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Le Suore Domenicane di Madre Antonia Lalia

Ultimo Aggiornamento: 07/06/2015 09:59
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06/12/2008 09:56
 
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VITA DI SAN DOMENICO

P. Enrico D. Lacordaire dei Predicatori


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CAPITOLO X



Quarto viaggio di S. Domenico a Roma

Fondazione dei conventi di S. Sisto e di S. Sabina

Miracoli che accompagnarono queste due fondazioni




Inviati qua e là i suoi frati, Domenico rimase ancora per qualche tempo nella Linguadoca. Ne abbiamo la prova in un trattato da lui conchiuso il dì 11 del seguente settembre, a proposito delle decime già accordategli da Folco. Trattavasi di sapere fina a qual punto si estendesse tal diritto; e fu convenuto che ne fossero escluse quelle parrocchie che contassero meno di dieci famiglie; di più furono eletti alcuni arbitri per comporre tutte le difficoltà che in avvenire fossero potute nascere. Ciò fatto, Domenico con un solo compagno, Stefano di Metz, riprese a piedi, com'era suo uso, la via delle Alpi. La storia lo perde di vista fino a Milano, dove lo ritrova alle porte della collegiata di S. Nazario a chiedere ospitalità a quei canonici; i quali, in grazia dell'abito che indossava, lo ricevettero come uno dei loro.

Giunto a Roma, sua prima cura fu di cercare un luogo adatto per la fondazione di un convento. Ai piedi del monte Celio dalla parte di mezzogiorno, lungo la via Appia e di fronte alle rovine gigantesche delle terme di Caracalla, sorgeva, un'antica chiesa dedicata a S. Sisto II, Papa e martire, dove altri cinque papi e martiri come lui gli stavano accanto nella stessa tomba. A un lato della chiesa rifatta da poco, eravi un convento quasi interamente costruito; però il silenzio profondo che regnava intorno alla chiesa ed al convento, facea contrasto coi recenti lavori, di cui per tutto apparivano segni manifesti: chiaro indizio che inaspettato avvenimento avea interrotto l'esecuzione di un qualche bel progetto. Ed in verità per la morte d'Innocenzo III era stata sospesa la restaurazione di quel celebre ed antico luogo, destinato dal Papa a raccogliere sotto una medesima regola varie religiose, che vivevano in Roma con troppa libertà. Domenico, che ignorava tutto questo, si affrettò a chiedere al Pontefice chiesa e monastero; ed Onorio III a viva voce glie li cedè.

In tre o quattro mesi Domenico potè riunire in San Sisto non meno di cento religiosi; ed una rapida e prodigiosa fecondità successe a quella lentezza, che parve fino allora regolare i di lui destini. Quest'uomo, che non avea cominciato la sua vera carriera che a trentacinque anni, dopo averne spesi altri dodici a formare soli sedici discepoli, se li vede al fine prostrarsi a’ suoi piedi con quell'abbondanza con cui le spighe mature cadono sotto la falce, del mietitore. Né c'è da stupirne. E’ legge di natura come di grazia che una forza lungamente compressa, rotti i legami e le resistenze, dia fuori con impeto. Così in tutti gli avvenimenti c'è un punto di maturità che ne rende il successo prontissimo, non meno che inevitabile. San Sisto posto sulla strada che percorrevano in altri tempi i trionfatori romani per salire al Campidoglio, pel corso di un anno fu spettatore di scene assai più meravigliose degli spettacoli a cui i generali di Roma aveano accostumata la via Appia. In nessun altro luogo o tempo Domenico dié meglio a conoscere l'autorità da Dio conferitagli sulle anime; e mai la natura l'obbedì con più rispettosa sudditanza. Siamo al momento più solenne della sua vita.

Bisognò da principio condurre a termine il monastero. In questo frattempo Domenico riprese il corso delle sue predicazioni nelle chiese, e delle solite istruzioni nel palazzo del Papa: ed ogni giorno colla sua eloquenza riusciva a guadagnare qualche nuovo discepolo per popolare quanto prima la parte abitabile del convento. Uscito la mattina col suo solito bastone, la sera ritornava con la preda, e l'edificio spirituale di S. Sisto progrediva così di pari passo con quello materiale. Il demonio, geloso di così felici risultati, si provò a turbarne la gioia. Un giorno, mentre i frati accompagnavano l'architetto sotto una volta per sentire se era da restaurarsi o da abbattersi, la volta cadde e seppellì l'architetto tra le macerie. Fu immensa la desolazione dei frati radunati intorno alle macerie che ricoprivano il corpo di quell'infelice, tutti timorosi per l'anima di lui, forse colto in cattivo punto, e per le male voci che si sarebbero levate nel volgo; né, cosi costernati, sapevano più che fare. Ma ecco che arriva Domenico, e fatto trar fuori dai sassi quel corpo frantumato, lo fa portare dinanzi a sé, rivolge una preghiera a Colui che ha promesso di nulla negare alla fede; e la vita obbediente alla di lui preghiera, rianima quelle membra sanguinanti, che stavano lì dinanzi.

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"Quanto degna sei d'Amore, o Divina volontà"
(Madre Antonia Lalia)
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