Giuseppe, che hanno vissuto il mistero del suo concepimento e della sua nascita, divennero i primi testimoni di una fecondità diversa da quella carnale, cioè della fecondità dello Spirito:"Quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo" (Mt 1, 20).

IL MATRIMONIO
DI MARIA CON GIUSEPPE

La storia della nascita di Gesù sta certamente in linea con la rivelazione di quella "continenza per il regno dei cieli", di cui Cristo parlerà, un giorno, ai suoi discepoli.
Questo evento, però, resta nascosto agli uomini di allora e anche ai discepoli. Solo gradatamente esso si svelerà davanti agli occhi della Chiesa in base alle testimonianze e ai testi dei Vangeli di Matteo e Luca.
"Il matrimonio di Maria e Giuseppe" (in cui la Chiesa onora Giuseppe come sposo di Maria e Maria come sposa di lui), "nasconde in sè", in pari tempo, "il mistero" della perfetta comunione delle persone, dell'Uomo e della Donna nel patto coniugale, e insieme il mistero di quella singolare "continenza per il regno dei cieli": continenza che serviva, nella storia della salvezza, alla più perfetta "fecondità dello Spirito Santo".

LA CONTINENZA
PER IL REGNO DEI CIELI

Dato che proprio nelle condizioni nazaretane del patto di Maria e Giuseppe nel Matrimonio e nella continenza si è realizzato il dono dell'incarnazione del Verbo Eterno: il Figlio di Dio, consostanziale al Padre, venne concepito e nacque come Uomo dalla Vergine Maria.
La grazia dell'unione ipostatica è connessa proprio con questa, direi, assoluta pienezza della fecondità soprannaturale, fecondità nello Spirito Santo, partecipata da una creatura umana, Maria, nell'ordine della "continenza per il regno dei cieli".

LA DIVINA MATERNITA'
DELLA VERGINE

La divina maternità di Maria è anche, in certo senso, una sovrabbondante rivelazione di quella fecondità nello Spirito Santo, con cui l'uomo sottopone il suo spirito, quando liberamente sceglie la continenza "nel corpo": appunto, la continenza "per il regno dei cieli".
Tale immagine doveva gradualmente disvelarsi davanti alla coscienza della Chiesa nelle generazioni sempre nuove dei confessori di Cristo, quando - insieme al Vangelo dell'infanzia - si consolidava in loro la certezza circa la divina maternità della Vergine, la quale aveva concepito per opera dello Spirito Santo.
Sebbene in modo solo indiretto - tuttavia in modo essenziale e fondamentale - tale certezza doveva "aiutare a comprendere", da una parte, la santità del matrimonio e dall'altra il disinteresse in vista "del regno dei cieli", di cui Cristo aveva parlato ai suoi discepoli.

[SM=g27986]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Un protagonista


Di san Giuseppe non si parla molto. La sua figura è inevitabilmente messa in ombra non solo da quella di Gesù, il Messia lungamente atteso, il Figlio di Dio, ma anche da quella della Vergine Maria, prescelta da sempre dal Padre per mettere al mondo il Salvatore. Eppure, bastano i pochi cenni del Vangelo di Matteo per farci capire quale grande uomo fosse san Giuseppe, per farcene ammirare le straordinarie virtù.

Quando viene a sapere che Maria, la sua fidanzata, è incinta, nonostante il comprensibile sbigottimento decide di «non denunciarla davanti a tutti», dimostrando grande pacatezza e generosità; quanti di noi, al posto suo, avrebbero evitato di reagire d’istinto, non si sarebbero lasciati sopraffare dall’emotività? Più tardi, dopo l’apparizione in sogno di un angelo che gli spiega che il bambino che Maria aspetta «è opera dello Spirito Santo», sposa la fidanzata e «la prende in casa sua». E obbedisce prontamente altre due volte all’angelo, che prima lo esorta a fuggire in Egitto perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo, e poi lo invita a far ritorno «nella terra d’Israele» perché è cessato il pericolo.

Giuseppe, come Maria, non ha esitato a dire di sì a Dio, anche di fronte ad una realtà che non poteva comprendere interamente. Come Maria, ha dato prova di una fede che si fa affidamento totale, fiducioso abbandono nelle mani di Dio. È questa la fede a cui dobbiamo tendere, una fede improntata all’umiltà, che contrasta con la presunzione di autosufficienza da cui deriva tanta parte del disorientamento morale e spirituale del nostro tempo.

La disponibilità a tutto campo di san Giuseppe è stata ripagata, per così dire, dal formidabile privilegio di essere, con Maria, la persona in assoluto più vicina a Gesù: lui l’ha visto nascere, l’ha tenuto in braccio, gli ha baciato le guance, gli ha insegnato a parlare, gli ha trasmesso i segreti del proprio mestiere. Quanti avrebbero voluto essere al posto suo! Eppure, la nostra fede ci esorta a credere che, ogniqualvolta ci accostiamo all’Eucaristia, Gesù entra con noi in un’intimità simile a quella di chi gli fu fisicamente vicino durante la sua vita terrena: "Fare la Comunione" è diventata per noi un’abitudine, o riusciamo ancora a provare uno stupore riconoscente e adorante di fronte ad un mistero che ci mette in contatto con la realtà stessa di Dio?

Sebbene non fosse il padre biologico di Gesù, san Giuseppe gli fece da guida negli anni della sua infanzia, e se Dio volle affidargli tale compito, gli diede senza dubbio anche tutte le virtù che si richiedevano per svolgerlo al meglio: in tal modo, san Giuseppe fu per Gesù una figura di riferimento importante, come un padre dovrebbe sempre essere per un figlio. Non è forse soprattutto dal venir meno di questo modello che è derivata quell’emergenza educativa che ormai tutti riconoscono come uno dei problemi più preoccupanti della nostra società? E a quale educatore esemplare potremmo far riferimento, se non a san Giuseppe?

Anche solo sulla scorta di queste sintetiche note appare ingiustificato il ruolo marginale generalmente attribuito a san Giuseppe, le cui doti eccelse ne fanno invece un protagonista della storia della salvezza, capace di fornirci ancora oggi preziosissime lezioni di vita.

Mauro Aimassi

Fonte: Madre di Dio Marzo 2009

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Il pieno ingresso di san Giuseppe nell'iconografia si registra a partire dal v secolo

Il padre nascosto


di Fabrizio Bisconti

L'arte cristiana dei primi secoli sembra dimenticare la figura di Giuseppe. Il fenomeno è stato spiegato riconducendo la formazione del più antico repertorio figurativo cristiano a una intenzione significativa di ordine eminentemente cristologico. Persino le prime scene di Natività pongono al centro della rappresentazione il Bambino, sorretto da Maria, anch'essa attrice coprotagonista e, spesso, ridotta a mera "chiave di lettura" dell'episodio evangelico, assurgendo al ruolo di "seggio" o di "cattedra", sulle cui ginocchia siede il piccolo re.

Eppure del padre putativo di Gesù, i vangeli (Luca e Matteo) rievocano dettagliatamente la genealogia come per collocare nella storia umana e nella discendenza di Abramo e di Davide la nascita del Cristo. Altre notizie provengono da Marco (6, 3) e ancora da Matteo (13, 55) che definiscono Giuseppe come tèkton, una professione di larga accezione, che tocca l'attività del carpentiere, del falegname, ma anche del faber o del maniscalco.

Se i vangeli canonici designano Giuseppe come uomo giusto, israelita coerente e perfetto, osservante nei confronti della volontà del Padre, molte notizie provengono dai vangeli dell'Infanzia, dove si insiste sul parto verginale di Maria e sul ruolo di Giuseppe come rappresentante della Madonna e di Gesù dinanzi alla legge (Protovangelo di Giacomo, 9, 13-19).

La fortuna di Giuseppe si sviluppa nel corso del medioevo, per esaltarne la dedizione, la premura e l'affetto nei confronti di Maria e del Bambino, talché Bernardo di Chiaravalle riprende una vecchia giustapposizione patristica tra le due economie testamentarie, che mettono in parallelo Giuseppe l'ebreo (Genesi, 39, 40-41) con il padre putativo, riconoscendo nel matrimonio con Maria, la congiunzione di Cristo con la Chiesa (Sermone, 146).

Tornando alla produzione artistica, dobbiamo rilevare che, fatta eccezione per qualche immagine tanto rara quanto discussa nei sarcofagi dell'intero orbis Christianus antiquus, l'ingresso della figura di Giuseppe nel repertorio figurativo si avvista soltanto nel pieno v secolo e, in particolare, nel maestoso scenario musivo del santuario mariano, commissionato da Papa Sisto iii (432-440), all'indomani di quel concilio di Efeso che, nel 431, sancisce il dogma del parto verginale di Maria. Ebbene, nel celebre arco trionfale della basilica che si innalza sull'Esquilino, sfilano, in una sequenza continua, gli episodi salienti dell'infantia Salvatoris, ora ispirata ai vangeli canonici, ora agli scritti apocrifi.

Proprio in questo prezioso e monumentale documento iconografico si fa strada una narrazione più dettagliata e meno sintetica, in modo tale che il cono d'ombra, che fino a quel momento aveva oscurato la figura di Giuseppe, si riduce, a cominciare dalla complessa scena dell'annunciazione, ispirata al vangelo dello Pseudo Matteo (ix, 2), che coglie la Vergine nel momento in cui fila la porpora per il Tempio, mentre l'angelo Gabriele vola nell'aria, assieme alla colomba dello Spirito e mentre altri angeli si pongono stanti come guardiani eccellenti e un quarto serve a dare avvio alla scena seguente. Qui Giuseppe ascolta un'altra persona angelica, con chiaro riferimento a un'annunciazione a lui riservata, secondo quanto è evocato da Matteo (1, 20-21), ma anche dai vangeli apocrifi di Giacomo (ix) e dello Pseudo Matteo (xi).

La lettura in questo senso è stata comprovata dall'analisi delle sinopie del testo musivo, che ha denunciato, tra i pentimenti in corso d'opera, la presenza di un angelo in volo sulla scena, in perfetta coerenza e simmetria con l'annunciazione a Maria. La correzione figurativa, rispetto ai referenti evangelici e acanonici, che comporta un annuncio de visu a Giuseppe, serve soltanto a diversificare la scena da un'altra relativa al sogno di Giuseppe, situata all'estremità destra del registro, allorquando l'angelo ordina la fuga di Egitto (Matteo, 2, 13; Pseudo Matteo, 17, 2). Questo secondo sogno prevale per importanza evocativa a livello semantico, per cui ricostruisce l'atmosfera sospesa della visione, mentre l'annuncio a Giuseppe, seppure avvenuto in sogno, si adegua alla struttura iconografica dell'annunciazione adiacente e storica.

Se la figura di Giuseppe appare anche in altre scene del mosaico sistino e, segnatamente, negli episodi della presentazione al tempio e della conversione di Afrodisio, la fortuna iconografica del padre putativo, seppure come figura secondaria e utile a creare un contesto figurativo complesso, interessa anche i monumenti di manifattura orientale, come la sontuosa cattedra eburnea del presule ravennate Massimiano, attivo nella città esarcale al tempo di Giustiniano.

Ebbene, alcune scene scolpite nelle formelle che decorano il prezioso manufatto, recuperano gli episodi dell'infanzia del Salvatore, tanto è vero che in un unico riquadro sono rappresentati simultaneamente l'esortazione alla fuga da parte di un angelo che parla in sogno a Giuseppe adagiato su un giaciglio e la fuga stessa con la Vergine seduta su un asino guidato da un altro angelo, accompagnata dallo sposo.

Se nella cattedra di Massimiano appare anche il raro episodio apocrifo delle acque amare, dal momento bizantino l'immaginario giuseppino si espande e torna anche negli episodi della Natività, dove era stato dimenticato fino a quel tempo.

In queste scene più tarde, che si sviluppano specialmente nei manufatti eburnei, il presepe accoglie anche la figura di Giuseppe, seduto su una roccia, vestito di una tunichetta da lavoro, appoggiato a un arnese, spesso una sega. Questo schema torna nelle arti minori di diversa tipologia:  dalle gemme alle ampolle metalliche provenienti dalla Terra Santa, dai monili preziosi di manifattura alessandrina agli evangelari miniati, come quello celebre di Rabula, conservato nella Biblioteca Laurenziana. In questo prezioso documento Maria siede in atteggiamento pensoso, mentre Giuseppe spunta dietro alla culla in estatica contemplazione del Bambino, secondo un'organizzazione estremamente simile a quella riscontrabile in una formella della cattedra di Massimiano, dove spunta anche la rara immagine della levatrice incredula Salome, ricordata dagli scritti apocrifi.

Ormai, nello scorcio della stagione bizantina e nell'avvio dell'altomedioevo, la figura di Giuseppe, per tanti secoli disattesa, tanto da assurgere al ruolo di "padre nascosto", si innerva nelle rappresentazioni della Sacra Famiglia, mostrando i caratteri del faber lignarius, ma anche del pater familias, umile, colto nell'operosità quotidiana, rivestendo un ruolo ormai stabile di coprotagonista e mai di primo attore, eppure con un suo posto, iconograficamente non trascurabile se in alcuni rari monumenti egli assume quell'atteggiamento pensoso, che raggiunge il livello della tristezza, assai spesso attribuito a Maria.

Non è escluso che questa variante iconografica, forse desunta dal tipo classico dell'Ercole seduto di Lisippo, vuole tradurre in figura la mestizia di Giuseppe in seguito all'avvertimento avuto in sogno, ma anche il turbamento che riempie il semplice animo di pensieri contrastanti, che vuole rendere l'impatto traumatico con il delicato mistero dell'incarnazione.


(©L'Osservatore Romano - 19 marzo 2010)


19 Marzo Festa di San Giuseppe, Sposo Casto di Maria Santissima e Custode della Santa Chiesa


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Il magistero del Papa su San Giuseppe: le sue doti di giustizia e di modestia sono fondamentali nel mondo rumoroso di oggi

Ordini e Congregazioni religiose, associazioni laicali, una miriade di enti di varia natura hanno in lui il suo protettore: San Giuseppe, lo sposo della Vergine il padre putativo di Gesù, è il Santo nel quale le virtù della vita cristiana brillano di una bellezza e di una compiutezza straordinarie. Benedetto XVI, che il 19 marzo festeggia il proprio onomastico, lo ha sottolineato in molte circostanze, come ricorda in questo servizio Alessandro De Carolis:


Il mondo dei furbi, che menano vanto della propria losca intraprendenza e non disdegnano una disponibilità alla corruzione, e di là un uomo che fu l’incarnazione della parola data. L’epoca della conquista compulsiva della visibilità, dell’arroganza dell’immagine, dove anche ciò che è privato si vende al pubblico “guardone” pur di scampare al grave pericolo dell’anonimato, e di là un uomo che indimenticabile lo è diventato per la sua modestia. L’età delle nevrosi maschili, di antiche e inconfessate fragilità o di sempre nuove inadeguatezze, descritte con scientifica e ridondante puntualità, e di là un uomo che fu serenamente padre e, per il figlio, maestro di una virtù scomparsa dai vocabolari: la “pietà virile”. Dal confronto verrebbe spontanea una domanda: cosa ha a che fare il mondo di oggi con San Giuseppe? Un uomo che carica velocemente su di sé, di notte, una famiglia in pericolo di vita e la protegge portandola in salvo a dorso d’asino in un altro paese si staglierebbe come un gigante di fronte a quei molti uomini che oggi scaricano le proprie responsabilità di mariti e di padri, perché troppo stressanti e incompatibili con la levità di una vita impostata anzitutto su irrinunciabili piaceri. Eppure, ha spiegato sin dall’inizio del suo Pontificato Benedetto XVI, se mai modello di “uomo giusto” oggi esista questi è scolpito proprio in San Giuseppe, che “in perfetta sintonia con la sua sposa accoglie il Figlio di Dio fatto uomo e veglia sulla sua crescita umana”:

“Non si esagera se si pensa che, proprio dal ‘padre’ Giuseppe, Gesù abbia appreso – sul piano umano – quella robusta interiorità che è presupposto dell’autentica giustizia, la ‘giustizia superiore’, che Egli un giorno insegnerà ai suoi discepoli”. (18 dicembre 2005)

Gesù-Dio che apprende da un semplice, sia pur straordinario, uomo il valore della giustizia divina. Sembrerebbe quasi un’iperbole, una frase ad effetto creata per enfatizzare la grandezza in fondo irraggiungibile del padre putativo di Gesù, se non fosse che proprio ciò che Giuseppe è come uomo, nel suo contesto sociale e storico, a dare a Gesù Bambino quella sicurezza che è doverosa verso un figlio. Per suo tramite, ha affermato il Papa, il Bambino risultava legalmente inserito nella discendenza davidica, realizzando così le Scritture nelle quali il Messia era profetizzato come “figlio di Davide”. La grandezza di Giuseppe, quindi...

“…risalta ancor più perché la sua missione si è svolta nell'umiltà e nel nascondimento della casa di Nazaret. Del resto, Dio stesso, nella Persona del suo Figlio incarnato, ha scelto questa via e questo stile - l'umiltà e il nascondimento - nella sua esistenza terrena”. (19 marzo 2007)

Il suo silenzio, in così stridente controtendenza con la protervia della comunicazione contemporanea, spiega il Pontefice in un’altra occasione, è “permeato di contemplazione del mistero di Dio, in atteggiamento di totale disponibilità ai voleri divini”:

“In altre parole, il silenzio di San Giuseppe non manifesta un vuoto interiore, ma, al contrario, la pienezza di fede che egli porta nel cuore, e che guida ogni suo pensiero ed ogni sua azione… Lasciamoci ‘contagiare’ dal silenzio di San Giuseppe! Ne abbiamo tanto bisogno, in un mondo spesso troppo rumoroso, che non favorisce il raccoglimento e l'ascolto della voce di Dio”. (18 dicembre 2005)

Ciò che rende San Giuseppe un modello intramontabile sono proprio le sue virtù di integrità, di capacità di lavorare per il bene della famiglia, di un’autorevolezza “posta al servizio dell’amore”, oggi così lontane dalla sensibilità comune e spesso pubblicamente derise e dunque ancor più necessarie da aver fatto esclamare a Benedetto XVI lo scorso 14 maggio: “Quanto ha bisogno il nostro mondo dell’esempio, della guida e della calma forza di uomini come Giuseppe!”:

“Vorrei affidare a lui i giovani che a fatica riescono ad inserirsi nel mondo del lavoro, i disoccupati e coloro che soffrono i disagi dovuti alla diffusa crisi occupazionale. Insieme con Maria, sua Sposa, vegli San Giuseppe su tutti i lavoratori ed ottenga per le famiglie e l'intera umanità serenità e pace.”. (19 marzo 2007)


Da Radio Vaticana

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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L'enciclica "Quamquam pluries"

Leone XIII e il patrono
della Chiesa universale


Nelle celebrazioni a ricordo del bicentenario della nascita di Leone XIII, il direttore del Movimento Giuseppino ha illustrato, a Carpineto Romano, il 19 marzo 2010, solennità di san Giuseppe, l'enciclica Quamquam pluries, espressione della grande fiducia del Pontefice nel Patrono della Chiesa universale.
 

di Tarcisio Stramare

Ricorrendo quest'anno il ii centenario della nascita di Leone XIII, nato a Carpineto Romano il 2 marzo 1810, è certamente quanto mai opportuno ricordare questo grande Pontefice, ben conosciuto e celebrato per i suoi grandi meriti in campo religioso e sociale, ma altrettanto ricordato dal popolo cristiano per la sua profonda spiritualità, dalla quale egli attinse luce e forza per governare la Chiesa. È ben conosciuta la devozione di Leone XIII verso la Madonna, tenendo conto che ben dieci encicliche sono state da lui dedicate al Santo Rosario.

Da questa devozione non va disgiunta, tuttavia, la devozione verso san Giuseppe. Eletto Papa il 22 febbraio 1878, Leone XIII poneva il suo pontificato sotto "la potentissima protezione di san Giuseppe, celeste patrono della Chiesa", e nella Lettera apostolica Militans Iesu Christi Ecclesia affidava a san Giuseppe il Giubileo straordinario da iniziarsi proprio il giorno della sua festa.

Considerata l'importanza delle encicliche, non è senza significato che in esse il Papa invochi san Giuseppe subito dopo l'intercessione di Maria, definendolo "suo purissimo sposo". Così le encicliche Aeterni Patris (1879), Sancta Dei civitas (1880), Diuturnum (1881), Etsi nos (1882), Humanum genus (1884). Anche nell'enciclica Rerum novarum (1891) san Giuseppe è presente come colui che qualifica umanamente Gesù, il quale "benché Dio, ha voluto essere considerato figlio di operaio (Marco 6, 3)".

Lo stesso Pontefice approva la recita dell'Ufficio votivo di san Giuseppe al mercoledì (1883) e stabilisce, inoltre, il 3 marzo 1891, che la festa di san Giuseppe sia di doppio precetto per il Piemonte, la Liguria, la Sardegna e la Lombardia.

La devozione verso san Giuseppe, già  notevole  sotto  il pontificato di Pio ix, conobbe sotto Leone XIII un ulteriore sviluppo, dimostrato dalla nascita e approvazione in quel periodo di numerosi istituti religiosi dedicati al Santo. Segno di questa crescente devozione sono anche le incoronazioni delle immagini di san Giuseppe, avvenute in Francia, Belgio e America, tra le quali è da includere quella della statua di san Giuseppe (30 giugno 1902), a Castello di Caudino d'Arcevia (Macerata), l'unica in Italia. Innumerevole è l'elenco delle confraternite sorte un po' ovunque. Il 24 settembre 1895, con l'enciclica Cum sicut ad Nos il Pontefice concede le indulgenze per la celebrazione del giubileo della festa patronale di san Giuseppe, da celebrare il 15 dicembre.

Egli afferma che "nulla è più gradito, soprattutto in tempi tanto gravi (tam gravibus) per la Chiesa di Dio, che vedere stimolata la pietà dei fedeli verso il celeste suo Patrono e che essa di giorno in giorno ottenga maggior incremento".

Leone XIII ereditava da Pio ix un difficile pontificato, che raccoglieva i frutti delle dannose semine precedenti:  il razionalismo, il naturalismo e l'ateismo partorirono il socialismo, il comunismo e il nichilismo. Nel discorso natalizio ai cardinali lamentava:  "È ora più che mai la guerra sistematicamente rivolta contro tutto ciò che è cattolico. Non vi è istituzione di tal natura cui, all'occasione, non si attenti con disposizioni o legislative o amministrative. Non sono rispettate nemmeno le pie fondazioni destinate a portare in lontani Paesi i benefici della fede; non le fa sicure nemmeno il diritto meglio provato e riconosciuto delle stesse corti di giustizia, che subito una nuova legge viene a rendere vana tale vittoria".

Il 2 marzo 1889 descriveva così il quadro storico del momento:  "Le condizioni generali d'Europa e del mondo sono oltremodo incerte e paurose; e si ripercuotono paurosamente sulla Santa Sede. Priva di una vera sovranità che ne assicuri l'indipendenza, e sottoposta al potere altrui, non può non risentire le incertezze, i pericoli, i danni cui è esposta l'Italia al di dentro e al di fuori. Onde è che ogni agitazione che sorga all'interno e particolarmente a Roma, ogni disastro che la minacci all'estero, fa nascere nei cattolici di tutto il mondo apprensioni, ansietà e timori per la sorte del loro Capo... L'esercizio del ministero episcopale dei nuovi pastori che noi nominiamo soffre indugi ed impedimenti per il così detto Exequatur, che per sistema si differisce sempre di molti mesi...".

Giustificato, dunque, il ricorso a san Giuseppe, già dichiarato patrono della Chiesa universale dal suo predecessore Pio ix, nel 1870, perché, "a quel modo ch'egli un tempo soleva tutelare santamente in ogni evento la famiglia di Nazaret, così ora col suo celeste patrocinio la Chiesa di Cristo copra e difenda".

Poiché col passare del tempo le ostilità contro la Chiesa si erano aggravate sempre più, diventando "i mali maggiori di ogni umano rimedio", il Pontefice decide di incitare il popolo cristiano a una prolungata preghiera, a cominciare dal prossimo mese di ottobre, "da Noi già consacrato alla Vergine del Rosario", nella certezza di "poter trovare nella materna bontà della Vergine un rifugio a tutti i nostri mali". È proprio in questo contesto mariano che Leone XIII inserisce il suo ricorso a san Giuseppe e "a trattare pubblicamente questo tema per la prima volta":  "Poiché è molto importante che il suo culto penetri profondamente nelle istituzioni cattoliche e nei costumi, vogliamo che il popolo cristiano riceva dalla nostra stessa voce e autorità tutto l'incentivo possibile".
 
La devozione mariana si estende così naturalmente a quella giuseppina, nella convinzione che essa non solo non soffrirà detrimento, ma che anzi esistono "buoni motivi per credere che ciò risulterà particolarmente gradito alla stessa Vergine Santa". A questo punto, poiché "la Chiesa si attende moltissimo dalla speciale protezione di san Giuseppe", l'enciclica considera "le ragioni per cui san Giuseppe dev'essere ritenuto Patrono della Chiesa" e le indica "soprattutto nel fatto che egli è Sposo di Maria e Padre putativo di Gesù Cristo".

Ammesso che "la dignità della Madre di Dio è così alta, che non ce ne può essere una maggiore", ne segue che anche san Giuseppe "è partecipe dell'eccelsa dignità di cui Dio l'ha ornata", perché "tra la beatissima Vergine Madre di Dio e san Giuseppe esiste un vero vincolo matrimoniale" e "il matrimonio di fatto costituisce per se stesso la forma più nobile di società e di amicizia e porta con sé la comunione dei beni". Il concatenamento logico è solido e si estende a tutte le conseguenze che ne derivano per san Giuseppe riguardo alla "grandezza, grazia, santità e gloria", tanto più se si tiene conto che egli "grandeggia unico fra tutti per la sua augustissima dignità (augustissima dignitate unus eminet inter omnes), perché, per volere divino, fu custode di Dio (custos Dei fuit) e, nell'opinione di tutti, padre (pater)".

Siamo qui al secondo motivo della grandezza di san Giuseppe, la relazione paterna verso Gesù, alla quale il matrimonio con Maria era appunto destinato. Passando a considerare la santità di san Giuseppe nell'adempimento dei suoi doveri, ecco che nei riguardi di Maria egli fu "testimone della sua verginità e tutore della sua onestà". Nei riguardi della Santa Famiglia, della quale "fu custode legittimo e naturale difensore", "fu lui a tutelare con sommo amore e ansie continue la sua sposa e il Figlio divino; fu lui che provvide al loro sostentamento con il suo lavoro; lui, che allontanò da loro i pericoli, li portò in salvo fuori di patria, e nei disagi dei viaggi e nelle difficoltà dell'esilio fu loro compagno inseparabile, loro aiuto e conforto".

Ma la missione di san Giuseppe non si esaurisce con la sua vita terrena, perché la sua "autorità di padre", si estende per volere di Dio a tutta la Chiesa.

Il matrimonio di Giuseppe con Maria e la sua paternità nei riguardi di Gesù non sono, dunque, solo i titoli della sua grandezza, grazia, santità e gloria, ma sono anche la ragione perché "ricopra ora e difenda con il suo patrocinio celeste la Chiesa di Dio".

Dopo aver ulteriormente illustrato la grandezza e la gloria del "Custode della Santa Famiglia" con la figura e l'opera dell'antico patriarca Giuseppe, il Sommo Pontefice indugia, infine, nell'esortare tutti i cristiani "di qualsiasi condizione e stato" ad affidarsi e abbandonarsi all'amorosa protezione di san Giuseppe:  i padri di famiglia, i coniugi, i consacrati a Dio, i nobili, i ricchi, i poveri e gli operai".

Con l'enciclica Quamquam pluries, Leone XIII è stato il primo Papa a tracciare le linee di una teologia di san Giuseppe, definendone chiaramente i titoli che lo inseriscono nella storia della salvezza, ossia della redenzione umana, sia a livello dell'incarnazione, come sposo di Maria e padre di Gesù, sia a livello della vita della Chiesa, della quale è il naturale protettore.

A significare l'importanza dottrinale di questa enciclica leonina e della sua indiscussa validità, nel primo Centenario della sua pubblicazione, il 15 agosto 1989, Giovanni Paolo II non solo ha scritto un'Esortazione apostolica, denominata Redemptoris Custos, ma ha voluto inserirla proprio nel cuore del suo magistero caratteristico, ossia la Redenzione. Ciò significa che la figura e la missione di san Giuseppe fanno parte integrante della storia della salvezza, in stretta unione con il mistero dell'incarnazione (Gesù e Maria) e della redenzione (la Chiesa).


(©L'Osservatore Romano - 28 marzo 2010 )
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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19/12/2010 15:26
 
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 19.12.2010

Alle ore 12 di oggi, IV domenica di Avvento, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.

Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

                                              Pope Benedict XVI waves to the crowd gathered below in Saint Peter's square during his Sunday Angelus blessing at the Vatican December 19, 2010.
PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

In questa quarta domenica di Avvento il Vangelo di san Matteo narra come avvenne la nascita di Gesù ponendosi dal punto di vista di san Giuseppe.
Egli era il promesso sposo di Maria, la quale, "prima che andassero a vivere insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo" (Mt 1,18).

Il Figlio di Dio, realizzando un’antica profezia (cfr Is 7,14), diventa uomo nel grembo di una vergine, e tale mistero manifesta insieme l’amore, la sapienza e la potenza di Dio in favore dell’umanità ferita dal peccato. San Giuseppe viene presentato come "uomo giusto" (Mt 1,19), fedele alla legge di Dio, disponibile a compiere la sua volontà.

Per questo entra nel mistero dell’Incarnazione dopo che un angelo del Signore, apparsogli in sogno, gli annuncia: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,20-21). Abbandonato il pensiero di ripudiare in segreto Maria, egli la prende con sé, perché ora i suoi occhi vedono in lei l’opera di Dio.

Sant’Ambrogio commenta che "in Giuseppe ci fu l’amabilità e la figura del giusto, per rendere più degna la sua qualità di testimone" (Exp. Ev. sec. Lucam II, 5: CCL 14,32-33). Egli – prosegue Ambrogio – "non avrebbe potuto contaminare il tempio dello Spirito Santo, la Madre del Signore, il grembo fecondato dal mistero" (ibid., II, 6: CCL 14,33).

Pur avendo provato turbamento, Giuseppe agisce "come gli aveva ordinato l’angelo del Signore", certo di compiere la cosa giusta. Anche mettendo il nome di "Gesù" a quel Bambino che regge tutto l’universo, egli si colloca nella schiera dei servitori umili e fedeli, simile agli angeli e ai profeti, simile ai martiri e agli apostoli – come cantano antichi inni orientali. San Giuseppe annuncia i prodigi del Signore, testimoniando la verginità di Maria, l’azione gratuita di Dio, e custodendo la vita terrena del Messia. Veneriamo dunque il padre legale di Gesù (cfr CCC, 532), perché in lui si profila l’uomo nuovo, che guarda con fiducia e coraggio al futuro, non segue il proprio progetto, ma si affida totalmente all’infinita misericordia di Colui che avvera le profezie e apre il tempo della salvezza.

Cari amici, a san Giuseppe, patrono universale della Chiesa, desidero affidare tutti i Pastori, esortandoli ad offrire "ai fedeli cristiani e al mondo intero l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo" (
Lettera Indizione Anno Sacerdotale). Possa la nostra vita aderire sempre più alla Persona di Gesù, proprio perché "Colui che è il Verbo assume Egli stesso un corpo, viene da Dio come uomo e attira a sé l’intera esistenza umana, la porta dentro la parola di Dio" (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 383). Invochiamo con fiducia la Vergine Maria, la piena di grazia "adornata di Dio", affinché, nel Natale ormai prossimo, i nostri occhi si aprano e vedano Gesù, e il cuore gioisca in questo mirabile incontro d’amore.

DOPO L’ANGELUS

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti dalle diocesi di Ozieri, Sassari e Nuoro, come pure i ragazzi e i giovani della parrocchia di San Luigi Gonzaga in Roma. A tutti auguro una buona domenica e un sereno Natale nella luce e nella pace del Signore.

                                                  Pope Benedict XVI waves to the crowd gathered below in Saint Peter's square during his Sunday Angelus blessing at the Vatican December 19, 2010.
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08/01/2011 22:00
 
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Solo per amore
   

«L'uomo giusto che vive della fede è simile ad un tralcio di vite carico di grappoli: espande attorno a lui il buon profumo delle sue virtù e l’abbondanza delle sue opere». Così si esprimeva il Curato d’Ars, pensando alle innumerevoli persone sante presenti nella vita della Chiesa, ma questa definizione appare particolarmente adatta a san Giuseppe, uomo di Dio che ha saputo rispondere con generosità all’annuncio dell’Angelo del Signore.

Il silenzioso. Forse sta proprio nel silenzio, nel nascondimento, la sua grandezza, che fa pensare ad un albero nella stagione invernale, apparentemente secco e arido, ma interiormente vivo e attivo nel preparare i frutti dell’estate. Giovanni Paolo II così sottolinea la sua capacità contemplativa: «I Vangeli parlano esclusivamente di ciò che Giuseppe "fece"; tuttavia consentono di scoprire nelle sue azioni, avvolte dal silenzio, un clima di profonda contemplazione».

Ed è proprio dall’assenza di parole che scaturisce una speciale "eloquenza", quella che lo pone in contatto con il suo Signore e che gli permette di agire come gli viene indicato. Certo, si tratta di un ordine che viene dall’Alto, dal Mistero, ma quanto è più grande il suo che si affianca e si intreccia con quello di Maria, la sua sposa promessa!

Il sognatore. Quattro volte Dio gli parla nei sogni e Giuseppe, il sognatore, anche se sconvolto e titubante, non chiede spiegazioni, sa riconoscere le parole che gli giungono dall’Alto, le accoglie e si avvia con determinazione lungo il cammino che da sempre il Signore ha tracciato per lui, forse ancora ignaro di quanto importante sarebbe stata la sua disponibilità nella storia della salvezza. Semplicemente si pone in sintonia con l’Altissimo, che ha guidato il suo popolo verso la Terra promessa; si inserisce nei sogni stessi di Dio, perché ha imparato nella sua vita di ebreo pio a non temere le cose grandi, che possono accadere anche ai piccoli. Sognare da soli può rivelarsi pura illusione, ma sognare in compagnia del Signore può essere l’inizio di una straordinaria realtà.

Il padre. «Egli fu scelto dall’eterno Padre come fedele nutrizio e custode dei suoi principali tesori, il Figlio suo e la sua sposa, e assolse questo incarico con la più grande assiduità». È san Bernardino da Siena ad indicare la particolare elezione di Giuseppe, aggiungendo che certamente Dio gli ha concesso tutti i carismi necessari per il suo compito. È indubbia la presenza divina in lui, ma questa forza interiore non limita la grandezza di un uomo che ha saputo superare le paure, diventando vero padre di Gesù, anche se non ne è genitore. In fondo Giuseppe ha scelto l’amore invece della generazione, compiendo così le promesse antiche.

Il giusto. Giuseppe è un giovane dal cuore puro e dall’amore grande, ma è anche un uomo coraggioso che rischia di essere pubblicamente umiliato; eppure prende le decisioni che ritiene giuste, nonostante tutto; pur non comprendendo, si affida con slancio al Mistero. In lui, la coscienza di ebreo osservante della legge si scontra con la giustizia più profonda, quella della bontà comprensiva, della fede matura, della carità vera. Nella sua storia si confermano le parole di Simone Weil: «La vita del credente è comprensibile solo se in lui c’è qualcosa di incomprensibile».

Madì Drello


http://www.stpauls.it/madre/1003md/1003md01.htm

 

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19/03/2011 11:47
 
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il patrono della Chiesa come modello per affrontare le turbolenze del mondo

Attualità di san Giuseppe


di TARCISIO STRAMARE

"È certo che la figura di Giuseppe acquista una rinnovata attualità per la Chiesa del nostro tempo, in relazione al nuovo Millennio cristiano". Così afferma Giovanni Paolo II nell'Esortazione apostolica Redemptoris custos, dove richiama la Christifideles laici nel contesto storico del decreto Quemadmodum Deus (1870) con il quale Pio IX "metteva se stesso e tutti i fedeli sotto il potentissimo patrocinio del santo Patriarca Giuseppe".

Giovanni Paolo II riteneva che la situazione della Chiesa e della società non fosse meno grave al presente che "in quei tristissimi tempi": "Questo patrocinio deve essere invocato ed è necessario tuttora alla Chiesa non soltanto contro gli insorgenti pericoli, ma anche e soprattutto a conforto del suo rinnovato impegno di evangelizzazione del mondo e di rievangelizzazione in quei paesi e Nazioni dove la religione e la vita cristiana (...) sono messi a dura prova" (n. 29). Il Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, istituito da Benedetto XVI il 21 settembre 2010, a vent'anni dalla Redemptoris custos, con il motu proprio Ubicumque et semper, si pone nella linea della continuità.

I mezzi di comunicazione sociale ci informano quotidianamente sulle gravi turbolenze che scuotono l'umanità e sulle sofferenze della Chiesa, che ne compromettono lo sviluppo, dimostrando che ancora oggi abbiamo numerosi motivi per pregare san Giuseppe. La rinnovata attualità del santo si estende dall'intervento di difesa verso l'esterno all'opera interna di rinvigorimento.
Tutta la Redemptoris custos è focalizzata sull'economia della salvezza, della quale san Giuseppe è stato, insieme con Maria, singolare "ministro". Così lo ha presentato la predicazione apostolica, testimoniata nei vangeli là dove essi descrivono "gli inizi della redenzione", ossia "i misteri della vita nascosta di Gesù", gli stessi misteri che la Chiesa rivive nel ciclo annuale della sua celebrazione liturgica. Di essi Giuseppe è stato ministro fedele "mediante l'esercizio della sua paternità" (n. 8).

Che di san Giuseppe si intenda evidenziare soprattutto il ministero, appare già nel titolo dell'esortazione apostolica. Custos, infatti, non vuole metterne in ombra la paternità, della quale anzi il documento difende espressamente l'autenticità, quanto piuttosto sottolinearne la funzione, che è quella del servizio, come d'altronde deve essere per ogni paternità. Già questo è un chiaro ammonimento per quei genitori che oggi si arrogano il diritto di spadroneggiare sulla vita dei figli come se fossero un loro prodotto. La vita dell'uomo è nelle mani di Dio, al quale il titolo di Padre appartiene in assoluto (cfr. Matteo, 23, 9).

Di questa paternità divina san Giuseppe è stato colui che ha esperimentato in modo singolare la ministerialità: escluso dalla generazione a motivo dell'origine divina del Figlio, egli ha assunto, tuttavia, gli impegni più onerosi della paternità, ossia l'accoglienza e l'educazione della prole, elementi che rientrano, insieme alla generazione, nella natura della paternità umana, come insegna san Tommaso. Già Origene scriveva: "Benché niente nella sua generazione, Giuseppe gli ha dedicato il servizio e l'amore. È per questo suo fedele servizio, che la Scrittura gli ha concesso il nome di "padre"".

Giovanni Paolo II considera la paternità di san Giuseppe appunto come un servizio, del quale la debolezza dell'umanità di Gesù aveva bisogno soprattutto nel periodo della sua vita nascosta - "custode del Redentore" e "ministro della salvezza". Ebbene, questo profilo del santo è lo stesso che deve qualificare e definire la Chiesa. Di fronte all'odierna diffusa crisi di "identità", che non ha risparmiato neppure lei, è proprio "il riconsiderare la partecipazione dello sposo di Maria al riguardo che consentirà alla Chiesa di ritrovare continuamente la propria identità" (n. 1).

Se già la qualifica di custode è significativa per designare la funzione della paternità umana, tanto più lo è se questa ha come termine non un semplice uomo ma il redentore. La figura e il ruolo di san Giuseppe, infatti, avrebbero potuto essere esaltati con il titolo di "Padre del Verbo" o "Padre di Dio", espressioni già presenti nella liturgia, ovvero con l'espressione più familiare e largamente diffusa dell'inno latino Salve, pater Salvatoris; salve, custos Redemptoris. Perché allora non scegliere proprio nell'abbinamento di questi due titoli quello di Pater Salvatoris, che sarebbe stato più elogiativo? Evidentemente perché "custode" si adattava meglio al tenore del documento pontificio, che intende presentare san Giuseppe come "ministro della salvezza".

La domanda, allora, è un'altra: perché Giovanni Paolo II ha voluto presentare san Giuseppe come "ministro della salvezza", pur esaltandone e valorizzandone la paternità? La risposta va cercata nella scelta fondamentale del suo magistero, che è il tema della redenzione. Poiché la redenzione dell'umanità è la dimostrazione dell'amore di Dio per la "sua immagine" (Genesi, 1, 27), assunta dallo stesso suo Figlio nell'incarnazione, tutti devono parteciparvi. Il Papa rivolge la sua esortazione alla Chiesa tutta, ricordandole quale sia la sua identità e proponendole un modello concreto, san Giuseppe, appunto.

L'affermazione di Giovanni Paolo II, secondo cui deve "crescere in tutti la devozione al Patrono della Chiesa universale", è finalizzata all'accrescimento dell'"amore al Redentore, che egli esemplarmente servì". Proprio questo "servì" è il profilo della figura di san Giuseppe, sempre presentato nei vangeli come attento e fedele esecutore degli ordini di Dio trasmessigli da un angelo nel sonno. San Tommaso traccia questo profilo con due parole: "ministro e custode". Si comprende allora perché all'invocazione del patrocinio, la Chiesa debba associare coerentemente la necessità di imitare il suo patrono, "un esempio che supera i singoli stati di vita e si propone all'intera comunità cristiana, quali che siano in essa la condizione e i compiti di ciascun fedele".
 

Taciturno ed eloquente maestro d'amore



di PIER GIORDANO CABRA

Quando penso a Giuseppe, resto stupito dalla grandezza del suo cuore. Un cuore normale, ma dilatato all'infinito, nel momento in cui, accanto ai suoi desideri, ha fatto spazio al desiderio infinito del suo Creatore.

Giuseppe è uomo giusto perché vede in modo giusto la realtà. Per Giuseppe è giusto che Colui che lo ha fatto gli possa dire quello che debba fare. È giusto che colui che ha intessute tutte le fibre del suo cuore, gli dica come debba amare, in che cosa consiste l'amore.
E Dio ha fatto di lui un maestro eloquente dell'arte di amare. Eloquente, perché, lui taciturno, ha detto una sola grande decisiva parola che riassume tutto l'amore possibile, in cielo e sulla terra, la dolce e forte parola "Gesù", pronunciandola quando ha imposto quel nome, come gli era stato detto dall'angelo.
Una sola parola e tutta la vita al suo servizio. Una sola parola detta, Gesù, che vuol dire salvatore. E Giuseppe ha salvato quel piccolo salvatore, tanto fragile, dimenticando se stesso, lavorando, fuggendo, proteggendolo.

Una sola Parola, da far crescere nel mondo, ricevendola nella sua casa, curando nel quotidiano la sua crescita silenziosa, oscura, inavvertita. Una sola Parola, che con grande stupore realizzerà la profezia del "Servo del Signore", accolto dalla carissima sposa Maria, dichiaratasi umile serva del Signore. Giuseppe accogliendo Maria e Gesù è il primo "servo dei servi di Dio", un servo e solo un servo, felice d'esserlo perché sa quanto sia sublime il suo compito. Un servo e solo un servo, che rientra nell'ombra quando il suo compito è terminato, silenziosamente come silenziosamente è vissuto.

Un servo che trova la sua gioia e la sua gloria nello svolgere il suo compito di far crescere Gesù nel mondo, restando nel silenzio perché cresca la Parola, nell'oscurità perché cresca la Luce, nell'umile servizio perché l'umile servizio è il sigillo più autentico dell'Amore.

Possa io lasciarmi illuminare dalla tua silenziosa ed eloquente lezione, o Giuseppe, mio maestro nell'arte di amare, in un mondo nel quale urge strappare dal fango dove è stata gettata la grande parola "amore", inflazionata e stravolta, per ripulirla dagli svilimenti e dalle incrostazioni, ridandole tutto il suo splendore divino e il suo fascino umano. Perché, tu Giuseppe, non hai detto "Signore, Signore", ma hai fatto la volontà del Padre che è nei cieli.

Perché alcuni maschi tendono ancora alla fuga

Padri si diventa


GIULIA GALEOTTI

Oggi sembra che si stiano finalmente riscoprendo i padri, mai in realtà troppo relegati ai margini della scena. Romanzi, saggi, film, canzoni e discorsi politici vanno cogliendo il ruolo centrale che anche la paternità - specie nella sua dimensione di "grande vuoto" - svolge nello sviluppo umano. Nel suo libro In difesa dei padri (Castelvecchi 2010), la psicanalista francese Simone Korff-Sausse riferisce che studi recenti hanno scientificamente attestato l'esistenza del padre pre-natale. Il feto ne sente la voce, distinguendola da quella della madre, il che "introduce subito una percezione esterna, e quindi l'inizio della discontinuità e dell'alterità". Tra gli innumerevoli progressi fatti, resta però una domanda: perchè in alcuni uomini persiste ancora una certa ritrosia ad assumere pienamente e consapevolmente il ruolo paterno?

Sulla ricerca del padre è incentrato il racconto autobiografico di Vania Colasanti, Ciao, sono tua figlia. Storia di un padre ritrovato (Marsilio 2011, pagine 110, euro 16), in cui l'autrice narra la sua ricerca del genitore che l'aveva abbandonata a otto mesi, una ricerca che, superando i rancori ed evitando le recriminazioni, l'ha portata ad accettare, per ciò che è, quell'uomo così a lungo immaginato. E lo fa senza dare facili giudizi, ma assumendo comunque un'ottica chiara. Raccontando la necessità di conoscere le proprie origini, Vania Colasanti fa i conti con l'assenza di suo padre, con il primo deludentissimo incontro a sedici anni, con un rapporto poi faticosamente costruito, con il prima e il dopo, con il vuoto e con il pieno. È un incontro che le ha permesso di ritrovare i suoi fratelli, ed è questo, forse, quello che risulta il vero arricchimento nella vita di tutti. L'uomo semina e fugge; la sua prole lotta per ritrovarsi. "Una nuova famiglia, allargata, perché ti abbiamo fatto spazio, perché ti abbiamo fatto entrare".

La realtà, nelle sue poliedriche manifestazioni, incrina la tesi di fondo del volume della Korff-Sausse prima citato: tendiamo infatti a pensare che di una difesa molti padri di oggi non abbiano ancora bisogno. Anche perché, procedendo nella lettura del saggio, si ha la conferma di ciò che subito si intuisce, e cioè che i malcapitati dovrebbero essere difesi da terribili arpie, le madri dei propri figli. Il passaggio sui padri dei bimbi malati o disabili, poi, è inaccettabile: i poveri maschi sarebbero assenti perché violentemente cacciati dalle femmine oppressive ed egotiche, quando la realtà ci racconta invece di padri quotidianamente in fuga dalle loro "intollerabili" responsabilità.

Del resto, quando la Korff-Sausse nota che solitamente si parla della buona o cattiva madre, e quasi mai del buono o cattivo padre, viene facile obiettare che, per essere buono o cattivo, il padre deve innanzitutto esserci. E invece, al di là delle leggi e delle mode, spesso molti padri ancora non ci sono. O ci sono episodicamente, superficialmente, nei ritagli di tempo e di spazio. A volte incapaci di fare i padri (per disinteresse, stanchezza o pigrizia), a noi pare invece che ancora oggi alcuni uomini siano i padri-figli alla John Fante, lo scrittore americano (1909-1983) di cui rimane memorabilmente sincera l'esclamazione pronunciata in occasione del funerale paterno.

"Gli amici che s'erano incaricati di portare la bara si facevano ombra sotto un grosso olmo. Il dolore mi prese alla gola come una trota che saltava, e li guardai. Ora che non avevo più il mio, avrei preso uno qualunque di loro perché mi fosse padre. Davvero: qualunque uomo, o magari un cespuglio, un albero, un sasso, purché mi volesse come figlio. Ero anch'io un padre, ma non volevo quel ruolo. Volevo tornare indietro nel tempo, quand'ero piccolo e mio padre girava per casa, forte e rumoroso. (...) Non ci ero tagliato. Ero nato per fare il figlio" (The Brotherhood of the Grape).

E dire che John Fante ci aveva provato quindici anni prima, raccontando nel 1952 la prima gravidanza di sua moglie in Full of life. Solo che piena di vita, era lei, la madre. Fante raccontava scioccato che, mentre Joyce fioriva man mano che la gravidanza procedeva ("i suoi occhi grigi erano incredibilmente luminosi. C'era qualcosa di nuovo che si era aggiunto a quegli occhi. L'assenza della paura"), lui, il futuro padre, si sentiva sempre più disperato, perso e abbandonato. "Quando rimase incinta, non le interessò più leggere le mie cose. Quell'inverno durante il suo quinto mese scrissi un racconto e lei vi rovesciò sopra il caffè - una cosa inaudita, poi lo lesse sbadigliando. Prima del bambino, avrebbe preso il manoscritto, se lo sarebbe portato a letto e vi avrebbe passato ore a potarlo, sistemarlo e a farci delle note in calce. Come una pietra, il bambino si interpose fra di noi. Io ero preoccupato e mi chiedevo se le cose sarebbero mai tornate a essere come prima".
 
La conclusione cui John Fante giungeva era semplice: "La gravidanza di una donna era un brutto momento per un uomo. La procreazione le dava una forza terribile e lei poteva procedere senza di lui". Full of life è un romanzo che gli uomini dovrebbero leggere. Potrebbe essere un modo per fare chiarezza, con un po' di sana e (a tratti) poetica autoironia, sulle paure che evoca in loro la prospettiva della paternità. Perché i maschi un po' più padri sarebbero probabilmente uomini migliori.

Ma è un romanzo che, probabilmente, anche le donne non dovrebbero disdegnare. Rendere gli uomini co-protagonisti della scena della genitorialità è compito anche nostro.


 



(©L'Osservatore Romano 19 marzo 2011)


ATTENZIONE

vi invitiamo a sfogliare anche questi due link:

19 Marzo Festa di San Giuseppe, Sposo Casto di Maria Santissima e Custode della Santa Chiesa

La scala prodigiosa di san Giuseppe.... e la Devozione a san Giuseppe Sposo Casto di Maria






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mentre si abbatte sulle umane genti il flagello della guerra preghiamo San Giuseppe

MOTU PROPRIO DI SUA SANTITA' BENEDETTO XV
 
BONUM SANE
 
CIRCA LA DEVOZIONE A SAN GIUSEPPE,
DA MEZZO SECOLO PATRONO DELLA CHIESA CATTOLICA

Fu buona e salutare cosa per il popolo cristiano che il Nostro Predecessore d’immortale memoria Pio IX decretasse il castissimo Sposo della Vergine Madre di Dio e Custode del Verbo Incarnato, Giuseppe, Patrono della Chiesa Cattolica, e poiché nel prossimo dicembre ricorrerà il cinquantesimo anniversario del fausto avvenimento, riteniamo assai utile che esso venga celebrato in modo solenne da tutto il mondo.

Se Noi diamo uno sguardo a questo periodo, si presenta ai nostri occhi una lunga serie di pie istituzioni le quali attestano che il culto del santissimo Patriarca è venuto via via crescendo fino ad ora presso i fedeli di Cristo. Se poi consideriamo le calamità dalle quali è oggi afflitto il genere umano, appare ancora più necessario che tale culto venga assai accresciuto fra i popoli e maggiormente diffuso ovunque.

Infatti, dopo la tensione tanto grave della guerra, abbiamo indicato nella Nostra recente Enciclica « intorno alla riconciliazione della pace cristiana » che cosa mancasse per ristabilire dovunque la tranquillità dell’ordine, considerando particolarmente le relazioni che intercorrono fra popolo e popolo, e tra individuo e individuo nel campo civile. Ora è necessario considerare un’altra causa di perturbazione, molto più profonda, che si annida proprio nelle intime viscere dell’umana società. Cioè, allora si abbatté sulle umane genti il flagello della guerra, quando esse già erano profondamente infette di naturalismo, quella gran peste del secolo che, dove attecchisce, attenua il desiderio dei beni celesti, spegne la fiamma della divina carità e sottrae l’uomo alla grazia di Cristo che risana ed eleva e — toltogli infine il lume della Fede e lasciategli soltanto le corrotte forze della natura — lo abbandona in balìa delle più sfrenate passioni. Così avvenne che moltissimi si diedero soltanto alla conquista dei beni terreni; e mentre già s’era acuita la contesa tra proletari e padroni, quest’odio di classe si accrebbe ancor più con la durata e l’atrocità della guerra; la quale, se da un lato cagionò alle masse un disagio economico intollerabile, dall’altro fece affluire favolose fortune nella mano di pochissimi.

S’aggiunga, che la santità della fede coniugale e il rispetto della paterna autorità sono stati da molti non poco vulnerati per causa della guerra; sia perché la lontananza di uno dei coniugi ha rallentato nell’altro il vincolo del dovere, sia perché l’assenza di un occhio vigile ha fornito l’occasione alla inconsideratezza, specialmente femminile, di vivere a proprio talento e troppo liberamente. Perciò dobbiamo riscontrare con vero dolore che ora i pubblici costumi sono assai più depravati e corrotti di prima, e che quindi la così detta « questione sociale » si è andata aggravando a tal punto da ingenerare la minaccia di irreparabili rovine. S’è infatti maturato nei voti e nell’aspettazione dei più sediziosi l’avvento di una certa repubblica universale, la quale sia fondata sulla uguaglianza assoluta degli uomini e sulla comunione dei beni, e nella quale non vi sia più distinzione alcuna di nazionalità, non si riconosca l’autorità del padre sui figli, né del potere pubblico sui cittadini, né di Dio sugli uomini riuniti in civile consorzio. Cose tutte che, se fossero attuate, darebbero luogo a tremende convulsioni sociali, come quella che ora sta desolando una non piccola parte d’Europa. E appunto per creare anche tra gli altri popoli una simile condizione di cose, noi vediamo che le plebi sono eccitate dal furore e dall’impudenza di pochi, e qua e là si verificano ripetutamente delle sommosse.

Noi pertanto, preoccupati più di tutto dal corso di questi avvenimenti, non abbiamo tralasciato, quando se n’è offerta l’occasione, di ricordare ai figli della Chiesa il loro dovere, come abbiamo fatto recentemente con la lettera indirizzata al Vescovo di Bergamo ed ai Vescovi della regione veneta. Ed ora per lo stesso motivo, per ricordare cioè il dovere agli uomini della nostra parte, quanti essi sono e dovunque, che si guadagnano il pane col lavoro, per conservarli immuni dal contagio del socialismo, il nemico acerrimo dei princìpi cristiani, Noi con grande sollecitudine proponiamo loro in modo particolare San Giuseppe, perché lo seguano come speciale loro guida e lo onorino quale celeste Patrono.

Egli infatti visse una vita simile alla loro, tanto è vero che Gesù Dio, pur essendo l’Unigenito dell’eterno Padre, volle esser chiamato « il Figlio del fabbro ». Ma quella umile e povera sua condizione di quali e quanto eccelse virtù egli seppe adornare! Soprattutto di quelle virtù che dovevano risplendere nello sposo di Maria Immacolata, e nel padre putativo del Signore Gesù. Perciò, alla scuola di Giuseppe, imparino tutti a considerare le cose presenti, che passano, alla luce delle future che durano eterne; e consolando gl’inevitabili disagi della condizione umana con la speranza dei beni celesti, a questi aspirino ubbidendo al divino volere, vivendo sobriamente, secondo i dettami della giustizia e della pietà. Per quanto riguarda specialmente gli operai, Ci piace qui riportare le parole che proclamò in una analoga circostanza il Nostro Predecessore di felice memoria Leone XIII, poiché esse sono tali che a Nostro parere nulla potrebbe essere detto meglio in proposito: « Di fronte a queste considerazioni, i poveri e quanti si guadagnano la vita col lavoro delle mani debbono sollevare l’animo, e rettamente pensare. A coloro ai quali, se è vero che la giustizia consente di potere affrancarsi dalla indigenza e levarsi a migliore condizione, tuttavia né la ragione né la giustizia permettono di sconvolgere l’ordine stabilito dalla provvidenza di Dio. Anzi, il trascendere alla violenza e compiere aggressioni in genere e tumulti è un folle sistema che spesso aggrava gli stessi mali che si vorrebbero alleggerire. Quindi i proletari, se hanno buon senso, non confidino nelle promesse di gente sediziosa, ma negli esempi e nel patrocinio del beato Giuseppe, e nella materna carità della Chiesa, la quale si prende ogni giorno grande cura del loro stato » (1).

Così, col fiorire della devozione dei fedeli verso San Giuseppe, aumenterà contemporaneamente per conseguenza il loro culto verso la Sacra Famiglia di Nazareth, della quale fu l’augusto Capo, sgorgando spontaneamente le due devozioni l’una dall’altra. Infatti, attraverso Giuseppe noi andiamo direttamente a Maria, e, attraverso Maria, all’origine di ogni santità, Gesù, il quale consacrò le virtù domestiche con la sua obbedienza a Giuseppe e a Maria. Noi quindi desideriamo che le famiglie cristiane si ispirino totalmente a questi meravigliosi esempi di virtù, e si adeguino. In tal modo, poiché la famiglia è il fulcro e la base dell’umano consorzio, rafforzando la società domestica col presidio della santa purezza, della concordia e della fedeltà, con ciò stesso un nuovo vigore e, diremmo quasi, un nuovo sangue circolerà per le vene della società umana, ad opera della virtù di Cristo; e ne seguirà non solo un miglioramento dei costumi privati, ma anche della disciplina della vita comunitaria e civile.

Pertanto, Noi, pieni di fiducia nel patrocinio di colui, alla cui provvida vigilanza Iddio si compiacque di affidare la custodia del suo Incarnato Unigenito e della Vergine Madre di Dio, vivamente esortiamo tutti i Vescovi dell’orbe cattolico affinché, in tempi così burrascosi per la cristianità, inducano i fedeli a implorare con maggiore impegno il valido aiuto di San Giuseppe. E poiché parecchi sono i modi approvati da questa Sede Apostolica con cui si può venerare il Santo Patriarca, specialmente in tutti i mercoledì dell’anno e nell’intero mese a Lui consacrato, Noi vogliamo che, ad istanza di ciascun Vescovo, tutte queste devozioni, per quanto si può, siano in ogni diocesi praticate. Ma in modo particolare, poiché Egli è meritamente ritenuto come il più efficace protettore dei moribondi, essendo spirato con l’assistenza di Gesù e di Maria, sarà cura dei sacri Pastori di inculcare e favorire con tutto il prestigio della loro autorità quei pii sodalizi che sono stati istituiti per supplicare Giuseppe a favore dei moribondi, come quelli « della Buona Morte », del «Transito di San Giuseppe » e « per gli Agonizzanti ».

Per commemorare poi il suddetto Decreto Pontificio, ordiniamo e ingiungiamo che entro un anno, a cominciare dall’8 dicembre p.v., in tutto il mondo cattolico si celebri, in onore di San Giuseppe, Sposo della Beata Maria Vergine, Patrono della Chiesa Cattolica, una solenne funzione, come e quando crederà opportuno ciascun Vescovo: ed a tutti quelli che vi assisteranno, Noi concediamo fin d’ora, alle consuete condizioni, l’Indulgenza Plenaria.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 luglio, festa di San Giacomo Apostolo, 1920, nell’anno sesto del Nostro Pontificato.



BENEDICTUS PP. XV



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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18/06/2013 16:31
 
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Attenzione:

san Giuseppe entra nelle preghiere eucaristiche 

In questi tempi di grave crisi della Chiesa Cattolica, talvolta siamo portati ad un certo scoraggiamento. Nostro Signore, però, non abbandona né la Chiesa né noi e la notizia di oggi ci riempie i cuori di gioia.

Infatti, tramite il decreto Paternas vices (prot. N. 215/11/L) della Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti – a firma del card. Prefetto, Antonio Canizares Llovera e datato 1° maggio 2013 – il Sommo Pontefice Francesco – portando a termine un percorso iniziato già sotto il venerato predecessore Benedetto XVI – ha ordinato che il nome di san Giuseppe dovrà comparire nella III edizione tipica del Messale Romano (quella che è in vigore nell’originale latino dal 2002 e che è in corso di traduzione in italiano) non solo nella Preghiera Eucaristica I (Canone Romano)(questo succede già dal 1962, dopo il provvedimento del beato Giovanni XXIII), ma anche nella II, III e IV.

La seconda preghiera apparirà così: “et cum beata Dei Genetrice Virgine Maria, beato Ioseph, eius Sponso, beatis Apostolis”.
La terza così: “cum beatissima Virgine, Dei Genetrice, Maria, cum beato Ioseph, eius Sponso, cum beatis Apostolis”.
La quarta così: “cum Beata Virgine, Dei Genetrice, Maria, cum beato Ioseph, eius Sponso, cum Apostolis”.


Attendendo la traduzione ufficiale in italiano che probabilmente verrà fornita dalla Congregazione medesima, provvediamo a fornire una nostra modesta traduzione non ufficiale.

Per la seconda preghiera eucaristica: “insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con San Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli”.
Per la terza: “con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con i tuoi santi apostoli”.
Per la quarta: “con la beata Maria Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli”.

Dunque, tra qualche tempo in tutte le chiese – sperando ovviamente che alcuni reverendi sacerdoti non facciano di testa loro, disattendendo le indicazioni di Roma, magari in nome dell’ “ecumenismo” o di una “fede adulta” – dell’orbe cattolico risuonerà, nel momento più alto di tutta la celebrazione, il carissimo nome di san Giuseppe, padre putativo di Nostro Signore Gesù Cristo, patrono della Chiesa universale, terrore dei demoni, conforto dei moribondi.

Già sin d’ora il beatissimo sposo della santissima Vergine si degni di intercedere per tutta la Chiesa universale – ma crediamo non abbia mai smesso di farlo, in questi anni – affinché copiose grazie discendano su tutto il Corpo mistico del Signore Nostro Gesù Cristo.
Interceda pure il beato Giovanni XXIII, che supponiamo dal cielo si stia rallegrando di questo provvedimento del suo successore.
E, concludendo, un ringraziamento dal profondo del cuore per questo provvedimento al regnante Pontefice Francesco e pure al Papa emerito Benedetto XVI.

Via: http://wdtprs.com/blog/2013/06/action-item-st-josephs-name-now-in-eucharistic-prayers-ii-iii-iv/

sanGiuseppe






San Giuseppe? Che ci aiuti
a seguire i suoi passi


    di Antonio, cardinale,Cañizares Llovera

    È stato reso pubblico il decreto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti in virtù del quale il nome di san Giuseppe viene aggiunto nelle preghiere eucaristiche ii, iii e iv, apposto dopo quello di Maria, Vergine e Madre di Dio. Già dal pontificato di Giovanni XXIII il suo nome era stato aggiunto nella prima preghiera, il cosiddetto "Canone romano". Ci rallegriamo di questa scelta che in tanti aspettavamo.

    San Giuseppe, è senza alcun dubbio una figura vicina e cara al cuore del popolo di Dio, una figura che invita a cantare incessantemente la misericordia del Padre, perché il Signore ha compiuto in lui grandi opere e ha mostrato la sua infinita misericordia verso gli uomini. Non possiamo dimenticare che la figura di san Giuseppe, pur restando alquanto nascosta e nel silenzio, riveste un'importanza fondamentale nella storia della salvezza. A lui Dio affidò la custodia dei suoi tesori più preziosi: il suo Figlio unigenito, fattosi carne, e la sua Madre santa, sempre Vergine. A lui obbedì Gesù Cristo, autore della nostra salvezza; in lui abbiamo il grande intercessore presso il Figlio di Dio, nostro redentore, che nacque dalla Vergine Maria, sua sposa; in lui abbiamo l'esempio dell'uomo fedele e credente e del servo prudente.

    Sono pochissime le allusioni a san Giuseppe nei Vangeli, e solo in Matteo e in Luca; tuttavia, con grande sobrietà, ci offrono i tratti che delineano questa singolare figura, nella quale Dio ha trovato una docilità totale per portare a termine le sue promesse. Giuseppe, sposato con Maria, era della casa di Davide. Così unì Gesù alla discendenza davidica, di modo che, compiendo le promesse fatte sul Messia, il Figlio della Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo, potesse veramente chiamarsi "figlio di Davide". Davide non vedrà il suo successore promesso, "il cui trono durerà per sempre", perché questo successore annunciato, velatamente nella profezia di Natan, è Gesù.

    Davide confida in Dio. Allo stesso modo, Giuseppe confida in Dio quando ascolta il messaggero, l'angelo, che gli dice: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo". E Giuseppe "fece come gli aveva ordinato l'angelo".
    Matteo dice che Giuseppe, "poiché era un uomo giusto", obbedì al mandato. Dire che era giusto significa dire tutto di Giuseppe; non significa solo che era un uomo buono e comprensivo; vuole indicare anche e semplicemente il vigore e la solidità di tutta la sua persona che si caratterizzano nella sua identità più profonda, fino a definirlo per il suo vivere della fede, come "il giusto vive della fede", il suo confidare pienamente nel Signore, e quindi il suo essere interamente benedetto da Dio, come l'albero che cresce accanto alle acque del fiume. Il giusto è colui che cammina nella legge del Signore e ascolta le sue richieste, colui che vive nella totale comunione con il volere divino e realizza la sua verità, colui che resta fermo nell'incrollabile fedeltà di Dio, e prende parte alla sua consistenza, che è quella di Dio stesso.

    Per l'uomo giusto, come viene ritenuto e giudicato Giuseppe, giunge il momento della prova, una dura prova per la sua fede e per la sua fedeltà. Promesso di Maria, prima di andare a vivere con lei scopre la sua misteriosa maternità e ne resta turbato. L'evangelista Matteo sottolinea proprio che, essendo giusto, non voleva ripudiarla e decise quindi di licenziarla in segreto. Ma, di notte, in sogno, l'angelo gli fece capire che era opera dello Spirito Santo; e Giuseppe, fidandosi di Dio, e rinunciando a se stesso e al suo giudizio, al suo modo di vedere le cose e al suo progetto, accetta e collabora con il piano di salvezza: lascia che Dio sia Dio, senza imporgli alcuno stampo o criterio umano preesistente, prestabilito dall'uomo.

    Certo l'intervento divino nella sua vita non poteva non turbarne il cuore, sommerso nell'oscurità della notte, e della mancanza di luce in quel momento. Confidare in Dio non significa infatti vedere tutto chiaro secondo i nostri criteri, non significa realizzare ciò che abbiamo programmato; confidare in Dio vuol dire espropriare se stessi, ossia svuotarsi di se stessi, rinunciare a se stessi, perché solo chi accetta di perdersi per Dio può essere "giusto", con la giustizia o la verità di Dio, come san Giuseppe; ovvero può conformare la propria volontà e il proprio volere a Dio, al suo disegno, e così vivere e camminare nella verità e nella luce. Nella storia Giuseppe è l'uomo che ha dato la più grande prova di fedeltà e di fiducia a Dio, persino dinanzi a un annuncio così sorprendente. In lui vediamo la fede del nostro padre Abramo, padre dei credenti.

In Giuseppe troviamo un autentico erede della stessa fede di Abramo; fede in Dio che guida gli eventi della storia secondo il suo misterioso disegno salvifico. In realtà, come dice la Lettera agli Ebrei parlando di Abramo, anche Giuseppe "credette contro ogni speranza". Ebbe totale fiducia in Dio. La sua fede è come quella della sua sposa Maria, che dice: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto". In questa fede, e proprio grazie a essa, vediamo quanto Giuseppe sia unito alla sua sposa per compiere la volontà di Dio, per fare quello che Dio vuole, per ascoltare e obbedire alla Parola di Dio, a ciò che Dio ordina, e realizzare così il disegno divino: beato "perché ha ascoltato la parola di Dio", l'ha accolta, le ha obbedito, senza nessuna certezza umana, fidandosi solamente di quello che il messaggero gli ha trasmesso. Come lo stesso Gesù, fattosi uomo nel grembo di Maria, per opera dello Spirito Santo: "un corpo mi hai preparato (...). Ecco io vengo (...). Per fare, o Dio, la tua volontà".


    Questa grandezza di Giuseppe, che è la grandezza della fede, come quella di Maria, emerge ancora di più perché ha compiuto la sua missione in modo umile e nascosto nella casa di Nazareth. Del resto, Dio stesso, nella persona del suo Figlio incarnato, ha scelto questo cammino e questo stile - quelli dell'umiltà e del nascondimento - nella sua esistenza terrena. Giuseppe, come lo descriveva il beato Giovanni Paolo ii, è l'uomo del silenzio, del "silenzio di Nazareth". È lo stile che lo caratterizza in tutta la sua esistenza: come nella notte in cui è nato Gesù, come quando ascolta l'anziano Simeone, o quando Gesù viene ritrovato nel tempio e ricorda ai sui genitori che deve occuparsi delle cose del Padre suo, perché solo Dio è nostro Padre e "ogni paternità viene da Dio".

    Possiamo considerare san Giuseppe benedetto e beato, perché fu il primo a cui venne confidato direttamente il mistero dell'incarnazione, il compimento delle promesse di Dio, del Dio con noi, l'Emmanuele. E come Maria, mantenne questo segreto nascosto ai secoli e rivelato nella pienezza dei tempi. Lo serbò nel cuore e lo custodì; perché il "segreto" era il Figlio di Maria, al quale avrebbe dato il nome di Gesù, il "Salvatore" di tutti gli uomini, messia e Signore.

    A Giuseppe il Padre celeste affidò la cura quotidiana di suo figlio, sulla terra, una cura realizzata nell'ubbidienza, nell'umiltà e nel silenzio. A lui spettarono l'onore e la gloria di allevare Gesù, ossia di nutrirlo e d'istruirlo, di guidarlo lungo i cammini della vita perché imparasse a essere uomo, perché imparasse a lavorare come uomo, ad amare come uomo con cuore di uomo, perché s'inserisse in una storia e in una tradizione concreta, quella del Popolo di Dio eletto e amato, per educarlo come uomo e per educarlo anche nella preghiera di quel popolo a pregare come uomo.

    Quanto è meraviglioso il fatto che il Figlio di Dio si sia sottomesso così a Giuseppe e abbia imparato a obbedire e a camminare nella vita dell'uomo accanto a Giuseppe! Come riflette bene tutto ciò quel meraviglioso dipinto di El Greco, esposto nella sacrestia della cattedrale di Toledo, a detta degli esperti uno dei quadri più belli del pittore, toledano di adozione: Gesù, bambino, pieno di gioia guidato da Giuseppe, che l'osserva attentamente con uno sguardo di tenerezza e di fede incomparabili, che cammina con lui, che lo tiene con la mano, con lo sguardo rivolto a Gesù e all'orizzonte, o meglio al cielo, ripercorrendo il cammino della propria vita.

    Come non rendere grazie a Dio per questa meraviglia che Egli ha compiuto tra gli uomini: Giuseppe, il giusto, sposo della Vergine Maria, il falegname di Nazareth, del quale Gesù era ritenuto il figlio, per disprezzarlo per la sua umile condizione, ma così grande agli occhi di Dio da affidargli la custodia di suo Figlio e di sua Madre, Dio che continua oggi ad affidargli la protezione e il sostegno della Chiesa, di cui Maria è immagine e madre?

    Come non fare menzione del suo nome, accanto a quello della sua sposa, la Vergine Madre di Dio, Maria, nelle preghiere eucaristiche, se occupa un posto così importante nella storia della salvezza, nella pienezza di questa storia, nell'opera redentrice di Gesù, il Salvatore, nato da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo? Come non tenerlo presente ogni volta che celebriamo il memoriale del mistero pasquale, nell'Eucaristia, che fa la Chiesa, essendo così legato a ciò che è la Chiesa, e la custodisce, come suo protettore universale?

Che questo inserimento del nome di san Giuseppe ci aiuti tutti a seguire i suoi passi, la sua fede, la sua fedeltà e la sua prontezza nel compimento silenzioso della missione che la Chiesa affida a ognuno di noi, per servire Gesù, nel quale è la salvezza del mondo intero, e servirlo come lui, suo grande servo e servitore, lo ha servito: con tutto il suo essere, con tutto il suo cuore.




(L'Osservatore Romano 20 giugno 2013)


    IL DRECRETO UFFICIALE:

Lo scorso 1° maggio la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha emesso un Decreto con il quale ha disposto che, come già avviene nel Canone Romano, anche nelle Preghiere eucaristiche II, III e IV della terza edizione tipica del Messale Romano, dopo la Beata Vergine Maria, si faccia menzione del nome di San Giuseppe, Suo Sposo.

 Pubblichiamo di seguito il testo del Decreto in lingua latina e nelle varie traduzioni, nonché le formule che spettano al nome di San Giuseppe nelle suddette Preghiere eucaristiche, in latino e nelle traduzioni nelle lingue occidentali di maggiore diffusione:
•TESTO DEL DECRETO IN LINGUA LATINA


 DECRETUM

Paternas vices erga Iesum exercens, in oeconomia salutis super Familiam Domini constitutus munus gratiae Sanctus Ioseph Nazarenus luculenter adimplevit et, humanae salutis mysteriorum primordiis summopere adhaerens, benignae humilitatis est exemplar, quam christiana fides sublimes ad fines provehit, et documentum communium humanarum simpliciumque virtutum, quae necesse sunt, ut homines boni sint verique Christi sectatores. Per eas vir Iustus ille, amantissimam gerens Dei Genetricis curam laetantique studio Iesu Christi sese institutioni devovens, pretiosissimorum Dei Patris thesaurorum custos factus est et tamquam mystici illius corporis, quae est Ecclesia, subsidium assiduo populi Dei cultu per saecula prosecutus est.

In Catholica Ecclesia christifideles iugem erga Sanctum Ioseph praebere consueverunt devotionem ac sollemnioribus ritibus assiduoque cultu castissimi Deiparae Sponsi memoriam adhuc utpote caelestis universae Ecclesiae Patroni adeo percoluerunt, ut iam Beatus Ioannes Pp. XXIII tempore Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani Secundi nomen eius vetustissimo Canoni Romano addi decerneret. Quae honestissima placita pluribus ex locis perscripta Summus Pontifex Benedictus XVI persolvenda suscepit atque benigne approbavit ac Summus Pontifex Franciscus nuperrime confirmavit, prae oculis habentes plenam illam communionem Sanctorum, qui iam nobiscum viatores in mundo ad Christum nos adducunt eique coniungunt.

Exinde, attentis expositis, haec Congregatio de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, vigore facultatum a Summo Pontifice Francisco tributarum, perlibenter decrevit, ut nomen Sancti Ioseph Beatae Mariae Virginis Sponsi Precibus eucharisticis II, III et IV, quae in editione typica tertia Missalis Romani sunt, posthac adiciatur, post nomen Beatae Virginis Mariae additis verbis, uti sequitur: in Prece eucharistica II: « ut cum beáta Dei Genetríce Vírgine María, beáto Ioseph, eius Sponso, beátis Apóstolis »; in Prece eucharistica III: « cum beatíssima Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum beátis Apóstolis »; in Prece eucharistica IV: « cum beáta Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum Apóstolis ».

Circa textus lingua latina exaratos, adhibeantur hae formulae, quae nunc typicae declarantur. De translationibus in linguas populares occidentales maioris diffusionis ipsa Congregatio mox providebit; illae vero in aliis linguis apparandae ad normam iuris a Conferentia Episcoporum conficiantur, Apostolicae Sedi per hoc Dicasterium recognoscendae.

Contrariis quibuslibet minime obstantibus.

Ex aedibus Congregationis de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, die 1 mensis Maii anno 2013, sancti Ioseph opificis.

Antonius Card. Cañizares Llovera
 Praefectus

 + Arturus Roche
 Archiepiscopus a Secretis


TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA


 DECRETO

Mediante la cura paterna di Gesù, San Giuseppe di Nazareth, posto a capo della Famiglia del Signore, adempì copiosamente la missione ricevuta dalla grazia nell’economia della salvezza e, aderendo pienamente agli inizi dei misteri dell’umana salvezza, è divenuto modello esemplare di quella generosa umiltà che il cristianesimo solleva a grandi destini e testimone di quelle virtù comuni, umane e semplici, necessarie perché gli uomini siano onesti e autentici seguaci di Cristo. Per mezzo di esse quel Giusto, che si è preso amorevole cura della Madre di Dio e si è dedicato con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, è divenuto il custode dei più preziosi tesori di Dio Padre ed è stato incessantemente venerato nei secoli dal popolo di Dio quale sostegno di quel corpo mistico che è la Chiesa.

Nella Chiesa cattolica i fedeli hanno sempre manifestato ininterrotta devozione per San Giuseppe e ne hanno onorato solennemente e costantemente la memoria di Sposo castissimo della Madre di Dio e Patrono celeste di tutta la Chiesa, al punto che già il Beato Giovanni XXIII, durante il Sacrosanto Concilio Ecumenico Vaticano II, decretò che ne fosse aggiunto il nome nell’antichissimo Canone Romano. Il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha voluto accogliere e benevolmente approvare i devotissimi auspici giunti per iscritto da molteplici luoghi, che ora il Sommo Pontefice Francesco ha confermato, considerando la pienezza della comunione dei Santi che, un tempo pellegrini insieme a noi nel mondo, ci conducono a Cristo e a lui ci uniscono.

Pertanto, tenuto conto di ciò, questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, in virtù delle facoltà concesse dal Sommo Pontefice Francesco, di buon grado decreta che il nome di San Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria, sia d’ora in avanti aggiunto nelle Preghiere eucaristiche II, III e IV della terza edizione tipica del Messale Romano, apposto dopo il nome della Beata Vergine Maria come segue: nella Preghiera eucaristica II: « ut cum beáta Dei Genetríce Vírgine María, beáto Ioseph, eius Sponso, beátis Apóstolis »; nella Preghiera eucaristica III: « cum beatíssima Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum beátis Apóstolis »; nella Preghiera eucaristica IV: « cum beáta Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum Apóstolis ».

Quanto ai testi redatti in lingua latina, si utilizzino le formule che da ora sono dichiarate tipiche. La Congregazione stessa si occuperà in seguito di provvedere alle traduzioni nelle lingue occidentali di maggior diffusione; quelle da redigere nelle altre lingue dovranno essere preparate, a norma del diritto, dalla relativa Conferenza dei Vescovi e confermate dalla Sede Apostolica tramite questo Dicastero.

Nonostante qualsiasi cosa in contrario.

Dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 1 maggio 2013, S. Giuseppe artigiano.

Antonio Card. Cañizares Llovera
 Prefetto

  + Arthur Roche
 Arcivescovo Segretario



[Modificato da Caterina63 19/06/2013 22:33]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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03/05/2014 22:26
 
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  Ecco i documenti pontifici secondo l’ordine cronologico:


 


 


Beato PIO IX:




-con il decreto della S. Congregazione dei RitiInclytus Patriarcha Joseph (10 settembre 1847) estende alla Chiesa universale la festa del Patrocinio di san Giuseppe, esponendo per la prima volta, sebbene in sintesi, i princìpi della teologia di san Giuseppe;


- nell’allocuzione Maxima quidem (9 giugno 1862) invoca san Giuseppe prima dei SS. Pietro e Paolo, mai accaduto nel passato: “petamus quoque suffragia tum sancti eiusdem Virginis Sponsi Iosephi, tum sanctorum Apostolorum Petri et Pauli…”;


con il decreto della S. Congregazione dei Riti Quemadmodum Deus  (8 dicembre 1870) proclama san Giuseppe Patrono della Chiesa universale; Giuseppe di Egitto è indicato come tipo di Giuseppe di Nazaret;  san Giuseppe è secondo solo a Maria nel potere di intercessione;


— con il decreto Inclytum Patriarcham (7 luglio 1871) viene riconosciuto a san Giuseppe il diritto a un culto superiore a quello degli altri Santi; si ritiene che a san Giuseppe furono concesse da Dio grazie speciali per il suo stato.


.



Tra le opere che testimoniano la devozione di Pio IX verso san Giuseppe segnaliamo:


F. Podesti, 1858, Sala dell'Immacolata

F. Podesti, 1858, Sala dell’Immacolata



- il grandioso affresco di F. Podesti, nella Sala dell’Immacolata in Vaticano, il quale, mentre ricorda la definizione e la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria, rappresenta anche San Giuseppe significativamente inserito, per volontà del Pontefice, tra san Pietro e Gesù;




- il gruppo monumentale che in Piazza di Spagna sostiene la colonna dell’Immacolata, fatta erigere due anni dopo la proclamazione del dogma, dove un bassorilievo rappresenta il “Sogno di san Giuseppe”;


- il prezioso arazzo, fatto disegnare da F.Grandi nel 1871 ed eseguito da P. Gentili, dove il patrocinio di san   Giuseppe è simboleggiato da due angeli che presentano  al Santo il decreto pontificio e la Chiesa;


- una medaglia, fatta coniare nel 1876, nella quale è rappresentato san Giuseppe tra la Chiesa e la santa Famiglia, con l’iscrizione: «Iosephus Mariae V. Sponsus Ecclesiae Cath. Patronus datus 1871».


 


PIO IX E SAN GIUSEPPE


 


LEONE XIII:

- nella prima allocuzione al collegio dei Cardinali (28 marzo 1878) pone il suo pontificato sotto «la potentissima protezione di san Giuseppe, celeste Patrono della Chiesa»; lo ripete nella prima enciclica (21 aprile 1878);

- nell’enc. Aeterni Patris (4 agosto 1879) termina chiedendo di pregare «purissimum Virginis sponsum B. Josephum»;

- nell’enc. Sancta Dei civitas (3 dicembre 1880), dopo Maria raccomanda «purissimum eius Sponsum, quem plures missiones iam sibi praestitem custodemque adsciverant et nuper Apostolica Sedes universae Ecclesiae Patronum dedit»;

- nella lettera ap. Militans Iesu Christi Ecclesia (12 marzo 1881) affida a san Giuseppe il Giubileo straordinario da iniziarsi il giorno della sua festa;

- nell’enc. Diuturnum (29 giugno 1881) ricorda «S. Iosephum castissimum sponsum eius, cuius patrocinio plurimum universa Ecclesia confidit»;

- nell’enc. Etsi nos (15 febbraio 1882) invoca Maria «una cum sanctissimo Sponso eius Iosepho, custode et patrono gentium christianarum»;

- nell’enc. Humanum genus (20 aprile 1884) ricorda: «item Iosephum Virginis sanctissimae Sponsum, Ecclesiae catholicae patronum caelestem salutarem»;

-nell’enc. Quamquam pluries  (15 agosto 1889) espone tutta la dottrina su san Giuseppe, dai fondamenti della sua dignità fino alla ragione singolare per cui merita di essere proclamato patrono di tutta la Chiesa, modello e avvocato di tutte le famiglie cristiane;

— nella lettera ap. Quod paucis abhinc (28 gennaio 1890) concede alla Spagna e ai suoi domini di celebrare la festa di san Giuseppe come giorno di precetto, poiché «hunc sane honorem beatissimo Viro deberi nemo est qui non videat»;

— nella lettera ap. Quod erat (3 marzo 1891) afferma che, per conservare il patrimonio della fede e per vivere cristianamente, «nulla è più efficace che meritarsi il patrocinio di san Giuseppe e così ottenere ai devoti del suo castissimo sposo il favore di Maria, Madre di Dio»;

- nella lettera ap. Neminem fugit (14 giugno 1892), con la quale istituisce canonicamente la Pia Associazione Universale delle Famiglie consacrate alla Sacra Famiglia di Nazaret, afferma la partecipazione intima di Giuseppe alla suprema dignità della santa Famiglia.

Leone XIII, un grande Papa Giuseppino

 

San PIO X:

San Pio X

 

-nell’enc. E supremi apostolatus (4 ottobre 1903) conclude «monentes insuper ut deprecatores etiam adhibeantur castissimus Dei Matris Sponsus catholicae Ecclesiae patronus».

 

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BENEDETTO XV:

- nel Motu Proprio Bonum sane (25 luglio 1920), scritto in occasione del 50° anniversario della proclamazione di san Giuseppe a Patrono della Chiesa universale, ricorda la necessità e l’efficacia della devozione a san Giuseppe come rimedio ai problemi del dopoguerra e ne propone le virtù in modo speciale ai poveri e ai lavoratori;

Benedetto XV

- raccomanda, inoltre, le associazioni istituite per supplicare san Giuseppe in favore dei moribondi, poiché «egli è ritenuto meritatamente il loro più efficace protettore, essendo spirato con l’assistenza di Gesù e Maria»;

- nell’enc. Spiritus Paraclitus (15 settembre 1920), trattando del linguaggio usato nella S. Scrittura osserva che, «quando uno scrittore chiama san Giuseppe padre di Gesù, indica chiaramente in tutto il corso della sua narrazione come intenda questo nome di padre».

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PIO XI:

- nell’allocuzione del 21 aprile 1926 insegna come il titolo di Patrono della Chiesa appartenesse a san Giuseppe già dal tempo in cui era capo della santa Famiglia;

- nell’allocuzione del 19 marzo 1928 sostiene la superiorità di san Giuseppe su san Giovanni Battista e san Pietro;

Pio XI

- nell’allocuzione del 23 maggio 1929 propone Maria e Giuseppe come il primo divino esempio dell’educazione cristiana;

- nell’allocuzione del 19 marzo 1935 mostra la connessione di san Giuseppe con l’unione ipostatica, da cui deriva la sua potenza d’intercessore;

- nell’enc. Ad sacerdotii catholici (20 dicembre 1935) afferma «Divinus Magister… inde a teneris unguiculis in Nazarethana domo cum Maria et losepho, virginibus utrisque, educari voluit»;

- nell’enc. Divini Redemptoris (19 marzo 1937) propone san Giuseppe come modello e patrono degli operai di fronte al comunismo;

- nell’allocuzione del 19 marzo 1938 riconosce all’intercessione di san Giuseppe il titolo di «onnipotente».

 

PIO XII:

- nell’allocuzione Si nobis suave  (1 maggio 1939) ricorda san Giuseppe: “auspice et praelucente Sancto Joseph, Beatae Virginis Sponso et Ecclesiae Patrono, cuius sollemnitatem hanc per hebdomadam celebramus…”;

- nell’allocuzione del 10 maggio 1939 dice che Maria “ha provato tutte le ineffabili gioie della convivenza domestica, allietata dall’amore più puro di uno sposo castissimo e dal sorriso e la tenerezza di un Figlio che era al tempo stesso Figlio di Dio”;

- nell’allocuzione del 10 aprile 1940 descrive san Giuseppe nella sua funzione di capo di famiglia;

Pio XII

- nell’enc. Mediator Dei (20 novembre 1947), tra le iniziative e le pratiche pie, non strettamente connesse con la sacra Liturgia, che hanno contribuito alla evoluzione e ai mutamenti dei riti, indica il culto più esteso e più fervido della Vergine Madre di Dio e «del suo purissimo Sposo»;

- nella Costituzione Exul Familia (1 agosto 1952) considera nel decreto dell’incarnazione il Figlio “una cum Virgine Immaculata Matre pioque Custode”.

- nell’enc. Sacra Virginitas  (25 marzo 1954), a proposito del celibato sacerdotale cita san Pier Damiani, secondo il quale «il nostro Redentore amò tanto l’integrità del pudore, che non solo nacque da un utero verginale, ma volle essere trattato  da un nutrizio vergine»;

P. Annigoni, 1960, Basilica di S. Lorenzo, Firenze

- nel discorso del 1° maggio 1955, in occasione del X anniversario delle ACLI, ripropone san Giuseppe come patrono e modello degli operai (11 marzo 1945) e istituisce la festa liturgica di san Giuseppe operaio;

 - nell’enc. Haurietis aquas (15 maggio 1956) descrive i rapporti familiari di Gesù con Giuseppe: «Palpitava altresì di amore il Cuore del Salvatore, sempre in perfetta armonia con gli affetti della sua volontà umana e con il suo amore divino, quando egli intesseva celestiali colloqui con la sua dolcissima madre, nella casetta di Nazaret, e col suo padre putativo Giuseppe, cui obbediva prestandosi come fedele collaboratore nel faticoso mestiere del falegname»;

 - in una preghiera per le vocazioni sacerdotali (30 ottobre 1957) invoca san Giuseppe come «esempio perfetto di corrispondenza alle chiamate divine»;

 - nel radiomessaggio del 19 febbraio 1958 agli alunni delle scuole cattoliche americane inculca la devozione a san Giuseppe, del quale descrive l’ufficio, la santità e la personalità.

 

San GIOVANNI XXIII:

- nella lettera ap. Le voci del 19 marzo 1961 riassume gli atti dei precedenti Pontefici in onore di san Giuseppe e lo nomina protettore del Concilio ecumenico Vaticano II;

- nell’esortazione ap. Sacrae laudis (6 gennaio 1962), considerando
A.Funi, 1963, Basilica di S. Pietro

A.Funi, 1963, Basilica di S. Pietro

come nel periodo natalizio si presenta molto spesso alla mente «san Giuseppe insieme alla sua augustissima Sposa», osserva: «Chi, infatti, più convenientemente del sacerdote può familiarizzare con san Giuseppe, cui datum est Deum… non solum videre et audire, sed portare, deosculari, vestire et custodire» (Missale Romanum, Praeparatio ad Missam);- nel solenne discorsodi apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962), subito dopo aver invocato l’intercessione di Maria, prosegue: “insieme col tuo Sposo San Giuseppe”;

- con il decreto della Sacra Congregazione dei Riti De S.Joseph nomine Canoni Missae inserendo (13 novembre 1962) ordina che «infra Actionem post verba: “Communicantes… Domini nostri Jesu Christi”, haec addantur: “sed et beati Joseph eiusdem Virginis sponsi“». 

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PAOLO VI :

— nella cost. Lumen Gentium (21 novembre 1964) accoglie l’inserimento di san Giuseppe nel Canone: «Quando celebriamo il sacrificio eucaristico ci uniamo in sommo grado al culto della Chiesa celeste comunicando con essa e venerando la memoria soprattutto della gloriosa sempre vergine Maria, ma anche del beato Giuseppe e dei beati Apostoli e di  tutti i Santi» (n. 50);

— il rapporto tra san Giuseppe e il mondo del lavoro viene ancora trattato il 19 marzo e il 1° maggio 1965;

— nell’omelia del 19 marzo 1966, in coincidenza con il conferimento della pienezza del sacerdozio a quattro nuovi vescovi, esalta la grandezza di san Giuseppe per la sua totale dedizione al servizio di Cristo con amore e per amore;

— il 22 maggio 1966, per commemorare il 75° anniversario della Rerum Novarum, invia ai direttori del Movimento Mondiale dei Lavoratori Cristiani una medaglia rappresentante Gesù e Giuseppe al lavoro, con la scritta: «Cum esset Filius Dei  putari fabri fìlius voluit»;

- nell’esortazione apostolica Signum magnum(13 maggio 1967), trattando della verginità perpetua di Maria (“Quae et in partu et post partum virgo permansit”), presenta la vita santa di Maria come “vita castissimae sancti Joseph Sponsae”. Si tratta del primo documento mariano postconciliare nel quale si fa esplicito riferimemto allo sposo si Maria;

— nell’omelia del 19 marzo 1968, san Giuseppe è indicato come introduttore al Vangelo

Incoronazione, 1963, Avila

delle beatitudini e come esempio di docilità e prontezza di obbedienza nell’accettare ed eseguire la volontà di Dio;

— nell’omelia del 19 marzo 1969, l’esistenza di san Giuseppe viene ulteriormente presentata come un olocausto alle esigenze della venuta del Messia e come tipo del Vangelo annunciato da Gesù quale programma per la redenzione dell’umanità;

— all’Angelus del 19 marzo 1971 mette in evidenza la missione provvidenziale di san Giuseppe nella storia della salvezza;

— nell’esortazione ap. Marialis cultus (2 febbraio 1974) scrive che la Chiesa «nella festa della santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe riguarda con profonda riverenza la santa vita che condussero nella casa di Nazaret Gesù, Figlio di Dio e figlio dell’uomo, Maria, sua madre, e Giuseppe, uomo giusto» (n. 5);

— nell’omelia del 19 marzo 1975 svolge il significato della presenza di san Giuseppe nella famiglia di Nazaret e nella famiglia cristiana.

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San GIOVANNI PAOLO II:

- nell’enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979) inserisce san Giuseppe nel cuore della Redenzione: «La croce del Calvario, per mezzo della quale Gesù Cristo fatto uomo — figlio di Maria Vergine, figlio putativo di Giuseppe di Nazaret — lascia questo mondo, è al stempo tesso una nuova manifestazione dell’eterna paternità di Dio» (n. 9);

- nell”allocuzione del 19 marzo 1980 mette in rilievo che «Dio affida a Giuseppe il mistero, il cui compimento avevano aspettato da tante generazioni la stirpe di Davide e tutta la casa di Israele, ed al tempo stesso affida a lui tutto ciò da cui dipende il compimento di tale mistero nella storia del popolo di Dio»; afferma, inoltre, che «la Chiesa è sempre stata consapevole, e oggi lo è in modo particolare, di quanto fondamentale sia stata la vocazione di quell’Uomo: dello Sposo di Maria, di colui che, dinanzi agli uomini, passava per il Padre di Gesù e che fu, secondo lo spirito, una incarnazione perfetta della paternità nella famiglia umana ed insieme sacra»; propone san Giuseppe come modello a «tutti i pastori e ministri della Chiesa, perché servano il popolo di Dio con dedizione attiva e generosa, come san Giuseppe servì degnamente il Signore Gesù e la Vergine Madre»;

- nell’enc. Laborem exercens (14 settembre 1981) colloca Giuseppe accanto a Gesù: «Questo era pure il “Vangelo del lavoro”, perché colui che lo proclamava era egli stesso uomo del lavoro artigiano come Giuseppe di Nazaret» (n. 26);

 - nell’esortazione ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), affida ogni famiglia a Gesù, Maria e a Giuseppe; alle loro mani e al loro cuore presenta l’esortazione stessa, perché siano essi a porgerla ai fedeli e ad aprire i loro cuori alla luce del Vangelo; invoca, infine, la protezione di san Giuseppe sulle famiglie: «Che san Giuseppe, “uomo giusto”, lavoratore instancabile, custode integerrimo dei pegni a lui affidati, le custodisca, le protegga, le illumini sempre» (n. 86);

 - nella lettera ap. Parati semper (31 marzo 1985) diretta ai giovani, ricordando la giovinezza di Gesù, nota che le parole del Vangelo in proposito sono brevi, «anche se coprono il periodo di trent’anni da lui trascorsi nella casa di famiglia, a fianco di Maria e di Giuseppe, il carpentiere» (n. 14);

- nell’enc. Dominum et vivifìcantem (18 maggio 1986) presenta san Giuseppe sia nell’episodio dell’inizio dell’attività messianica di Gesù a Nazaret, «nella quale aveva trascorso trent’anni nella casa di Giuseppe, il carpentiere, accanto a Maria, sua Madre Vergine» (n. 18) e sia nel racconto dell’annunciazione a Giuseppe (n. 49);

- nell’enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987) san Giuseppe è presente in tutti gli episodi dell’infanzia di Gesù, ossia la nascita, la presentazione al tempio, la fuga in Egitto («sotto la premurosa protezione di Giuseppe»), il ritrovamento nel tempio e la vita a Nazaret, dove Gesù «era sottomesso a Giuseppe, perché questi faceva le veci del padre davanti agli uomini»;

- nell’enc. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), Maria, «sposa di Giuseppe», ne coinvolge «la verginità per il Regno» (n. 20);

- nell’esortazione ap. Christifideles laici (30 dicembre 1988), datata alla festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, Gesù è designato come «il Figlio del falegname» (n. 14);

 — nell’esortazione ap. Redemptoris custos (15 agosto 1989), un’ampia riflessione «sulla figura e la missione di san Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa», pubblicata in occasione del Centenario dell’enc. Quamquam pluries di Leone XIII, colloca chiaramente Giuseppe nel cuore del mistero della Redenzione, sulla stessa linea delle grandi encicliche Redemptor hominis e Redemptoris Mater. Gli episodi evangelici dell’infanzia di Gesù sono considerati nella loro vera luce di «misteri della vita di Cristo», dei quali Giuseppe è ministro. «Mediante l’esercizio della sua paternità, Giuseppe coopera nella pienezza del tempo al grande mistero della Redenzione ed è veramente ministro della salvezza» (n. 8). Il suo esemplare servizio al Redentore è proposto all’intero popolo cristiano perché tenga «sempre dinanzi agli occhi il suo umile, maturo modo di servire e di “partecipare” all’economia della salvezza» (n. 1);

— nel discorso ai partecipanti al Convegno Internazionale di studi per il XVI Centenario del Concilio di Capua (24 maggio 1992) afferma: «Maria visse, dopo la nascita di Gesù, in totale e perpetua verginità; e, insieme con san Giuseppe, anch’egli chiamato a svolgere un ruolo primario negli eventi iniziali della nostra salvezza, si dedicò al servizio della persona e dell’opera del Figlio» (n. 6);

L. Scorzelli, Porta della Preghiera, 1972, Basilica Vaticana

- nella Lettera alle famiglie(2 febbraio 1994) scrive che Giuseppe rivive con Maria, alle soglie della Nuova Alleanza, «l’esperienza del “bell’amore” descritto nel Cantico dei Cantici»; «è grazie anche a Giuseppe che il mistero dell’incarnazione e, insieme ad esso, il mistero della santa Famiglia, viene inscritto profondamente nell’amore sponsale dell’uomo e della donna e indirettamente nella genealogia di ogni famiglia umana» (n. 20). La medaglia ufficiale annuale del XVI anno di Pontificato raffigura sul rovescio la santa Famiglia di Nazaret con la scritta: ANNUS FAMILIAE (in alto) e: MCMXCIV (in basso);

- nell’esortazione ap. Vita consecrata (25 marzo 1996) asserisce che «vicina a Cristo, insieme con Giuseppe, nella vita nascosta di Nazaret… la Vergine è maestra di sequela incondizionata e di assiduo servizio» (n. 28).

-nella Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte (6 gennaio 2001) ricorda la “nascita verginale di Gesù da Maria, sposa di Giuseppe” (n.18), Gesù “figlio del carpentiere (Mt 13,55)” (n.18), “l’angoscia con cui Maria e Giuseppe hanno cercato Gesù” (n.24).

L’Esortazione Apostolica Redemptoris Custos di Giovanni Paolo II

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BENEDETTO XVI:

-conclude la Lettera ai Vescovi, ai Presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese (27 maggio 2007) invocando l’intercessione di san Giuseppe insieme a quella di Maria: “Maria Santissima, madre della Chiesa e Regina della Cina… vi accompagni con materna premura e interceda per tutti voi insieme a san Giuseppe e ai numerosi santi Martiri cinesi”.

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In omaggio a Benedetto XVI,  che porta il nome di Giuseppe, Joseph Ratzinger, nel 2010 è stata costruita e solennemente inaugurata nei giardini vaticani una fontana monumentale, ben visibile accanto al Governatorato.

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PAPA FRANCESCO:

Papa Francesco

Nell’omelia della Messa di inizio del ministero petrino, il Sommo Pontefice “ringrazia il Signore di poter celebrare questa Santa Messa… nella solennità di san Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale: è una coincidenza molto ricca di significato”.

Il significato è indicato nella “custodia”, una missione che coinvolge tutti.

“La missione che Dio affida a Giuseppe è quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II (Redemptoris Custos, n.1)”.

“Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l’amore ogni momento. E’ accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù”.

“Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio. (…) Giuseppe è ‘custode’, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui, cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! (…)

“Il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!”.

“Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far far risplendere la stella della speranza: custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato!”.

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stemma-papa-francesco

La devozione del Papa Francesco verso san Giuseppe  era già espressa chiaramente nel suo stemma episcopale, conservato nello stemma pontificio. In esso sono rappresentati i tre simboli della Santa Famiglia: Gesù, nel monogramma del suo Nome; Maria, nella stella; Giuseppe nel fiore di “nardo”, come è stato precisato per evitare la facile interpretazione del grappolo di uva.

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FIORI DI NARDO

FIORI DI NARDO

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Fiori di Nardo

Fiori di Nardo

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- un decreto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (I maggio 2013) dispone che “come già avviene nel Canone Romano, anche nelle Preghiere eucaristiche II, III e IV della terza edizione tipica del Messale Romano, dopo la Beata Vergine Maria, si faccia menzione del nome di San Giuseppe, Suo Sposo”.

- il 5 luglio 2013, in occasione della benedizione della statua di san Michele collocata davanti al Palazzo del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, Papa Francesco – presente anche Benedetto XVI – consacra il Governatorato a san Giuseppe oltreché all’Arcangelo. “La consacrazione del Governatorato a san Giuseppe – afferma il Card. Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato – diventa per tutti noi un ulteriore impegno per l’adempimento del nostro lavoro a sostegno delle molteplici attività della Sede Apostolica. L’esempio umile e silenzioso dello sposo di Maria ci guidi nelle nostre quotidiane occupazioni, benedica le nostre famiglie e ci sproni ad essere sempre testimoni del Signore Risorto”. Nell’atto di consacrazione a san Giuseppe, Papa francesco pone sotto la protezione dello sposo di Maria i vescovi e i sacerdoti, le persone consacrate e i fedeli laici, che lavorano e vivono in Vaticano.

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Abbiamo voluto sottolineare la presenza di san Giuseppe nelle encicliche non tanto per l’apporto dottrinale — a volte si tratta di una semplice menzione — quanto piuttosto per il significato che tale presenza assume in esse in riferimento al mistero di Cristo e della Chiesa.

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Aggiungiamo che nella Prefazione del nuovo Codice di Diritto Canonico, promulgato da Giovanni Paolo II, il 25 gennaio 1983, la retta osservanza delle norme è affidata, dopo l’impetrazione della Beatissima Vergine Maria, Madre della Chiesa, «al suo Sposo san Giuseppe, Patrono della Chiesa».

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Il Catechismo della Chiesa Cattolica, promulgato dallo stesso Giovanni Paolo II,  l’11 ottobre 1992, dedica la giusta attenzione ai «Misteri dell’infanzia e della vita nascosta di Gesù», dei quali san Giuseppe è stato «ministro» (nn. 522-534) e invita «ad affidarci a san Giuseppe, patrono della buona morte» (n. 1014).





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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