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La Mariologia di Benedetto XVI per un vero Culto mariano

Ultimo Aggiornamento: 05/03/2013 15:09
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02/12/2008 14:54
 
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La mariologia di Benedetto XVI – 1

di BRUNO SIMONETTO

Maria, Chiesa nascente



"Il mistero di Maria: nella "terra" della Vergine Madre la Parola divenne uomo e ora di nuovo, impastata con la terra dell’intera umanità, può far ritorno a Dio".


"L'Osservatore Romano" ha pubblicato, in due fitte pagine [pp. 9-10] del num. del 24 Aprile scorso, un lungo elenco bibliografico degli scritti di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI: un centinaio di titoli, moltissimi dei quali tradotti in varie lingue e quasi tutti stampati in più edizioni. Vi sono temi di teologia, di escatologia e di soteriologia, di sacramentaria e di catechesi, di pastorale, di analisi di storia della Chiesa [particolarmente in riferimento al Concilio Vaticano II], di etica politica, ecc.

Due i libri di mariologia: "Die Tochter Zion" [in italiano: La figlia di Sion – La devozione a Maria nella Chiesa, Milano 1979]; e "Maria – Kirche im Ursprung" [in italiano: Maria – Chiesa nascente, Cinisello Balsamo 1998].

Quest’ultimo volumetto [di 86 pagine, che da sole valgono un trattato completo di mariologia] ci consente di cogliere la centralità del pensiero sulla Madonna del Card. Ratzinger, certi che il nuovo Papa ne svilupperà i profondi contenuti nel suo Magistero pontificio.

"La Sapienza si è costruita una Casa" [Pr 9, 1] - Icona della Madre di Dio Kievskaja, "Rifugio di chi si è perduto" [sec. XIX].
"La Sapienza si è costruita una Casa" [Pr 9, 1]
Icona della Madre di Dio Kievskaja, "Rifugio di chi si è perduto" [sec. XIX].

Ouverture

Quasi come ouverture dell’insegnamento mariano del Card. Joseph Ratzinger, valga il capitoletto introduttivo del libro citato, in cui l’illustre teologo commenta il passo di Isaia: "La parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto" [Is 55, 10-11], legandolo al passo del Vangelo di Matteo [cfr. 6, 7-15] sul "Padre nostro" che Gesù ci ha insegnato.

"Quando il profeta Isaia faceva questa affermazione – scrive Joseph Ratzinger –, essa non era affatto la constatazione di una cosa tanto ovvia, ma piuttosto una contraddizione rispetto a ciò che ci si poteva aspettare. Infatti, questo brano appartiene sicuramente alla narrazione della passione di Israele, ove si legge che i richiami di Dio al suo popolo subiscono continui scacchi e che la sua Parola resta invariabilmente senza frutto, mentre Dio appare assiso sul palco della storia, ma non come vincitore […]. In effetti, la semina di Dio nel mondo non sembrava dare risultati. Per questo, l’oracolo [del Profeta], sebbene avvolto nell’oscurità, è un incoraggiamento per tutti coloro che non ostante tutto continuano a credere nella potenza di Dio, convinti che il mondo non è soltanto terreno arido in cui il seme non può trovare spazio, e certi che la terra non sarà solo e sempre una crosta superficiale dove i passeri beccano il seme che vi è caduto, portandoselo via [cfr. Mc 4, 1-9].

Per noi Cristiani, un’affermazione del genere suona come promessa di Gesù Cristo, grazie al quale la Parola di Dio è ora veramente penetrata nella terra ed il seme è divenuto pane per tutti noi: seme che porta frutto per i secoli; risposta feconda, in cui il disegno di Dio si è radicato in questo mondo in modo vivente".



Su questa constatazione di fede, Joseph Ratzinger fa una applicazione profondamente biblica alla figura di Maria: "È difficile rinvenire altrove il mistero di Cristo collegato a quello di Maria in forma tanto chiara e stretta come nella prospettiva di questa promessa: perché quando si afferma che la Parola – meglio: il seme – porta frutto, si vuol dire che esso non cade sulla terra per rimbalzare via, ma che penetra invece profondamente nel suolo per assorbirne la linfa e trasformarla in se stesso. Assimilata così la terra in sé, produce realmente qualcosa di nuovo, mutando la stessa terra in frutto. Il chicco non resta solo: ad esso appartiene il mistero materno della terra, allo stesso modo che a Cristo appartiene Maria, suolo santo della Chiesa, come bellamente la chiamano i Padri.

Il mistero di Maria significa appunto questo: che la Parola di Dio non rimane sola, ma assume in sé l’altro, l’humus della terra: nella "terra" della madre la Parola divenne uomo ["Verbum caro factum"] e ora di nuovo, impastata con la terra dell’intera umanità, può far ritorno a Dio".

Stabilendo un raccordo di riflessione – per la verità, per noi ‘profani’ apparentemente lontano anni luce! – tra il passo citato di Isaia e il brano del Vangelo di Matteo che ci riporta l’insegnamento di Gesù sulla preghiera [cfr. 6, 7-15], Ratzinger stesso annota: "Il Vangelo [di Matteo] sembra parlare di tutt’altro. Vi si dice del nostro modo di pregare, della forma corretta, dei giusti contenuti, dell’autentico atteggiamento interiore: dunque, non di quanto è Dio ad operare, ma di quanto spetta all’uomo fare nei confronti di lui. In realtà, le due letture sono interdipendenti; poiché si può dire che in questo Vangelo viene spiegato come è possibile agli uomini diventare un campo fertile per la Parola di Dio: essi lo possono divenire, preparando – per così dire – quegli elementi organici nei quali una vita può crescere e maturare. Raggiungono lo scopo vivendo essi stessi di tali elementi; trasformandosi cioè in essi, impregnati della Parola, in Parola. Inabissando la vita nella preghiera, e quindi in Dio".



Chiave di lettura del mistero-Maria

Applicata alla Santa Vergine, tale riflessione diventa davvero una "chiave di lettura" del mistero-Maria.

"Questo [passo del] Vangelo – continua il Card. Joseph Ratzinger – s’accorda con l’introduzione al mistero mariano fatto da Luca, quando a più riprese dice di Maria che "custodiva" la Parola nel suo cuore [cfr. Lc 1, 29; 2, 19; 2, 51].

Maria ha, per così dire, radunato in sé gli elementi vitali d’Israele: in sé ha portato, pregando, la sofferenza e la grandezza di tale storia per convertirla in fertile terreno per il Dio vivente. Pregare – come ci dice il Vangelo [di Matteo] – significa indubbiamente molto di più che ripetere meccanicamente parole.

Essere terreno fertile per la Parola vuol dire essere una terra che si lascia penetrare dal seme e che al seme si assimila, rinunciando a se stessa per farlo germogliare. Ora, con la sua maternità, Maria ha trasfuso nel seme [della Parola] la sostanza di sé, corpo e anima, perché una nuova vita potesse germinare. La profezia di Simeone sulla spada che le avrebbe trafitto l’anima [cfr. Lc 2, 35] significa in realtà molto di più di un qualsiasi tormento, qualcosa di tanto più grande e profondo: Maria si mette a completa disposizione come suolo, come "terra fertile" che si lascia usare e consumare per venire trasformata in Colui che ha bisogno di noi per diventare frutto della terra".

Insistendo poi sul concetto della preghiera autentica [i Padri della Chiesa – annota Ratzinger – sostengono che "pregare non è altro che cambiarsi in desiderio struggente del Signore"], il grande teologo, oggi Papa Benedetto XVI, giunge alla formulazione di quella che ci sembra davvero essere la centralità della sua visione mariana.



"In Maria – scrive ancora – la vita diviene preghiera e la preghiera vita.

L’evangelista Giovanni ha meravigliosamente alluso a tale processo di trasformazione non chiamando mai Maria per nome nel suo Vangelo. Si riferisce a lei soltanto come alla Madre di Gesù [cfr. I. De la Potterie, "La mère de Jésus…", in Marianum 40 (1978), 41-90; specialmente la pag. 42]. Ella ha in un certo senso messo da parte quanto in lei era personale per essere unicamente a disposizione del Figlio; ed è in questo soltanto che Maria ha realizzato la sua personalità.

Penso che simile connessione tra il mistero di Cristo e quello di Maria, che i testi della Scrittura qui riferiti ci fanno meditare, sia di grande importanza nella nostra epoca di attivismo di cui la mentalità occidentale ha toccato le punte massime. Perché nel nostro modo di pensare vale ancora solo il principio dell’homo faber: fare, produrre, pianificare il mondo e semmai fabbricarlo di nuovo da sé, senza dover niente a nessuno, facendo affidamento solo sulle proprie forze. Non a caso, credo, con questa nostra mentalità maschilista ed efficientista abbiamo sempre di più separato Cristo dalla madre, senza renderci conto che Maria – in quanto sua madre –, potrebbe significare qualcosa [di assolutamente nuovo] per la teologia e per la fede".

E qui il teologo Ratzinger ci dà una grande lezione di ecclesiologia e mariologia insieme: "Tutto il nostro rapportarci alla Chiesa parte perciò da un modo errato di pensare. La consideriamo quasi come un ‘affare tecnico’ che intendiamo programmare con perspicacia e realizzare con un dispendio enorme di energie. E ci meravigliamo se poi succede quanto annota San Luigi M. Grignion de Montfort, in calce ad un detto del profeta Aggeo: "Voi vi date molto da fare, ma non ne vien fuori niente!" [cfr. Ag 1, 6].

Se il fare prende il sopravvento, divenendo autonomo, quelle cose che sono invece da farsi, perché vitali e da portare a maturazione, non potranno mai esistere. È perciò necessario uscire dalla prospettiva unilaterale propria dell’attivismo della nostra società occidentale per non degradare la Chiesa a un prodotto pianificato del nostro agire.

Proprio per questo la Chiesa, che è un seme vivente da Dio gettato nella terra, ha bisogno del mistero mariano; anzi, è essa stessa mistero di Maria.

Può esserci nella Chiesa fecondità solo se essa si sottomette a questo segno; solo se diventa, cioè, terra santa per la Parola. Dobbiamo accettare il simbolo del terreno fertile; dobbiamo diventare uomini e donne che sanno aspettare, raccolti nell’interiorità della propria anima, persone che nella profondità della preghiera, dell’anelito e della fede, danno spazio alla crescita del seme gettato nella terra".

Jacopo Zucchi, L'Esaltazione della Chiesa con Maria - Basilica di San Pietro, Sagrestia dei Canonici, Città del Vaticano.
Jacopo Zucchi, L’Esaltazione della Chiesa con Maria
Basilica di San Pietro, Sagrestia dei Canonici, Città del Vaticano.

Una Chiesa "all’antica", cioè: mariana

"Il Card. Joseph Frings – ricorda infine Joseph Ratzinger, rifacendosi alla sua esperienza di giovane teologo presente al Concilio Vaticano II – ha affidato la Chiesa di Dio che è in Germania alla cura materna di Maria: a lei l’ha consacrata. Nel mezzo di un attivismo ovunque dilagante, egli l’ha voluta immettere nel solco dell’umile fruttificare per mezzo della Parola.

Durante il Concilio [Vaticano II], quando vennero a trovarsi di fronte il movimento liturgico, cristologico ed ecumenico da una parte, e quello mariano dall’altra, e le due parti rischiavano di porsi in alternativa l’una all’altra, il Card. Frings scongiurò i Padri con un forte appello a trovare un punto d’incontro.

Si oppose con vigore ad un’alternativa miope e frettolosa, come se la Chiesa si dovesse a quel punto decidere se diventare "moderna" [cioè: biblica, liturgica ed ecumenica], o restare invece "all’antica" [cioè: mariana]. Era infatti sua personale aspirazione unire le due tendenze, arricchendo la liturgia della profonda dolcezza della devozione a Maria, e aprendo quanto è mariano al grande respiro della tradizione liturgica.

Fu questo uno degli appelli più sentiti che egli rivolse ai Padri conciliari con la sua forte passione per la fede. Questo suo anelito è ora davanti a noi come un segnale, perché riconosciamo e accogliamo di nuovo il "mistero della terra [feconda]". E così la Parola porti frutto in noi".

[ndr: Il Card. Joseph Ratzinger riferisce al Card. Frings, Arcivescovo di Colonia, la paternità dell’appello rivolto ai Padri conciliari del Vaticano II. Ma siccome egli era allora il giovane sacerdote suo consulente teologo, non è lecito ritenere che sia stato proprio lui, Joseph Ratzinger, l’ispiratore di questo appello? Noi lo crediamo].

Bruno Simonetto

[SM=g1740750]

La mariologia di Benedetto XVI – 2


L’integrazione della mariologia nella teologia


Una concezione mariologica autentica rimarca il "nexus mysteriorum", l’intimo intrecciarsi dei misteri della Santa Vergine nel loro stretto legame con Cristo e la Chiesa.


Raccogliamo alcune "considerazioni" sulla collocazione della mariologia nel contesto del documento conciliare "Lumen gentium", traendole dal volumetto sulla Madonna, scritto dal Card. Joseph Ratzinger nel 1997: "Maria – Kirche im Ursprung" [in italiano: Maria – Chiesa nascente, Cinisello Balsamo 1998].

In questa riflessione il Card. Ratzinger avverte che "non si può prescindere dalla situazione storica della Chiesa, quando si solleva la problematica sul significato della mariologia e della devozione alla Madonna in genere, così come è stata recepita dal Concilio Vaticano II."; perciò invita ad esaminare la questione delle affermazioni mariologiche del Concilio sullo sfondo dei movimenti che fino ad allora avevano segnato la vita spirituale della Chiesa: quello liturgico [con il rinnovamento benedettino che si ebbe in Europa, e soprattutto in Germania, tra le due Guerre Mondiali] e quello mariano [tra Lourdes e Fatima, con l’apice segnata dal dogma dell’Assunta del 1950].

"Al movimento liturgico – osserva Ratzinger – si unirono saldamente il movimento ecumenico e quello biblico, sì da formare un’unica grande corrente. Il rinnovamento della Chiesa, a partire dalle fonti scritturistiche e dalle antiche forme di preghiera ecclesiale [rinnovamento che costituiva lo scopo fondamentale di questi movimenti], ebbe una prima ratifica ufficiale ancora sotto il Pontificato di Pio XII, con le Encicliche sulla Chiesa e sulla Liturgia".


Doveva essere compito del Concilio Vaticano II "integrare" questi movimenti, riconducendoli a una feconda unità: "In questa faticosa ricerca – annota il Card. Ratzinger, testimone diretto delle varie "componenti teologiche" presenti al Concilio – si ebbe la famosa votazione del 29 Ottobre 1963, vero spartiacque spirituale: si era arrivati alla questione se la mariologia fosse da presentare in un testo a sé, oppure da integrare nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa [‘Lumen gentium’]". Prevalse la seconda opzione; ma di fatto si ebbe una spaccatura dei Padri conciliari: il gruppo espressione del movimento biblico-liturgico [con relativo ‘accorpamento’ del movimento mariano] prevalse di misura su quello che sosteneva una mariologia autonoma dalla trattazione teologico-ecclesiale: 1114 contro 1074.

Tuttavia – lo rileva ancora il Card. Ratzinger – "la nuova mariologia ecclesiocentrica era estranea, e tale è rimasta, proprio per quei Pari conciliari che davanti a tutti s’erano fatti portavoce della devozione mariana. Il vuoto che in tal modo si formò non poteva essere colmato neppure con l’introduzione del titolo "Madre della Chiesa" che Paolo VI propose consapevolmente alla fine del Concilio, in risposta alla crisi che si delineava. Di fatto, l’affermarsi della mariologia ecclesiocentrica portò momentaneamente al collasso la mariologia in quanto tale".

Postulati mariani

Stralciando [e riassumendo] alcune importanti considerazioni che il Card. Joseph Ratzinger propone, a partire da questa situazione evidenziata durante i lavori conciliari e, in qualche modo, successivamente raccolta da Papa Paolo VI nell’Esortazione apostolica Marialis cultus [del 2 Febbraio 1974], troviamo enucleati alcuni postulati che ne derivano, espressi come segue da colui che sarebbe diventato Papa Benedetto XVI.

Madonna della Misericordia - Bassorilievo in legno intagliato policromo - Opera di Ignoto di fine sec. XVI.
Madonna della Misericordia – Bassorilievo in legno intagliato policromo – Opera di Ignoto di fine sec. XVI.

1] La funzione positiva della mariologia nella teologia

"[…] In riferimento al concetto di Chiesa, una mariologia rettamente intesa esercita una doppia funzione, di chiarimento e di approfondimento.

a] La Chiesa è più di un "popolo", più di una struttura e di un’attività: in essa vive il mistero della maternità e dell’amore sponsale che rende possibile tale maternità. Solo se ciò esiste è possibile una devozione alla Chiesa, l’amore per la Chiesa. Dove questa viene considerata solo di genere maschile, da un punto di vista strutturale o teoretico-istituzionale, lì è venuto a mancare ciò che è il suo proprio, quel centro attorno al quale si ruota sia nella Bibbia che nei Padri, allorché si parla della Chiesa [cfr. al riguardo la fondamentale esposizione di H. U. von Balthasar, nell’opera "Sponsa Verbi", Morcelliana, Brescia 1985, pp. 139-187].

b] […] Lo stesso mistero eucaristico-cristologico della Chiesa, che si annuncia nell’espressione "Corpo di Cristo", resta nelle sue giuste proporzioni soltanto se racchiude in sé il mistero mariano: quello di essere l’ancella in ascolto che, divenuta libera nella Grazia, pronuncia il suo "fiat" e così diventa ‘sposa e quindi corpo’.

[…] Solo grazie all’elemento mariano viene pienamente ristabilita la sfera affettiva della fede, e così conseguita la conformità umana alla realtà del Logos incarnato".


2] Il posto della mariologia nel complesso della teologia

"È inoppugnabile, invero, la scoperta storico-dogmatica che le affermazioni su Maria sono divenute necessarie innanzitutto a partire dalla cristologia, all’interno della cui struttura si sono sviluppate. Ma va aggiunto subito che tutto questo non costituì, né poteva costituire, una vera e propria mariologia; rimaneva invece un’esplicazione della cristologia.

Al tempo dei Padri [della Chiesa], invece, l’intera mariologia era delineata nell’ecclesiologia, senza comunque che venisse nominata la Madre del Signore: la Virgo Ecclesia, la Mater Ecclesia, la Ecclesia immaculata, l’Ecclesia assumpta. Tutto quanto più tardi diverrà mariologia, è stato pensato come ecclesiologia […].

La convergenza di questa ecclesiologia […] con le affermazioni su Maria precedentemente elaborate nella cristologia [convergenza che iniziò con San Bernardo di Chiaravalle], fece fiorire una mariologia come complesso a sé stante nella teologia. Per cui non la si può più subordinare né solo alla cristologia né solo all’ecclesiologia.

Il discorso sulla Vergine Maria rimarca piuttosto il "nexus mysteriorum", l’intimo intrecciarsi dei misteri nel loro reciproco essere-di-fronte come nella loro unità. Se lo stretto legame tra Cristo e la Chiesa è riscontrabile nelle coppie di concetti sposo-sposa, capo-corpo, si va ancora oltre in Maria, perché ella sta certamente in rapporto a Cristo anzitutto non come sposa, ma come madre. Si può intravedere qui la funzione del titolo "Madre della Chiesa"; esso esprime il superamento dell’ambito ecclesiologico nella dottrina mariana e contemporaneamente il loro mutuo rapporto […].

Ma se "Cristus et Ecclesia" costituiscono il fulcro ermeneutico della Scrittura concepita come storia della Salvezza – conclude il Card. Ratzinger –, allora e solo allora diviene definito il luogo in cui la maternità di Maria diventa teologicamente significativa come ultima concretizzazione personale della Chiesa: Maria, nel momento del suo "sì", è l’Israele in persona. È la Chiesa in persona e quale persona. Ella è certamente questa personalizzazione della Chiesa perché, a motivo del suo "fiat", è diventata la madre in carne e ossa del Signore […]. Possiamo quindi affermare che le asserzioni sulla maternità di Maria e quelle su quanto essa rappresenta nella Chiesa interagiscono tra loro come factum e mysterium facti. Le due cose sono inseparabili: il fatto senza significato sarebbe cieco; il senso senza il fatto sarebbe vuoto.

Ne deriva che la mariologia non può essere costruita sul semplice fatto [della maternità fisica di Maria], ma sul fatto interpretato con l’ermeneutica della fede. Perciò la mariologia non può mai essere puramente mariologica, perché essa si colloca nell’insieme unitario della struttura fondamentale di Cristo e Chiesa, come la più concreta espressione della loro connessione [cfr. I. de la Potterie, La mère de Jésus et la conception virginale du Fils de Dieu. Études de théologie johannique, in Marianum 40, 1978, 41-90, specialmente 45 e 89]".

La Salus Popoli Romani


3] Mariologia, antropologia e fede nella creazione

"Procedendo ancora più in profondità, risulterà che la mariologia esprime di per sé il nucleo di ciò che è la "storia della Salvezza", superando d’altro canto una pura e semplice concezione storico-salvifica.

Se essa viene riconosciuta come parte essenziale nell’ermeneutica della storia della Salvezza, ciò significa che ad un equivocabile "solus Christus" si contrapporrà la grandezza autentica della cristologia, la quale deve parlare di un solo Cristo, ma che è "capo e corpo", che abbraccia cioè la creazione redenta nella sua relativa autonomia. Allora però lo sguardo si allunga ad di là della storia della Salvezza, perché di fronte ad un’attività efficace unica di Dio si è indotti a tenere in conto la realtà della creatura, che è da Dio chiamata ad una risposta libera e ne è resa capace.

In mariologia diventa chiaro che la dottrina sulla Grazia non termina col ritiro della creazione ma, al contrario, è il "sì" definitivo alla creazione stessa: la mariologia diventa così garanzia dell’autonomia della creazione; garanzia della fede nella creazione e sigillo ad una dottrina sulla creazione rettamente intesa. Emergono, a questo punto, esigenze e compiti che sono stati finora appena sfiorati [nella nostra analisi].

a] Maria si presenta nel suo fedele essere-di-fronte all’appello di Dio come rappresentante della creazione da lui interpellata e della libertà della creatura che nell’amore non svanisce ma si realizza. È lei la rappresentante dell’uomo salvato e libero; ma proprio in quanto donna, cioè nella sua determinazione corporea: il ‘biologico’ e l’umano sono inseparabili, così come lo sono l’umano e il ‘teologico’ […].

E poiché la determinata caratterizzazione biologica dell’umano ha la sua realtà più evidente nella questione della maternità […], la conservazione della creazione è legata particolarmente proprio alla donna; e colei nella quale il ‘biologico’ è teologico’ – grazie alla divina maternità – è in modo particolare il punto di riferimento da cui ogni strada si diparte.

b] Alla stregua della maternità, la verginità di Maria è conferma dell’umanità del ‘biologico’, della totalità dell’uomo davanti a Dio e dell’inclusione del suo essere-uomo come maschio e femmina nell’escatologica esigenza e speranza della fede. Ora, non è un caso che la verginità […] venga primariamente formulata a partire dalla donna, considerata l’autentica ‘guardasigilli’ della creazione, e che trovi in lei la sua forma decisiva e completa, dall’uomo, in certo qual senso, solamente imitabile. [Sull’unità tra biologico, umano e teologico, cfr. I. de la Potterie, loc. cit., 897 ss; cfr. anche L. Bouyer, La Chiesa di Dio, Cittadella, Assisi 1971, capp. 11 ["La sposa e la fidanzata di Cristo"] e 12 ["Ecclesia Mater"] ]".

Le considerazioni fin qui svolte [nei tre "postulati mariani" dello studio del Card. Joseph Ratzinger, riassunti in modo sommario] permettono di chiarire la struttura della devozione alla Madonna, come la intende il grande teologo tedesco.

Ci torneremo sopra nei prossimi numeri delle rivista, mentre ci auguriamo che ulteriori sviluppi del prezioso magistero mariano, parlato e scritto, di Papa Benedetto XVI arricchiscano le nostre conoscenze mariologiche e accrescano la nostra devozione alla Madre di Dio.

Bruno Simonetto

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La mariologia di Benedetto XVI – 3


La struttura della devozione alla Madonna


Profondità teologica e fecondità spirituale nel pensiero del futuro Papa sulla natura e funzione della devozione mariana, dalla dimensione "incarnatoria" al "trascendimento escatologico" dell’Assunzione al Cielo di Maria.


Completiamo la riflessione sulle "considerazioni" in ordine alla collocazione della mariologia nel contesto del documento conciliare "Lumen gentium", contenute nel volumetto sulla Madonna, scritto dal Card. Joseph Ratzinger nel 1997: "Maria – Kirche im Ursprung" [in italiano: Maria – Chiesa nascente, Cinisello Balsamo 1998].

Ricordavamo nel num. scorso della rivista come in tali "considerazioni" il Card. Joseph Ratzinger avvertisse che "non si può prescindere dalla situazione storica della Chiesa, quando si solleva la problematica sul significato della mariologia e della devozione alla Madonna in genere, così come è stata recepita dal Concilio Vaticano II"; perciò invitava ad esaminare la questione delle affermazioni mariologiche del Concilio sullo sfondo dei Movimenti che fino ad allora avevano segnato la vita spirituale della Chiesa: quello liturgico [con il rinnovamento benedettino che si ebbe in Europa, e soprattutto in Germania, tra le due Guerre Mondiali] e quello mariano [tra Lourdes e Fatima, con l’apice segnata dal dogma dell’Assunta del 1950].

Bene. Il futuro Papa ritiene che le considerazioni in premessa "permettono di chiarire la struttura della devozione mariana", rilevando peraltro – con un’osservazione che può sembrare desueta – che "il posto tradizionale [di tale devozione] nella liturgia della Chiesa è l’Avvento e quindi, in genere, l’ambito delle feste relative al ciclo natalizio: la Candelora e l’Annunciazione".



Già questa osservazione rivela il senso storico-patristico con il quale Ratzinger si accosta al problema, in quanto le due feste da lui citate [la festa della Presentazione del Signore, il 2 Febbraio, e la solennità dell’Annunciazione del Signore, 25 Marzo] sono propriamente considerate nel nuovo Messale feste di Gesù Cristo; ma – in linea con la tradizione più antica – non perdono per questo il loro carattere mariano.

"Nella riflessione svolta – spiega il Card. Joseph Ratzinger –, abbiamo considerato caratteristico dell’elemento mariano il fatto che esso sia personalizzante [appartenga, cioè, alla Chiesa non come struttura, ma come persona e in persona], e sia incarnante [unità di bíos, persona e rapporto con Dio, autonomia della creatura nel suo essere-di-fronte-al-Creatore, del "corpo" di Cristo in relazione al Capo]; e che, partendo da entrambi gli aspetti comprenda la sfera del cuore, la sfera affettiva, e così renda stabile la fede nelle radici più profonde dell’essere-umano".

E qui entra in giuoco il tema dell’Avvento, come "punto di partenza" per definire una devozione autenticamente liturgico-mariana; perché con l’Avvento si va alle origini del mistero cristiano e, dunque, della figura e della funzione di Maria, Madre del Signore.

Le due caratteristiche dell’elemento mariano sopra ricordate ["personalizzante" e "incarnante"] rimandano all’Avvento come luogo liturgico dell’elemento mariano, e dall’Avvento stesso vengono a loro volta ulteriormente chiarite nel loro significato.

"La devozione mariana – continua Ratzinger – è "avventuale"; essa colma della gioia di un’attesa a breve scadenza, ed è collegata al motivo dell’Incarnazione donata e donantesi nella prossimità del Signore". E, a questo punto, il teologo-mariologo Joseph Ratzinger cita Ulrich Wickert, osservando come questi "molto bene rileva che Luca descrive Maria come colei che è due volte "avventuale": all’inizio del Vangelo, allorché aspetta la nascita del Figlio, e all’inizio degli Atti, allorché aspetta la nascita della Chiesa" [cfr. U. Wickert, Maria und die Kirche, in Theologie und Glaube 68, 1978, 384-407, cit.].



Incarnazione ed escatologia

"Nel processo di crescita [della devozione mariana] – continua Ratzinger – si è andato aggiungendo con sempre maggiore insistenza un altro momento. Certamente la devozione mariana è prima di tutto "incarnatoria", rivolta cioè al Signore che è venuto nel mondo: con essa impariamo a restare con Maria presso di Lui.

Ma la festa dell’Assunta in Cielo, che con il dogma del 1950 ha acquistato nuovo peso, valorizza anche il trascendimento escatologico dell’Incarnazione.

È proprio di Maria l’esperienza dell’esser rifiutati [cfr. Mc 3, 31-35; Gv 2, 4], un’esperienza che quando ella è "data via" ai piedi della Croce [cfr. Gv 19, 26] si fa compartecipazione a quel rifiuto che Gesù stesso dovette sperimentare nell’Orto degli Ulivi [cfr. Mc 14, 34] e sulla Croce [cfr. Mc 15, 34]. Soltanto in tale rifiuto può accadere il nuovo; soltanto con l’ "andar via" il ritorno può diventare evento [cfr. Gv 16, 7].

Così la devozione a Maria è necessariamente anche devozione alla Passione [di Cristo]. Nella profezia del vegliardo Simeone circa la spada che le trafiggerà il cuore [cfr. Lc 2, 35], Luca, fin dall’inizio, ha annodato insieme Incarnazione e Passione, i Misteri gaudiosi e quelli dolorosi. La Vergine Maria nel culto della Chiesa si manifesta in certo qual modo come la Veronica vivente, l’icona che ritrae Cristo nel cuore umano e ne riflette l’immagine, rendendola percettibile nella contemplazione del cuore.


Nella prospettiva della mater assumpta, [della Vergine-Madre assunta in Cielo], l’Avvento si estende fino all’escatologia; l’Incarnazione diventa la via che nella Croce non revoca il farsi-carne, ma lo valorizza fino in fondo.

In questo senso, l’estensione medioevale del culto a Maria oltre l’Avvento, nella totalità dei misteri della Salvezza, corrisponde senz’altro alla logica della fede biblica.

In conclusione, può essere individuato un triplice compito per un’educazione al culto mariano:

1] Si deve preservare quanto è propriamente mariano, perché esso si realizza nel suo rigoroso e costante rinvio al cristologico; e così, sia quello che questo possono essere ricondotti alla loro giusta forma.

2] La devozione mariana non deve ritirarsi su frazioni dell’elemento cristologico o addirittura ridurre questo ad aspetti parziali di sé; si deve invece aprire a tutta l’ampiezza del mysterium e diventare essa stessa via a tale estensione.

3] La devozione mariana si manterrà sempre nella tensione tra razionalità teologica e affettività credente. Ciò è nella sua essenza; e si tratta quindi di non lasciare atrofizzare nessuno dei due aspetti: non dimenticare nell’affettività il metro obiettivo della ratio, ma anche non soffocare nell’obiettività di una fede in ricerca il cuore che vede spesso più in là del semplice intelletto. Non per niente i Padri hanno preso Mt 5, 8 come base del loro insegnamento teologico sulla conoscenza: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio": l’organo per vedere Dio è il cuore purificato.

Potrebbe spettare alla devozione mariana operare il risveglio del cuore e la sua purificazione nella fede.

Se la disgrazia dell’uomo di oggi è sempre di più quella di cadere o nel puro bíos o nella pura razionalità, la devozione a Maria può agire in senso contrario a una simile "decomposizione" dell’umano e aiutare, partendo dal cuore, a ritrovare nel mezzo l’unità [dell’essere]".


Profondità teologica e fecondità spirituale

Rileggendo a ritroso quanto abbiamo riportato nel num. scorso sui tre "postulati mariani" che il Card. Joseph Ratzinger proponeva, a partire dalla situazione evidenziata durante i lavori del Concilio Vaticano II e, in qualche modo, successivamente raccolta da Papa Paolo VI nell’Esortazione apostolica Marialis cultus [del 2 Febbraio 1974], ci rendiamo meglio conto della profondità teologica – e della fecondità spirituale – della mariologia del futuro Papa Benedetto XVI.

In sintesi:

1] La funzione positiva della mariologia nella teologia in riferimento alla Chiesa: una mariologia rettamente intesa esercita una doppia funzione, di chiarimento e di approfondimento: a] nella Chiesa vive il mistero della maternità e dell’amore sponsale che rende possibile tale maternità. b] […] Lo stesso mistero eucaristico-cristologico della Chiesa, che si annuncia nell’espressione "Corpo di Cristo", resta nelle sue giuste proporzioni soltanto se racchiude in sé il mistero mariano: quello di essere l’ancella in ascolto che, divenuta libera nella Grazia, pronuncia il suo "fiat" e così diventa ‘sposa e quindi corpo’.

2] Il posto della mariologia nel complesso della teologia si evidenzia nel senso che il discorso sulla Vergine Maria rimarca il "nexus mysteriorum" […]. Se lo stretto legame tra Cristo e la Chiesa è riscontrabile nelle coppie di concetti sposo-sposa, capo-corpo, si va ancora oltre in Maria, perché ella sta certamente in rapporto a Cristo anzitutto non come sposa, ma come madre […]. Ma se "Cristus et Ecclesia" costituiscono il fulcro ermeneutico della Scrittura concepita come storia della Salvezza, allora e solo allora diviene definito il luogo in cui la maternità di Maria diventa teologicamente significativa come ultima concretizzazione personale della Chiesa: Maria, nel momento del suo "sì", è l’Israele in persona. È la Chiesa in persona e quale persona […]. Ne deriva che la mariologia non può essere costruita sul semplice fatto [della maternità fisica di Maria], ma sul fatto interpretato con l’ermeneutica della fede. Perciò la mariologia non può mai essere puramente mariologica, perché essa si colloca nell’insieme unitario della struttura fondamentale di Cristo e della Chiesa, come la più concreta espressione della loro connessione.



3] Mariologia, antropologia e fede nella creazione: a] Maria è la rappresentante dell’uomo salvato e libero; ma proprio in quanto donna, cioè nella sua determinazione corporea: il ‘biologico’ e l’umano sono inseparabili, così come lo sono l’umano e il ‘teologico’ […]. b] Alla stregua della maternità, la verginità di Maria è conferma dell’umanità del ‘biologico’, della totalità dell’uomo davanti a Dio: non è un caso che la verginità […] venga primariamente formulata a partire dalla donna, considerata l’autentica ‘guardasigilli’ della creazione, e che trovi in lei la sua forma decisiva e completa.

Tali sono la profondità teologica e la fecondità spirituale, nel pensiero del futuro Papa Benedetto XVI, circa la natura e la funzione della devozione alla Madonna, dalla dimensione "avventuale-incarnatoria" al "trascendimento escatologico" dell’Assunzione al Cielo della Vergine-Madre.


Bruno Simonetto

[SM=g1740738]
[Modificato da Caterina63 25/09/2009 15:52]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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