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La Mariologia di Benedetto XVI per un vero Culto mariano

Ultimo Aggiornamento: 05/03/2013 15:09
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27/05/2011 15:45
 
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DISCORSO DEL SANTO PADRE A SANTA MARIA MAGGIORE

dopo la recita del Santo Rosario con i Vescovi, in occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia e per rinnovare l'Atto di affidamento a Maria della Nazione al Cuore Immacolato di Maria del 1959



Venerati e cari Confratelli,

siete convenuti in questa splendida Basilica - luogo nel quale spiritualità e arte si fondono in un connubio secolare - per condividere un intenso momento di preghiera, con il quale affidare alla protezione materna di Maria, Mater unitatis, l’intero popolo italiano, a centocinquant’anni dall’unità politica del Paese. È significativo che questa iniziativa sia stata preparata da analoghi incontri nelle diocesi: anche in questo modo esprimete la premura della Chiesa nel farsi prossima alle sorti di questa amata Nazione. A nostra volta, ci sentiamo in comunione con ogni comunità, anche con la più piccola, in cui rimane viva la tradizione che dedica il mese di maggio alla devozione mariana. Essa trova espressione in tanti segni: santuari, chiesette, opere d’arte e, soprattutto, nella preghiera del Santo Rosario, con cui il Popolo di Dio ringrazia per il bene che incessantemente riceve dal Signore, attraverso l’intercessione di Maria Santissima, e lo supplica per le sue molteplici necessità. La preghiera – che ha il suo vertice nella liturgia, la cui forma è custodita dalla vivente tradizione della Chiesa – è sempre un fare spazio a Dio: la sua azione ci rende partecipi della storia della salvezza. Questa sera, in particolare, alla scuola di Maria siamo stati invitati a condividere i passi di Gesù: a scendere con Lui al fiume Giordano, perché lo Spirito confermi in noi la grazia del Battesimo; a sederci al banchetto di Cana, per ricevere da Lui il “vino buono” della festa; ad entrare nella sinagoga di Nazaret, come poveri ai quali è rivolto il lieto messaggio del Regno di Dio; ancora, a salire sul Monte Tabor, per vivere la croce nella luce pasquale; e, infine, a partecipare nel Cenacolo al nuovo ed eterno sacrificio, che, anticipando i cieli nuovi e la terra nuova, rigenera tutta la creazione.

Questa Basilica è la prima in Occidente dedicata alla Vergine Madre di Dio. Nell’entrarvi, il mio pensiero è tornato al primo giorno dell’anno 2000, quando il Beato Giovanni Paolo II ne aprì la Porta Santa, affidando l’Anno giubilare a Maria, perché vegliasse sul cammino di quanti si riconoscevano pellegrini di grazia e di misericordia.

Noi stessi oggi non esitiamo a sentirci tali, desiderosi di varcare la soglia di quella “Porta” Santissima che è Cristo e vogliamo chiedere alla Vergine Maria di sostenere il nostro cammino ed intercedere per noi. In quanto Figlio di Dio, Cristo è forma dell’uomo: ne è la verità più profonda, la linfa che feconda una storia altrimenti irrimediabilmente compromessa. La preghiera ci aiuta a riconoscere in Lui il centro della nostra vita, a rimanere alla sua presenza, a conformare la nostra volontà alla sua, a fare “qualsiasi cosa ci dica” (Gv 2,5), certi della sua fedeltà. Questo è il compito essenziale della Chiesa, da Lui incoronata quale mistica sposa, come la contempliamo nello splendore del catino absidale. Maria ne costituisce il modello: è colei che ci porge lo specchio, in cui siamo invitati a riconoscere la nostra identità. La sua vita è un appello a ricondurre ciò che siamo all’ascolto e all’accoglienza della Parola, giungendo nella fede a magnificare il Signore, davanti al quale l’unica nostra possibile grandezza è quella che si esprime nell’obbedienza filiale: “Avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38). Maria si è fidata: lei è la “benedetta” (cfr Lc 1,42), che è tale per aver creduto (cfr Lc 1,45), fino ad essersi così rivestita di Cristo da entrare nel “settimo giorno”, partecipe del riposo di Dio. Le disposizioni del suo cuore – l’ascolto, l’accoglienza, l’umiltà, la fedeltà, la lode e l’attesa – corrispondono agli atteggiamenti interiori e ai gesti che plasmano la vita cristiana. Di essi si nutre la Chiesa, consapevole che esprimono ciò che Dio attende da lei.

Sul bronzo della Porta Santa di questa Basilica è incisa la raffigurazione del Concilio di Efeso. L’edificio stesso, risalente nel nucleo originario al V secolo, è legato a quell’assise ecumenica, celebrata nell’anno 431. A Efeso la Chiesa unita difese e confermò per Maria il titolo di Theotókos, Madre di Dio: titolo dal contenuto cristologico, che rinvia al mistero dell’incarnazione ed esprime nel Figlio l’unità della natura umana con quella divina. Del resto, è la persona e la vicenda di Gesù di Nazaret a illuminare l’Antico Testamento e il volto stesso di Maria. In lei si coglie in filigrana il disegno unitario che intreccia i due Testamenti.

Nella sua vicenda personale c’è la sintesi della storia di un intero popolo, che pone la Chiesa in continuità con l’antico Israele. All’interno di questa prospettiva ricevono senso le singole storie, a partire da quelle delle grandi donne dell’Antica Alleanza, nella cui vita è rappresentato un popolo umiliato, sconfitto e deportato. Sono anche le stesse, però, che ne impersonano la speranza; sono il “resto santo”, segno che il progetto di Dio non rimane un’idea astratta, ma trova corrispondenza in una risposta pura, in una libertà che si dona senza nulla trattenere, in un sì che è accoglienza piena e dono perfetto. Maria ne è l’espressione più alta. Su di lei, vergine, discende la potenza creatrice dello Spirito Santo, lo stesso che “in principio” aleggiava sull’abisso informe (cfr Gen 1,1) e grazie al quale Dio chiamò l’essere dal nulla; lo Spirito che feconda e plasma la creazione. Aprendosi alla sua azione, Maria genera il Figlio, presenza del Dio che viene ad abitare la storia e la apre a un nuovo e definitivo inizio, che è possibilità per ogni uomo di rinascere dall’alto, di vivere nella volontà di Dio e quindi di realizzarsi pienamente.

La fede, infatti, non è alienazione: sono altre le esperienze che inquinano la dignità dell’uomo e la qualità della convivenza sociale! In ogni stagione storica l’incontro con la parola sempre nuova del Vangelo è stato sorgente di civiltà, ha costruito ponti fra i popoli e ha arricchito il tessuto delle nostre città, esprimendosi nella cultura, nelle arti e, non da ultimo, nelle mille forme della carità.

A ragione l’Italia, celebrando i centocinquant’anni della sua unità politica, può essere orgogliosa della presenza e dell’azione della Chiesa. Essa non persegue privilegi né intende sostituirsi alle responsabilità delle istituzioni politiche; rispettosa della legittima laicità dello Stato, è attenta a sostenere i diritti fondamentali dell’uomo.


Fra questi vi sono anzitutto le istanze etiche e quindi l’apertura alla trascendenza, che costituiscono valori previi a qualsiasi giurisdizione statale, in quanto iscritti nella natura stessa della persona umana. In questa prospettiva, la Chiesa – forte di una riflessione collegiale e dell’esperienza diretta sul territorio – continua a offrire il proprio contributo alla costruzione del bene comune, richiamando ciascuno al dovere di promuovere e tutelare la vita umana in tutte le sue fasi e di sostenere fattivamente la famiglia; questa rimane, infatti, la prima realtà nella quale possono crescere persone libere e responsabili, formate a quei valori profondi che aprono alla fraternità e che consentono di affrontare anche le avversità della vita. Non ultima fra queste, c’è oggi la difficoltà ad accedere ad una piena e dignitosa occupazione: mi unisco, perciò, a quanti chiedono alla politica e al mondo imprenditoriale di compiere ogni sforzo per superare il diffuso precariato lavorativo, che nei giovani compromette la serenità di un progetto di vita familiare, con grave danno per uno sviluppo autentico e armonico della società.

Cari Confratelli, l’anniversario dell’evento fondativo dello Stato unitario vi ha trovati puntuali nel richiamare i tasselli di una memoria condivisa e sensibili nell’additare gli elementi di una prospettiva futura. Non esitate a stimolare i fedeli laici a vincere ogni spirito di chiusura, distrazione e indifferenza, e a partecipare in prima persona alla vita pubblica. Incoraggiate le iniziative di formazione ispirate alla dottrina sociale della Chiesa, affinché chi è chiamato a responsabilità politiche e amministrative non rimanga vittima della tentazione di sfruttare la propria posizione per interessi personali o per sete di potere. Sostenete la vasta rete di aggregazioni e di associazioni che promuovono opere di carattere culturale, sociale e caritativo.

Rinnovate le occasioni di incontro, nel segno della reciprocità, tra Settentrione e Mezzogiorno. Aiutate il Nord a recuperare le motivazioni originarie di quel vasto movimento cooperativistico di ispirazione cristiana che è stato animatore di una cultura della solidarietà e dello sviluppo economico. Similmente, provocate il Sud a mettere in circolo, a beneficio di tutti, le risorse e le qualità di cui dispone e quei tratti di accoglienza e di ospitalità che lo caratterizzano. Continuate a coltivare uno spirito di sincera e leale collaborazione con lo Stato, sapendo che tale relazione è benefica tanto per la Chiesa quanto per il Paese intero.

La vostra parola e la vostra azione siano di incoraggiamento e di sprone per quanti sono chiamati a gestire la complessità che caratterizza il tempo presente. In una stagione, nella quale emerge con sempre maggior forza la richiesta di solidi riferimenti spirituali, sappiate porgere a tutti ciò che è peculiare dell’esperienza cristiana: la vittoria di Dio sul male e sulla morte, quale orizzonte che getta una luce di speranza sul presente. Assumendo l’educazione come filo conduttore dell’impegno pastorale di questo decennio, avete voluto esprimere la certezza che l’esistenza cristiana – la vita buona del Vangelo – è proprio la dimostrazione di una vita realizzata. Su questa strada voi assicurate un servizio non solo religioso o ecclesiale, ma anche sociale, contribuendo a costruire la città dell’uomo. Coraggio, dunque! Nonostante tutte le difficoltà, “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37), a Colui che continua a fare “grandi cose” (Lc 1,49) attraverso quanti, come Maria, sanno consegnarsi a lui con disponibilità incondizionata.

Sotto la protezione della Mater unitatis poniamo tutto il popolo italiano, perché il Signore gli conceda i doni inestimabili della pace e della fraternità e, quindi, dello sviluppo solidale. Aiuti le forze politiche a vivere anche l’anniversario dell’Unità come occasione per rinsaldare il vincolo nazionale e superare ogni pregiudiziale contrapposizione: le diverse e legittime sensibilità, esperienze e prospettive possano ricomporsi in un quadro più ampio per cercare insieme ciò che veramente giova al bene del Paese.

L’esempio di Maria apra la via a una società più giusta, matura e responsabile, capace di riscoprire i valori profondi del cuore umano. La Madre di Dio incoraggi i giovani, sostenga le famiglie, conforti gli ammalati, implori su ciascuno una rinnovata effusione dello Spirito, aiutandoci a riconoscere e a seguire anche in questo tempo il Signore, che è il vero bene della vita, perché è la vita stessa.

Di cuore benedico voi e le vostre comunità.



IL TESTO DELL'ATTO DI AFFIDAMENTO DELLA NAZIONE ITALIANA ALLA VERGINE MARIA
del santo Padre Benedetto XVI

Vergine Maria,
Mater Unitatis,
questa sera intendiamo specchiarci in te
e porre sotto il manto della tua protezione
l’amato popolo italiano.

Vergine del Fiat,
la tua vita celebra il primato di Dio:
alimenta in noi lo stupore della fede,
insegnaci a custodire nella preghiera
quest’opera che restituisce unità alla vita.
Vergine del servizio,
donaci di comprendere a quale libertà
tende un’esistenza donata,
quale segreto di bellezza
è racchiuso nella verità di un incontro.

Vergine della Croce,
concedici di contemplare
la vittoria di Cristo sul mistero del male,
capaci di esprimere ragioni di speranza
e presenza d’amore nelle contraddizioni del tempo.

Vergine del Cenacolo,
sollecita le nostre Chiese a cooperare tra loro,
nella comunione con il Vescovo di Roma.
Rendi tutti noi partecipi del destino di questo Paese,
bisognoso di concordia e di sviluppo.

Vergine del Magnificat,
liberaci dalla rassegnazione,
donaci un cuore riconciliato,
suscita in noi la lode e la riconoscenza.
E saremo perseveranti nella fedeltà sino alla fine.






Pope Benedict XVI prays during the rosary prayer at St Mary Major   Basilica in Rome on May 26, 2011.Pope Benedict XVI prays during the rosary prayer at St Mary Major   Basilica in Rome on May 26, 2011.
Pope Benedict XVI prays during the rosary prayer at St Mary Major   Basilica in Rome on May 26, 2011.Pope Benedict XVI prays during the rosary prayer at St Mary Major   Basilica in Rome on May 26, 2011.
A   bishop holds rosary beads as he atttends a rosary prayer celebrated by   Pope Benedict XVI at Saint Mary Major Basilica in Rome May 26, 2011.A   prelate holds a rosary  as he listens to Pope Benedict XVI reciting the   rosary prayer, at the Santa Maria Maggiore Basilica in Rome Thursday,   May 26, 2011.
Pope Benedict XVI recites the rosary prayer, at the Santa Maria   Maggiore Basilica in Rome Thursday, May 26, 2011.
Pope Benedict XVI celebrates a rosary prayer at Saint Mary Major   Basilica in Rome May 26, 2011.



IL COMMENTO DI AGENZIA SIR

"Affidare" a Maria con il ricorso ad una delle preghiere più popolari quale il Rosario non è un atto di rassegnata attribuzione ad altri delle responsabilità, non è un gesto magico: "La fede non è alienazione", quanto una presa di coscienza, più profonda e lucida, della responsabilità delle persone chiamate a "fare spazio a Dio" nella vita privata e pubblica, e porsi "alla scuola di Maria". La Vergine ci invita a "condividere i passi di Gesù", camminare sul sentiero da lui indicato, imitando lui che è "la forma dell'uomo, la sua verità più profonda, la linfa che feconda una storia altrimenti irrimediabilmente compromessa". La preghiera dei vescovi con il Papa è invocazione a Dio, richiesta d'intercessione di Maria, è confessione di povertà e insufficienza delle risorse umane di fronte ai grandi e complessi problemi della storia contemporanea, ma è anche messaggio e ammonimento per amministratori, politici e cittadini. Un invito a prendere sul serio la dimensione politica della vita collettiva, a essere sensibili e capaci di rappresentare le istanze sociali, a ricostruire la storia in termini non faziosi, a concepire la laicità in modo rispettoso dei diritti dei fedeli e delle comunità religiose, a riconoscere l'importanza della presenza della Chiesa nella storia italiana di questi centocinquanta anni. In una parola ad affrontare la vita politica e sociale sulla base delle categorie della fraternità e del bene comune.

Benedetto XVI ha voluto ricordare a chiare lettere: "A ragione l'Italia celebrando i centocinquanta anni di unità politica può essere orgogliosa della presenza e dell'azione della Chiesa" e rivendica il diritto di rappresentare le istanze etiche e di difendere i valori e i diritti fondamentali dell'uomo che sono "previ rispetto a qualsiasi giurisdizione statale", in quanto iscritti nella natura stessa della persona umana.
La Chiesa così fa la sua politica, nel modo più alto e dignitoso, in ginocchio, con lo sguardo in alto, dando un segnale di umile forza, capace di trasformare il modo e lo stile di operare nella sfera pubblica, allontanandone la corruzione in tutte le sue molteplici forme, anche quella devastante degli speculatori finanziari, e le miserie e meschinità quotidiane.


Esplicitamente, mettendosi dalla parte di chi si trova in difficoltà ed è perdente in questo momento, mentre nelle piazze si attivano manifestazioni di protesta, segno di un crescente disagio, Benedetto XVI fa un appello a favore dei disoccupati, dei precari, per costruire insieme una società più giusta, tutelare la vita umana e sostenere gli sforzi della famiglia perché possa dar vita e educare nuove generazioni, persone libere e responsabili, per una società rinnovata.
In questo centocinquantesimo anniversario, superato ogni equivoco e dissapore, la Chiesa si trova bene in Italia e l'Italia non ha nulla da rimproverare alla Chiesa, anzi deve esserle grata per tutta l'opera di educazione, di promozione sociale che non ha mai cessato di svolgere. Ricostruendo la storia del cammino unitario non sarebbe inutile rimarcare il ruolo della preghiera e dell'invocazione, da quel "Gran Dio benedite l'Italia!" di Pio IX (1848), ai dogmi mariani dell'Ottocento e a quello ultimo di metà secolo scorso con la proclamazione di Maria Assunta in cielo. In tutto il territorio nazionale e nei suoi spazi anche più reconditi e riservati, nelle mille edicole di campagna e nelle immagini venerate nelle case, Maria, è una presenza rassicurante e benedetta e lo è anche negli snodi della nostra storia. In comunione con tutti i pastori il popolo non mancherà di perseverare nell'invocazione alla Madre di tutti gli italiani riconosciuta con Dante come segno di "speranza vivace".

 Sir


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Benedetto XVI ha voluto ricordare a chiare lettere: "A ragione l'Italia celebrando i centocinquanta anni di unità politica può essere orgogliosa della presenza e dell'azione della Chiesa" e rivendica il diritto di rappresentare le istanze etiche e di difendere i valori e i diritti fondamentali dell'uomo che sono "previ rispetto a qualsiasi giurisdizione statale", in quanto iscritti nella natura stessa della persona umana.
La Chiesa così fa la sua politica, nel modo più alto e dignitoso, in ginocchio, con lo sguardo in alto, dando un segnale di umile forza, capace di trasformare il modo e lo stile di operare nella sfera pubblica, allontanandone la corruzione in tutte le sue molteplici forme, anche quella devastante degli speculatori finanziari, e le miserie e meschinità quotidiane.


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è il più bel commento sull'evento....
un grazie a Benedetto XVI che ci ha riportato IN GINOCCHIO davanti al Tabernacolo e davanti a Maria....

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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