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La storia DELL'ANGELUS

Ultimo Aggiornamento: 20/08/2014 18:54
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02/12/2008 18:47
 
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Storia dell’"Angelus"


L’"Angelus" nell’arte poetica: il canto commosso del Carducci e quello estetico del D’Annunzio.

Delle tante suggestioni che l’Angelus ha suscitato nei poeti di ogni tempo, ricordiamo stavolta Giosuè Carducci [1835-1907] e Gabriele D’Annunzio [1863-1938].

Il poeta versiliese Carducci andò via via calmando i suoi "bollenti spiriti" giacobini e anticlericali, fino a comporre fra il Luglio e i primi di Agosto del 1897 l’ode dedicata a La chiesa di Polenta, antico edificio sacro [sec. VIII-IX] che sorge presso i ruderi della Rocca che fu dei Polentani, dove fra l’altro - si racconta - sostarono Francesca da Rimini e Dante esule che eternò Francesca nel canto V dell’Inferno.

Radicando la sua ispirazione nel Medioevo barbarico, il Carducci stempera in quest’ode la sua antica polemica contro la Chiesa in quanto causa del ritardo dell’unificazione nazionale dell’Italia, riconoscendo alla stessa l’opera mediatrice compiuta fra latini e barbari.

Non è certo uno spirito mariano a ispirare l’ultima parte dell’ode: la squilla serotina dell’Ave, Maria che si perde dalla chiesa di Polenta giù nella piana di Romagna fino all’Adriatico è tuttavia suggestione, è momento contemplativo del poeta sorpreso in un’insorgente e imperiosa nostalgia. È ripiegamento, non conversione; ma qui interessa sottolineare come il suono delle campane dell’Angelus della sera abbia toccato anche il suo animo di arcigno poeta.

Ecco le strofe saffiche finali dell’ode, commosso canto alla Vergine dell’Ave Maria:

"Salve, affacciata al tuo balcon di poggi
tra Bertinoro alta ridente e il dolce
pian cui sovrasta fino al mar Cesena
donna di prodi,

salve, chiesetta del mio canto! A questa
madre vegliarda, o tu rinovellata
itala gente dalle molte vite, rendi la voce
de la preghiera: la campana squilli ammonitrice: il campanil risorto

canti di clivo in clivo a la campagna
Ave, Maria.

Ave, Maria! Quando su l’aure corre
l’umil saluto, i piccioli mortali
scovrino il capo, curvano la fronte
Dante ed Aroldo.

Una di flauti lenta armonia
passa invisibil fra la terra e il cielo:
spiriti forse che furon, che sono
e che saranno?

Un oblìo lene de la faticosa
vita, un pensoso sospirar quïete,
una soave volontà di pianto
l’anima invade.

Taccion le fiere e gli uomini e le cose,
roseo ’l tramonto ne l’azzurro sfuma,
mormoran gli alti vertici ondeggianti
Ave, Maria."




Millet, Jean-Francois, L'Angelus, 1857-59



Mattinata alla Vergine di Gabriele D’Annunzio

Dalle campane dell’Ave della sera del Carducci a quelle dell’alba rievocate dal poeta del Decadentismo, Gabriele D’Annunzio, altro "impenitente". Sembra incredibile che un tale soggetto, tutto preso dalla sua edonistica visione della vita, abbia lasciato scritto qualcosa di molto bello sulla Madonna. Pure, due brevi ma concentrate preghiere sono uscite dalla sua penna: un’Annunciazione [Ave, Sorella] che il poeta sembra ripetere come richiesta di pietà e invocazione di assistenza e di conforto, e un’Ave [Mattinata], sospesa tra prodigio naturalistico e desiderio di miracolo interiore. Ecco le due strofe centrali di quest’ultima, dedicata all’Angelus del mattino:

"Spandono le campane
alla prim’alba l’Ave.
Spandono questa mane
un suon grave e soave
le campane lontane…

Salve, Janua coeli!
Co ’l dì, la nostra Bella
fuor de’ sogni e de’ veli
balza. Ave, maris stella!
Salve, Regina coeli!".


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dal sito stpaulus sezione Madre di Dio

Storia dell’"Angelus"


Il suono dell’Angelus è stato sentito fin dalle origini, nel suo indicibile carico di mistica poesia mariana, come armonioso invito a salutare la Vergine.

Continuiamo dal precedente num. di Aprile l’interessante racconto delle origini della pia pratica dell’Angelus, a partire dal sec. XIII.

Abbiamo già ricordato come, in un Decreto del Sinodo di Strigonia [in Ungheria] del 1307 si prescriveva che tutte le sere si suonasse la campana ad instar tintinnabuli per annunziare l’ora dell’"Angelus" e si concedevano indulgenze ai fedeli che a quel suono avessero recitato tre Ave, Maria. Evidentemente, questo suono era ben distinto da quello del "coprifuoco", che si usava particolarmente in Francia e aveva lo scopo di richiamare i contadini dai campi; dopo di che le porte della città venivano chiuse. Per il "coprifuoco" si suonava a distesa per un buon tratto di tempo, mentre per l’"Angelus" si suonava a rintocchi e in tre tempi, separati da un breve intervallo.

Se da principio il suono di "Compieta" servì anche a ricordare ai fedeli la recita dell’Angelus, in seguito i due suoni furono ben distinti. Un altro Decreto sinodale, promulgato dal Vescovi di Lerida [in Spagna] nel 1308 prescriveva espressamente che la campana dell’Angelus dovesse essere suonata "dopo Compieta, verso il crepuscolo della notte, a rintocchi in tre pause [= ‘pulsetur seu repiquetur cimbalum per tres pausas’]".

Nel 1318 l’Angelus ottenne l’approvazione pontificia di Giovanni XXII, che concesse 10 giorni di Indulgenza ai fedeli che ne avessero recitato in ginocchio le tre Ave, Maria, come già era in uso in alcune Diocesi della Francia. Nove anni dopo, nel 1327, con una Lettera inviata da Avignone al suo Vicario generale in Roma, ordinava che ogni sera, all’imbrunire, si suonasse la campana in ogni rione della Città e che i fedeli a quel suono recitassero la "Salutazione Angelica".

Dopo queste approvazioni, l’Angelus si diffuse progressivamente in tutta la Chiesa.



Armonie mariane

Nel Canto VIII del ‘Purgatorio’, in due ben note terzine, Dante ricorda la ‘squilla’ che a sera sembra piangere il giorno morente:

"Era già l’ora che volge il desio
ai navicanti e ’ntenerisce il core
lo dì c’han detto ai dolci amici addio;
e che lo novo peregrin d’amore
punge, s’e’ ode squilla di lontano,
che paia il giorno pianger che si more".

[Purg VIII, 1-6]

A quale campana il sommo Poeta intende alludere? A quella dell’Angelus, di ‘Compieta’ o a quella del coprifuoco? Con molta probabilità, la ‘squilla’ che suscitava quei sentimenti patetici era proprio quella dell’Angelus. Anche perché – quando Dante scrisse la "Divina Commedia" – il suono della sera dell’Ave, Maria era già ben diffuso in Toscana, e nel Veneto dove il poeta esule dimorò a lungo. Il modo stesso con cui veniva suonata la campana [all’Angelus], a rintocchi lenti, interrotti da due brevi intervalli, nell’ora in cui le cose svaniscono nell’ombra della sera, poteva davvero "pungere d’amore", cioè suscitare nel viandante non ancora uso ad allontanarsi da casa, un intenso desiderio degli affetti più cari che lasciava; e dare davvero la sensazione che quel suono fosse come un saluto d’addio o un pianto sul giorno morente…

L’Angelus, in fondo, va certo sentito come perenne messaggio sulla dignità dell’uomo, perché è impossibile celebrare con verità questo pio esercizio senza essere colpiti dalla grandezza del destino dell’uomo, chiamato al ‘consorzio’ divino, e senza essere spinti a viverne con coerenza i contenuti.

Ma, per dirla con il Manzoni ne "Il nome di Maria", il suono della campana dell’Angelus va anche sentito nel suo indicibile carico di mistica poesia mariana che ripetutamente invita a salutare la Vergine: "Te quando sorge, e quando cade il die e quando il sole a mezzo corso il parte, saluta il bronzo che le turbe pie invita ad onorarte" .

Simone Moreno



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Storia dell’"Angelus"


L’Angelus del mattino e la sua rilevanza nella stessa vita civile, tra la fine del sec. XIII
e il XIV.


Continua l’interessante storia delle origini dell’Angelus, iniziata a partire dal sec. XIII [come abbiamo documentato nelle due precedenti puntate].

Ben presto, da quando il suono delle campane invitavano i fedeli a rivolgere il saluto della sera alla Vergine, si è ritenuto di fare altrettanto al sorgere del giorno: l’Angelus del mattino fu introdotto in Italia verso la fine dello stesso sec. XIII, ed è di origine monastica.

La prima traccia dell’Angelus del mattino si ha nelle ‘Costituzioni’ di Tommaso I, Abate di Montecassino dal 1285 al 1288. Il solerte Abate stabilisce che "il sacrista suoni a tempo debito a tutte le ore: al mattino, un’ora avanti il giorno, e prepari i lumi e gli Altari come è tenuto; e all’Ave, Maria la sera e la mattina".

La notizia è interessante, considerando il fatto che forse l’Abate – conoscendo l’importanza che i Francescani annettevano al suono dell’Angelus della sera – intendeva insistere su antichi "esercizi di pietà", quale era quello delle tres orationes che si praticava in molte Comunità religiose, a mattino, a mezzogiorno e a sera, previo avviso di una campana all’interno del Convento o del Monastero. Così l’antica pratica risultò modificata, e ben presto prevalse l’uso del suono dell’Ave, Maria che si trasformò in Angelus del mattino.

Da notare che – oltre all’uso di indicarlo come "suono dell’Ave, Maria" – inizialmente lo si indicava talvolta come "suono del Pater noster", a motivo dell’altra delle due principali preghiere che componevano il pio esercizio. [Una curiosità: tuttora, a Malta e in qualche paese della Sicilia, il suono della campana del mattino si dice ancora "del Pater noster"].



Occorre arrivare al 1317 per avere un’altra testimonianza sull’Angelus del mattino.

In una cronaca della città di Parma si legge, infatti, che in quell’anno si incominciò a dare al mattino un triplice tocco di campana. A quel suono, secondo le disposizioni del Vescovo, i fedeli erano invitati a recitare tre Pater noster e tre Avemaria e subito dopo – come aveva stabilito il Magistrato civile – dovevano iniziare il lavoro.

Un’altra testimonianza risale al 1330 e si trova nel "Liber de laudibus Papiae". Vi si legge che nella città di Pavia "oltre a quel quotidiano segno che si fa la sera per salutare la gloriosa Vergine, ne è stato istituito ora [= nuper] un altro da farsi al mattino, poco dopo l’aurora, per ripetere lo stesso saluto, come si osserva in molti luoghi".

Questo passo è di particolare importanza, poiché si fa riferimento proprio all’Angelus del mattino, e non ad una pratica generica o mista: quest’Angelus è messo in rapporto con quello della sera e si afferma che ha lo stesso scopo: "…per salutare la gloriosa Vergine".

Rilevanza dell’Angelus del mattino

E l’Angelus del mattino assunse all’epoca tale rilevanza nella vita civile del nostro Paese che, ad esempio, a Siena venivano addirittura considerati invalidi quegli atti giudiziari emessi il giorno in cui fosse stato tralasciato il suono dell’Angelus.

Fuori d’Italia, la pratica dell’Angelus del mattino comparve più tardi, verso la fine del sec. XIV.

Nel 1390 Papa Bonifacio IX concedeva indulgenze ai fedeli di una chiesa dell’Olanda se, al suono della campana al mattino e alla sera, avessero recitato in ginocchio almeno tre Pater e tre Ave. Poco tempo dopo, lo stesso Papa esortava il Clero della Baviera [in Germania] a far suonare la campana dell’Ave, Maria anche al mattino, come si usava a Roma e in parecchi paesi d’Italia.

All’inizio del 1400, infine, un Sinodo tenuto a Colonia stabiliva chiaramente: "D’ora in poi, ogni giorno, in ogni chiesa, circa al sorgere del sole, si suoni per tre volte la campana come si usa suonare al tramonto, per la salutazione della Vergine gloriosissima". E si concedevano indulgenze a coloro che a quel suono avessero recitato tre Avemaria.

Fin qui, dunque, la storia dell’Angelus del mattino.

Simone Moreno


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Storia dell’"Angelus"


Il suono dell’Angelus a mezzogiorno, sosta nelle fatiche della giornata, fu introdotto verso la fine del sec. XV.


L'Angelus del mezzogiorno – oggi il più sentito, anche perché è vissuto come sosta nelle fatiche della giornata ed elevazione del pensiero alla Madre del Cielo – fu l’ultimo ad essere introdotto nella pratica dei fedeli e si è diffuso molto lentamente.

Già nella prima metà del Quattrocento, in alcuni Paesi d’Europa si usava un suono di campana al Venerdì, tra il mezzogiorno e le tre del pomeriggio, in ricordo della Passione del Signore. Ma la consuetudine di suonare sempre le campane a mezzogiorno, per richiamare i fedeli alla preghiera, si ricollega a circostanze particolari della storia della Cristianità.

Nel 1456, i Turchi – dopo avere espugnato Costantinopoli e travolto l’Impero d’Oriente – erano giunti nel cuore dei Balcani. Papa Callisto III, di fronte a un così grave pericolo e angosciato per le divisioni dell’Occidente cristiano, il 29 Luglio indiceva una crociata di preghiere, prescrivendo che ogni giorno, tra l’Ora Nona [= le 3 del pomeriggio] e l’ora del Vespro, in tutte le Chiese si suonasse una o più campane, come per l’Angelus della sera, e che i fedeli a quel suono recitassero tre ‘Pater’ e tre ‘Ave, Maria’ per ottenere l’aiuto divino. E l’aiuto di Dio non si fece attendere: un mese dopo, San Giovanni da Capistrano e Giovanni Uniadi, contro ogni umana speranza, riportavano una splendida vittoria sui Turchi, presso le mura di Belgrado.

Il "pericolo islamico", tuttavia, durò ancora per due secoli; sicché la ‘campana dei Turchi’ continuò a suonare, almeno nei Paesi più direttamente minacciati.

In Occidente, invece, e particolarmente in Francia [dove, per rivalità politiche, poco importava dello spauracchio dei Turchi], si assimilò quel suono a quello dell’Angelus del mattino e della sera, già in uso per salutare la Vergine. Così nacque di fatto l’Angelus del mezzogiorno.



La progressiva affermazione dell’Angelus a mezzogiorno

Nel 1475. Il Re di Francia Luigi XI otteneva dal Papa Sisto IV che fossero concessi 300 giorni di indulgenza a coloro che "verso l’ora del mezzogiorno" avessero recitato "devotamente tre Avemaria per il bene della pace e l’unità del Regno". Tale pratica – chiamata per questo "l’Ave, Maria della pace" – fu presto messa in relazione con l’Ave della sera e trasformata in Angelus del mezzogiorno.

Sotto il Pontificato di Papa Sisto IV [1471-1484], l’Angelus del mezzogiorno fu introdotto anche il Inghilterra, su richiesta della principessa Elisabetta, futura madre del famigerato Enrico VIII. In un ‘Libro di preghiere’ del 1526 si specificava che Sisto IV aveva concesso speciali indulgenze a chi avesse recitato "tre Avemarie alle 6 del mattino, a mezzogiorno e alle 6 della sera".

In Italia, la prima notizia dell’Angelus a mezzogiorno risale al 1506 e riguarda la Città di Imola, dove il Duca ordinò per quell’ora il suono delle campane "per invitare i fedeli a salutare la Vergine". [Intanto, della "campana dei Turchi" nessuno parlava più…].

Nell’anno 1535 la pia pratica era comune anche a Roma, come si deduce dal documento che attesta come Sant’Ignazio di Loyola, recatosi quell’anno in Spagna, "curò che si suonasse e si recitasse l’Angelus tre volte al giorno, come avveniva a Roma".

In Germania, invece, l’Angelus del mezzogiorno fu ignorato per tutto il Cinquecento. Ancora nel 1584, il Vescovo di Vürz notava che le campane si usa suonarle "al mattino e alla sera per salutare la Vergine, e a mezzogiorno per ricordare la Passione del Signore".

Bisognerà comunque arrivare ai tempi di San Pio V [nel 1561] per trovare il pieno riconoscimento della pia pratica dell’Angelus indicato nei testi liturgici nella sua forma più completa, da recitare al mattino, a mezzogiorno e a sera.

Successivamente, Benedetto XIII [nel 1574], poi Benedetto XIV [nel 1742] e Pio VII [nel 1815] concederanno particolari Indulgenze, raccomandandone la recita ormai affermatasi nella prassi delle tre volte al giorno.

Simone Moreno


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Storia dell’"Angelus"


L’Angelus è inno di giovinezza e di speranza al mattino, canto di virilità tra le occupazioni del giorno, pausa di pace alla sera dopo le fatiche vissute nella giornata.

L'Angelus della sera – forse più ancora dell’Angelus del mattino e del mezzogiorno – rievoca dolcissimi sentimenti di sinfonie mariane: tre volte al giorno, esprimendolo con la poesia di A. Manzoni, invochiamo la Vergine: "Te quando sorge, e quando cade il die / e quando il sole a mezzo corso il parte, / saluta il bronzo che le turbe pie / invita ad onorarte".

Ma è soprattutto all’Angelus della sera – per rievocarne la bellezza con i versi dell’Alighieri – che sentiamo tutta la dolcezza della nostra preghiera alla Vergine: "Era già l’ora che volge il disio / ai navicanti e ’intenerisce il core / lo dì c’han detto ai dolci amici addio; / e che lo novo peregrin d’amore / punge, s’e’ ode squilla di lontano / che paia il giorno pianger che si more" [Purg. VIII, 1-6].

"Ave Maria! Quando su l’aure corre / l’umil saluto, i piccoli mortali / scovrono il capo, curvano la fronte / Dante e Aroldo" – ha sentito persino il duro Carducci ne "La chiesa di Polenta". E si riferiva ai versi del "Purgatorio" di Dante e al grande Byron [personificato nel protagonista del "Pellegrinaggio del giovane Aroldo"], cui il suono dell’Ave della sera ispirò versi dolcissimi: "Una di lauti lenta melodia / passa invisibil fra la terra e il cielo: / spiriti forse che furon, che sono / e che saranno"[…].



Il Saluto dell'Ave Maria

L’Angelus Domini, con quel suono di campane che richiama il saluto alla Vergine, ha sempre qualcosa di patetico e di suggestivo, sia che il richiamo provenga dalla campanella legata all’albero di bambù dell’ultimo sperduto villaggio di una Missione africana, sia provenga dal campanone della Basilica Vaticana o dal concerto di campane delle più celebri Cattedrali del mondo. Un Angelus che riveste tinte e armonie particolari, secondo il luogo e l’ora.

Hanno timbro giulivo le campane che, nella freschezza del mattino, diffondono la loro armonia dalle Chiesette dei paesi di riviera, con il suono che si ripercuote sulle spiagge, trova eco nelle insenature, si rifrange con l’onda sugli scogli, mentre la prima luce del giorno scintilla sul mare.

Formano un coro possente le campane che a mezzogiorno squillano nelle metropoli dai cento campanili: il loro suono vince l’urlo delle sirene delle fabbriche, invitando gli uomini indaffarati ad alzare per un istante gli occhi a quel ritaglio di cielo che ancora si scorge tra gli alti palazzi e la mole possente delle strutture produttive.

Ma è alla sera che i dolci rintocchi dell’Angelus si propagano dai campanili delle Chiesette di collina o delle valli montane, corrono di pendice in pendice e, trovando ancora oggi eco nel tintinnio dei campani delle mandrie, si disperdono per i prati e per i boschi alle prime ombre del crepuscolo, invitando alla quiete del giorno che sta per finire…

Quasi inno di giovinezza e di speranza al mattino, canto di virilità tra le occupazioni del meriggio, un addio al giorno che muore e, al tempo stesso, pausa di pace dopo le fatiche vissute, il suono dell’Angelus connota davvero tutte le nostre giornate…

E, ancora alla sera, ci viene forse più spontaneo rimeditare tutta la grandezza di questa preghiera alla Vergine: così, almeno idealmente, non possiamo non ricordare che, mentre nei versetti dell’Angelus sono evocati nella presenza di Maria di Nazareth il termine di una "historia salutis" precedente alla "pienezza del tempo" e contemporaneamente, con la discesa dello Spirito Santo su di lei, l’anticipazione di una realtà futura, vien ricordato il mistero dell’Incarnazione del Verbo: mistero vigorosamente armonizzato al nucleo essenziale del mistero pasquale: Passione-Morte-Risurrezione di Cristo".

L’Angelus ha anche questa profonda valenza teologica nella nostra vita di credenti.

Simone Moreno


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Storia dell’"Angelus"


Suggestioni dell’"Angelus" nelle varie espressioni dell’arte – La bellezza del verso "tu nascesti, Dio, da un piccolo Ave" nella poesia del Pascoli.

Ripercorriamo le mille suggestioni che l’Angelus ha suscitato in artisti di ogni tempo, dalla poesia alla pittura, dalla musica alle tante espressioni d’arte folkloristica.

Vogliamo proporne una breve rassegna, cominciando da Giovanni Pascoli, poeta tra i più vicini al sentimento della devozione popolare.

In "Campane a sera" – ripensando al tramonto lontano, quando gli fu ammazzato il padre che tornava a casa sul far della sera – così si rivolge alla sorella Maria:

"Odi, sorella, come note al cuore / quelle nel vespro tinnule campane / empiono l’aria quasi di sonore / grida lontane?".

Nei "Primi Poemetti" egli compone sull’Angelus una poesia semplice e armoniosa, che vale la pena ricordare:

"Sì: sonava lontana una campana. / Ombra di romba; sì che un malvestito / che beveva, si alzò dalla fontana, / e più non bevve, e scongiurò, di rito, / l’impaziente spirito. Via via / si sentì la campana di san Vito, / si sentì la campana di Badia; / e gli altri borghi, di qua di là, pronti / cantando si raggiunsero per via".

Siamo all’ora del tramonto, in un paesaggio campestre. Nell’aria si diffonde un suono di campana che viene di lontano e giunge, attenuato, come "ombra di romba". Un povero "malvestito" che si era chinato a bere a una fontana, si rialza all’improvviso, quasi scongiurando chissà quali immaginari spiriti che vagano per l’aria: secondo una vecchia tradizione popolare [ripresa anche dal Carducci], al suono dell’Angelus della sera, spiriti buoni e spiriti cattivi uscirebbero all’aperto, a svolazzare "fra la terra e il cielo"…

I rintocchi che giungono da lontano si uniscono "via via" come in concerto: "di qua di là" rispondono le campane di altri borghi; e le loro voci si rincorrono, formando un coro festoso che riempie l’aria e si ripercuote tutt’intorno.

Nella visione del poeta, è tutto un "tremolio sonoro", che nella tranquillità della sera dà come un fremito alla natura: si agitano le foglie degli alberi, ondeggiano le fonti, quasi muti spiriti che palpitano nelle acque e vanno per l’aria:

"C’era di muti spiriti nei fonti / un palpitare al tremolio sonoro / ch’empiva l’aria e percotea nei monti".

Filippo Lippi, Annunciazione - Galleria Doria-Pamphili, Roma.
Filippo Lippi, Annunciazione – Galleria Doria-Pamphili, Roma.

La risonanza nei cuori dell’Ave della sera

Poi, la suggestiva pennellata finale:

"La donna andava con le figlie, e loro / squillò sul capo, subito e soave, / dalla loro Pieve, un gran tumulto d’oro. / E tu nascesti, Dio, da un piccolo Ave".

Plastica visione di una mamma che va per via, tenendo certo per mano le figliole, gioiosamente sorprese dallo squillo familiare della campana della propria Pieve che cade "subito e soave" sul loro capo come "un gran tumulto d’oro".

Lo scampanio dell’Angelus della sera, che riempie l’aria e fa vibrare la natura, trova così rispondenza nei cuori umani, invitati a ripensare al mistero evocato dal saluto angelico: "E tu nascesti, Dio, da un piccolo Ave".

Sono gli stessi sentimenti che suscitano le poesie sul mese di Maggio del Pascoli: anche qui sentiamo dentro qualcosa del ‘fanciullino’ del poeta romagnolo, rivivendo i ricordi della nostra infanzia, in tempi della civiltà contadina, dove tutto era poesia e canto. Proprio come accadeva al poeta delle "Myricae" che, tornando al paese natìo, rivive il fascino di preghiere alla Vergine, colte dalla sensibilità pascoliana in un coro orante di Suore [Le monache di Sogliano]: "Vi ritrova quello che c’era, / l’odore dei mesi di maggio, / buon odore di rose e di cera. / Ne ronzano le litanie / com’ape intorno a una culla".

Motivo mariano che ritorna in uno dei "Canti di Castelvecchio", dove il poeta si paragona ad una "lampada che oscilla davanti a una dolce Maria", che di sera accende "nel ciglio che prega e dispera la povera lacrima sola", e all’alba "muore tremando tra cori di vergini e fiori di maggio".

Simone Moreno


[Modificato da Caterina63 27/04/2010 17:13]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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02/12/2008 19:05
 
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Storia dell’"Angelus"


L’"Angelus" nelle varie espressioni dell’arte – Altri riferimenti letterari alla preghiera mariana in Dante, Manzoni e nello stesso Byron.

Ripercorriamo le mille suggestioni che l’Angelus ha suscitato in artisti di ogni tempo, dalla poesia alla pittura, dalla musica alle tante espressioni d’arte folkloristica. Continuiamo la nostra breve rassegna, rivisitando stavolta Dante e Manzoni, due massimi esponenti della Letteratura Italiana, e lo stesso miscredente inglese George Byron.

Fra quanti hanno subìto il fascino del suggestivo suono delle campane dell’Angelus va annoverato il sommo poeta Dante Alighieri. Egli, nel canto VIII del "Purgatorio" immagina di essere giunto in una valle amena in cui stanno le anime in attesa di purificarsi. Sull’imbrunire, due Angeli armati di spade infuocate scendono dal cielo ["ambo vegnon del grembo di Maria", v. 37] per fugare il serpente che ogni sera cerca di penetrare nella valletta.

È questa l’ora di più forte nostalgia della giornata, l’ora nella quale i naviganti ripensano al giorno in cui "han detto ai dolci amici addio" e il viandante prova un intenso desiderio dei suoi cari, se ode di lontano un suono di campana "che pare il giorno pianger che si more".

Un suono che Dante aveva udito infinite volte nella sua Toscana e in terra d’esilio: dal vetusto campanile di Sant’Apollinare in Ravenna, diffondendosi sulla pineta circostante la città, dove lui era ospite di Guido da Polenta, quel suono si ripercuoteva come un richiamo nostalgico nella sua travagliata vita e gli ispirò le due magnifiche terzine:

"Era già l’ora che volge il disio
ai navicanti e ’ntenerisce il core
lo dì ch’an detto ai dolci amici addio;
e che lo novo peregrin d’amore
punge, s’e’ ode squilla di lontano
che pare il giorno pianger che si more"

[Purg. VIII, 1-6].



"Te quando sorge e quando cade il die…"

Di Alessandro Manzoni abbiamo già altre volte ricordato i bei versi de "Il nome di Maria", con i quali il romanziere-poeta esprime felicemente i tre tempi dell’Angelus:

" Te quando sorge e quando cade il die,
e quando il sole a mezzo corso il parte,
saluta il bronzo che le turbe pie
invita ad onorarte…".

Tre volte al giorno i sacri bronzi, con i loro rintocchi, invitano i fedeli a salutare Colei a cui i "più bei nomi serba ogni loquela", Colei di cui molti popoli si vantano di esser "in sua gentil tutela".

Un altro accenno si ha ne "I Promessi Sposi" dove, in un quadretto pittorico molto suggestivo, il Manzoni descrive l’animazione del paese di campagna di Lucia, sul far della sera: "Le donne venivan dal campo portandosi in collo i bambini, e tenendo per mano i ragazzi più grandini, ai quali facevan dire le divozioni della sera; venivan gli uomini, con le vanghe e con le zappe sulle spalle […]. E, più delle parole, si sentivano i tocchi misurati e sonori della campana, che annunziava il finir del giorno".

È la campana dell’Avemaria della sera, alla quale lo scrittore allude poco prima.

Ma non sono, ovviamente, solo Dante e Manzoni ad onorare la Vergine dell’Annunciazione. Al fascino dell’Angelus non sono sfuggiti neppure uomini di lettere irreligiosi. Tanto per citarne uno, George Byron [1788-1824], protestante e miscredente, nella sua permanenza in Italia – e proprio dalla pineta di Ravenna cara a Dante – ode il suono della campana dell’Angelus della sera e, commosso, eleva il suo canto alla Madonna:

"Ave Maria! Più dolce ora non segna
il giorno, né di Te, Donna, più degna.
Ave Maria! Sia la bell’ora e il loco
benedetto, dov’io sì spesso a poco a poco
terra e cielo sento, mentre da lontan s’estolle
un suon di squilla e della sera il fioco
inno si spande dalla valle al colle;
calma e tinta di rose è l’atmosfera,
mormora il bosco un suon di preghiera"

[Don Juan, c. III].

Simone Moreno

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Storia dell’"Angelus"


L’"Angelus" nelle varie espressioni dell’arte – La recita del saluto angelico è stata sentita come un soggetto particolarmente suggestivo nella storia della pittura.

Ripercorrendo la storia delle mille suggestioni che l’Angelus ha suscitato in artisti di ogni tempo, dalla poesia alla pittura, dalla musica alle tante espressioni d’arte folkloristica, ci imbattiamo stavolta in quadri altamente pittorici di artisti come J. F. Millet e Giovanni Segantini.

1. Fra i vari quadri, il più noto è senza dubbio quello dovuto al magico pennello di J. F. Millet [1814-1875] che si ammira nel Museo del Louvre di Parigi.

L’Autore – che fu padre di nove figli e che per far fronte alla miseria che bussava continuamente alla porta della sua casa, dovette alternare la pittura al lavoro agricolo – in diversi suoi quadri ritrasse paesaggi e celebrò la vita rude e laboriosa dei campi.

Verso la fine della vita il favore del pubblico cominciò ad arridergli: ci si accorse che i paesaggi e le scene rurali delle sue tele erano soffuse di una patetica poesia biblica e virgiliana insieme; e quando morì, la sua fama era davvero molto grande.

Il quadro dell’Angelus [da noi pubblicato a pag. 7 del num. dello scorso Gennaio] rappresenta una scena semplicissima, eppure tanto avvincente. Sullo sfondo, una campagna leggermente ondulata e, in lontananza, la chiesa del paesello agreste col campanile che si profila in un cielo che ormai sta per imbrunire: è l’Angelus della sera. In primo piano, due contadini relativamente giovani, con gli strumenti del lavoro appoggiati per terra: una cariola con sacchi ripieni, una cesta e un tridente ‘piantato’ sul terreno. Il giovane si è tolto il cappello e la giovane donna tiene le mani giunte sul petto; ambedue chinano il capo riverenti, recitando appunto l’Angelus: i loro volti assorti nella preghiera sono così espressivi che non ci si sazia di ammirarli…


Suggestione dell’"Ave, Maria" di Giovanni Segantini

2. Un altro quadro dell’Angelus – celebre quasi quanto quello del Millet – è l’"Ave, Maria" di Giovanni Segantini [1858-1899], pittore pieno di sentimento e di armonia, nato ad Arco presso il Lago di Garda.

Con grande spontaneità d’ispirazione e mediante l’uso di una tecnica nuova [detta "divisionismo"], egli seppe rendere i suoi quadri di una intensa luminosità cromatica.

L’ispirazione per il quadro dell’"Ave, Maria" la ebbe una sera in Brianza. Un suo biografo la narra così: "Scese alle rive di Pusiano sul far della sera; il crepuscolo si attenuava senza spegnersi […]. Il lago giaceva liscio e piano, ripercuotendo sulla curva dei suoi riflessi la curva più vasta del cielo.

Una barca si staccò dalla riva: era carica di pecore trasportate a un paesello dell’altra sponda […]. Una donna, seduta a prua davanti al barcaiolo, chinava amorevolmente la testa sul suo bambino.

Quando si udirono i rintocchi dell’"Ave, Maria" da Pusiano, da Bosisio, da Varella, il barcaiolo lasciò un momento i remi per farsi il segno della Croce; lo scafo parve allora abbandonato a se stesso e navigava adagio, spinto dalla tenue luce e dal dolce suono di campane" [R. Calzini, Segantini: romanzo della montagna, Ed. Mondadori 1934].

Soggiogato da questo spettacolo che era rimasto impresso nella sua mente, il Segantini si pose all’opera e compose la sua meravigliosa tela [cfr. riproduzione a lato].

Quel barcone con due cerchi, quelle case e quella chiesa lontane sullo sfondo che si specchiano nelle acque, quel sole che, scomparendo dietro l’orizzonte, indora il cielo e scintilla sulle onde, quella mamma che pregando si stringe al collo il suo bambino, e soprattutto quel marito barcaiolo col viso devotamente composto nell’orazione, sono di un’efficacia rappresentativa meravigliosa e vibrano di fortissimo sentimento religioso.

Ecco come – esemplificata nelle opere di J. F. Millet e Giovanni Segantini – anche l’arte pittorica ha saputo rendere la suggestione religiosa della recita dell’ "Angelus".

Simone Moreno

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Storia dell’"Angelus"


L’"Angelus" nelle varie espressioni dell’arte – La recita del saluto angelico è stata sentita come un soggetto particolarmente suggestivo nella storia della pittura.



Continuando a percorrere la storia delle mille suggestioni che l’Angelus ha suscitato in artisti di ogni tempo, dalla poesia alla pittura, dalla musica alle tante espressioni d’arte folkloristica, dopo esserci soffermati [nel num. dello scorso Dicembre] in quadri di grandi pittori come J. F. Millet e Giovanni Segantini, vogliamo stavolta lasciarci suggestionare da altri artisti altamente espressivi, tra i quali accenneremo soltanto a Niccolò Cannici, Arturo Faldi, e Angelo Morbelli [pittori tra l’ ’800 e il primo ’900], per finire con il surrealista catalano Salvator Dalì.

Pittori romantici dell’"Avemaria"

Il fiorentino Niccolò Cannici [1846-1906] raffigura nel quadro "Ave, Maria" il gregge al pascolo e una pastorella che volge lo sguardo lontano, quasi scrutando l’orizzonte da dove paiono giungere il rintocchi dell’Avemaria. In primo piano, una donna seduta su un ciglio erboso, con il capo chino sul figlioletto che dorme tra le sue braccia, è in atteggiamento di preghiera; un altro bambino sonnecchia sdraiato lì accanto sul prato, come attendendo il momento del ritorno a casa…

Dall’insieme della composizione traspare un senso di pace e di abbandono fiducioso, al quale la sobrietà del colore e la tenue diffusione della luce confluiscono una fluida evanescenza di notevole suggestione.



La soavità del crepuscolo vespertino al suono dell’Angelus risalta pure dalle due belle tele di Arturo Faldi [1856-1911], intitolate: "La giornata è finita" e "Ave, Maria". In quest’ultima, una giovane madre dalle meravigliose fattezze solleva la sua bimba a deporre alcune rose ai piedi di un quadro della Vergine, posto in una devota edicola. Accanto, una rustica siepe oltre la quale si scorgono colline erbose dal dolce pendio. Sul fondo della valle, una chiesa da cui si suppone giungano i rintocchi dell’Ave.

La delicatezza del lavoro e soprattutto l’atteggiamento della donna, con quel viso estatico ed espressivo e quello sguardo dolce e penetrante, conferiscono al quadro l’espressione di una devozione viva e sentita verso la Regina del Cielo.

Infine [di questi, fra i tanti pittori romantici che si potrebbero citare], un’altra squisita "Ave Maria della sera", piena di sentimento, si deve all’alessandrino Angelo Morbelli [1853-1919], paesaggista luminoso che nelle sue tele svolge con particolare abilità il tema delle ultime luci del giorno e della vita che si spegne.

Gli "Angelus" del pittore surrealista Salvator Dalì

Sono quattro i soggetti dell’ "Angelus" che Salvator Dalì ritrasse, quasi ossessionato dall’Angelus del Millet, che dipinge successivamente in forma "architettonica", come evocazione di un certo "Atavismo del crepuscolo", o sotto il titolo di "Reminiscenza archeologica".

L’artista stesso spiega: "In una breve fantasia alla quale mi lasciai andare nel corso di un’escursione al Capo Creus, il cui paesaggio minerale (a Nord-Ovest della Catalogna) costituisce un autentico delirio geologico, immaginai intagliate nelle più alte rocce le sculture dei due personaggi dell’Angelus di Millet. La loro situazione spaziale era la stessa del quadro, ma erano tutti coperti di fenditure. Numerosi dettagli delle figure erano stati cancellati dall’erosione, il che contribuiva a far risalire la loro origine a un’epoca molto remota. Era la figura dell’uomo a risultare più deformata dall’azione meccanica del tempo; di lui non restava altro che la massa vaga e informe della silhouette, che diventava così terribilmente e particolarmente angosciante…".

Visione surrealista di quello che Dalì chiamava "il mito tragico dell’Angelus di Millet"; ma forse, a leggervi bene dentro, comprendiamo come anche questo ‘fantasma profondo’ dell’artista catalano richiami la realtà dell’uomo legato alla terra e sublimata nel mistero dell’Incarnazione evocata dall’"Angelus".

Simone Moreno

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Storia dell’"Angelus"


L’"Angelus" nell’espressione dell’arte musicale: dalle melodie gregoriane al canto popolare delle ‘Laudi’ medioevali, fino alle grandi composizioni liriche.



Delle mille suggestioni che l’Angelus ha suscitato in artisti di ogni tempo [dalla letteratura e dalla poesia alla pittura, dalla musica alle tante espressioni d’arte folkloristica], vogliamo stavolta accennare all’arte musicale del canto gregoriano e delle ‘Laudi’ medioevali, per rivisitare in seguito le melodie dei grandi compositori che, nella celebrazione dell’"Angelus", hanno esaltato il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio.

L’armonia dell’"Ave, Maria" che le campane di ogni luogo diffondono dalle prime luci dell’alba a quando scendono le ombre della sera, risuona con cadenze prolungate nelle "laudi" paesane delle nostre Chiese di montagna o di campagna, dove si raccolgono i devoti della Santa Vergine, specie la povera gente delle valli, i lavoratori dei campi, mamme di famiglia o ragazze che sognano il loro avvenire di spose…

Anche questa è lontana ispirazione del costante tributo che l’arte divina della musica e del canto rende nel tempo alla "benedetta fra tutte le donne".

Già nei primi secoli cristiani in Siria si componevano inni mariani. Sant’Efrem e San Giovanni Damasceno, in modo particolare, arricchirono le prime raccolte vigenti nelle Chiese d’Oriente, terra di Maria. E diverse Liturgie s’incaricavano di dare a questi canti una propria suggestiva flessione e colorazione.



Perenne sinfonia della Chiesa

Dall’Oriente all’Occidente. È facile pensare che le Comunità cristiane che muovevano litaniando verso la Basilica Liberiana in Roma dovessero innalzare a Maria cantici di gloria, inni solenni e popolari, sul tipo di quelli che a Milano, composti da Sant’Ambrogio, avevano fatto piangere di commozione il giovane Sant’Agostino, il santo più "umano" del Cristianesimo.

Seguì quindi lo sviluppo di tutta un’epopea musicale mariana, in una interminabile successione di composizioni geniali in onore della Vergine Madre. Occupano il primo posto le numerose melodie di ispirazione gregoriana, il canto tradizionale della Chiesa che rende a Maria, in cento e più Antifone, l’omaggio della fede: "Quem Mater illa concipit / quae sola Virgo parturit…".

Fra i tanti Inni, l’"Ave, maris Stella" – canto di invocazione ai sentimenti materni della più tenera delle madri – ci colpisce ancora e ci commuove tanto. Come ci commuove la "Salve, Regina" [un saluto che riecheggia quello dell’Angelo], per la più vera delle preghiere che rivolgiamo alla Vergine: "Mostraci, dopo questo esilio, Gesù…". Senza contare le melodie gregoriane dell’"Ave Maria", quasi anticipazione delle grandi composizioni di Bach, di Gounod, di Schubert, di Mozart, di Beethoven, di Puccini, di Rossini, di Wagner, di Mascagni, di Mendelson, di Verdi, ecc.

Sin dal Medioevo il canto gregoriano trovò una corrispondenza di più immediata espressione nella musica religiosa popolare. È il caso delle ‘Laudi’, straordinariamente ricche di sentimento e di fede: strofe spesso ingenue, semplici, che gli innamorati di Maria s’incaricavano di dettare e che gli umili trovavano meravigliosamente rispondenti alla loro sensibilità mariana. ‘Laudi’ melanconiche e fiduciose insieme di madri e padri di famiglia, nelle quali si poteva ravvisare anche la stanchezza di chi, ogni sera, si tapinava dietro la quotidiana fatica del vivere.

Sempre, comunque, il canto dell’"Angelus" ha trovato adeguata espressione in creazioni ed interpretazioni differenti: nelle melodie più pure ed alte del genio come nelle devote preghiere salmodianti dei Monasteri che, anche nelle ore più fonde della notte, risuonavano nel Coro di voci verginali di Claustrali o nel canto pieno e forte di Monaci vegliardi.

Davvero, le armonie dell’"Angelus" sono sempre risuonate struggenti nella fede della Chiesa.

Simone Moreno
[Modificato da Caterina63 27/04/2010 17:14]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Storia dell’"Angelus"


L’"Angelus" nell’espressione della poesia "minore", non meno suggestiva di quella dei grandi poeti di ogni tempo.

Delle tante suggestioni che l’Angelus ha suscitato in artisti di ogni tempo, riscopriamo pagine di "poesia minore" [oltre a quelle già rivisitate di grandi poeti, come Dante e il Manzoni, il Pascoli, il Carducci, George Byron, ecc.].

Il particolare significato che riveste il suono dell’Angelus del mattino nei paesi di campagna è stato colto da Giacomo Zanella [1820-1888] nei versi eleganti della lirica "Campane dei villaggi": come amiche che si svegliano di buon’ora e si chiamano, le campane del mattino, con il loro dolce suono, invitano la gente dei campi ad affrettarsi al lavoro:

"Campane dei villaggi!
Come operose amiche
che l’una l’altra al mattutin lavoro
svegliando va, voi vi svegliate in coro,
voci squillanti dalle torri antiche,
perché l’uom torni all’opra e s’avvantaggi,
campane dei villaggi!".

In un’altra strofa il poeta immagina che quel suono sorprenda quando si è ancora "nella buia stanza", come di solito avviene nei mesi invernali:

"Il triplice concento
passa rombando nella buia stanza;
poi rapido dilegua in lontananza
e maggior torna col tornar del vento,
che fra le cime sibila dei faggi,
campane dei villaggi!".



All’Angelus della sera

Ma le campane del mattino e del mezzogiorno hanno avuto meno cantori di quelle dolcissime della sera. Perché indubbiamente il suono dell’Angelus al tramonto è più patetico e suggestivo.

Lo stesso Zanella ha espresso il fascino di tale suono nel poemetto "Milton e Galileo". Immaginando che i due scienziati, dopo aver discusso a lungo, al calar delle prime ombre della sera, odano uno squillo di campana. Dal giardino avanza Suor Maria, "di poche rose reggendo un serto" e, avvicinatasi al padre [Galileo], lo avverte che quella è l’ora della preghiera. Galileo si scopre il capo e, quasi istintivamente, altrettanto fa Milton; e i due si uniscono alla Suora nella preghiera dell’Angelus.

Per molti altri poeti - come del resto è stato per Dante - il suono dell’Angelus alla fine del giorno ha il sapore di un pianto sospirato. Così, ad esempio, Leopoldo Tarentini [1811-1882] declama:

"La campana vespertina
piange il dì che ormai declina
ed intona: Ave, Maria!
E la prece dei fedeli
ascende a Te nei cieli
e ripete: Ave, Maria!".

Tra i poeti che meglio hanno colto la suggestione dell’ora dell’Angelus della sera, particolarmente nel raccoglimento domestico della vita di campagna, a differenza della frenesia della vita di città, è Antonio Gozzoletti [1813-1886], poeta religioso e civile trentino, in una lirica dalla forma robusta, intitolata. "L’Ave Maria della sera".

"Quanta pace diffonde sul creato
l’ora che chiude il dì solenne e mesta!
[…] fra i silenzi della sera,
un lamento s’innalza, una preghiera".
"Ave Maria! Già in lento e flebil suono
il maggior bronzo della torre squilla:
ecco tutta col reduce colono
di cheti mormorii s’empie la villa;
già, l’opere lasciate in abbandono,
il lumicino della notte brilla
qua e là furtivo: già la turba pia
scopre il capo ed intona: Ave, Maria!".

Nelle strofe che seguono, il poeta accenna a sentimenti e ricordi che i rintocchi della sera suscitano in coloro che sono lontani dal focolare domestico, in quanti hanno oltrepassato le soglie della vecchiaia e in chi ha perduto una persona cara. Per tutti le "Ave, Maria" dell’Angelus sono motivo di speranza e conforto.

Simone Moreno

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Storia dell’"Angelus"


L’"Angelus" nelle suggestioni poetiche di Grazia Deledda, Clemente Rebora e Diego Valeri: cantori mariani "minori" ma autentici della pia pratica popolare.

Rileggiamo altre dolci composizioni sull’Angelus di poeti dell’epoca moderna come Grazia Deledda [1871-1936], Clemente Rebora [1885-1957] e Diego Valeri [1887-1976]: nomi illustri che hanno pure cantato la suggestione del saluto dei fedeli alla Vergine dell’Annunciazione.

1] Grazia Deledda, brava fino a guadagnarsi il "Premio Nobel della Letteratura" nel 1926, verista sulla pagina e credente nell’anima, nel sonetto che riportiamo scioglie "L’Ave in montagna" che armoniosamente coinvolge natura e divinità, un ‘grazie’ per i presenti e una preghiera alla Vergine per una persona lontana:

"Ave, o Santa Maria de la montagna,
che sogni ne la povera chiesetta,
mentre di fuori il bosco, dove stagna
il vespro, l’alba de la luna aspetta.

Ave, o Maria: di chi si muore e si lagna
giunga il singulto sino alla tua vetta,
sino al tuo sogno, sino a la tua magna
misericordia, e in essa si rimetta.

E tu provvedi: l’alta pace arcana
ch’ora inspira la triste mia preghiera
piove su tutti eguale, su la stanca

testa dei vegli come su la bianca
fronte de le fanciulle; e piova intera,
con piena grazia, a un’Anima lontana!".



2] In Clemente Rebora, forse il più grande poeta religioso del Novecento, la vocazione poetica diventa sinonimo della Grazia che popola il silenzio di parole creative e tutte interiori. Dalla sua raccolta "Le poesie" riportiamo due espressive strofe dell’ "Ave Maria", colta ancora nella suggestione del tramonto:

"Tramonta il dì: la placida
aura del vespro oscilla
al suono
della serale squilla,
che in flebile armonia
dalla chiesa annunziò l’Ave, Maria.

Ave Maria! Conservami
immacolata e pura
l’anima tra le insidie
di questa terra oscura;
e se peccai talora
Vergine Santa, a me perdono implora".

3] Derivando temi e toni dal Pascoli e dai crepuscolari, paesaggi interiori e stati d’animo, Diego Valeri caratterizza la sua operazione letteraria tra impressionismo, tristezza e ironia, ma sempre in una lirica pura, ritmata di discorsività. Ne "L’Ave" [della raccolta "Il Campanellino"] è presente con la fresca fantasia di un Angelo che reca a Maria la supplica dei poveri, sul far della sera:

"La campana ha chiamato,
e l’Angelo è venuto.
Lieve lieve ha sfiorato
con l’ala di velluto
il povero paese;
v’ha sparso un tenue lume
di perla e di turchese
e un palpito di piume;
ha posato i dolci occhi
su le più oscure soglie…
Poi, con gli ultimi tocchi,
cullati come foglie
dal vento della sera,
se n’è andato via:
a portar la preghiera
degli umili a Maria".

Simone Moreno

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Storia dell’"Angelus"


L’"Angelus" nella poesia devota di Arnaldo Fusinato e Giulio Salvadori, altri due nomi familiari dei nostri studi giovanili.

Ancora suggestioni poetiche dell’"Angelus" ci vengono da Arnaldo Fusinato [1817-1889] e da Giulio Salvadori [1862-1928]: nomi familiari di poeti incontrati nelle "Antologie letterarie" dei nostri studi giovanili, che hanno cantato le armonie del saluto dei fedeli all’Annunziata, ne "la placida aura del vespro", "al vento della sera" .

1] Arnaldo Fusinato, patriota e poeta vicentino [che compose fra l’altro la celebre ode "A Venezia" in onore della Città assediata, arresasi agli Austriaci nel 1849], rivolge un dolce pensiero a Maria nella sua commossa "Preghiera della sera", nella quale riprende l’annuncio angelico all’ "innocente Vergine", rivisitandolo in un sogno, una speranza di conforto, una celeste raccomandazione:

"Tramonta il dì: la placida / aura del vespro oscilla / al suono malinconico / della notturna squilla, / che in flebile armonia / dalla torre annunziò l’Avemaria. //

Rinchiusa nel silenzio / dell’umil cameretta / la solitaria vergine / presso l’altar si getta; / e il vento della sera / l’incenso invola della sua preghiera. //

La benedetta lampada / piove una luce mesta / dell’innocente Vergine / sovra la bionda testa, / e le incorona il viso / d’un’aureola che par di Paradiso. //

"Ave Maria! Se il fervido suon / della mia favella / infino a te può giungere,

Vergine santa e bella, / guarda la poveretta / che da te sola ogni suo bene aspetta. //

Ave Maria! Sul placido / guancial del mio riposo / maternamente vigili / il tuo sguardo amoroso;/ e, se sognar degg’io, / mostrami in sogno il Paradiso e Dio. //

Ave Maria! Sull’angelo / che mi donò la vita / scenda, o pietosa Vergine, / la tua celeste aìta, / e a lei che m’è sì cara / una serie di lunghi anni prepara. //

Ave Maria! […]".

E sì dicendo il limpido / sguardo levò la pia / ed alla santa immagine / sorrise di Maria: / poi con commossa voce / si fece il segno della santa Croce". //



2] Convertitosi al Cattolicesimo, che abbracciò e professò anche con profonda intensità di accenti poetici, Giulio Salvadori [originario di Monte San Savino, in provincia di Arezzo, Professore all’"Università Cattolica" di Milano e critico letterario] ci ha lasciato, nella composizione "Ricordo" [della raccolta "Desiderio di una vita nuova"], la viva memoria di un pellegrinaggio a un Santuario mariano, dove vibra tutta la devozione di chi si sente spiritualmente rinato:

"Noi ci fermammo a piè della salita / sotto un cipresso: al vento della sera / ondulavan le cime: era ogni vita. //

Nel gran silenzio quasi una preghiera. / Quando improvviso un tócco di campana / disse Ave, come chi piangendo spera. //

Ave! rispose la preghiera umana. / Era a oriente, bianca tra i cipressi, / la chiesa, della valle umil sovrana, //

Visione di pace ai sensi oppressi. / Noi guardavamo; e quella pace pia / prendea del core gl’intimi recessi. //

Poi ci volgemmo a seguitar la via / verso ponente: ed ecco che a ponente, / sopra il Monte che innanzi a noi salía, //

Nel puro ardor crepuscolare ardente / la stella d’or dell’amor tremava: / Ave! dicea anch’essa, ad oriente. //

E l’anima dall’ombra che l’aggrava, / come da carcer doloroso uscita, / senza paure dell’avvenir mirava / e sorrideva alla novella vita". //

Simone Moreno

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Storia dell’"Angelus"


L’invito del forte narratore-poeta Enrico Pea a salutare la Vergine Maria con le parole dell’Arcangelo Gabriele sono un richiamo alla pia pratica dell’Angelus.

Quando scoprì il "libro rivelatore" [cioè la Bibbia], il narratore-poeta lucchese Enrico Pea [1881-1958] mutò radicalmente registro alla sua ispirazione letteraria, talvolta segnata persino da venature di anarchia versiliese tra i due secoli, per prendere luce sacrale e proporre verità di fede, evidenziando problematiche religiose. La sua denuncia della violenza si coniuga allora con una gioiosa vivibilità dell’esistenza e una profonda pietas per i deboli, i diseredati, gli emarginati.

Motivo ispiratore del canto "Ave, Maria" [tratto dalla sua raccolta in versi Arie bifolchine, del 1943], è la dolcissima "offerta" di sé alla Vergine.

Ave, Maria

Passeggero che passi per la via, / non ti scordar di salutar Maria. /
Ti porterò le primizie di Maggio / e niuno potrà essere geloso /
nemmeno quella mia figliola estrosa / che crede a tutto e di tutto s’incanta. /
Nemmeno l’altra che ha denti di neve / e marita le burle alle passioni. /
Chi è geloso di Maria Regina / non sa che il fuoco brucia e l’acqua bagna. //

L’erba ti porterò che sempre odora, / erba Santamaria, foglie a coltello, /
e le viole che crescono in silenzio / tra i colaticci di tre metri d’orto: /
un mazzolino con le foglie in tondo / legato stretto con lo stame rosso, /
come fanno di Maggio per la dama / quelli del mio paese a cor beato. /
L’offerta è poveretta a una Regina, / alla Regina di tutto il Creato. //

È come se portassi un’oncia d’oro / al tesoro del gran re Salomone; /
è come un chicco di grano al granaio / di Faraone, un trifoglio in un prato. /
È come se volessi col mio fiato / alimentare una bufera immane /
o portare all’Oceano un contributo / con il pianto dei miei occhi mortali. //

Hai per diadema le stelle del Cielo, / Madre, e ti offro un mazzetto di fiori /
con queste poche sillabe d’amore / nella speranza di tornarti in core. /
Mi faccio bimbo e ti chiamo Maria / e mi risponderai come rispondi /
ai piccolini cui inanelli il capo. / Rimandami il tuo Angiolo custode: /
il poeta è creatura che si turba, / ché ha paura e rimane solo. //

In un’altra poesia alla Vergine dell’Annunciazione ["Ave, o prescelta del Signore Iddio", sempre dell’antologia Arie bifolchine], Enrico Pea propone il fatto evangelico con ricchezza di avvincenti traslati e grande smalto metaforico.

Filippino Lippi, L'Annunciazione [part.] - Affresco della Cappella Carafa, Basilica Santa Maria sopra Minerva, Roma.
Filippino Lippi, L’Annunciazione [part.] –
Affresco della Cappella Carafa, Basilica Santa Maria sopra Minerva, Roma.

Eccone alcuni versi significativi:

"Ave, o prescelta del Signore Iddio"

L’Angelo
– Ave, o prescelta del Signore Iddio. /
[…] Concepita di luce. Luce e gloria /
ti sarà prole: l’Uno, Re dei Re. //

La Vergine – Come germoglierà grano sul sasso? /
[…] Senza ferita non si versa sangue: /
niuno m’ha tocca: ferita non sono. //

L’Angelo
– Allo Spirito di Dio che si compiace /
nutrire Te d’amor senza peccato /
nullo mistero è per Lui misterioso: /
Quegli che alberga nel tuo seno è Santo. /
Non il trono di Davide Gli basta: /
ché poco è soglio a tutto il suo reame, /
senza confine dove terra ha cielo. /
Senza confine regnerà sui regni /
eterno Re su tutti i re caduchi. //

Simone Moreno

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Storia dell’"Angelus"


Infinite espressioni artistiche dicono che l’Angelus è sempre sentito come un forte richiamo alla trascendenza.

Altre opere di poesia, di musica e di pittura [oltre a quelle finora ricordate, nella rassegna delle precedenti puntate] sono state composte sull’Angelus, quasi a confermare come esso sia sempre sentito come un forte richiamo al mondo del divino.

Le espressioni artistiche [della letteratura, dell’arte figurativa, della musica] manifestano tutte a loro modo come l’Angelus, oltre ad essere penetrato nel substrato culturale del popolo cristiano, diventando patrimonio comune, serva opportunamente e simbolicamente a descrivere stati d’animo, annunci di nuove realtà, irruzione del divino, richiamo ultraterreno.

Per la letteratura, oltre alla già ricordata amorosa preghiera-costatazione di A. Manzoni ne Il nome di Maria e all’estatica contemplazione, vespro rappacificante, di G. Carducci ne La chiesa di Polenta; oltre alle numerose e variegate risonanze nell’opera poetica di G. Pascoli, in cui il suono e la preghiera dell’Avemaria travalicano sempre la cronologicità del tempo, divenendo esperienza di vita [da Campane a sera all’Angelus dei "Primi poemetti", da Le monache di Sogliano delle "Myricae" al motivo mariano che ritorna in uno dei "Canti di Castelvecchio"]; oltre alla "campana / che dalla chiesetta francescana / tintinna nella tristezza del chiostro" dei Canti orfici di Dino Campana; oltre alla pace che si fonde con la pace senza fine, permettendo al perenne agitarsi dell’anima di acquietarsi Nel silenzio più teso di B. Marin, poeta dialettale ["La tortora soave / la svoleva in giro intorno / dute l’ore del zorno, / fino a l’ora de l’Ave"]; oltre al perpetuarsi del mistero dell’Incarnazione nel sofferto ricordo dell’Avemaria della sera in ambiente rurale de La religione del mio tempo di P. P. Pasolini ["Aspettavo che l’Angelus suonasse, velato / del nuovo, contadino mistero / nell’antico mistero consumato"], c’è ancora tutta una infinita serie di poesie e di composizioni letterarie da esplorare sulle suggestioni dell’Angelus.



Dalla rassegna poetica all’arte pittorica e musicale

Non diversamente – e qui accenniamo solo, ripromettendoci di tornarci sopra – nell’espressione pittorica e nella musica.

Nell’arte della pittura resta emblematico, nel suo realismo idilliaco, l’Angelus dei contadini, colto mentre essi lo recitano nel campo sconfinato, quasi a fecondare nuovamente la terra con la preghiera, così come è vissuto nella tela di J. F. Millet [cfr. num. di Dicembre 2005].

Parimenti emblematico, per la musica, il suono mattutino dell’Ave, Maria e la recita dell’Angelus da parte del sacrestano nel Primo Atto della Tosca di G. Puccini [1838-1924] insieme con il Preludio del Terzo Atto in cui risuona il concerto delle campane romane all’Avemaria dell’alba; Avemaria del mattino che già apriva La Favorita di G. Donizetti [1797-1848] ed è presente in altri melodrammi, come per esempio in Manon di J. Massenet [1842-1912], ne La Wally di A. Catalani [1854-1893] e in Fedora di V. Giordano [1867-1948].

Nomi di musicisti che citiamo a puro titolo esemplificativo.

Così, come per la poesia e per l’arte figurativa, anche grandi opere musicali hanno cantato la Vergine, particolarmente nel mistero della sua divina maternità che nell’Angelus ha la sua più alta e suggestiva celebrazione.

La rassegna artistica delle riproposizioni dell’Angelus è davvero infinita. E la percorreremo ancora, almeno fino ad esaurirne la parte più significativa.

Simone Moreno

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Storia dell’"Angelus"


Innumerevoli Autori di opere e composizioni musicali hanno cantato la Vergine nel mistero della sua divina maternità, celebrata nell’Avemaria.

Infinite altre opere di poesia, di musica e di pittura [oltre a quelle finora ricordate, nella rassegna delle precedenti puntate] sono state composte sull’Angelus, quasi a confermare come esso sia sempre sentito come un forte richiamo al mondo del divino.

Ricordavamo, fra l’altro, che per la musica restano emblematici il suono mattutino dell’Ave, Maria e la recita dell’Angelus da parte del sacrestano nel Primo Atto della Tosca di G. Puccini [1838-1924], insieme con il Preludio del Terzo Atto in cui risuona il concerto delle campane romane all’Avemaria dell’alba; l’Avemaria del mattino che già apriva La Favorita di G. Donizetti [1797-1848] e che scandisce l’Intermezzo della Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni [1863 – 1945], ed è presente in altri melodrammi, come per esempio in Manon di J. Massenet [1842-1912], ne La Wally di A. Catalani [1854-1893] e in Fedora di V. Giordano [1867-1948].

Nomi di Autori di opere e composizioni che, come per la poesia e per l’arte figurativa, hanno cantato la Vergine, particolarmente nel mistero della sua divina maternità che nell’Angelus ha la sua più alta e suggestiva celebrazione.



L’infinito concerto dell’Ave, Maria

Cliccando sul "motore di ricerca Google", ad esempio, alla voce "Schubert - Ave Maria" si trovano ben 79 pagine di riferimenti che riportano voci collegate [tipo l’elenco di compositori che hanno lasciato la loro impronta sull’ Ave Maria]: un numero davvero grande di musicisti che hanno sentito - "obbligatoriamente", si direbbe - il dovere di comporre le loro armonie sulla Madonna dell’Angelus.

Solo per citarne alcuni, di noti e meno noti: Jakub Simon, Jan Ryba, Eduard Tregler, Frantisek Picka, Jaroslav Kocian, Antonin Dvorak, Stanislav Kyselak, Bretislav Bakala, Leos Janacek, Hans Biedermann, Magiller, Camille Saint-Saens, Ludwig van Beethoven, Luigi Maria Cherubini, Franz Schubert, Charles Gounod, Johann Sebastian Bach, Cesar Auguste Franck, Anton Bruckner, Ruggiero Leoncavallo, Bonaventura Somma, Franz Liszt, Wolfgang Amadeus Mozart, ecc.

Ovviamente, è l’ "armonia angelica" di queste composizioni a dare la misura dell’arte musicale che canta la Vergine dell’Annunciazione; ma anche la variazione dei testi riferiti alla tradizionale "Ave Maria" esprime l’originalità dei singoli artisti. Chi non si commuove ascoltando, ad esempio, l’Ave Maria di Franz Schubert [1797-1828], sia per la musica trasfigurata che per le toccanti parole del testo? Eccole:

"Ave Maria!
Vergin del ciel,
sovrana di grazie e madre pia,
che accogli ognor la fervente preghiera,
non negar a questo straziato mio cor
tregua al suo dolor!
Sperduta l’alma mia si prostra a te,
e pien di speme si prostra ai tuoi piè.
Ti invoca e attende
che tu le dia la pace
che solo tu poi donar.
Ave Maria!".

E come non gustare, ad esempio, nella versione classica del testo latino, il notissimo canto dell’ "Ave Maria" di Charles François Gounod [1818-1893], che inizialmente concepì questo brano senza testo, per violino e pianoforte con organo, intitolandolo "Méditation", e che più tardi ebbe l’ispirazione dell’aggiunta del testo dell’ "Ave Maria", che si sposa perfettamente alla melodia?

Infinita, come si vede, è la schiera di musicisti che - come i poeti e gli artisti delle arti figurative - sono stati ispirati a comporre "armonie divine" sulla più divina armonia del creato: la Vergine Maria chiamata a diventare Madre del Creatore.

Simone Moreno
[Modificato da Caterina63 27/04/2010 17:14]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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http://www.stpauls.it/madre06/0611md/0611md01.htm


Storia dell’"Angelus"


Rassegna delle infinite opere di pensiero e d’arte composte sull’Angelus.

Continuiamo la rassegna delle infinite opere di pensiero e d’arte che sono state composte sull’Angelus, quasi a confermare come esso sia sempre stato percepito come richiamo assoluto al mistero della divina maternità, celebrata nell’Avemaria.

L’Angelus inteso come annuncio del mistero dell’Incarnazione è da sempre oggetto di commenti esegetici e di trattazioni teologiche: chi non conosce il trattato "De Verbo Incarnato" che segna il cuore della "Cristologia" in ogni studio teologico?

L’Angelus nelle pagine letterarie di un’infinità di testi mariani del I e del II Millennio cristiano, di Autori d’ogni dove [dai Padri della Chiesa ai Dottori della Chiesa, fino agli esponenti più qualificati delle tante Scuole di spiritualità] costituirebbe un’intera biblioteca, se venisse raccolto insieme in un’ideale "antologia dell’Angelus".

Un altro interessante capitolo di riferimenti all’Angelus riguarda ciò che su di esso hanno insegnato il Magistero della Chiesa e i mariologi più qualificati, dai "Santi mariani" [si pensi per tutti a San Bernardo di Chiaravalle [1090-1153], a San Luigi Maria Grignion de Montfort [1673-1716], a Sant’Alfonso Maria de’ Liguori [1696-1787], ecc.], ai tanti esimi studiosi di Facoltà teologico-mariologiche di ogni tempo.

L’Angelus nella pittura e nelle altre riproduzioni d’arte plastica che celebrano l’Annunciazione è soggetto tante volte ripreso; a tal punto che si potrebbe dire che sono davvero pochi gli artisti che non si sono cimentati nell’esecuzione di tale soggetto…

L’Angelus espresso nell’Avemaria, parte più propriamente "angelica" di questa bella preghiera della Chiesa, è risuonato in un’infinità di armonie musicali e di composizioni poetiche, come abbiamo già tante volte documentato.

Una rassegna davvero infinita, per cui è solo difficile scegliere che cosa dire ancora, volendo continuare a parlarne in questa rubrica di "Storia dell’Angelus" [che dura ormai da due anni].


Simone Martini e Lippo Menni, Annunciazione – Galleria degli Uffizi, Firenze.

"Tre volte il dì, prostrati a terra, tutti onorino la gran Vergine…"

Vogliamo citare, stavolta, la pagina di un grande cantore di Maria, San Leonardo da Porto Maurizio [1676-1751], uno dei più zelanti difensori della venerazione verso la Madre di Dio, contro le campagne ostili e denigratorie dei rappresentanti della cultura illuministica.

In uno dei suoi "Sermoni", parlando dell’Annunciazione e della venerazione dei fedeli per questo grande mistero [cfr. "Panegirico della SS. Annunziata"], diceva fra l’altro: "[La Chiesa] ha stabilito che tre volte il dì, cioè in principio, nel mezzo e alla fine di ogni giorno si dia pubblico segno affinché, prostrati a terra, tutti onorino la gran Vergine, ripetendo tre volte quel bel saluto dell’Angelo con cui ebbe la felice nuova di essere stata eletta Madre di Dio […].

Ché se finalmente, al dir dell’Angelico e di Agostino, a Mosè e a Paolo fu conceduta per qualche spazio di tempo la visione beatifica di Dio, mentre ancor vivevano in terra, eh dite pure che assai più familiare fu questa grazia [dell’Incarnazione] a Maria santissima, la quale portò un Dio nel suo seno. Ragion per cui la Chiesa ha istituito cataloghi o litanie de’ suoi epiteti più gloriosi; rosari, offici ed altre somiglianti preghiere per allettare i suoi figliuoli ad onorare frequentemente questa gran Madre; anzi, le pubbliche preci e i divini offizi che quotidianamente si recitano da’ Sacerdoti, vuole che sempre s’incomincino e si terminino colla invocazione dell’Avemaria" [cfr. ibid., cap. 3, 386, 390-391].

Simone Moreno


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Storia dell’"Angelus"


Nell’Angelus è racchiusa tutta la ricchezza della Litania lauretana "Santa Madre di Dio, prega per noi!" e nel 1° Mistero della gioia che celebra l’Incarnazione del Dio-uomo.

Continuando la rassegna davvero inesauribile della celebrazione dell’Angelus, siamo invitati stavolta [nel mese di Gennaio, che si apre con la Solennità liturgica della "Santissima Madre di Dio"] a ricordare la rievocazione del mistero della Divina Maternità di Maria.

"Santa Madre di Dio, prega per noi"

Nel bel volumetto di commento alle Litanie lauretane delle ‘Edizioni San Paolo’, così è presentata la litania "Santa Madre di Dio, prega per noi!": "Madre di Dio" – come invochiamo la Madonna, subito dopo esserci a lei rivolti con l’Ave, Maria del saluto angelico – è il primo e principale titolo che diamo a Maria, perché la divina maternità è la prima delle grandezze della Santa Vergine, la ragione di tutte le grazie e di tutti i privilegi soprannaturali a lei concessi, il fondamento del culto specialissimo [iperdulìa] che a lei tributiamo.

La Vergine, Madre di Dio, occupa un posto particolare tra il Creatore e le creature; Ella ha la gloria incomparabile di avere per figlio il Figlio stesso di Dio Padre ed è entrata nel mistero della Trinità, stabilendo, per così dire, delle nuove relazioni fra le Persone divine: una grandezza di creatura umana che sconfina nella divinità della Trinità Santissima, secondo l'espressione di Tommaso d'Acquino: "Fines divinitatis propinquius attingit" – "Tocca molto da vicino i confini della divinità".

Maria Madre di Dio è la Madonna del Natale, la donna del primo sguardo dell'uomo sul Dio fatto uomo, accarezzato con occhi trasparenti di tenerezza materna e di santità.


Beato Angelico, L’Annunciazione - Museo San Marco, Firenze.

"Santa Dei Genitrix", fa’ che contempliamo anche noi con sguardo di fede e di amore il tuo figlio, il Verbo fattosi uomo, il Bambino Gesù del nostro Natale!".

Ora, è proprio nel cuore delle festività natalizie e all’inizio dell’Anno Nuovo che la Chiesa celebra la Solennità della "Madre di Dio".

Ed è nell’Angelus di ogni giorno che si "celebra" questo mistero, evocato insieme dal saluto dell’Arcangelo Gabriele ["Ave, Maria!"] e dalla preghiera della Chiesa di tutti i tempi ["Santa Maria, Madre di Dio…"].

In un altro prezioso volumetto delle ‘Edizioni San Paolo’ [I Misteri del Rosario] il 1° Mistero della gioia è ricordato con questi "spunti di riflessione":

1. – L’Angelo Gabriele porta un saluto e reca un annuncio da parte di Dio. L’annuncio riguarda Maria e, insieme, l’umanità intera: Dio entra come uomo nella nostra storia. E la Vergine Maria – trasfigurata dall’incarnazione del Figlio di Dio, nella pienezza di grazia dello Spirito Santo – entra nella storia divina e umana del Salvatore del mondo.

2. – Maria dice il suo "sì", perché Dio vuole interlocutori liberi: si fida e si affida. Così la Vergine–Madre dell’Altissimo accoglie il ‘Dio con noi’, ratificando con il suo "sì" quell’Alleanza nuova ed eterna che Dio vuole stringere con l’uomo.

3. – Nella maternità dell’uomo-Dio la Vergine Maria diventa pure "madre dell’umanità", secondo l’insegnamento di diversi Padri della Chiesa, teologi, Santi e Sommi Pontefici: San Pio X, ad esempio, ha usato al riguardo un’espressione scultorea: "Gestando Christum, [Maria] gestavit et nos" – "Portando nel suo grembo Cristo, [Maria] ha portato anche noi" (cfr. Enc. "Ad diem illum").

Si direbbe che nell’Angelus sia davvero racchiusa tutta la ricchezza che – dalle "Litanie lauretane" al 1° Mistero della gioia del "Santo Rosario" – la devozione alla "Madre di Dio" ha sviluppato nel corso dei secoli.

Simone Moreno

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Storia dell’"Angelus"


La risposta della Chiesa orante al saluto dell’Angelus: "Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori!" .

Continuando la rassegna davvero inesauribile della ricchezza teologica e spirituale dell’Angelus, ricordiamo la risposta perenne della Chiesa al saluto angelico, nell’ "Ave, Maria": "Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori", riportando parte della stupenda preghiera che lo scrittore Sandro Bevilacqua rivolge alla Vergine, dove con parole di poesia e di fede raccomanda alla Madonna, "Rifugio dei peccatori", la sorte della nostra povera umanità peccatrice.

"Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori"

"Vergine Santa, Madre di Dio e Madre di tutti gli uomini, Regina del cielo e della terra, Stella del mare e Sole del mattino, volgi a noi il tuo sguardo di misericordia, di dolcezza, di carità. Con commozione mai affievolita ricordiamo le prime immagini che rivelarono ai nostri occhi di fanciulli innocenti le tue pupille di Madre celeste.

Ebbene, in quelle immagini sacre al nostro ricordo di bambini, sempre lieti e devoti accanto all’Altare, il tuo volto spirava letizia, prometteva amore, annunciava pietà, pietà costante e illuminata per tutti i tuoi figli.


Giovan Battista Pasqualini, "Ave, Maria" – Bulino, Pinacoteca Nazionale, Bologna, inv. 5007, vol. 10.

Ora che la vita è al suo meriggio, ora che il cammino è punteggiato di amarezze ed irto di spine, noi ci rivolgiamo a Te per una grande preghiera: la più bella, la più commovente; la più ispirata delle preghiere. Tu, Regina degli Angeli e dei Santi, devi pregare per noi, che siamo peccatori, che troppe volte veniamo meno ai nostri doveri di Cristiani, che troppe volte infrangiamo con le nostre passioni e con i nostri pervertimenti la santa legge di Dio […].

"Prega per noi peccatori": viviamo in un’epoca in cui i contrasti fra gli uomini diventano sempre più crudi; apparteniamo ad una stagione della storia che ha registrato le più grandi sventure, le guerre apocalittiche, le lotte fratricide, le epidemie crudeli, le lente rinascite appesantite e offuscate dal diffondersi e dal dilatarsi di dottrine perniciose, di costumi che ripugnano al nostro spirito e alla nostra tradizione di bontà e di civiltà, soprattutto di una mentalità materialistica che ha scelto il piacere come suo nume e sempre più stoltamente fugge dal divino.

Per questo oggi più che mai, dolce Madonna della nostra infanzia lontana, della nostra adolescenza inquieta, della nostra maturità piena di amarezze, la tua preghiera è necessaria, è lievito per tutti noi, miracoloso lievito capace di preparare un nuovo pane, altrettanto prodigioso […].

"Prega per noi peccatori": tante volte abbiamo peccato, tante volte abbiamo dimenticato i dettami della santa legge di Dio, tante volte non siamo stati amorevoli e fraterni con chi vive accanto a noi, con chi opera con noi, con chi a noi si è rivolto per ottenere solidarietà, conforto, orientamento. Ma non abbiamo mai dimenticato di rivolgerti la nostra preghiera: ogni giorno anche le campane della nostra piccola Chiesa, lente e dolcissime, suonano l’Angelus dell’alba, del mezzodì e della sera, e ogni giorno noi ripetiamo le parole sconvolgenti, le parole immortali del saluto celeste. Dai giorni della nostra infanzia felice esse sono scolpite nel nostro cuore, con il fuoco materno, come un inno d’amore, come un messaggio di letizia, come un supremo pegno di pace, di serenità, di consolazione.

Per questa memoria e per questa pietà Ti preghiamo ancora, Vergine Santa, Regina del cielo e della terra: prega per noi peccatori con tutta la tua potenza, con tutta la tua misericordia, con tutta la tua gioia. E così sia!".

Simone Moreno
[Modificato da Caterina63 27/04/2010 17:15]
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Quando l'Angelus si recitava in ginocchio....


Storia dell’ “Angelus”

L’ “Angelus” deriva la sua origine dall’ambiente francescano.

San FRANCESCO D’ASSISI (+1226) fu talmente impressionato durante il suo viaggio missionario in Oriente dai richiami alla preghiera, che il muezzin ripeteva cinque volte al giorno dall’alto del suo minareto, che pensò di simili tempi di preghiera anche in Occidente. Così scrisse in una lettera ai superiori (guardiani): “Insegnate e predicate a tutte le persone il dovere di lodarlo perché, a tutte le ore e al suono delle campane, lodi e azione di grazie siano rese sempre e in ogni luogo della terra a Dio onnipotente”. Espresse questo augurio in uno scritto ad un governatore del popolo.

Fra Benedetto SINIGARDI (+1282), compagno di San Francesco, fece cantare l’antifona mariana “Angelus Domini” nel suo monastero di origine in Arezzo, dopo il suo soggiorno in Terra Santa verso il 1241. Nel 1251 il Capitolo Generale del nostro Ordine decise che, dopo la “Salve Regina” della sera, la strofa “Ave Maria” e l’orazione “Concede nos” devono essere recitate in ginocchio (nel 1325 il Capitolo Generale aumenta il numero delle “Ave Maria “ a tre). In occasione del Capitolo Generale del 1263 a Pisa, san Bonaventura (+1274), come Maestro Generale dell’Ordine francescano, dà ai suoi confratelli questo consiglio: I fratelli devono insegnare ai fedeli a salutare tre volte la Vergine Maria, la sera, quando nel monastero è l’ora di andare a Compieta. Essi devono farlo con le stesse parole con le quali l’Angelo Gabriele salutò Maria, cioé con l’ ‘Ave Maria’ (cf. Lc 1,38). Abbiamo qui la prima menzione dell’ “Angelus” e più precisamente, la sera.

Dalla rappresentazione largamente diffusa nel Medioevo, era esattamente la sera che “l’Angelo del Signore aveva portato l’annuncio a Maria”. Il Capitolo Provinciale francescano che si tenne a Padova nel 1294 ordinava ai confratelli quanto segue: In tutti i conventi la sera si suoneranno le campane tre volte brevemente per onorare la Madre di Dio. Tutti i confratelli in quel momento dovranno inginocchiarsi e pregare per tre volte: ‘Ave Maria, gratia plena’ . All’inizio del XIV° secolo, suonare l’Angelus era già una pratica usuale nelle diverse regioni d’Europa, così come a Roma nel 1327. Questo suono di campane della sera aveva nello stesso tempo un’altra ragione pratica, in quanto era il segno della “estinzione del fuoco” (“ignitegium”, “coprifuoco”, “salvaterra”) e della chiusura delle porte della città. Il papa Giovanni XXII (+1334) nel 1318 ordinò che ai tre rintocchi quotidiani della sera, Maria la Madre di Dio sia salutata con tre “Ave Maria” in ginocchio e accordò a tale preghiera una indulgenza. Del resto, è solo nel XIV secolo (e in alcune regioni nel XVI secolo soltanto) che l’ “Ave Maria”, con l’aggiunta della seconda parte, prese la forma che oggi conosciamo.

Nell’Abbazia di Montecassino e nei monasteri che ne dipendevano, si aveva, verso la fine del XIII secolo, l’usanza di suonare le campane per la preghiera dell’ “Ave Maria”, non solo la sera, ma anche al mattino, a Prima. Dall’anno 1317/1318 abbiamo notizia di un richiamo alla preghiera con il suono delle campane, al mattino, nella città di Parma, nell’Italia settentrionale, dove ormai il ricordo fu legato in questo modo al grande avvenimento della nostra salvezza, la Risurrezione di Gesù. Verso la metà del XV secolo, l’ “Angelus” del mattino veniva introdotto in Europa, in pratica ovunque.

Più tardi si impose il richiamo alla preghiera a mezzogiorno, e cioè soltanto nel XVI/XVII secolo. La sua tradizione proviene da Praga precisamente nel 1386. Poiché a mezzogiorno si pensava alla crocifissione di Gesù, in un primo tempo non fu suonata il venerdì santo. Nel 1456, papa Callisto III (+1458) comandò di suonare la campana quotidianamente, tra Nona e Vespri e di recitare un Padre Nostro e tre “Ave Maria” per la salvezza della cristianità. Nel 1472, il re di Francia, Luigi XI (+1483) invitò a pregare a mezzogiorno con tre “Ave Maria” per l’unità e la pace del regno. Nel 1518, papa Leone X stabilì la preghiera dell’Angelus a mezzogiorno. In Germania l’Angelus a mezzogiorno fu introdotto nel XVII secolo.

Dopo una serie di miracolosi interventi della beata Vergine Maria operati attraverso i secoli, si giunse alla recita dell'Angelus al mattino, mezzogiorno e sera in ginocchio.

Scrive Orsini ne La Vergine: "S. Carlo la praticava sempre in ginocchio, anche nelle pubbliche strade. Il che già da cento anni si praticava in tutta la Francia, almeno in quanto dell'Ave Maria di mezzodi' per un particolare decreto dal Re Luigi XI che la volle indirizzata dai suoi sudditi ad implorare dall'Altissimo coll'intercessione di Maria la pace particolare del suo regno.
L'ordine suo era concepito cosi': "Si impone a tutti i francesi, cavalieri, uomini d'arme e plebei, di porsi sulle due ginocchia al suonarsi del mezzodi', di segnarsi divotamente e fare una preghiera alla Madonna per buona pace".

L'ordine fu eseguito con tanta esattezza che al primo tocco dell'Angelus, nelle case, nelle strade, sulle vie maestre, non c'era francese che non si prostrasse per pregare Maria". Continua il Riva ne Il Divoto di Maria: "L'inginocchiarsi alla recita dell'Angelus Domini fu sempre costume universale resso i veri devoti ed é di dovere per chiunque intenda partecipare alle suddette indulgenze...senza obbligo di coscienza di essere fedeli a recitare L'Angelus Domini tre volte al giorno, anche sotto gli occhi del pubblico a chiara manifestazione della propria fede...qual viltà dunque sarebbe la vostra se per indegno rispetto umano vi reteneste dal prestare a Maria questo pubblico ossequio quando col tocco delle campane ve ne fa la Chiesa un invito cosi' formale".

Pio IX commendo' questa pratica arricchendola di indulgenze con il Copertum Nobis del 18 gennaio 1856.



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[SM=g1740722] Il breve ma intenso Angelus del Papa a Friburg: Maria dice a tutti noi il suo "si".... pensiamoci seriamente!
it.gloria.tv/?media=199922

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org



[SM=g1740717]


[SM=g1740757]

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20/08/2014 18:54
 
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La solenne definizione


«Pertanto, dopo avere innalzato ancora a Dio supplici istanze, e avere invocato la luce dello Spirito di Verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria vergine la sua speciale benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo».

Perciò, se alcuno, che Dio non voglia, osasse negare o porre in dubbio volontariamente ciò che da Noi è stato definito, sappia che è venuto meno alla fede divina e cattolica.

Affinché poi questa Nostra definizione dell’assunzione corporea di Maria vergine al cielo sia portata a conoscenza della chiesa universale, abbiamo voluto che stesse a perpetua memoria questa Nostra lettera apostolica; comandando che alle sue copie o esemplari anche stampati, sottoscritti dalla mano di qualche pubblico notaio e muniti del sigillo di qualche persona costituita in dignità ecclesiastica, si presti assolutamente da tutti la stessa fede; che si presterebbe alla presente, se fosse esibita o mostrata.

A nessuno dunque sia lecito infrangere questa Nostra dichiarazione, proclamazione e definizione, o ad essa opporsi e contravvenire. Se alcuno invece ardisse di tentarlo, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo.

Dato a Roma, presso S. Pietro, nell’anno del massimo giubileo 1950, 1° novembre, festa di tutti i santi, nell’anno dodicesimo del Nostro pontificato.

Noi PIO, vescovo della chiesa cattolica,
così definendo abbiamo sottoscritto



  




<header>

  Il 15 agosto 1954 da Castel Gandolfo il primo Angelus radiofonico di un Papa In onda


Angelus Domini nuntiavit Mariae. Così scandiva il tempo — le ore del giorno — il mistero dell’Incarnazione.

Così, al mattino, a mezzogiorno e alla sera, il tocco della campana interrompeva il lavoro di tutti i cattolici, re e contadini, come l’uomo e la donna del famoso dipinto di Jean-François Millet, in mezzo ai campi, a capo chino e a mani giunte. 



E pure il goffo sacrestano, nel primo atto della Tosca, interrompeva il suo lavoro, e recitava sottovoce quella preghiera antica, interrotto solo dall’irrompere sulla scena del pittor Cavaradossi. 
Lo scrive Luigi Testa sottolineando che si tratta di un appuntamento più antico di quanto si ricordi. Un appuntamento fisso: «Ci vogliono i riti», spiega saggiamente la volpe al Piccolo principe, che quest’anno compie sessant’anni. E, a guardare le folle di ogni domenica, non porta neanche il segno di una ruga.

Aveva cominciato Pio XII, nel 1954, anno mariano. 
«L’Osservatore Romano» del 16-17 agosto di quell’anno riportava: «Alle ore 12 di ieri domenica, festività di Maria SS. Assunta, il Santo Padre ha benevolmente acconsentito che la Sua recita dell’Angelus Domini venisse radiodiffusa dalla stazione radio del Vaticano a cui era collegata la rete nazionale della Radiotelevisione Italiana. 
In tal modo l’Augusto Pontefice, aderendo al filiale desiderio dell’Azione Cattolica Italiana, ha dato modo nella solennissima ricorrenza dell’insigne gloria della Vergine Santa, in questo radioso Anno Mariano, agli iscritti e a tutti gli altri fedeli di unirsi devotamente a lui, nel pio saluto alla Madre di Dio».


  




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