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La questione con mons. Lefebvre

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2016 18:03
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La Fraternità S.Pio X NON E' SCISMATICA!

Card.Ratzinger spiega il caso Lefebvriano alla Conf. Episcopale Cilena 13.7.1988


PREMESSA:

CHE COSA è UNO SCISMA?

Lo scisma che deriva da fenditura...fendo-divido-separo...è stato usato dalla Chiesa fin dai primi secoli per sottolineare coloro che si SEPARAVANO dalla Chiesa avanzando con pretese dottrinali contrarie al suo insegnamento....
ATTENZIONE lo scisma può anche non essere dottrinale ossia possono esserci motivazioni ERETICHE, e possono esserci motivazioni dottrinali teologiche ....nel caso dell'ERESIA la fenditura è più grave perchè non porta più al dissenso, ma da origine ad una nuova struttura che molti erroneamente chiamano "chiesa" leggasi il caso di Ario, di LUTERO, casi ben diversi dallo scisma Orientale Ortodosso ed oggi dal caso della FSSPX UNICA NEL SUO GENERE...

Di conseguenza la FSSPX ha indubbiamente portato alla Chiesa una FENDITURA, UNA DIVISIONE di carattere dottrinale, i 4 Vescovi furono scomunicati "ipso-facto" perchè non hanno obbedito al Pontefice circa il DIVIETO di quelle ordinazioni, dunque lo scisma riguardava prettamente i 4 vescovi e non tutta la FSSPX la quale resta in una situazione DI ILLECITA' come spiega il Papa nella Lettera ai Vescovi....

Il carattere scismatico della FSSPX si configura all'interno della Chiesa stessa e NON fuori di essa, qui sta la differenza da non sottovalutare e che la rende unica in tutta la sua storia....esso è segnale di un malessere scaturito DALLE FALSE INTERPRETAZIONI DEL CONCILIO...come spiega bene l'allora Ratzinger nel testo che leggerete a seguire....




AVVISO:

IL TESTO è AUTENTICO
VI PREGHIAMO DI NON ESTRAPOLARE SINGOLE PARTI....
Grazie!



Indirizzo del Card Ratzinger alla Conferenza Episcopale Cilena
13 luglio 1988

Traduzione in Italiano a c. della redazione di
www.ratzinger.it
 
Nessun diritto riservato: diffusione, INTEGRALE, raccomandata .


Negli ultimi mesi abbiamo lavorato molto intorno al caso Lefebvre, con l'intenzione sincera di creare per il suo movimento un spazio all'interno della Chiesa, spazio che sarebbe stato sufficiente perché esso potesse vivere. La Santa Sede è stata criticata per questo.

Si dice che non ha difeso il Concilio Vaticano II con energia sufficiente; che, mentre ha trattato i movimenti progressisti con severità grande, ha mostrato una simpatia esagerata con la rivolta tradizionalista.

Lo sviluppo degli eventi è sufficiente per confutare queste asserzioni. L'[accusa di] rigorismo del Vaticano di fronte alle deviazioni dei progressisti, presentato in modo mitico, è apparsa essere soltanto un discorso vuoto. Finora, infatti, sono stati pubblicati soltanto dei moniti; in nessun caso ci sono state pene canoniche rigorose in senso stretto. Ed il fatto che, quando le cose si sono messe male, Lefebvre ha ritrattato un accordo che già era stato firmato, indica che la Santa Sede, se ha fatto concessioni davvero generose, non gli ha garantito quella licenza completa che egli desiderava. Lefebvre ha visto che, nella parte fondamentale dell'accordo, era obbligato ad accettare il Vaticano II e le affermazioni del Magistero post conciliare, secondo l'autorità propria di ogni documento.

C'è una contraddizione evidentissima nel fatto che è proprio chi non ha perso occasione per far conoscere al mondo la propria disobbedienza al Papa ed alle dichiarazioni magisteriali degli ultimi 20 anni, che pensa di avere il diritto di giudicare che questo atteggiamento è troppo blando e che desidera che si fosse insistito su un'obbedienza assoluta al Vaticano II.

Così pure costoro sostengono che il Vaticano ha concesso il diritto di dissentire a Lefebvre, diritto che è stato rifiutato ostinatamente ai fautori di una tendenza progressista. In realtà, l'unico punto che è affermato nell'accordo, secondo Lumen Gentium 25, è il fatto limpido che non tutti i documenti del Concilio hanno la stessa autorità. Per il resto, è stato indicato esplicitamente, nel testo che è stato firmato, che le polemiche pubbliche devono essere evitate e che è richiesto un atteggiamento di rispetto positivo per le decisioni ufficiali e le dichiarazioni.

È stato concesso, in più, che la Fraternità San Pio X possa presentare alla Santa Sede - la quale si riserva l'esclusivo diritto di decisione - le sue difficoltà particolari rispetto alle interpretazioni delle riforme giuridiche e liturgiche. Tutto ciò mostra che in questo dialogo difficile Roma ha unito chiaramente la generosità, in tutto quello che è negoziabile, alla fermezza nel necessario. La spiegazione che Mons. Lefebvre ha dato, per la ritrattazione del suo accordo, è indicativa. Ha dichiarato che infine ha capito che l'accordo che ha firmato mira soltanto ad integrare la sua fondazione "nella Chiesa Conciliare". La Chiesa Cattolica in unione con il Papa è, secondo lui, "la Chiesa Conciliare", che ha rotto con il suo passato. Sembra effettivamente che non riesca più a vedere che qui si tratta della Chiesa Cattolica nella totalità della sua Tradizione e che il Vaticano II appartiene ad essa.

Senza alcun dubbio, il problema che Lefebvre ha posto non è finito con la rottura del 30 giugno. Sarebbe troppo semplice rifugiarsi in una specie del trionfalismo e pensare che questa difficoltà abbia cessato di esistere dal momento in cui il movimento condotto da Lefebvre si è separato con una rottura formale con la chiesa. Un cristiano non può mai, o non dovrebbe, compiacersi di una rottura. Anche se è assolutamente certo che la colpa non può essere attribuita alla Santa Sede, è un dovere per noi esaminarci, tanto circa quali errori abbiamo fatto, quanto quali, persino ora, stiamo facendo. I criteri con cui giudichiamo il passato nel decreto del Vaticano II sull'ecumenismo devono essere usati - come è logico - per giudicare pure il presente.

Una delle scoperte fondamentali della teologia del ecumenismo è che gli scismi possono avvenire soltanto quando determinate verità e determinati valori della fede cristiana non sono più vissuti ed amati all'interno della chiesa. La verità che è marginalizzata diventa autonoma, rimane staccata dal tutto della struttura ecclesiastica ed è allora che un nuovo movimento si forma intorno ad essa.

Dobbiamo riflettere su questo fatto: che tantissimi cattolici, lontani dalla cerchia stretta della fraternità di Lefebvre, vedono questo uomo come guida, in un certo senso, o almeno come alleato utile. Non bisognerà attribuire tutto a motivi politici, a nostalgia, o a fattori culturali di importanza secondaria. Queste cause non sono capaci di spiegare l'attrattiva che è sentita anche dai giovani, e particolarmente dai giovani, che vengono da molte nazioni davvero differenti e che sono immersi in realtà politiche e culturali completamente diverse. Certamente mostrano ciò che è, da ogni punto di vista, una prospettiva limitata e parziale; ma non c'è alcun dubbio che un fenomeno di questa portata sarebbe inconcepibile se non ci fossero qui all'opera dei valori, che generalmente non trovano sufficienti possibilità di realizzarsi all'interno della Chiesa di oggi.

Per tutti questi motivi, dobbiamo considerare tutta la questione soprattutto come l'occasione per un esame di coscienza. Dovremmo non avere apura di farci noi stessi domande fondamentali, circa i difetti della vita pastorale della Chiesa, che emergono da questi fatti. Così dovremmo poter offrire un posto all'interno della chiesa a coloro che lo stanno cercando e domandando e riuscire a eliminare ogni ragione per uno scisma. Possiamo rendere tale scisma privo di motivazioni rinnovando le realtà interne della chiesa. Ci sono tre punti, io penso, che è importante considerare.

Se ci sono molti motivi che potrebbero condurre tantissima gente a cercare un rifugio nella liturgia tradizionale, quello principale è che trovano là conservato la dignità del sacro.

Dopo il Concilio, ci sono stati molti preti che hanno elevato deliberatamente la "desacralizazione" a livello di un programma, sulla pretesa che il nuovo testamento ha abolito il culto del tempio: il velo del tempio che è stato strappato dall'alto al basso al momento della morte di Cristo sulla croce è, secondo certuni, il segno della fine del sacro.

La morte di Gesù, fuori delle mura della città, cioè, dal mondo pubblico, è ora la vera religione. La religione, se vuol avere il suo essere in senso pieno, deve averlo nella non sacralità della vita quotidiana, nell'amore che è vissuto. Ispirati da tali ragionamenti, hanno messo da parte i paramenti sacri; hanno spogliato le chiese più che hanno potuto di quello splendore che porta a elevare la mente al sacro; ed hanno ridotto il liturgia alla lingua e ai gesti di una vita ordinaria, per mezzo di saluti, i segni comuni di amicizia e cose simili.

Non c'è dubbio che, con queste teorie e pratiche, hanno del tutto misconosciuto l'autenntica connessione tra il vecchio ed il nuovo testamento: s' è dimenticato che questo mondo non è il regno di Dio e che "il Santo di Dio" (Gv 6,69) continua ad esistere in contraddizione a questo mondo; che abbiamo bisogno di purificazione prima di accostarci a lui; che il profano, anche dopo la morte e la resurrezione di Gesù, non è riuscito a trasformarsi nel "santo". Il Risorto è apparso, ma a quelli il cui il cuore era ben disposto verso di Lui, al Santo; non si è manifestato a tutti.

È in questo modo un nuovo spazio è stato aperto per la religione a cui tutti noi ora dobbiamo sottometterci; questa religione che consiste nell'accostarci alla famiglia del Risorto, ai cui piedi le donne si prostravano e lo adoravano. Non intendo ora sviluppare ulteriormente questo aspetto; mi limito sinteticamete a questa conclusione: dobbiamo riacquistare la dimensione del sacro nella liturgia.

La liturgia non è un festa; non è una riunione con scopo di passare dei momenti sereni. Non importa assolutamente che il parroco si scervelli per farsi venire in mente chissà quali idee o novità ricche di immaginazione. La liturgia è ciò che fa sì che il Dio Tre volte Santo sia presente fra noi; è il roveto ardente; è l'alleanza di Dio con l'uomo in Gesù Cristo, che è morto e di nuovo è tornato alla vita.

La grandezza della liturgia non sta nel fatto che essa offre un intrattenimento interessante, ma nel rendere tangibile il Totalmente Altro, che noi [da soli] non siamo capaci di evocare. Viene perché vuole.

In altre parole, l'essenziale nella liturgia è il mistero, che è realizzato nel ritualità comune della Chiesa; tutto il resto lo sminuisce. Alcuni cercano di sperimentarlo secondo una moda vivace, e si trovano ingannati: quando il mistero è trasformato nella distrazione, quando l'attore principale nella liturgia non è il Dio vivente ma il prete o l'animatore liturgico.

Oltre alle questioni liturgiche, i punti centrali del conflitto attualmente sono la presa di posizione di Lefebvre contro il decreto che tratta della libertà religiosa ed al cosiddetto spirito di Assisi. È qui che Lefebvre stabilisce le linee di demarcazione fra la sua posizione e quella della chiesa cattolica.

C'è poco da dire: ciò che sta dicendo su questi punti è inaccettabile. Qui non vogliamo considerare i suoi errori, piuttosto desideriamo chiederci dove vi è mancanza di chiarezza in noi stessi. Per Lefebvre la posta in gioco è la battaglia contro liberalismo ideologico, contro il relativizzazione della verità. Non siamo ovviamente in accordo con lui sul fatto che - capito secondo le intenzioni del papa - il testo del Concilio o la preghiera di Assisi inducano al realtivismo.

È un'operazione necessaria difendere il Concilio Vaticano II nei confronti di Mons. Lefebvre, come valido e come vincolante per Chiesa. Certamente c'è una mentalità dalla visuale ristretta che tiene conto solo del Vaticano II e che ha provocato questa opposizione. Ci sono molte presentazioni di esso che danno l'impressione che, dal Vaticano II in avanti, tutto sia stato cambiato e che ciò che lo ha preceduto non abbia valore o, nel migliore dei casi, abbia valore soltanto alla luce del Vaticano II.

Il Concilio Vaticano II non è stato trattato come una parte dell'intera tradizione vivente della Chiesa, ma come una fine della Tradizione, un nuovo inizio da zero. La verità è che questo particolare concilio non ha affatto definito alcun dogma e deliberatamente ha scelto rimanere su un livello modesto, come concilio soltanto pastorale; ma molti la trattano come se si sia trasformato in una specie del superdogma che toglie l'importanza di tutto il resto.

Questa idea è resa più forte dalle cose che ora stanno accadendo. Quello che precedentemente è stato considerato il più santo - la forma in cui la liturgia è stata trasmessa - appare improvvisamente come la più proibita di tutte le cose, l'unica cosa che può essere impunemente proibita. Non si sopporta che si critichino le decisioni che sono state prese dal Concilio; d'altra parte, se certuni mettono in dubbio le regole antiche, o persino le verità principali della fede - per esempio, la verginità corporale di Maria, la Resurrezione corporea di Gesù, l'immortalità dell'anima, ecc. - nessuno protesta, o soltanto lo fa con la più grande moderazione. Io stesso, quando ero professore, ho visto come lo stesso Vescovo che, prima del Concilio, aveva licenziato un insegnante che era realmente irreprensibile, per una certa crudezza nel discorso, non è stato in grado, dopo il Concilio, di allontanare un professore che ha negato apertamente verità della fede certe e fondamentali.

Tutto questo conduce tantissima gente chiedersi se la Chiesa di oggi è realmente la stessa di ieri, o se la hanno cambiato con qualcos'altro senza dirlo alla gente.

La sola via nella quale il Vaticano II può essere reso plausibile è di presentarlo così come è: una parte dell'ininterrotta, dell'unica tradizione della Chiesa e della sua fede.

Non c'è il minimo dubbio che, nei movimenti spirituali dell'era post-conciliare, vi è stato frequentemente un oblio, o persino una soppressione, della questione della verità: qui forse ci confrontiamo con il problema oggi cruciale per la teologia e per il lavoro pastorale.

La verità è ritenuta essere una pretesa che è troppo elevata, un trionfalismo che non può essere assolutamente ancora consentito. Vedete chiaramente questo atteggiamento nella crisi che copisce la pratica e l'ideale missionario. Se non facciamo della verità un punto importante nell'annuncio della nostra fede e se questa verità non è più essenziale per la salvezza dell'uomo, allora le missioni perdono il loro significato.

In effetti la conclusione è stata tirata, ed è stato tirata oggi, che in futuro dobbiamo soltanto cercare che i cristiani siano buoni cristiani, i buoni musulmani dei musulmani, i buoni Indù dei buoni Indù, e così via. E se arriviamo a queste conclusioni, come facciamo a sapere quando uno è "un buon" cristiano, o "un buon" musulmano?

L'idea che tutte le religioni sono - a prenderle sul serio - soltanto i simboli di ciò che finalmente è incomprensibile, sta guadagnando terreno velocemente in teologia e già ha penetrato la pratica liturgica. Quando le cose giungono a questo punto, la fede è lasciata alle spalle, perché la fede realmente consiste nell'affidarsi alla verità per quanto è conosciuta. Dunque, in questa materia, ci sono tutte le ragioni per ritornar sulla retta via.

Se ancora una volta riusciremo a evidenziare e vivere la pienezza della religione cattolica circa a questi punti, possiamo sperare che lo scisma di Lefebvre non sia di lunga durata.



***********************************

Non c'è che dire.......tutto il discorso non fa una grinza, dobbiamo farci PROMOTORI di queste espressioni, l'allora card. Ratzinger, inquadrando bene il problema....lo sta completando oggi nel suo ministero Petrino: SOSTENIAMO IL SOMMO PONTEFICE......e invitiamo i nostri Sacerdoti all'applicazione INTEGRALE delle Norme Liturgiche riguardanti la Liturgia e ad una corretta interpretazione del Concilio senza vergognarsi del proprio passato glorioso nella Tradizione della Chiesa  una e Santa, Cattolica e Apostolica, nonchè ROMANA.....

__________________
"Se sarete ciò che dovrete essere, metterete fuoco in Italia e nel mondo intero" (S.Caterina da Siena)
[Modificato da Caterina63 25/09/2009 10:44]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Leggiamo sul sito Pontifex.Roma quest'altra intervista del Presidente emerito della Commissione Ecclesia Dei. Apparsa in quel sito con data di oggi, ma che da alcuni riferimenti alla revoca della scomunica è databile tra febbraio -marzo 2009.


"Lo dico con franchezza: i Lefebvriani non sono affatto scismatici”: affermazione del Cardinale colombiano Dario Castrillon Hoyos, Presidente Emerito della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, oggi confluita nella Congregazione per la Dottrina della Fede.

Il porporato precisa: “ quando faccio questa affermazione non mi riferisco ai Vescovi che vennero ordinati senza l’autorizzazione del Papa. Quello fu un fatto in violazione delle regole canoniche e dunque meritevole della scomunica. Ma quando invece affermo che i tradizionalisti e i lefebvriani non sono scismatici, mi riferisco alle centinaia di fedeli tradizionalisti amanti della Chiesa tradizionale, al quella Chiesa legati e che nella dottrina sono in piena comunione. Ecco la ragione per cui affermo che i lefebvriani non si possono definire tutti scismatici, un errore di generalizzazione”.

D. Dai Lefebvriani alla figura, controversa di Monsignor Marcelle Lefebvre. Che giudizio ne da?:

R. “ egli fu un grande uomo di chiesa e negarlo sarebbe sbagliato e certamente antistorico, contro la verità. Indubbiamente, commise un grave atto di disubbidienza contro il Papa che gli costò una necessaria scomunica e commise un errore anche grave. Ma, per essere intellettualmente onesti, bisogna saper riconoscere che accanto a quell’errore Lefebvre ebbe e nutrì un grande amore per la Chiesa cattolica e compì cose buone delle quali bisogna tener conto. In sostanza, dico, senza timore di smentita, che Lefebvre fu un buon cattolico la cui vita va studiata, approfondita e in certi lati anche rivalutata”.

D. Eminenza, pensa che prima o poi si arriverà alla piena comunione tra Roma e i lefebvriani?

R. : “ io penso e sono convinto di sì. Certamente non sarà un cammino facile, ma le parti sono bene intenzionate e marciano sulla via giusta. In fondo, i Lefebvriani non sono così tanto lontani dalle verità del cattolicesimo  e noi dobbiamo cercare quello che ci unisce, sia pur nella diversità”.

D. Capitolo della revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Ha suscitato un vespaio di polemiche, lei era consenziente?:

R. “ certo. Il Papa ha fatto non bene, ma molto bene. Spesso sul tema ho sentito cose assurde. Bene, la revoca non era un atto di indirizzo teologico, ma solo un rimedio di diritto canonico, una misura di misericordia e di perdono e come tale andava visto. Ma non è stato compreso nella sua entità. In sostanza il Papa ha eliminato tecnicamente la causa della scomunica,ma non ha operato alcuna scelta teologica. Questo ha dato fastidio ad ambienti ostili fuori ed anche, duole dirlo, dentro la chiesa”.

D. Dunque lei pensa che la revoca della scomunica sia stata giusta?:

R. “ sì, lo è stata”.

D. Veniamo al altro tema. Quale pensa che sia la posizione più conveniente per amministrare il sacramento della comunione?:

R. “ le due posizioni prevalenti sono quella in piedi e quella in ginocchio. Entrambe valide. Ma le due hanno bisogno senza ombra di dubbio, di un momento di compunzione, di sapere chi realmente vado a ricevere. Anche in quella in piedi è necessario un momento di adorazione e di meditazione. Io penso, ma la mia è una opinione personale, che la forma che meglio corrisponda alla sacralità della comunione, al senso di stupore e adorazione, sia quella in ginocchio”.

D. Abusi liturgici, ritiene che sia bene celebrare ad oriente?:

R. “ la mia idea è che mentre la liturgia della Parola possa essere proclamata di faccia ai fedeli, non sarebbe male, recitare parti della messa verso oriente, ossia verso Cristo. In tal modo i fedeli e non la parola assemblea, guarderebbe non al sacerdote,che mai è protagonista,ma a Cristo”.

D. Come fare per abolire nei limiti del possibile gli abusi liturgici?:

R. “ la sua è una domanda troppo facile, ma anche troppo difficile. Penso che i sacerdoti la debbano finire di svolgere il compito di protagonisti e capire che la liturgia non è proprietà loro,ma della Chiesa. Spiacevolmente, e dopo certe interpretazioni del post concilio, si è avuta la sensazione di sacerdoti che credono di essere dei presentatori televisivi e neppure di buon livello”.
Bruno Volpe



Fraternamente CaterinaLD

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25/09/2009 11:08
 
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Da pochi mesi eletto Pontefice, Ratzinger riceve a Castel Gandolfo il vescovo mons. B. Fellay della FSSPX, importante seguire questa evoluzione dei fatti:

 

INTERVISTA 30 agosto 2005

«Un primo passo importante, ora si liberalizzi il messale»

Padre Franz Schmidberger è l'uomo chiave della svolta nei rapporti tra il Vaticano e la Fraternità San Pio X: stretto collaboratore di monsignor Lefebvre, aveva incontrato più volte il cardinale Ratzinger e ha incontrato due volte Benedetto XVI. Il Giornale lo ha intervistato…

di Andrea Tornielli



 

Padre Franz Schmidberger è l'uomo chiave della svolta nei rapporti tra il Vaticano e la Fraternità San Pio X: stretto collaboratore di monsignor Lefebvre, aveva incontrato più volte il cardinale Ratzinger e ha incontrato due volte Benedetto XVI. È lui che durante un'udienza generale, lo scorso 15 giugno, ha salutato il Papa e ha consegnato al suo segretario particolare la richiesta per l'udienza che è stata accordata ieri. Il Giornale lo ha intervistato.

Ci può dire com'è andato l'incontro con il Papa?

«È stato un incontro molto positivo, che si è svolto in un clima cordiale e di reciproca attenzione».

Quanto è durato?

«Trentacinque minuti in tutto».

Perché avete chiesto udienza a Benedetto XVI?

«Per noi la cosa più importante era manifestare il nostro amore e il nostro attaccamento alla Chiesa e alla Sede di Pietro. Ciò che gli abbiamo detto è che siamo disposti a lavorare per il bene della Chiesa, non per distruggerla o dividerla».

Che cosa vi ha risposto Papa Ratzinger?

«Quando abbiamo detto che eravamo lì per amore della Chiesa ci ha risposto: “Questo è molto importante”. Abbiamo cominciato un cammino, necessario per sanare ferite profonde».

Quali passi compirete per la riconciliazione?

«Non vorrei parlare di riconciliazione, perché per noi la comunione c'è già, ci consideriamo in unione con la Chiesa e con la sua Tradizione, con il rito che è stato celebrato per secoli, con tutti i santi del Cielo.. .».

Ma Giovanni Paolo II ha scomunicato Lefebvre e i quattro vescovi da lui consacrati nel 1988 e fino ad oggi voi avete posto come condizione previa all'avvio di un dialogo la cancellazione delle scomuniche...

«Siamo persuasi che all'interno del cammino iniziato oggi si arriverà a dichiarare che quelle scomuniche non esistono. Quelle ordinazioni episcopali a nostro parere furono necessarie per la Chiesa».

Avete chiesto al Papa la liberalizzazione del vecchio messale, l'altra delle condizioni da voi avanzate?

«Non abbiamo parlato di questo, anche se la liberalizzazione del messale rimane la nostra richiesta fondamentale. Il Santo Padre, da Cardinale, ha detto e scritto cose importanti sulla Messa di San Pio V e dunque siamo fiduciosi. Del resto vorrei ricordare che lo stesso Cardinale Medina Estevez, già Prefetto del Culto divino, disse che l'antico messale non era stato mai abrogato e in questo senso si espressero anche otto dei nove membri di una commissione cardinalizia istituita da Giovanni Paolo II nel 1986».

Ma allora che cosa avete detto al Papa?

«Gli abbiamo parlato della crisi che attraversa la Chiesa...».

E lui?

«Il Santo Padre certamente riconosce che ci sono degli abusi, che ci sono cose che non vanno. Basta ricordare la sua meditazione per la Via Crucis, quando parlava della “sporcizia” nella Chiesa, e il discorso pronunciato alla vigilia del conclave, quando denunciava la “dittatura del relativismo”. Noi siamo perfettamente d'accordo con quelle parole, anche se bisogna andare alla radice del problema, alle cause profonde della crisi, che per noi vanno fatte risalire a molte storture nate dal Concilio Vaticano II e a un certo modo di intendere l'ecumenismo e la libertà religiosa».

Avete parlato di una possibile soluzione giuridica per il rientro della Fraternità nella piena comunione con Roma?

«No, perché quello è l'ultimo dei problemi e si troverà certamente una soluzione soddisfacente. Il primo passo sarà un segnale concreto per la liberalizzazione dell'uso del messale di San Pio V e questo provocherà un cambiamento di clima nella Chiesa.  Poi continueremo in un cammino già iniziato di discussione e di confronto sulla crisi della Chiesa: in questi ultimi due mesi ho già incontrato vari cardinali e capi dicastero della Curia romana. Abbiamo fatto arrivare richieste, spiegazioni, contributi, domande relative alla riforma liturgica e all'ecumenismo. Chiederemo al Papa di metterci sotto osservazione per verificare ciò che facciamo e come lo facciamo, e si potrebbe arrivare a togliere le scomuniche».

Che cosa pensa degli incontri di Benedetto XVI con ebrei e musulmani avvenuti a Colonia?

«Mi sembra che rispetto ad altre volte in questa occasione non vi siano state sottolineature di comunanze teologiche, ma gli incontri sono avvenuti su un piano diverso, e questo per noi è positivo. Anche se non so a che cosa possano portare...».

Padre Schmidberger, dopo l'incontro di oggi è ottimista?

«Non sono ottimista, ma realista. È accaduto qualcosa di positivo...».

di Andrea Tornielli

Il Giornale n. 205 del 30-08-2005

***

Dichiarazione del direttore della Sala Stampa della Santa Sede,
dr. Joaquín Navarro-Valls

Il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Dr. Joaquín Navarro-Valls, ha rilasciato questa mattina ai giornalisti la seguente dichiarazione:
Il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina, nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Superiore Generale della "Fraternità San Pio X", Mons. Bernard Fellay, che ne aveva fatto richiesta. Il Papa era accompagnato dall'Em.mo Cardinale Darío Castrillón Hoyos, Presidente della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei".
L’incontro si è svolto in un clima di amore per la Chiesa e di desiderio di arrivare alla perfetta comunione.
Sebbene consapevoli delle difficoltà, si è manifestata la volontà di procedere per gradi e in tempi ragionevoli.


Sala Stampa Vaticana, 29-08-05


***

Comunicato ufficiale di mons. Bernard Fellay
riguardo l'incontro con Papa Benetto XVI, tenuto il 29/08/2005 a. D.
Albano Laziale, 29 agosto 2005

Oggi S.E.R. Monsignor Bernard Fellay, Superiore Generale della Fraternità San Pio X, ha incontrato il Santo Padre, Benedetto XVI, nella sua residenza di Castelgandolfo. All'uscita dall'udienza ha fatto la seguente dichiarazione:
L'incontro è durato circa 35 minuti, in un clima sereno.
L'udienza è stata l'occasione per la Fraternità di manifestare che è sempre stata attaccata e sempre lo sarà alla Santa Sede, Roma Eterna.
Abbiamo ricordato le serie difficoltà già note in uno spirito di grande amore per la Chiesa.
Abbiamo trovato un consenso sul procedere per tappe nel tentativo di risolvere i problemi.
La Fraternità San Pio X prega affinché il Santo Padre possa trovare la forza di porre fine alla crisi della Chiesa, "instaurando tutte le cose in Cristo".


+ Bernard Fellay
Superiore Generale della Fraternità San Pio X







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Dal blog Messainlatino:

Mons. Lefebvre: the movie

La Fraternità San Pio X ha deciso di investire su uno strumento di notevole impatto comunicativo per far conoscere il suo fondatore, l'Arcivescovo Marcel Lefebvre: un vero e proprio film (non, quindi, un mero documentario) che ripropone le tappe della vita del famoso Prelato che fu Delegato Apostolico di Papa Pio XII, Arcivescovo di Dakar in Senegal, Padre conciliare al Vaticano II, Superiore dei Padri dello Spirito Santo (e alle prese con le loro derive postconciliari) e infine, nell'ultima e senz'altro più controversa parte della sua vita - quella per la quale passerà alla Storia ecclesiastica - il più famoso disobbediente agli ordini di aggiornamento e cambiamento che la Chiesa dell'epoca imponeva a se stessa e a tutti i suoi membri, anche recalcitranti.

Il film ha un budget di 50.000 euro e ne trovate tutti i particolari a questo sito: www.monseigneurlefebvre.org/. Per l'occasione, la Fraternità ha messo a disposizione tutti i propri archivi inerenti la figura del fondatore.



Ecco la presentazione del film:




E riportiamo di seguito una breve biografia dell'Arcivescovo, tratta da quel sito:

Nato nel 1905 in una famiglia profondamente cristiana del Nord industriale della Francia, animata da grande deferenza verso il clero, Marcel Lefebvre era il terzo di otto figli di cui i cinque maggiori entreranno in religione. Il loro padre, un uomo di fede e di dovere, morì in un campo tenuto dai nazisti nel 1943.

Marcel fu educato a Roma, al Seminario Francese di Padre Le Floch, prima di entrare nella Congregazione dei Padri dello Spirito Santo, dopo la sua ordinazione nel 1929. Per quasi trent'anni, ha svolto molto del suo ministero in terra d'Africa, dove era in contatto con le culture e le religioni e dove è stato, come Arcivescovo di Dakar e Delegato Apostolico per l'Africa francese, uno dei padri del cristianesimo in questo continente giovane.

In questa veste è stato chiamato a svolgere un ruolo importante dal 1960 a Roma al comitato preparatorio al Concilio. Per diversi mesi, ha visto il rovesciamento completo della Curia romana da parte della minoranza guidata dal cardinale Bea e il vero "colpo di stato" che inaugurò il Concilio Vaticano II. Pertanto, si attivò per evitare che l’Aula approvasse disposizioni nocive per il mondo cattolico. Alla testa del Coetus Internationalis, si oppose alle importanti novità conciliari, che furono la libertà religiosa, l'ecumenismo e la collegialità. Infine, nel 1969, ha rifiutato l’applicazione del nuovo Messale, che Paolo VI aveva imposto a tutti i sacerdoti del mondo.

Nel momento in cui si sarebbe guadagnato una meritata pensione, Lefebvre, gradualmente estromesso prima in Africa e poi dalla sua congregazione, ha iniziato una delle sue battaglie più importanti: la conservazione della dottrina e della liturgia cattolici.

Uomo di preghiera, l'arcivescovo Lefebvre non ha deciso per l’inattività. Su richiesta dei seminaristi disorientati dai cambiamenti nella chiesa fu da lui fondata nel 1970 a Friburgo, in Svizzera, la Fraternità Sacerdotale San Pio X e aperse il seminario di Ecône nel Vallese per formare giovani sacerdoti al riparo dalle innovazioni. Ma questa singolarità ben presto attrasse guai. Dopo che il nuovo vescovo di Friburgo ebbe soppresso la Fraternità nel 1975, Mons. Lefebvre fu condannato l'anno seguente a Roma. Continuando a ordinare sacerdoti, fu colpito dalla sospensione a divinis. La notorietà che gli venne suo malgrado dopo la grande messa di Lilla, nella tarda estate del 1976, moltiplicò le sollecitazioni che lo han portato a stabilire la sua Fraternità in tutti i continenti. Ovunque, cappelle di fedeli e comunità religiose si rivolgevano a lui per sfuggire alle riforme. Ma in un momento in cui avrebbe dovuto sostenere il suo sforzo per salvaguardare una dottrina e una liturgia trascurate dalle autorità ecclesiastiche, i fatti del 1988 lo han portato a consacrare vescovi che potessero rispondere alla chiamata delle anime che si erano affidate a lui.

Questa mossa grave, ma resa necessaria ai suoi occhi dalla situazione, nel 1988 ha portato alla sua condanna da parte di Roma, che lo ha scomunicato.

Instancabilmente, ha continuato a costruire e costruire case per il bene delle anime prima di morire, due anni e mezzo più tardi, il 25 marzo 1991. Il suo lavoro e la sua lotta fece di lui il padre del tradizionalismo cattolico alla fine del ventesimo secolo. Grazie a lui, la Messa tradizionale è stata salvata. Per suo merito, focolai di cattolicesimo sono stati tenuti lontani dalle innovazioni. Attraverso di lui, c’è l'intera visione della Chiesa, basata sulla filosofia realistica e la tradizione dei papi, che era stata ostracizzata e addirittura perseguitata. Pertanto, sollevando la condanna del 1988, Papa Benedetto faceva ben di più che esercitare un favore ad alcuni vescovi.



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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30/03/2013 21:07
 
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  La profezia di Lefebvre e l’alleanza di Ratzinger - da Rinascimento Sacro





Marcel Lefebvre

La riforma liturgica di Paolo VI, senza precedenti nella storia della Chiesa per il tenore delle innovazioni e per lo spazio lasciato all’iniziativa personale del celebrante, fu promulgata nel 1969. Immediatamente suscitò reazioni negative e resistenze da parte delle più alte sfere della Chiesa – il “Breve esame critico” dei Cardinali Ottaviani e Bacci fu fatto pervenire a Paolo VI qualche settimana prima dell’entrata in vigore del nuovo messale – come anche dai semplici fedeli. Provocò inoltre la reazione di numerose personalità del mondo delle arti, delle lettere e della scienza, che si preoccupavano del declino culturale che essa rappresentava, nel famoso appello pubblicato sul Times il 6 luglio 1971 e all’origine dell’indulto detto “Agatha Christie”.

Infatti, dalla morte di Paolo VI, appena dieci anni più tardi, era già chiaro, persino ai suoi promotori, che questa riforma non aveva raggiunto i suoi obbiettivi e che le chiese cominciavano a svuotarsi.

All’inizio degli anni ’80 una reazione di buon senso si manifestò in modo via via più chiaro: perché non lasciare le forme liturgiche antiche a disposizione di coloro che vi trovavano il proprio nutrimento sacramentale e spirituale? E visto che all’epoca tutto sembrava ormai libero e permesso, perché non permettere anche ciò che si faceva prima? Paolo VI stesso, prima di morire, non aveva forse dato un segno forte relegando Monsignor Annibale Bugnini, l’autore della riforma, ad una sorta di esilio a Teheran? Il papa non aveva capito che la messa che porterà per sempre il suo nome, voluta come la radiosa manifestazione della “primavera” conciliare, si rivelava in effetti un nuovo strumento di divisione in una Chiesa che si stava indebolendo?

La questione della libertà della messa preconciliare emerse da subito nel pontificato aperto nel 1978 da Giovanni Paolo II, anche se poi ci sono voluti trent’anni perché trovasse una risposta con il Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI. All’epoca, in effetti, era stata già annunciata dai due personaggi che rimarranno per la storia – quali che siano le opinioni che si abbiano su l’uno e sull’altro – le figure chiave della soluzione della frattura liturgica: Joseph Ratzinger e Marcel Lefebvre.

I – MONSIGNOR LEFEBVRE : LA « PROFEZIA » SULLA LIBERTA’ DELLA MESSA NEL 1979

L’11 marzo 1979, davanti ai suoi seminaristi di Écône, Monsignor Lefebvre dichiarava:

Se veramente il Papa rimettesse la messa tradizionale al suo posto nella Chiesa, credo che potremmo dire che l’essenziale per la nostra vittoria sarebbe fatto. Il giorno in cui davvero la messa diverrà nuovamente la messa della Chiesa, la messa delle parrocchie, la messa delle chiese, certo ci saranno ancora delle difficoltà, ci saranno ancora discussioni, ancora opposizioni, e tutto quello che volete, ma alla fine, la messa di sempre, la messa che è il cuore della Chiesa, la messa che è l’essenziale della Chiesa, quella messa riprenderà il suo posto, il posto che forse non sarà ancora abbastanza, e bisognerà evidentemente dargliene uno ancora più grande, ma alla fine comunque, il solo fatto che tutti i sacerdoti che lo desiderano potranno dire quella messa io credo già questo avrà delle conseguenze enormi sulla Chiesa.

Credo che il nostro apporto sarà stato utile per arrivare a quel momento, se veramente arriverà… Ecco, io credo che la Tradizione sarà salva. Il giorno in cui verrà salvata la messa, la Tradizione della Chiesa sarà salva, perché con la messa ci sono i sacramenti, con la messa c’è il Credo, con la messa c’è il catechismo, con la messa c’è la Bibbia, e tutto, tutto… ci sono i seminari… e c’è la Tradizione che si salva. si può dire che si vedrà la luce di un’aurora nella Chiesa, che avremo attraversato una tempesta formidabile, saremo stati nell’oscurità più completa, sferzati da tutti i venti e che alla fine all’orizzonte si rivelerà di nuovo la messa, la messa che è il sole della Chiesa, che è il sole della nostra vita, il sole della vita cristiana…”

“Il solo fatto che tutti i sacerdoti che lo desiderano potranno dire quella messa io credo già questo avrà delle conseguenze enormi sulla Chiesa”: non è forse esattamente questo il contributo fondamentale del Motu Proprio del 2007? La Fraternità San Pio X si è fortemente felicitata di questo testo liberatore attraverso le parole di Monsignor Fellay. E questo non è stato che un atto di giustizia visto che proprio il fondatore della Fraternità l’aveva annunciato come “un’aurora nella Chiesa”.

II – IL CARDINALE RATZINGER: IL PRINCIPIO DELLA LIBERTA’ DELLA MESSA SANCITO NEL 1982

Questa della libertà liturgica, all’inizio del pontificato wojtyliano, è stata un’idea che era nell’aria. Oggi sappiamo che, appena nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede – e ufficiosamente incaricato dal Papa Giovanni Paolo II di prendersi carico della questione della contestazione liturgica -, il 16 novembre 1982 il Cardinale Joseph Ratzinger organizzò una riunione presso il Palazzo del Sant’Uffizio “in materia delle questioni liturgiche” (1), ovvero per discutere sul problema liturgico in sé e contemporaneamente sul problema della Fraternità San Pio X.

1982. Esattamente un quarto di secolo prima del Summorum Pontificum. Durante quella riunione il Cardinale Ratzinger aveva ottenuto che senza eccezioni tutti i partecipanti (2) affermassero come un’evidenza di buon senso che “il messale romano, nella forma sotto la quale è stato usato fino al 1969, deve essere ammesso dalla Santa Sede in tutta la Chiesa per le Messe celebrate nella lingua latina”. I prelati in quell’occasione parlarono anche della questione della Fraternità San Pio X e valutarono che la sua soluzione doveva avere inizio con una visia canonica (che ebbe infatti luogo cinque anni dopo).

III – L’ALLEANZA RATZINGER/LEFEBVRE PER IL RAGGIUNGIMENTO DELLA LIBERTA’ LITURGICA

Le tappe del processo di liberazione della liturgia antica, processo tanto inaudito quanto la riforma Bugnini stessa, hanno contrassegnato il quarto di secolo che seguì questa presa di posizione del Cardinale Ratzinger. Nei fatti questo processo si è rivelato intimamente legato al regolamento canonico delle questioni concernenti la Fraternità San Pio X, anche se, ufficialmente, tutti vogliono considerare che si trattava di due faccende distinte.

a) Il 18 marzo 1984, il Cardinale Casaroli, Segretario di Stato, scrive (su impulso del Cardinale Ratzinger) al Cardinale Casoria, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, per chiedergli di preparare il primo atto della restaurazione dell’uso del messale tradizionale: “un divieto assoluto dell’uso di quel messale non può essere giustificato né dal punto di vista teologico, né da quello giuridico”. Il 3 ottobre 1984, il successore del Cardinale Casoria al Culto Divino, Monsignor Mayer, invia dunque ai presidenti delle conferenze episcopali di tutto il mondo la circolare Quattuor abhinc annos, detta “Indulto del 1984″, che autorizzava le celebrazioni secondo il messale del 1962 “per il gruppi che lo chiedevano”.

b) Il 30 ottobre 1987, l’ultimo giorno dell’assemblea del Sinodo sulla “vocazione e missione dei fedeli laici nella Chiesa e nel mondo”, il Cardinale Ratzinger annuncia che viene avviata una visita apostolica presso l’opera di Marcel Lefebvre. Dopo questa visita, svolta dal Cardinale canadese Édouard Gagnon, presidente del Consiglio per la Famiglia, hanno luogo in aprile e maggio 1988 delle negoziazioni tra il Cardinale Ratzinger e Monsignor Lefebvre che portano all’accordo del 5 maggio, fatto saltare alla fine da quest’ultimo – essenzialmente per la mancanza di garanzie sulla nomina e la data dell’ordinazione di un altro vescovo per la Fraternità. Successivamente Monsignor Lefebvre procede all’ordinazione di quattro vescovi a Écône il 30 giugno 1988. Come reazione, Roma pubblica il Motu Proprio Ecclesia Dei del 2 luglio 1988 che, condannando Monsignor Lefebvre, istituiva una Commissione pontificale per “facilitare la piena comunione ecclesiale” dei sacerdoti e dei religiosi legati al messale del 1962 e per supervisionare l’applicazione dell’indilto del 1984 da parte dei vescovi.

c) Nel gennaio 2002, l’accordo mancato del 1988 tra Monsignor Lefebvre e Roma ispira quello fatto a beneficio di Monsignor Licinio Rangel, successore di Monsignor de Castro Mayer alla testa della comunità tradizionale della diocesi di Campos. Viene creato un ordinariato personale e Roma accetta, nel giugno dello stesso anno, che venga designato un coadiutore per succedere automaticamente a Monsignor Rangel. Una comunità di più di 20.000 fedeli, una ventina di sacerdoti e altrettante scuole tornano dunque alla piena comunione con Roma conservando pienamente i propri usi liturgici preconciliari.

d) A coronamento di questo processo, il 7 luglio 2007, il Papa Benedetto XVI promulga il Motu Proprio Summorum Pontificum che restituisce a tutti i sacerdoti l’uso privato del messale del 1962 e invita i parroci a rispondere favorevolmente ai gruppi stabili di fedeli che ne vogliono beneficiare. Salutato dal superiore della FSSPX, Monsignor Fellay, questo testo, che ha valore di “legge universale della Chiesa” come precisato dall’istruzioneUniversæ Ecclesiæ, favorisce i contatti fra Roma ed Écône e permette, nel gennaio 2009, la remozione delle scomuniche ai vescovi consacrati nel 1988.

IV – LA LIBERTA’ LITURGIACA / LIBERTA’ TEOLOGICA: IL DISCORSO DEL LUGLIO 1988 DI JOSEPH RATZINGER SU MONSIGNOR LEFEBVRE

Nella nostra lettera francese del 4 giugno 2010 (lettre PL 233), relativa al libro di Monsignor Brunero Gherardini “Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare” (Casa Mariana Editrice, 2009), evocavamo un discorso molto importante pronunciato dal Cardinale Ratzinger il 13 luglio 1988 davanti ai vescovi del Cile e della Colombia (3). In questa allocuzione, il futuro papa, esaminava le responsabilità di ciascuno all’indomani delle consacrazioni episcopali da parte di Monsignor Lefebvre a Écône il 30 luglio 1988.

Quel discorso contiene due affermazioni fondamentali per comprendere l’attuale pontificato:
a) “La verità è che lo stesso Concilio non ha definito nessun dogma e ha voluto in modo cosciente esprimersi ad un livello più modesto, meramente come Concilio pastorale; certo, molti lo interpretano come se fosse quasi il superdogma che toglie importanza a tutto il resto”;
b) “Difendere la validità e il carattere obbligatorio del Concilio Vaticano II, nel confronto con Monsignor Lefebvre, è e continuerà ad essere una necessità”.

Da cui una difficoltà ancora irrisolta oggi e che ha pesato sulle recenti discussioni tra la FSSPX e Roma: quale “carattere obbligatorio” possono comportare degli insegnamenti per la fede espressi “ad un livello più modesto” rispetto al Credo?

Questo parallelo scioccherà alcuni, ma perché non applicare al Concilio ciò che il Santo Padre ha applicato alla liturgia? Per relativizzare il carattere di superliturgia della nuova messa il Papa ha in effetti ricordato con il Motu Proprio Summorum Pontificum che la messa antica non era mai stata vietata e ne ha reso libero l’uso (almeno teoricamente) ai sacerdoti ed ai fedeli.

V – I COMMENTI DI PAIX LITURGIQUE

1) La dichiarazione fatta l’11 maggio 1979 da Monsignor Lefebvre è stupefacente non solo in ragione della data, ma anche perché essa mette il prelato di Écône sotto una luce un po’ diversa da quella a cui siamo abituati. Niente di volutamente polemico o di rigido, ancor meno di settario, nelle sue parole del 1979. Esprime invece una speranza sulla vita concreta della Chiesa. E’ un “Lefebvre pastorale”, nel senso dato al termine dal Concilio, ma con un altro tenore: quello di un ecumenismo intra-ecclesiale appoggiato sull’esperienza concreta della libertà della messa tradizionale nelle parrocchie in vista di favorire il rinnovamento liturgico, spirituale e dottrinale.
Il fondatore della FSSPX testimonia la sua speranza di vedere la messa tradizionale divenire liberamente “la messa delle parrocchie, la messa delle chiese”. Certo, ammette che “ci saranno ancora delle difficoltà, ci saranno ancora discussioni, ancora opposizioni, e tutto quello che volete”. Ma mira all’essenziale, molto concretamente: “quella messa riprenderà il suo posto, il posto che forse non sarà ancora abbastanza”. Assegna poi alla sua opera una finalità tanto più forte per quanto sembri modesta: “il solo fatto che tutti i sacerdoti che lo desiderano potranno dire quella messa io credo già questo avrà delle conseguenze enormi sulla Chiesa. Credo che il nostro apporto sarà stato utile per arrivare a quel momento, se veramente arriverà”. E Monsignor Lefebvre prosegue, sviluppando il tema della coerenza liturgia/dottrina: “con la messa ci sono i sacramenti, con la messa c’è il Credo, con la messa c’è il catechismo, con la messa c’è la Bibbia, e tutto, tutto…”

2) Per quanto riguarda il processo di liberalizzazione iniziato dal Cardinale Ratzinger nel 1982, anch’esso fu assolutamente pastorale e concreto. Possiamo parlare, come per il dogma – ma in questo caso per ciò che concerne la liberalizzazione in pratica della messa detta oggi straordinaria -, di “evoluzione omogenea”:
:: La circolare Quattuor abhinc annos, del 3 ottobre 1984: La messa tradizionale può essere autorizzata dai vescovi, ma a certe regole e comunque non nelle chiese parrocchiali;
:: Il Motu Proprio Ecclesia Dei Adflicta del 2 luglio 1988: I vescovi sono invitati a dare il permesso alla sua celebrazione in modo (in teoria) largo e generoso nelle loro rispettive diocesi;
:: L’erezione dell’Amministrazione apostolica personale Saint-Jean-Marie-Vianney a Campos nel gennaio 2002: Essa può rappresentare la sorgente unica della vita eucaristica di un’intera comunità;
:: Il Motu Proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007: La decisione di celebrarla spetta ora (in teoria) ai parroci per le rispettive parrocchie. In particolare si dichiara che la messa antica non è mai stata abolita e la sua celebrazione diventa un diritto per tutti i sacerdoti di rito romano senza alcuna restrizione.
:: Logicamente un ultimo testo non potrà che intervenire un giorno per constatarne la libertà. Una libertà “normale”, secondo le parole del Cardinale Cañizares, di celebrare la messa straordinaria in tutte le chiese. La “messa di sempre” sarà diventata allora, per il rito romano, la “messa di ogni luogo”.

3) Sarà difficile che arrivi quest’ultima tappa, perché si è passati da un non-dogma del Vaticano II a un superdogma che si estende anche alla liturgia del Vaticano II; si è passati da un concilio non infallibile, che non riguarda questioni di fede, a un preteso “spirito del Concilio” tirannico che intende dogmatizzare anche le nuove forme del culto divino.

Alla fine è una sana libertà che occorre difendere, una vera libertà teologica, non per contestare il dogma cattolico ma per spiegarlo, per difenderlo e anche per farlo “progredire”, o meglio, per far progredire la sua giusta comprensione

Questa libertà è strettamente connessa ad una sana libertà liturgica, non da usare per ogni tipo di abuso, ma per illustrare, difendere e per far progredire la fede dei fedeli nella transustanziazione eucaristica, la fede nel sacrificio propiziatorio riprodotto dalla celebrazione della messa, la fede nel sacerdozio sacramentale e gerarchico istituito da Gesù Cristo.

Non è forse un paradosso che oggi sia liberamente permesso tutto, e solo una libertà sia imbrigliata, quella che vuole essere esercitata nei percorsi tradizionali, libertà che viene rifiutata da coloro che stringono ancora nelle mani le leve del potere, una libertà che è talmente inquadrata nelle loro regole da essere di fatto annichilita, e tutto ciò nel nome della “spirito” di un Concilio che si è considerato come un concilio “liberatore”? © 2013 La Paix Liturgique

***

(1) “Nel 1982 neanche l’alleanza Ratzinger-Casaroli riuscì a sdoganare la Messa tridentina”, Il Foglio, 19 marzo 2006.

(2) Si trattava, oltre a lui stesso come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: dei Cardinali Sebastiano Baggio, Prefetto della Congregazione dei Vescovi; William W. Baum, arcivescovo di Washington; Agostino Casaroli, Segretario di Stato; Silvio Oddi, Prefetto della Congregazione del Clero; e di Monsignor Giuseppe Casoria, a quel tempo pro-Prefetto della Congregazione per il Culto e i Sacramenti.

(3) Monsignor Müller, nuovo Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, ha iniziato, quando era vescovo di Ratisbona, la pubblicazione dell’opera completa di Joseph Ratzinger in 16 volumi. Tra i volumi pubblicati fino ad ora non troviamo traccia di questo discorso pronunciato il 13 luglio 1988, mentre la sua formulazione avrebbe potuto trovare posto nel tomo 7 sull’insegnamento del Vaticano II e la sua interpretazione come nel tomo 11 sulla teologia della liturgia. Segue…

(4) L’abbé Claude Barthe, “Rome/Fraternité Saint-Pie X : où en sommes-nous?”, in L’Homme nouveau, 5 gennaio 2013.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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martedì 23 luglio 2013


 

Marcel Lefebvre: le origini della crisi della chiesa





 


Marcel Lefebvre nel libro "Vi trasmetto quello che ho ricevuto" ci parla di un mondo in agonia in cui ilculto dell'uomo ha sostituito il culto di Dio. Contro lo spirito del liberalismo  che ha corrotto la chiesa del post concilio.


 

di Marco Sambruna

 

La chiave della volontà di cambiamento in seno alla Chiesa sta tutta qui: si tratta di rimpiazzare una istituzione divina con una istituzione fatta dall'uomo. E l'uomo prende il sopravvento su Dio. Invade tutto. Tutto comincia da lui e termina in lui. E' davanti a se stesso che si prosterna. La promozione dell'uomo non è certo la stessa, vista da un cristiano o da un misceredente.

         (Marcel Lefebvre, "Vi trasmetto quello che ho ricevuto", p.140)



 
Marcel Lefebvre

Ho appena finito di leggere "Vi trasmetto quello che ho ricevuto", cioè una sorta di summa del pensiero di mons. Marcel Lefebvre.
Ne ho ricavato una strana sensazione, insieme di malinconia e di serenità. 
Amarezza perché Marcel Lefebvre, massimo esponente dei cattolici tradizionalisti in forte polemica con il Concilio Vaticano II, ci parla di un mondo che sta per cessare, per molti versi migliore di quello attuale. Serenità perchè ci parla di qualcosa di grande forse destinato a tornare, ma per adesso ai margini della storia.

Perchè la Chiesa è decaduta ? 

Alle origini della decadenza è lo spirito liberale che a partire dal modernismo di inizio secolo ha cominciato a penetrare anche all'interno della Chiesa e che si è manifestato in modo evidente durante il Concilio Vaticano II.

Il liberalismo per Lefebvre è pernicioso quanto l'ideologia marxista: lo spirito liberale ha determinato la riforma protestante, poi ha infettato i teologi cattolici della Nouvelle theologie che, insieme ai cosiddetti osservatori protestanti voluti da Giovanni XXIII, hanno partecipato alla redazione dei documenti conciliari. Marcel Lefebvre non scrive una sola riga contro Giovanni XXIII e Paolo VI, ossia i papi del Concilio, a testimonianza del suo attaccamento alla Chiesa. Non stiamo pertanto parlando né di un eretico, nè di uno scismatico: la fraternità sacerdotale san Pio X infatti, fondata da Marcel Lefebvre, secondo la formula utilizzata dal Vaticano, è una comunità cattolica che gode di comunione imperfetta con la Chiesa di Roma. Ciò testimonia anche della complessità dell'arcipelago tradizionalista scaturito nel post concilio: nulla a che fare con i deliri antipapali di altri grupppi tradizionalisti di marca sedevacantista o sedeprivazionista i quali considerano tutti i papi dal Concilio in poi nella migiore delle ipotesi pessimi papi, ma più spesso eretici o massoni.

Secondo certi tradizionalisti fanatici erano massoni Giovanni XXIII e Paolo VI. Quest'ultimo in particolare sarebbe stato d'inclinazione marxista e fautore del culto dell'uomo come dimostrerebbero certi suoi discorsi all'ONU o in altre occasioni. E pensare che fu invece Paolo VI a denunciare come

 Da qualche fessura il fumo di satana è entrato nel tempio di Dio.
Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all'interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia.
      (Paolo VI, omelia del 29 giugno 1972) 


Non parliamo poi di Giovanni Paolo II o Papa Ratzinger entrambi accusati di essere paladini del nuovo ordine mondiale. Invero con qualche ragione perchè i due papi in questione hanno pronunciato in più occasioni l'elogio del nuovo ordine liberal massonico, ma per ingenuità, colpevole e negligente superficialità, non certo perchè aderiscono a quella visione del mondo improntata al darwinismo sociale.

Nulla di tutte queste accuse deliranti si trovano in Marcel Lefebvre che in ogni sua parola appare misurato per quanto appassionato. Al di la delle opinioni personali, la sua compostezza nel dolore desta stima.  Del resto nel libro non traspare nemmeno una proposizione dove mons. Lefebvre appaia come conservatore. Tradizione e conservazione non sono affatto sinonimi: il tradizionalista è tale dal punto di vista dogmatico, ma non sociale. Lo stesso mons. Lefebvre nel libro in più passi sottolinea come solo la fede può favorire l'insorgere del Regno sociale di Cristo.Dopo aver trascorso molti anni in Senegal come arcivescovo di Dakar, Lefebvre aveva visto la povertà materiale e sapeva bene quanto fosse necessario liberarsi da una certa irritante visione clericale per cui la povertà è un bene anche quando non è scelta, ma imposta con la violenza dal contesto sociale. 

Nulla a che vedere quindi nemmeno con la conservazione dello status quo sociale cui tendono certi gruppi cattolici come CL, tanto per non fare nomi. E nulla a che vedere nemmeno con quel fastidioso quietismo e ostentato ripiegamento interiore che non vede più in là delle necessità proprie e della propria famiglia.

 

Una Apocalisse spirituale. 

 

La causa del degrado contemporaneo per mons. Lefebvre è causato dall' l'affermarsi, dopo la fine della civiltà contadina, dello spirito liberale che ha corrotto la morale prima dei genitori e poi dei figli.

Vi auguro in questi tempi così tormentati, in quest'atmosfera così deleteria delle città in cui viviamo, di ritornare alla campagna quando è possibile. La terra è sana, la terra insegna a conoscere Dio, la terra avvicina a Dio, equilibra i temperamenti e i caratteri, incoraggia i giovani al lavoro.

         ("Vi trasmetto ciò che ho ricevuto", p.124)

Questa visione mitica della ormai scomparsa civiltà arcaica che per secoli ha regolato la vita degli uomini è l'aspetto più commovente del pensiero di mons. Lefebvre.  Rimpianto che non riguarda solo gli uomini di chiesa, beninteso...

Ma occorre conoscere sia pure per sommi capi la biografia di mons. Lefebvre per capirne il dramma, il terribile shock che lo ha scosso all'indomani del Concilio. Mons. Lefebvre è nato in una famiglia cattolica, benestante fra molti fratelli e una madre mistica in odore di santità. Abituato da sempre ad amare un'istituzione, la Chiesa, cioè la bussola che indicava la direzione, che dava saldezza, stabilità. Improvvisamente (e quindi non a causa di un lento e penoso declino al quale è più facile abituarsi) il vecchio cattolicesimo scompare sostituito da una specie di oggetto misterioso, una via di mezzo fra la vecchia liturgia e i vecchi dogmi e i nuovi orientamenti che stanno protestantizzando il cattolicesimo.

Si tratta di una vera e propria apocalisse spirituale per Lefebvre: c'era il pericolo di diventare un tradizionalista fanatico, un odiatore della curia romana e dei papi post conciliari, un talebano cattolico pronto a lanciare anatemi contro la Chiesa e a vedere l'anticristo in ogni teologo progressista. Poteva, ma nulla di questo è accaduto; la nobiltà d'animo e la profonda conoscenza dell'anima umana lo hanno preservato dal talebanismo. Al suo posto c'è lo sdegno, la viva preoccupazione, la profonda pena di constatare che tutto ciò che costituiva il proprio mondo sta vacillando paurosamente e rischia di crollare. 

Nuova liturgia ed ecumenismo

Poteva dunque essere la nevrosi, la sindrome di un vecchio declinante, canuto vescovo che solo e amareggiato si sentiva circondato da nemici; e invece è stata la viva e vitale preoccupazione per l'errore supremo, l'inaudito, l'inconcepibile: la sostituzione del culto dell'uomo al culto di Dio. La riforma liturgica con un maggior coinvolgimento di laici in nome del sacerdozio universale e l'ecumenismo sono per Marcel Lefebvre gli agenti che favoriscono il culto dell'uomo. Il ruolo del sacerdote ridotto nella nuova liturgia a rappresentare il semplice memoriale di stampo protestante dell'Ultima cena e non più il sacrificio salvifico di Cristo ha trasformato la messa cattolica in un ibrido in cui l'uomo sembra voler più affermare la propria autosufficienza che la propria dipendenza da Dio.

E poi l'ecumenismo che secondo mons. Lefebvre costituisce un grossolano errore: quello del dialogo con le altre religioni. Concetto che suona benissimo nel clima di relativismo in cui viviamo oggi, ma che esaminato più da vicino per un cattolico dovrebbe suonare come un campana a morto. Ecumenismo significa dialogo, ma dialogo significa anche che i due interlocutori sono su un piano di parità allo stesso livello. Per un cattolico tradizionalista come Lefebvre questo è inconcepibile: la Chiesa non può dialogare alla pari con le altre religioni, ma da una posizione di superiorità in virtù del possesso tutto intero dell'unica ed eterna Verità.   

Insomma dopo essersi fatta contaminare dallo spirito liberale laicista, dopo il Concilio la Chiesa si sta facendo contaminare dal relativismo religioso il cui fine ultimo potrebbe essere la religione sinarchica mondiale, il culto dell'uomo più o meno come accaduta col culto della dea ragione durante la rivoluzione francese. E allora, pare ammonirci Marcel Lefebvre, si avvicina l'ultima tentazione per la Chiesa, se non vi è già caduta: non essere più la guida della storia, ma farsi guidare dalla storia.

E se la chiesa cattolica fosse già morta ?

Ora, quasi al termine dl libro, Marcel Lefebvre ci lascia con un interrogativo inquietante: e se il cattolicesimo dopo duemila anni di vita fosse morto in modo silenzioso, lasciando al suo posto una controfigura? E se il cattolicesimo che vediamo oggi rappresentato nella messa o nella teologia moderna fosse solo il pallido fantasma di ciò che era? Quella che noi vedremmo oggi in definitiva non sarebbe altro che una Nuova Religione che ha sostituito la vecchia senza che in fondo ce ne accorgessimo.

 
Allora, è chiaro, noi non siamo di questa religione; non accettiamo questa nuova religione. Noi siamo della religione di sempre; siamo della religione cattolica, non di questa religione universale come la chiamano oggi. Non è più la vera religione cattolica che è autenticamente universale perchè fondata sulla vera fede quella in Gesù Cristo. Noi non siamo di questa religione liberale, modernista che ha il suo culto, i suoi preti,la sua fede, i suoi catechismo, la sua Bibbia la "Bibbia interconfessionale". Noi non accettiamo tutto questo.
         ("Vi trasmetto quello che ho ricevuto", p. 226)

 
Una nuova religione quindi che solo apparentemente assomiglia a quella cattolica, scimmiottandone alcune posture e alcune movenze. Migliore o peggiore di quella che avrebbe sostituita? Se dai frutti si riconosce l'albero dobbiamo dire che la chiesa del post concilio dal punto di vista della capacità di convertire, ossia il fine supremo che ha la Chiesa cattolica, ha registrato un clamoroso flop: anzichè convertire il mondo, si è convertita al mondo.
I dati del fallimento sono evidenti: chiese e seminari in costante calo di frequentanti tanto che a causa della penuria di sacerdoti qualche sagace teologo comincia a proporre di conferire il sacerdozio ministeriale ai laici. La chiesa insomma per Lefebvre voleva assumere la mentalità del mondo per avvicinarsi ai cosiddetti "lontani", ma il mondo ha cominciato a schifarla proprio nel momento in cui la distanza fra chiesa e società laica si è ridotto. 
Anche il linguaggio clericale si è adeguato al mondo: prima i non credenti si definivano "atei" o "agnostici" adesso con odioso linguaggio politicamente corretto i "lontani". Il cattolicesimo è deriso perchè parla, se ancora ne parla, di cose che il mondo considera da trogloditi (come i novissimi, l'escatologia, etc) oppure è rigettato perchè il mondo ha schifo di se stesso e non può sopportare di vedersi rispecchiato nella Chiesa? 
Quello che è certo è che la Chiesa assumendo una mentalità laica si è spogliata di quell'aura sacrale e misteriosa che è alla base il fascino e della capacità di attrazione di qualsiasi religione: senza quell'aura sacrale qualsiasi fede diventa una burattinata, una cosa da ridere, finendo per essere schernita a causa di quelle che i più considerano arcaiche, ridicole credenze in un mucchio di assurdità irrazionali.    


Il post si può replicare citando l'autore e la fonte http://nuovareligione.blogspot.it/




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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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lunedì 27 luglio 2009



Jean Guitton, amico di sempre di Paolo VI, in un'intervista profetica

 
Da La Stampa dell'11 ottobre 1992 (visionabile qui). Grazie ad Alessandro per la segnalazione

"Anch'io ho nostalgia della Messa in latino"
INTERVISTA: IL BIOGRAFO DI PAOLO VI ACCUSA
Jean Guitton: "Quanti errori, Lefebvre aveva ragione..."
"Freud, Marx e Lutero hanno sostituito nei seminari Tommaso, Ambrogio e Agostino"

PARIGI: "Quel giorno tremavo dall'emozione. Per tutta la vita avevo sognato un Concilio che affrontasse le grandi questioni del Novecento, l'ecumenismo, il progresso, i diritti della donna... E ora ero la', e avrei parlato, primo laico nella storia, a un Concilio della Chiesa cattolica. Sono passati trent'anni...". Jean GUITTON, 91 anni, la coscienza critica della cristianita', l'amico di Giovanni XXIII, il confidente di Paolo VI, e' commosso. Guarda fuori dalla finestra del suo piccolo appartamento parigino, sui giardini del Luxembourg. Agita una mano fragile, e comincia. "Il Concilio e' stato perfetto. Ma l'applicazione... quanti errori. E' diminuita la fede. Ha perso vigore la verita'. La Chiesa cattolica ha rinunciato a proclamarsi la sola vera Chiesa. Ha pregato assieme ai protestanti, alle altre religioni. Nei seminari Freud, Marx, Lutero hanno preso il posto di Tommaso, Ambrogio, Agostino".

 
-Per questo Lefebvre se ne e' andato?
Paolo VI e poi Papa Wojtyla mi avevano incaricato di trovare una soluzione, di evitare lo scisma. Io ho fallito. Parlare di Econe per me e' molto doloroso. Perche', in fondo, Lefebvre aveva ragione.

-In che senso aveva ragione?
La verita' non puo' cambiare. Se e' bianca, non puo' diventare grigia, rossa o marrone. E se la Chiesa possiede la verita', rimane identica a se stessa attraverso la storia. Quando Lefebvre diceva che il Concilio non poteva cambiare l'affermazione solenne della Chiesa sulla verita', diceva cose che dobbiamo condividere. Ma Lefebvre le sosteneva in modo maldestro. Confondeva l'adesione alla Chiesa con l'adesione a un partito. Era uno spirito chiuso.

-Quali sono le altre ombre del post-Concilio?
L'anarchia. Il curato che non obbedisce piu' al parroco, il parroco al vescovo, il vescovo al cardinale. La catechesi affidata alla gente che passa per strada. Guardi, vicino a casa mia ci sono due parrocchie, Saint-Sulpice e Notre Dame des Champs. E non dicono le stesse cose. Pensi che coerenza puo' avere una catechesi affidata al primo venuto.
 
-Il nuovo catechismo risolvera' il problema?
Ecco dov'e' il male. Com'e' possibile che i cattolici abbiano dovuto attendere trent'anni per sapere cosa e' giusto fare, cosa e' giusto credere e cosa no? Il nuovo catechismo doveva arrivare tre minuti dopo il Concilio, non dopo trent'anni.

- Vede ancora altre ombre?
La crisi delle vocazioni. Finito il Concilio, pensavo che i seminari si riempissero. Invece... E poi, siamo arrivati a pensare che basti la sincerita' per fare un cristiano. Anche se si e' ladri, anche se si e' omosessuali. Verita', ci vuole. Pentimento. E fede.

-Ha nostalgia della Messa in latino?
Sì. In latino ho espresso le emozioni di 60 anni della mia vita di cattolico. Anche Paolo VI soffrì per il cambio di liturgia. Mi disse: dobbiamo sacrificare i nostri sentimenti, per rendere il Vangelo comprensibile a tutti. Aveva ragione. Ma il Concilio non abolì il latino: lasciò libertà di liturgia. Soltanto in seguito la Messa tridentina e' stata considerata un reperto da museo.

-Quali sono invece le luci?
Il dialogo. Nei duemila anni prima del Concilio la Chiesa cattolica aveva solo condannato. Ora ha cambiato metodo: non condannare, ascoltare. Il dialogo con i non cattolici continua oggi piu' che mai: con gli anglicani, con i protestanti; con gli ortodossi, ora che la Russia sovietica e' diventata la Russia di San Pietroburgo. Anche i rapporti con l'immenso mondo dei non credenti non sono mai stati cosi' intensi.

-Qual e' stata la piu' bella innovazione del Concilio?
La liberta' religiosa. Ricordo i cardinali spaccati in due partiti. I progressisti dicevano: la religione dev'essere fondata su un atto di liberta'. Io ero d'accordo. Sapevo che Sartre aveva affrontato il problema, ma senza risolverlo: perche' non c'e' liberta' senza Dio, non c'e' Dio senza liberta'. Passo' la linea dei progressisti.

- E i conservatori furono battuti. Chi erano?
Il loro capo era Ottaviani. Uno spirito netto, bello, pulito. Parlava benissimo il latino. Ricordo che dovevamo stabilire quando una famiglia cattolica e' numerosa. Qualcuno disse: e' numerosa se ha quattro figli. "No, se ne ha dodici!", urlo' lui. "Altrimenti io non sarei nato". Lo disse in latino, ovviamente".

- Quale altra figura le e' rimasta impressa?
Wiszinsky. Il primate di Polonia era un uomo eccezionale. E di destra.

- E Wojtyla?
Era il suo allievo. Non so con chi fosse schierato. Sa, nessuno poteva immaginare che sarebbe diventato Papa...

- Perche' Paolo VI volle che lei, un laico, prendesse la parola?
Tra noi c'era un grande amore, una grande amicizia. E' il mistero degli incontri. La prima volta che lo vidi era un 8 settembre, lui era ancora vescovo... fu come un fulmine. Mi fece promettere che ogni 8 settembre sarei andato a trovarlo. Lo feci per 27 anni. Quando divenne Papa gli dissi: Eminenza, le porto il mio addio. E lui, gridando: ma come, non ho forse un cuore? Non posso piu' amarla? No, avro' bisogno dei suoi consigli piu' di prima.

- Cosa le diceva nei giorni del Concilio?
La sera del mio intervento mi regalo' un orologio, dicendo: "Oggi e' stata una giornata storica. Lei portera' questo orologio per ricordare che il tempo non e' che un soffio in confronto all'eternità. Che emozione. Che gioia.

- Cosa le rivelo' ancora?
Che soffriva. Seguiva i lavori su una tv a circuito chiuso. Sentiva nel suo cuore le divisioni dei cardinali, sapeva delle manovre.

- Chi manovrava? I conservatori o i progressisti?
Entrambi. C'erano duemila vescovi. In ogni Parlamento ci sono uomini abili che tentano con sistemi piu' o meno corretti di influenzare gli altri.

- Cosa ricorda della fine del Concilio?
Ora che mi resta poco da vivere posso farle una confidenza. Paolo VI sognava di morire sul campo di battaglia. La responsabilita' lo schiacciava. Un giorno mi disse: "Diamoci un appuntamento dopo la morte". Era l'uomo piu' solo del mondo. Erano soli, lui e Dio. Lo capisco, il Concilio e' stato l'evento del secolo. Me lo disse anche De Gaulle. Io lo lodavo: lei ha salvato la Francia. E lui: ma lei ha partecipato al Concilio.
 
- Sono stati trent'anni difficili per la Chiesa. Oggi possiamo ancora dirci cristiani?
I nostri anni sono il trionfo della violenza, l'apoteosi del sesso, della televisione, del denaro. Il piu' grande nemico del cristianesimo non e' l'ateismo. Quello si vede, si tocca. Il nemico invisibile e' l'indifferenza.

- E il consumismo, il capitalismo?
Il capitalismo e' come la sua cravatta. Posso usarla per abbellire il suo abito. Oppure per strangolarla.

- Lei ha detto che il comunismo non e' morto, e risorgera' in qualche altra forma.
Le diro' di piu'. Il comunismo non e' di per se' contro il cristianesimo. Lo diventa quando sostiene l'ateismo. I primi cristiani avevano i beni in comune.
 
- E il cristianesimo, rischia di morire?
La Chiesa attraversa una crisi terribile. Ma la crisi e' la sua condizione esistenziale. Dio vuole cosi'. La Chiesa era in crisi gia' quando Giovanni scriveva l'Apocalisse. Ma quando al mondo fosse rimasto anche un solo cristiano, la Chiesa vivrebbe con lui. Vede, la nostra e' l'eta' del degrado. E' come tirare con l'arco. La freccia deve tendersi all'indietro per schizzare in avanti. Ecco, noi oggi siamo compressi all'indietro. Ma siamo alla vigilia di grandi cambiamenti. Il prossimo secolo sara' l'era della nuova evangelizzazione, e la luce tornera' a illuminare la Chiesa. Ma i miei occhi non faranno in tempo a vederla.

Aldo Cazzullo





Fraternamente CaterinaLD

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La FSSPX non è mai stata fuori della Chiesa e non può considerarsi “scismatica”.

 
Paolo Pasqualucci ci invia il testo chiarificatore della vulgata ostile alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, che pubblichiamo di seguito.


La natura perfettamente ortodossa della “Fraternità degli Apostoli di Gesù e Maria”, meglio nota secondo iltitolo pubblico di “Fraternità Sacerdotale San Pio X”, viene ancora oggi ostinatamente negata da coloro che continuano del tutto erroneamente a dipingerla come “eretica”, “scismatica”, “illecita”, “illegittima”, “invalida”, “fuori della Chiesa”, “sedevacantista”,  e  chi più ne ha, più ne metta.  Un’ostilità dovuta in gran parte, io credo, alla scarsa conoscenza dei fatti o del loro autentico significato.
 
In precedenti interventi [qui - qui - qui] credo di aver efficacemente dimostrato quanto sia falsa l’accusa di eresia nei suoi confronti; accusa – teniamolo bene a mente – mai formulata da nessun organo della Santa Sede, a cominciare dal Sommo Pontefice.  Vorrei ora completare quell’intervento con alcune notazioni sull’assenza totale di un qualsiasi “scisma” da parte della Fraternità:  su come, pertanto, essa non possa assolutamente considerarsi “fuori della Chiesa”.  Il recente riconoscimento alla Fraternità della personalità giuridica da parte dello Stato argentino, quale “associazione di diritto diocesano”, in séguito a un’inaspettata istanza dell’Arcivescovo di Buenos Aires, S. Em. Mario Aurelio Poli, che per l’appunto chiedeva allo Stato di “considerarla, fino al momento in cui troverà il suo definitivo inquadramento giuridico all’interno della Chiesa Universale, un’Associazione di diritto diocesano, secondo quanto stabilito dal canone 298 del Codice di Diritto Canonico, sul punto di diventare una Società di Vita Apostolica” - pur concedendo alla suddetta un inquadramento produttivo di effetti giuridici solo dal punto di vista del diritto positivo argentino, conferma tuttavia che, per le autorità ecclesiastiche, la Fraternità  è cattolica, anche se non ancora inquadrata nella disciplina prevista dal Codice di diritto canonico vigente, promulgato nel 1983.  Essendo cattolica, non è fuori della Chiesa. Non essendo fuori della Chiesa, non può evidentemente esser ritenuta “scismatica”[1].
 


1. La FSSPX non può considerarsi “scismatica” in senso proprio o formale

L’ha detto nel 2005 il cardinale Castrillón Hoyos, al tempo Prefetto della Sacra Congregazione per il Clero e presidente della Pontificia Commissione ‘Ecclesia Dei’.  Ecco le sue dichiarazioni:
  1. “purtroppo mons. Lefebvre procedette con le consacrazioni e pertanto si è creata una situazione di separazione, anche se non si è trattato di uno scisma in senso formale”;  
  2. “la FSSPX è un’istituzione ecclesiastica composta di sacerdoti validamente ordinati anche se in modo illegittimo”;  
  3. “l’esistenza di gruppi di tradizionalisti che non riconoscono gli ultimi Papi, i cosiddetti “sedevacantisti”, è un’altra faccenda, che non riguarda la Fraternità”[2].
Tre mesi dopo, sempre rispondendo a domande, il porporato ribadì che:
  1. “la Fraternità non è eretica”;
  2. “nel senso stretto del termine, non si può dire che la Fraternità sia scismatica”.[3]
Nove anni prima, il cardinale Edward Cassidy, all’epoca Presidente del Consiglio Pontificio per l’Unità dei Cristiani, al fine di chiarire ricorrenti e malevoli equivoci, aveva dichiarato pubblicamente che:  “la Messa e i Sacramenti amministrati dai sacerdoti della Fraternità S. Pio X sono validi”.[4]
 
Che la FSSPX non possa considerarsi “scismatica” in senso “proprio o formale”, ciò è stato sostenuto in primo luogo dalla dottrina.  Poco prima delle celebri Consacrazioni del 29 giugno 1988, il prof. Rudolf Kaschewski, autorevole canonista tedesco, del tutto indipendente dall’ambiente “lefebvriano”, aveva dimostrato in un breve e magistrale articolo che, in base al Codice del 1983, una consacrazione episcopale senza mandato pontificio non poteva essere punita con la scomunica[5].  Nel 1995, i giuristi della Pontificia Università Urbaniana approvarono una “tesina di licenza” in diritto canonico del Padre statunitense Gerald Murray, tutt’altro che “lefebvriano”,  nella quale si sosteneva che la scomunica dichiarata a mons. Lefebvre e agli altri vescovi non poteva ritenersi valida in punto di stretto diritto canonico né lo poteva la connessa imputazione di scisma in senso formale[6].
 
Maggior autorità presso i fedeli possiede tuttavia il dictum di un cardinale.  C’è dunque stata una “separazione”, sottolinea il card.Castrillón Hoyos, ma non uno “scisma in senso proprio”.  Cerchiamo di capire la differenza.  Una situazione di “separazione” costituisce di per sé uno scisma? No, evidentemente.  La “separazione” derivante da una disubbidienza sanzionata non è a ben vedere una “separazione” dalla Chiesa militante poiché la disubbidienza non configura una situazione che possa considerarsi come tale scismatica, altrimenti bisognerebbe affermare che ogni disubbidienza costituisce scisma, il che ovviamente non è.  Perché si abbia uno scisma non basta una disubbidienza, occorrono altri elementi e ben più incisivi, che nel nostro caso non ci sono mai stati e non ci sono.

1.1  La normativa vigente. La disubbidienza rappresentata da una consacrazione episcopale senza mandato del Papa, cioè senza la sua autorizzazione, veniva punita dal Codex Iuris Canonici del 1917 con la suspensio a divinis ipso iure, cioè per il solo fatto di aver perpetrato la violazione (c. 2370).  Si trattava di una pena meno grave della scomunica e tuttavia grave.  Esistevano nove tipi di “sospensioni”.  Quella “a divinis” vietava al sacerdote: “ogni atto della potestà d’ordine, ricevuta che l’avesse [la potestà] dalla sacra ordinazione o per privilegio” (c. 2279, § 2.2).  Dopo consacrazioni di vescovi senza mandato avvenute  nel 1951 nella Cina comunista, sotto il controllo del Partito, con Decreto del S. Uffizio del 9 agosto di quell’anno la sospensione a divinis fu sostituita dalla pena della excommunicatio latae sententiae, riservata alla Santa Sede quanto alla sua remissione.  Ciò significa che solo il Papa può revocarla (“rimetterla”).  Anche qui la pena (la “censura”) si applica automaticamente al verificarsi del fatto stesso, che porta in sé la sua sanzione.  Senza bisogno di istruire un processo, l’autorità competente si limita a dichiararla, con efficacia ex tunc, ossia dal momento del verificarsi della violazione. (Se si istruisce un processo, l’eventuale scomunica si denomina: excommunicatio ferendae sententiae).
 
L’attuale Codice di diritto canonico, del 1983, ha accolto la normativa introdotta nel 1951.  Al c. 1382 esso prevede pertanto la scomunica latae sententiae  per i colpevoli (consacrante e consacrato).  Sono però applicabili le circostanze attenuanti ed esimenti elencate ai cc. 1323 e 1324.  Tra di esse si annovera anche l’esistenza e persino la semplice convinzione (ancorché errata) dell’esistenza dello stato di necessità. Il Legislatore stabilisce che, per ciò che riguarda lo stato di necessità, quando la violazione della norma è avvenuta con un’azione intrinsecamente cattiva o dannosa per le anime, si ha una circostanza solo attenuante, sufficiente però ad escludere l’applicazione della scomunica, che deve esser sostituita da un’altra pena o da una penitenza.  Se la violazione, invece, è avvenuta con un atto né intrinsecamente cattivo né dannoso per le anime (e una consacrazione senza mandato ma fatta senza animus scismaticus non è certamente cosa cattiva o dannosa per le anime), allora l’imputabilità addirittura non sussiste e non si può irrogare né pena né altra forma di sanzione.  Se però il soggetto, per errore colpevole (per errorem, ex sua tamen culpa) ha ritenuto di essere costretto ad agire in stato di necessità, senza che la sua azione costituisse qualcosa di malvagio in sé o di dannoso per la salute delle anime, allora ha diritto alle sole attenuanti.  Ma anche in questo caso, se merita la scomunica, quest’ultima non può esser dichiarata:  deve esser sostituita da un’altra pena o penitenza.  Va poi ricordato che quando l’errore di valutazione di cui sopra ha luogo senza colpa da parte del soggetto agente, allora, invece dell’attenuante, il medesimo ha diritto all’esimente, non è cioè “passibile di alcuna pena”[7].

1.2  I fatti provano che non c’è mai stata volontà di scisma.  A norma di legge, la disobbedienza del cosiddetto “vescovo ribelle” non avrebbe dovuto esser punita con la scomunica.  Per questo mons. Lefebvre e la Fraternità, forti della loro buona fede e della convinzione che lo stato di necessità esistesse oggettivamente, hanno sempre sostenuto che la scomunica doveva considerarsi invalida e lo scisma inesistente. Ma lo scisma non c’è mai stato non solo a causa dell’invalidità della scomunica ma anche perché né mons. Lefebvre né i quattro vescovi da lui consacrati hanno mai avuto né dimostrato di avere alcuna volontà scismatica. Tant’è vero che mons. Lefebvre (e ciò prova a mio avviso la sua buona fede) non ha conferito a questi ultimi il potere di giurisdizione, che implica una base territoriale, organizzata in vere e proprie diocesi.
 
Perché mons. Lefebvre voleva consacrare dei vescovi?  Sin dal 1983, a 78 anni, egli si era dovuto porre il problema di avere dei successori che garantissero alla “Fraternità Sacerdotale” la sua impostazione, volta specificamente alla formazione di sacerdoti secondo il Seminario “tridentino” e alla conservazione della Messa VO.  Ma il Papa avrebbe concesso l’autorizzazione, il “mandato”?  Se avesse dovuto procedere senza di esso, disse pubblicamente mons. Lefebvre nel 1986, egli sarebbe stato comunque ben attento a non provocare alcuno scisma.  I vescovi da lui eventualmente consacrati, precisò, “sarebbero stati miei ausiliari, senza alcuna giurisdizione e solamente per cresimare fedeli, ordinare sacerdoti…sarebbero stati al servizio della Fraternità, che viene dalla Chiesa, che è stata approvata dalla Chiesa.  Non se ne parla di fare una “Chiesa parallela”, nel modo più assoluto.  Lo scopo è semplicemente quello di continuare la Fraternità…La Fraternità è opera di Dio, voluta da Dio”.

Alle tradizionali ordinazioni sacerdotali del 29 giugno di ogni anno a Écône, sede del seminario originario della Fraternità, nel 1987 egli annunciò che avrebbe consacrato dei vescovi.  Cominciarono allora trattative complesse e difficili con Roma, non prive di colpi di scena, che si trascinarono per un anno, condotte per ragione d’ufficio dall’allora cardinale Ratzinger. La trattativa ad un certo punto si arenò:  dopo lungo battagliare, Roma concedeva sì un vescovo “tradizionalista”, ma non era soddisfatta della rosa di candidati inviata da mons. Lefebvre e non si decideva ad accettare una data, tra quelle proposte dall’anziano presule, che aveva ormai 83 anni e cominciava a sentire il peso della lunga battaglia per salvare la “Tradizione della Chiesa” dalla scomparsa nei gorghi delle “riforme” scaturite dal Vaticano II.  Sarebbe morto il 25 marzo 1991, meno di tre anni dopo queste agitate vicende.  Così, alla fine, nonostante le ripetute esortazioni ad aspettare ancora e gli ammonimenti provenienti da Roma, egli ruppe gli indugi e procedette alla consacrazione di ben quattro vescovi, con la presenza dell’anziano vescovo brasiliano mons. de Castro Mayer, compagno di tante battaglie, venuto a testimoniare il suo appoggio morale.
 
La vera volontà scismatica risulta, in genere, da espresse dichiarazioni di coloro che si separano (come nel caso di Lutero o di Enrico VIII re d’Inghilterra, che dissero apertamente di non riconoscere più l’autorità del Papa come capo della Chiesa universale, considerandolo nell’ipotesi più benigna un semplice “vescovo di Roma”) e comunque da un comportamento che mostra la creazione effettiva di una nuova chiesa, una “chiesa parallela”, come si suol dire.  Un’organizzazione ecclesiasistica nuova, autocefala, che non riconosce l’autorità del Papa ed anzi le è ostile.  Così hanno fatto Lutero e tutti i Protestanti, e prima di loro i cristiani di rito greco denominati “ortodossi”, dal momento che la cosiddetta “Chiesa ortodossa” o “greca”, piaccia o meno, è in realtà oggettivamente una setta scismatica.  Viene chiamata “chiesa” solo in omaggio a un uso antico.

Al contrario, la Fraternità ha sempre riconosciuto e riconosce l’autorità del Papa e dei vescovi. Durante la celebrazione della S. Messa prega sempre per il Papa regnante e per l’Ordinario locale. Non si è mai organizzata in parrocchie e diocesi, parallele a quelle ufficiali della Santa Chiesa, ma solo in “distretti”, che sono delle realtà geografiche e non amministrative, dato che combaciano con le nazioni o addirittura con i continenti (distretto di Francia, d’Italia, d’Asia etc.).  Costituiscono spazi nell’ambito dei quali i vescovi esercitano una “giurisdizione supplita” su base personale e non territoriale, cioè il solo potere d’ordine (impartire ed amministrare i Sacramenti), potere che si applica a seconda delle necessità prodotte dalle circostanze, rappresentate dalle richieste concrete delle anime, in modo simile a quanto fanno i vescovi in terra di missione.  E difatti il cardinale Castrillón Hoyos, sempre nella citata intervista a 30giorni, poté affermare che la Fraternità è  una “associazione non riconosciuta i cui vescovi si dichiarano ausiliari”.  Si intende, “non riconosciuta” a causa della scomunica gravante sui vescovi, al tempo non ancora rimessa, che impediva l’inquadramento della Fraternità nelle nuove figure previste dal CIC del 1983 per le congregazioni di vita in comune senza voti, quale era (ed è) la Fraternità.  Il “non riconosciuta” non va, tuttavia, inteso come se si riferisse a un ente esistente solo di fatto perché non regolarmente eretto:  la Fraternità era stata costituita in modo perfettamente regolare dall’Ordinario locale, mons. François Charrière, “vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo”, secondo tutti  i crismi del diritto canonico, il 1° novembre 1970.  Né nel senso che la scomunica avesse colpito la Fraternità in quanto tale, collettivamente, come persona giuridica e in tutti i suoi membri, come alcuni sembrano credere ancor oggi.  Le sospensioni a divinis e le scomuniche colpiscono soltanto le persone singole.  Non si applicano agli enti collettivi.  Questo è sempre stato un principio fondamentale del diritto penale della Chiesa, puntualmente recepito sia nel Codice del 1917 che in quello del 1983 e ribadito da Benedetto XVI (vedi infra).
 
Ausiliari, dunque, i vescovi della Fraternità.  Non avendo diocesi alcuna, non esercitando pertanto il potere di giurisdizione, non governando insomma un’organizzazione parallela a quella della Chiesa ufficiale, essi esercitano il potere d’ordine nella forma della “giurisdizione supplita” di cui sopra, vale a dire applicandolo  unicamente secondo il caso concreto che via via si presenti, ad personam, per il bene delle anime.  Giusta appare, pertanto, l’osservazione del cardinale Castrillón Hoyos, secondo la quale abbiamo qui una “separazione”  ma non uno scisma in senso proprio.  Del resto, se non c’è vero e autentico scisma, come fa ad esserci autentica separazione dalla comunione con la Chiesa? Esisteva una separazione di fatto, provocata dalla scomunica subíta dai vescovi della Fraternità, che impediva l’inquadramento della stessa nelle nuove figure del Codice di diritto canonico. Ma a questa separazione di fatto non corrispondeva una separazione reale, sostanziale,dal momento che la cosiddetta, scismatica “nuova chiesa lefebvriana”  non è mai esistita, né nei fatti né nelle intenzioni.

2. I vescovi e i sacerdoti della Fraternità sono tutti validamente ordinati, anche se “illegittimamente” ossia in violazione di una norma di carattere disciplinare, che non coinvolge in alcun modo i fedeli.

L’altro punto importante da ribadire concerne la validità delle consacrazioni dei vescovi e delle ordinazioni sacerdotali della Fraternità, cosa che comporta la validità dei Sacramenti da loro amministrati, nonostante l’illiceità delle consacrazioni e ordinazioni.  A prima vista, sembrerebbe di trovarsi di fronte ad una contraddizione insanabile:  se le ordinazioni sono state “illecite” come possono esser nello stesso tempo “valide”?  Ed esser “validi” i Sacramenti amministrati dai “lefebvriani”?
 
In realtà non v’è alcuna contraddizione.  Possiamo spiegare la cosa nel modo che segue.  Lalegittimità riguarda una qualità esterna dell’atto, quando è  prevista dalla legge: l’esser cioè stato autorizzato o meno da un’autorità competente, di grado superiore (qui, il Papa) al soggetto che pone in essere l’atto stesso (qui, il vescovo consacrante).  La validità è invece la qualità internadell’atto, vale a dire, l’esser stato posto in essere da un soggetto competente (qui, il vescovo) rispettando le forme e procedure, stabilite dal diritto, indispensabili per la sua stessa esistenza di atto.  Una consacrazione legittima perché debitamente autorizzata dal Papa, può risultare invalida se fatta senza rispettare gli indispensabili requisiti di materia e forma.  Si comprende, quindi, come una consacrazione episcopale attuata senza l’autorizzazione del Papa risulti “illegittima” sul piano disciplinare, di per sé estraneo all’atto della consacrazione, e di contro perfettamente “valida” in quanto tale, se posta in essere secondo i requisiti prescritti.

Pertanto, nel caso della Fraternità san Pio X ci troviamo di fronte a consacrazioni episcopaliperfettamente valide nonostante siano avvenute illegittimamente a causa del divieto pontificio di effettuarle, manifestato  all’epoca dall’autorità competente.  Lo stesso deve dirsi per le ordinazioni sacerdotali effettuate da mons. Lefebvre, a cominciare da quelle del 1975, immediatamente successive all’ingiunzione di chiudere il Seminario di Écône, e dai quattro vescovi “ausiliari” da lui ordinati.  “Illegittime” le prime perché effettuate da un vescovo diffidato dal farle in mancanza del permesso dell’Ordinario locale (le cosiddette lettere dimissoriali) che non l’avrebbe ovviamente concesso, essendo stata appena soppressa la Fraternità stessa, e tuttavia perfettamente valide.  Mons. Lefebvre si rifiutò coraggiosamente di chiudere il Seminario e smobilitare la Fraternitàillegittimamente soppressa dall’Ordinario locale nel 1975. Illegittimamente, perché l’Ordinario territorialmente competente, mons. Pierre Mamie, non aveva di per sé il potere (che appartiene esclusivamente al Papa) di sopprimere una congregazione di vita in comune senza voti, quale era la Fraternità.  Occorreva un’espressa e documentata autorizzazione pontificia ad hoc (detta in forma specifica) che non è mai stata prodotta.  Qui il carattere illegittimo del provvedimento, motivato tra l’altro con l’avversione di mons. Lefebvre alle “riforme” del Vaticano II, cosa che riguardava comunque la sua persona e non l’istituzione da lui creata, è tale da renderlo invalido in modo insanabile ovvero nullo in radice e a tutti gli effetti.  Mons. Lefebvre si appellò immediatamente al Tribunale della Segnatura Apostolica contro l’iniqua misura ma il suo ricorso non fu accettato con la motivazione che la procedura era stata approvata dal Papa “in forma specifica”, cosa che la rendeva inattaccabile.  Ma di questa famosa “approvazione in forma specifica” non è mai stata fornita la prova, come richiesto dal diritto.
 
All’atto pratico, cosa implica l’illegittimità tuttora attribuita alle consacrazioni e alle ordinazioni effettuatesi nella Fraternità?  Che il soggetto ecclesiale che ha posto in essere l’atto e quello che ne ha beneficiato (il sacerdote ordinato) sono passibili di una sanzione (di tipo disciplinare, come le penitenze) da parte dell’autorità legittima, avendo quest’ultima a suo tempo proibito di compiere l’atto stesso, attuatosi perciò senza il suo consenso.  Si tratta quindi di un risvolto meramente disciplinare tra i vescovi ed i sacerdoti della Fraternità da un lato e la Prima Sedes dall’altro; una questione interna alla Gerarchia ecclesiastica, che non riguarda per niente i fedeli, dal momento che non incide affatto né sulla validità  di quelle ordinazioni né sulla validità degli atti successivamente posti in essere da quelle persone ordinate, nell’esercizio legittimo dei poteri (non di giurisdizione) derivanti dall’ordinazione stessa (celebrare la S. Messa, battezzare, cresimare, confessare etc.).
 
Se poi si riconosce l’esistenza obiettiva dello stato di necessità, sempre invocata da mons. Lefebvre e dai suoi successori, allora quelle ordinazioni non sono nemmeno punibili, dal momento che lo stato di necessità, come si è visto, fa venir meno l’imputabilità. Cadrebbe, quindi, la nota dell’illegittimità ancora attribuita alle ordinazioni stesse.  A riconoscere pienamente lo stato di necessità invocato a suo tempo da mons. Lefebvre, la Santa Sede, a quanto sembra, non è tuttavia ancora preparata.

3.  Le dichiarazioni del 2009 di Benedetto XVI confermano l’inesistenza di uno scisma

Anche dopo la remissione della scomunica ai quattro vescovi della Fraternità (oggi ridotti a tre) ad opera di Benedetto XVI, si continua tuttavia a dire che la suddetta sarebbe comunque rimasta in qualche modo “scismatica”, e quindi “fuori della Chiesa”, sinché non venga inquadrata nel nuovo Codice di diritto canonico.  Ma valga il vero:  Benedetto XVI, nella Lettera Apostolica del 10 marzo 2009 ai vescovi, nella quale illustrava i motivi della remissione della scomunica, mai aveva parlato dell’esistenza di un effettivo scisma[9].  Il Papa non diceva che “i ministri della Fraternità” erano esclusi dalla comunione con la Chiesa. Diceva una cosa del tutto diversa: semplicemente, che il loro stato canonico ancora non c’era. E sappiamo perché: perché non si era trovato l’accordo sulle questioni dottrinali, preliminare al loro inquadramento in una società di vita apostolica, discendente diretta delle congregazioni di vita in comune senza voti.
 
Ma ciò non significava che essi fossero esclusi dalla comunione con la Chiesa:  significava, invece, che essi erano da ritenere “non in piena comunione” con la Chiesa (cardinale Castrillón Hoyos) e comunque in nessun caso da ritenersi un’altra chiesa, una setta, una “comunità ecclesiale” del tutto separata.  L’atto scismatico delle consacrazioni episcopali di Écône del giugno 1998 (giusta la definizione che ne diede Giovanni Paolo II), restò un atto solo potenzialmente scismatico, dal momento che non diede vita ad alcun vero scisma.  Mons. Lefebvre tenne fede a quanto aveva detto, paventando consacrazioni senza mandato, col non conferire alcun potere di giurisdizione ai consacrati, concepiti come vescovi “ausiliari”.  E la Fraternità è stata sempre fedele all’impostazione del fondatore, essendosi data un’organizzazione e avendo tenuto un atteggiamento verso le autorità romane, che mostravano e mostrano chiaramente l’assenza dell’animus dello scismatico.

In ogni caso, dopo la remissione delle scomuniche, non si può continuare a dire che i “lefebvriani” siano in qualche modo ancora degli “scismatici” perché non hanno ancora un inquadramento nel diritto canonico attuale.
 
Infatti, se le Consacrazioni del 1988 erano un “atto scismatico” punito con la scomunica latae sententiae, la revoca della scomunica, cancellando la punizione, rappresentata dall’esclusione dalla Chiesa militante, non ha fatto venir meno l’esclusione stessa, onde i “lefebvriani” perdonati devono considerarsi riammessi ipso facto nella Chiesa?  E se sono stati riammessi nella Chiesa, come fanno essi a trovarsi ancora fuori di essa, come è proprio degli scismatici?  Lo scismatico, infatti, è colui che si è separato, si è “scisso” dalla comunità e quindi ne sta fuori. Oppure è stato “scisso” dall’autorità. La scomunica, possiamo equipararla ad una sanzione che si attua nella forma di un decreto con il quale l’autorità legittima caccia un credente, sacerdote o laico, dalla comunità costituita dalla Chiesa. Una volta revocato questo decreto dall’autorità che l’ha promulgato, la vittima del provvedimento è riammessa per ciò stesso nella comunità.  Non si capisce come la si possa considerare ancora fuori.  Il 21 gennaio 2009, il Decreto di remissionedella “censura di scomunica”, dichiarava “privo di effetti giuridici il Decreto a quel tempo emanato”, cioè la scomunica del 1° luglio 1988[10].  E lo “star fuori della Chiesa” non era forse l’effetto giuridico specifico di quel Decreto?
 
Che “l’atto scismatico” delle Consacrazioni del 1988 non abbia mai dato luogo ad un vero scisma, lo fa nettamente capire, come si è detto, anche la ricordata Lettera Apostolica del 10 marzo 2009.  Dopo aver rammentato che i vescovi della Fraternità “sono ordinati validamente ma illegittimamente”, sono cioè vescovi a tutti gli effetti nonostante l’illegittimità (sul piano disciplinare) della loro ordinazione, Benedetto XVI aggiunse: “la scomunica colpisce persone, non istituzioni. Un’Ordinazione episcopale senza il mandato pontificio significa il pericolo di uno scisma, perché mette in questione l’unità del collegio episcopale con il Papa. Perciò la Chiesa deve reagire con la punizione più dura, la scomunica, al fine di richiamare le persone punite in questo modo al pentimento e al ritorno all’unità”[11].  Si noti che il Papa parlava di “pericolo di uno scisma” per le Consacrazioni del 1988, non di uno scisma effettivamente consumato.  Il Papa non accusava mons. Lefebvre di aver dato vita ad uno scisma bensì di aver compiuto un atto (di disubbidienza) che avrebbe potuto farlo nascere.  Lo scisma “dei lefebvriani” restava quindi del tutto potenziale.  Nei fatti non era mai avvenuto, come aveva fatto notare il cardinale Castrillón Hoyos.

Il solo pericolo era tuttavia sufficiente, secondo il Papa, per dichiarare la scomunica latae sententiae, prevista dalla legge.  Scomunica che non colpiva certamente “le istituzioni”, e quindi la Fraternità in quanto tale, ma unicamente le persone.  Ma perché la remissione?  Perché, continuava la Lettera Apostolica, con la remissione si invitavano “ancora una volta” i quattro vescovi della Fraternità al ritorno.  E su che base?  “Questo gesto era possibile dopo che gli interessati avevano espresso il loro riconoscimento in linea di principio del Papa e della sua potestà di Pastore, anche se con delle riserve in materia di obbedienza alla sua autorità dottrinale e a quella del Concilio”[12].
 
I quattro vescovi, com’è noto, avevano collegialmente rinnovato al Papa la loro fedeltà alla Cattedra di Pietro.  Ma questa professione di fedeltà conteneva forse delle “riserve” per quanto riguardava “l’autorità dottrinale” del Papa? Sembrerebbe di sì, da come si esprime qui Benedetto XVI.  Non risulta, però, che mons. Lefebvre o i vescovi “ausiliari” da lui consacrati abbiano mai fatto in linea di principio delle “riserve” sull’autorità dottrinale del Papa in quanto tale.  Ritengo che qui Benedetto XVI volesse riferirsi a riserve dei quattro vescovi nei confronti dell’accettazione del Concilio, nel senso che l’autorità dottrinale del Papa non poteva esser tale da imporre l’obbedienza a un Concilio solo pastorale quale il Vaticano II, come se si trattasse di un Concilio dogmatico.  La manifestazione di queste “riserve” non ha impedito a Benedetto XVI di accettare la loro rinnovata manifestazione di fedeltà:  ciò dimostra che le “riserve” dovevano concernere solo l’obbedienza al Concilio (e in più dimostra, a mio avviso, che nemmeno il Papa riteneva dogmatico il Vaticano II, altrimenti non avrebbe lasciato passare le “riserve” menzionate).
 
Ma restava il problema dell’inquadramento della Fraternità nelle nuove figure create dal Codice del 1983. E qui si passava dall’ambito disciplinare della scomunica a quello dottrinale, precisò il Pontefice.  “Il fatto che la Fraternità S. Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali.  Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa”[13].
 
Cosa dunque comporta il mancato risolvimento delle questioni dottrinali, forse l’esclusione dei vescovi della Fraternità dalla Chiesa, il loro trovarsi ancora in una situazione di cosiddetto “scisma”? Si noti che il Papa si preoccupava di precisare che la scomunica colpisce le persone non le istituzioni. La scomunica dichiarata a suo tempo non ha pertanto “scomunicato” tutti gli altri appartenenti alla Fraternità, e ancor meno (ovviamente) coloro che ne frequentano le funzioni ed attività religiose, ma unicamente i cinque ecclesiastici contro i quali era stata dichiarata.  Quale, allora, la situazione di questi ultimi?  Questa: che il loro ministero si svolge nella Chiesa ma in modo illegittimo.  Illegittimo anche se sempre valido. Non illegittimo perché i ministri della Fraternità si trovino fuori della Chiesa, cosa impossibile dopo la remissione delle scomuniche. (E, a ben vedere, impossibile anche prima, visto che la scomunica non si sarebbe dovuta dichiarare, a causa dello stato di necessità in cui aveva agito e ritenuto di agire mons. Lefebvre).

Dunque “illegittimo” perché, a causa delle questioni dottrinali pendenti, tali ministri non sono stati ancora inquadrati canonicamente ovvero secondo le norme del Codice del 1983.  Ne consegue che “i ministri della Fraternità” si troverebbero fuori del Codice del 1983, non della Chiesa.  Fuori del Codice del 1983 e ancora dentro quello del 1917, vigente al tempo della fondazione della Fraternità.  Anzi, per esser più precisi, fuori della parte III del Libro II, dedicato al “Popolo di Dio”, del Codice del 1983; parte III la cui titolazione recita:  “Gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica”.  Infatti, il Codice del 1917 è stato abrogato dal vigente al c. 6 § 1, 1°.  Tuttavia, vale sempre il c. 102 § 1 del Codice del 1917, secondo il quale la “persona giuridica”(persona moralis) regolarmente istituita “per sua natura è perpetua”.  Vale perché espressamente mantenuto dal Codice del 1983, al c. 120 § 1:  “La persona giuridica per sua natura è perpetua; si estingue tuttavia se viene legittimamente soppressa dalla competente autorità o se ha cessato di agire per lo spazio di cent’anni”.  Poiché la soppressione della Fraternità nel 1975 è stata del tutto illegittima e la Fraternità non ha mai cessato di esistere ed operare in conformità ai propri statuti, essa deve considerarsi tuttora regolarmente istituita secondo il Codice del 1917 e quindi dotata “in perpetuo” di quella “personalità morale “ o “giuridica” che è riconosciuta “in perpetuo” anche dal nuovo Codice di diritto canonico.  Ciò le consente non solo una vita autonoma a fianco delle nuove figure create dal Codice vigente  ma anche di esistere in conformità a tale codice.
“Illegittima” questa vita (dal punto di vista disciplinare) ma perfettamente valida quanto agli atti dei suoi ministri.  “Illegittima”, è ovvio, per chi ritiene legittima la soppressione illegale di Écône, l’abuso di potere perpetrato dall’Ordinario del tempo.
____________________________
1. Per il riconoscimento argentino, vedi l’ampia documentazione pubblicata in: Chiesa e postconcilio.blog, in data 15 aprile 2015 [qui].
2. Intervista al cardinale apparsa sul n. 9/2005 della rivista 30giorni.
3.  Intervista a Canale 5, trasmessa domenica 13 novembre 2005, alle 9 del mattino.
4. Dichiarazione riportata da:  D.I.C.I., 11.1.2014, p. 2 di 6.  È l’Agenzia ufficiale della FSSPX.
5. Vedi: Una Voce – Korrespondenz 18/2, marzo-aprile 1988.  È interamente riportato in italiano da ‘sì sì no no’ dell’agosto 1988 (XIV) 14, pp. 4-6, unitamente alla definizione dello “stato di necessità” di un altro eminente canonista tedesco, il prof. Georg May.
6. Questa “tesina” non è mai stata pubblicata e il P. Murray un anno dopo ne fece una ritrattazione parziale. Ne apparve un riassunto abbastanza chiaro, con larga citazione di passi, nella rivista americana The Latin Mass, numero di autunno del 1995.
7. Sugli aspetti teologici e canonistici delle Consacrazioni  effettuate da mons. Marcel Lefebvre nel 1988, vedi i due dettagliati studi a suo tempo apparsi in ‘sì sì no no’, dal n. 1 al n. 9 dell’anno 1999 (XXV).  Il periodico è reperibile in rete.
8. B. Tissier de Mallerais, Marcel Lefebvre.  Une vie, Clovis, Paris, 2002, p. 573.  I particolari della vicenda delle consacrazioni del 1988 si trovano nel cap. XIX dell’opera:  pp. 557-595.
9. D.I.C.I., 11 gennaio 2014, p. 2/6.
10. Congregazione per i vescovi.  Decreto di Remissione della scomunica latae sententiae ai vescovi della FSSPX, del 21 gennaio 2009 – www.vatican.va/roman-curia etc. [Documentazione anche qui]
11. S. S. Benedetto XVI, Ad Episcopos Ecclesiae Catholicae, AAS 2009 (CI) 4, pp. 270-276; p. 272.
13. Op. cit., ivi.
 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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07/09/2016 18:03
 
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Omelia di S. Ecc. Mons. Marcel Lefebvre
Fondatore della Fraternità San Pio X
nella S. Messa celebrata a Lille, in Francia
29 agosto 1976


Pubblichiamo, questo 29 agosto 2016, l'omelia pronunciata da Monsignore nel corso della storica S. Messa celebrata a Lille, in Francia, alla presenza di seimila fedeli.
Questa omelia, con i suoi quarant'anni, oltre al valore simbolico e storico che riveste, mantiene una straordinaria attualità, se non addirittura una valenza profetica, poiché, nonostante il diffuso riduzionismo imperante negli attuali ambienti tradizionali preoccupati di collocare “temporalmente” le parole di Mons. Lefebvre, essa presenta uno spaccato della situazione di allora nella Chiesa che riesce a descrivere la situazione di ora, seppure lo faccia, senza volerlo, in maniera parziale,
visto che la situazione di oggi è di gran lunga più grave di quella di allora.


Pubblicata sul sito francese della Fraternità San Pio X: La Porte Latine

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Adveniat regnum tuum, venga il tuo regno!

Miei cari amici, miei cari confratelli, miei cari fratelli,

Prima di rivolgervi alcune parole di esortazione, vorrei dissipare dei malintesi, e prima di tutto su questa stessa riunione.

Voi potete vedere, dalla semplicità di questa cerimonia, che non abbiamo affatto preparato una cerimonia che avrebbe riunito una folla come quella che si trova in questa sala. Avevamo pensato che avremmo celebrato la Santa Messa del 29 agosto, come si era convenuto, in mezzo a qualche centinaio di fedeli della regione di Lille, come io faccio frequentemente in Francia, in Europa e anche in America, senza storia. Ed ecco che tutt’a un tratto questa data del 29 agosto è divenuta, per la stampa, per la radio, per la televisione, come una specie di manifestazione che somiglierebbe – dicono – ad una sfida. Ebbene, no! Questa manifestazione non è una sfida. Questa manifestazione siete voi che l’avete desiderata, cari fedeli, cari fratelli, che siete venuti qui da lontano. Perché? Per manifestare la vostra Fede cattolica. Per manifestare il vostro desiderio di pregare e di santificarvi come hanno fatto i nostri padri nella Fede, come hanno fatto generazioni e generazioni prima di noi.

Ecco qual è l’oggetto vero di questa cerimonia, nel corso della quale noi desideriamo pregare di cuore e adorare Nostro Signore Gesù Cristo, che scenderà tra pochi istanti su questo altare e che rinnoverà il Sacrificio della Croce di cui noi abbiamo tanto bisogno.

Vorrei dissipare anche un altro malinteso e, sono desolato, ma sono obbligato a dirlo: non sono io che mi sono definito capo dei tradizionalisti. Voi sapete chi l’ha fatto, poco tempo fa, in circostanze del tutto solenni e memorabili a Roma. Si è detto che Mons. Lefebvre era il capo dei tradizionalisti. Io non voglio essere affatto il capo dei tradizionalisti, e non lo sono. Perché? Perché sono anch’io un semplice cattolico, certo sacerdote, certo vescovo, ma che si trova nelle stesse condizioni nelle quali vi trovate voi e che ha le stesse reazioni davanti alla distruzione della Chiesa, davanti alla distruzione della nostra Fede, davanti alle rovine che s’accumulano sotto i nostri occhi.
Avendo avuto le stesse reazioni, ho pensato che fosse mio dovere formare dei sacerdoti, formare dei veri sacerdoti di cui la Chiesa ha bisogno. Questi sacerdoti, io li ho formati in una Fraternità San Pio X che è stata riconosciuta dalla Chiesa, e non ho fatto che quello che tutti i vescovi hanno fatto per secoli e secoli. Io non ho fatto altro che quello che ho fatto nei miei trent’anni di vita sacerdotale e che mi ha valso di essere vescovo, Delegato apostolico in Africa, membro della Commissione centrale preconciliare, Assistente al Soglio Pontificio. Chi potrebbe desiderare di più come prova che Roma considerava il mio lavoro come profittevole per la Chiesa e per il bene delle anime?

Risultati immagini per mons Lefebvre (mons. Lefebvre con Pio XII, dal quale ricevette molti incarichi)

Ed ecco che allorché realizzo un’opera del tutto simile a quella che ho realizzato per trent’anni, ad un tratto vengo sospeso a divinis e forse presto scomunicato, separato dalla Chiesa, rinnegato, che so! E’ possibile? Anche quello che ho fatto per trent’anni era suscettibile di una sospensione a divinis? Penso invece che se in quei tempi io avessi formato dei seminaristi come li si forma oggi nei nuovi seminarii, allora sì che sarei stato scomunicato; se in quei tempi avessi insegnato il catechismo come lo si insegna oggi, allora mi avrebbero chiamato eretico. E se avessi celebrato la Santa Messa come la si celebra oggi, mi avrebbero sospettato di eresia e mi avrebbero posto fuori dalla Chiesa. E allora non capisco più. Qualcosa è proprio cambiata nella Chiesa ed è a questo che voglio arrivare.

Dobbiamo giustamente riandare alle ragioni che ci hanno fatto assumere questa attitudine. Oh! Attitudine estremamente grave, lo riconosco. Opporsi alle autorità più alte della Chiesa, essere sospeso a divinis, per un vescovo è una cosa grave, una cosa molto penosa. Come si può sostenere una cosa cosi, se non con delle ragioni eccessivamente gravi? Eh, sì! Le ragioni della nostra attitudine e della vostra attitudine, sono ragioni gravi: si tratta della difesa della nostra Fede. La difesa della nostra Fede! Ma allora, le autorità che si trovano a Roma metterebbero in pericolo la nostra Fede? Io non giudico queste autorità, io non voglio giudicarle come persone. Vorrei giudicarle, se posso dirlo, come il Sant’Uffizio giudicava un tempo un libro, e lo metteva all’Indice. Roma studiava il libro, non aveva bisogno di conoscere la persona che l’aveva scritto. Le era sufficiente studiare ciò che aveva davanti nelle dichiarazioni che erano scritte. E se queste dichiarazioni erano contrarie alla dottrina della Chiesa, il libro veniva condannato e messo all’Indice, senza che fosse necessario interpellare la persona.
Certo, al Concilio, certi vescovi si sono ribellati contro questa procedura, dicendo: “E’ inammissibile che si metta all’Indice un libro quando non si è neanche ascoltato colui che l’ha scritto”. Ma non c’è il bisogno di vedere chi ha scritto il libro, se si ha in mano un testo assolutamente contrario alla dottrina della Chiesa. E’ il libro che è condannato, perché le parole che contiene sono contrarie alla dottrina cattolica, e non la persona che l’ha scritto.

E’ dunque in questo modo che noi dobbiamo giudicare le cose. Dobbiamo giudicarle dai fatti. Come ha detto molto bene Nostro Signore Gesù Cristo nel Vangelo che leggeremo tra poco e proprio a proposito, questi lupi che sono ammantati di pelle di pecora: «Dai loro frutti li riconoscerete». Ebbene! I frutti sono davanti a noi, sono evidenti, sono chiari. Questi frutti che vengono dal secondo concilio del Vaticano e dalle riforme postconciliari, sono dei frutti amari, dei frutti che distruggono la Chiesa.
E quando mi si dice: “non tocchi il Concilio, parli delle riforme postconciliari”, io rispondo che quelli che hanno fatto le riforme – e non sono io che ho fatto queste riforme – dicono loro stessi: “Le facciamo in nome del Concilio, abbiamo fatto la riforma del catechismo in nome del Concilio”. E questi sono le autorità della Chiesa. Sono loro che di conseguenza interpretano legittimamente il Concilio.

Ora, cos’è accaduto in questo Concilio? Possiamo saperlo facilmente leggendo i libri di coloro che sono stati proprio gli strumenti di questo cambiamento nella Chiesa, che si è prodotto sotto i vostri occhi. Leggete, per esempio: L’ecumenismo visto da un massone, di Marsaudon. Leggete il libro del senatore del [dipartimento] Doubs, il Signor Prélot: Il Cattolicesimo liberale, scritto nel 1969. Esso vi dirà che è il Concilio che è all’origine di questo cambiamento. Lui, cattolico liberale, lo dice nelle prime pagine del suo libro: “Abbiamo lottato per un secolo e mezzo per far prevalere le nostre opinioni all’interno della Chiesa, e non ci siamo riusciti. Infine è venuto il Vaticano II e noi abbiamo trionfato. Ormai, le tesi e i principii del cattolicesimo liberale sono definitivamente e ufficialmente accettati dalla Santa Chiesa”.
Pensate forse che questa non sia una testimonianza? Non sono io che dico questo. Ma lui lo dice trionfante, noi lo diciamo piangendo.

Cos’hanno infatti voluto i cattolici liberali per un secolo e mezzo? Sposare la Chiesa con la Rivoluzione, sposare la Chiesa con la sovversione, sposare la Chiesa con le forze distruttrici della società e di tutte le società: la società familiare, civile, religiosa. E questo matrimonio della Chiesa è scritto nel Concilio.
Prendete lo schema Gaudium et Spes, e vi troverete: “Bisogna sposare i princípii della Chiesa con le concezioni dell’uomo moderno”. E che vuol dire questo? Questo vuol dire sposare la Chiesa, la Chiesa cattolica, la Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo, con i princípii che sono contrarii a questa Chiesa, che la minano, che sono stati sempre contro la Chiesa.
Ed è esattamente questo matrimonio che è stato tentato nel Concilio da degli uomini di Chiesa, e non dalla Chiesa, poiché giammai la Chiesa potrebbe ammettere una cosa così. Proprio da un secolo e mezzo, tutti i Sommi Pontefici hanno condannato questo cattolicesimo liberale, hanno rifiutato questo matrimonio con le idee della Rivoluzione, con le idee di coloro che hanno adorato la “Dea Ragione”. I Papi non hanno mai potuto accettare una cosa simile. E durante questa rivoluzione, dei sacerdoti sono saliti al patibolo, dei religiosi sono stati perseguitati e anche assassinati. Vi ricordate i pontoni di Nantes, su cui furono ammassati tutti i sacerdoti fedeli e furono fatti affondare al largo? Ecco cosa ha fatto la Rivoluzione! Ebbene! E io ve lo dico, miei carissimi fedeli, quello che ha fatto la Rivoluzione è niente a confronto di ciò che ha fatto il concilio Vaticano II! Niente! E sarebbe stato meglio che i trenta, i quaranta, i cinquantamila preti che hanno abbandonato la loro talare, che hanno abbandonato il loro giuramento fatto davanti a Dio, fossero stati martirizzati, fossero saliti al patibolo… almeno avrebbero salvato la loro anima; mentre adesso rischiano di perderla.

Mi si dice che tra questi poveri preti, molti sono già divorziati, molti hanno fatto domanda di nullità del matrimonio, a Roma. Cosa significano queste cose?
E quanti religiosi – venti mila negli Stati Uniti – hanno abbandonato la loro congregazione religiosa e i loro giuramenti, che avevano fatto in maniera perpetua, hanno rotto il legame che avevano con Nostro Signore Gesù Cristo, per correre a sposarsi! Sarebbe stato meglio che anche loro fossero saliti al patibolo, almeno avrebbero testimoniato la loro Fede!

In definitiva, la Rivoluzione francese, quando faceva dei martiri, praticava l’adagio dei primi secoli: «Sanguis martyrum, semen christianorum», il sangue dei martiri è semenza dei cristiani. E lo sanno bene quelli che perseguitano i cristiani, ed hanno paura di fare dei martiri. E non si vuole più fare dei martiri! Questo è stato il culmine della vittoria del demonio: distruggere la Chiesa con l’obbedienza. Distruggere la Chiesa con l’obbedienza. E noi vediamo che la si distrugge tutti i giorni sotto i nostri occhi: i seminarii vuoti, questo bel seminario di Lille che era pieno di seminaristi, dove sono questi seminaristi? E cosa sono ancora questi seminaristi? Sanno cosa vuol dire essere sacerdoti? Sanno cosa faranno quando saranno sacerdoti?
Ah! E questo proprio perché questa unione voluta dai cattolici liberali fra la Chiesa e la Rivoluzione è un’unione adultera! E da questa unione adultera non possono venire che dei bastardi. E chi sono questi bastardi? Sono i riti. Il rito della nuova messa è un rito bastardo. I sacramenti sono dei sacramenti bastardi. Noi non sappiamo più se sono dei sacramenti che danno la grazia o se non la danno più. Noi non sappiamo più se questa messa ci dà il Corpo e il Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo o se non ce lo dà. I preti che escono dai seminarii, essi stessi non sanno più chi sono. E il cardinale di Cincinnati, a Roma, diceva perché non ci sono più vocazioni: perché la Chiesa non sa più cos’è un sacerdote. E allora, come potrebbe essa formare dei sacerdoti se non sa più cos’è un sacerdote?
I preti che escono dai seminarii sono dei preti bastardi. Essi non sanno più chi sono. Essi non sanno che sono fatti per salire all’altare, per offrire il Sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo, per dare Gesù Cristo alle anime e chiamare le anime a Gesù Cristo. Ecco cos’è un sacerdote, e i nostri giovani che sono qui lo capiscono bene. Tutta la loro vita sarà consacrata a questo, ad amare, ad adorare, a servire Nostro Signore Gesù Cristo nella Santa Eucarestia, perché ci credono, alla presenza di Nostro Signore nella Santa Eucarestia!

Questa unione adultera della Chiesa e della Rivoluzione si concretizza col dialogo. Se la Chiesa ha da dialogare è per convertire. Nostro Signore ha detto: «Andate, istruite tutte le nazioni, convertitele». Ma non ha detto: “dialogate con esse per non convertirle, per cercare di mettervi sul loro stesso piano”. L’errore e la verità non sono compatibili. Se si ha della carità per gli altri – e come ha appena ricordato il Vangelo, colui che ha la carità è colui che serve gli altri – se si ha della carità per gli altri, si deve dare loro Nostro Signore, si deve dare loro la ricchezza che si ha, non conversare con loro, dialogare con loro su un piede di parità. La verità e l’errore non sono su un piede di parità. Sarebbe come mettere Dio e il diavolo sullo stesso piano, poiché è il diavolo il padre della menzogna, il padre dell’errore.

Di conseguenza, noi dobbiamo essere dei missionarii. Noi dobbiamo predicare il Vangelo, convertire le anime a Gesù Cristo, e non dialogare con esse cercando di apprendere i loro princípii. Ed è questa volontà di dialogo con i protestanti che ci ha valso questa messa bastarda e questi riti bastardi. I protestanti ci hanno detto “non vogliamo la vostra messa perché comporta delle cose incompatibili con la nostra fede protestante, quindi cambiate questa messa e noi potremo pregare con voi, potremo fare con voi delle intercomunioni, potremo ricevere i vostri sacramenti, voi potrete venire nelle nostre chiese e noi andare nelle vostre, e tutto sarà finito e avremo l’unità”.
Sì, avremo l’unità, ma nella confusione, nella bastardaggine. Noi non vogliamo questo. Mai la Chiesa l’ha voluto. Noi amiamo i protestanti, noi vorremmo convertirli, ma non è amarli, il far credere loro che hanno la stessa religione della religione cattolica.

E lo stesso accade con i massoni. Oggi si vuole dialogare con i massoni, non solo dialogare con loro, ma permettere ai cattolici di far parte della Massoneria. Ed è ancora un dialogo abominevole. Noi sappiamo perfettamente che le persone che dirigono la Massoneria, almeno i responsabili, sono necessariamente contro Nostro Signore Gesù Cristo. E queste messe nere che fanno, queste messe abominevoli, sacrileghe, orribili che fanno. Sono delle parodie della Messa di Nostro Signore! Ed essi vogliono delle ostie consacrate per fare queste messe nere! Essi sanno che Nostro Signore è nell’Eucarestia, perché il diavolo lo sa che Nostro Signore è nell’Eucarestia! Essi non vogliono delle ostie che vengono da messe di cui non sanno se c’è il Corpo di Nostro Signore o no.
Allora, dialogare con gente che vuole la morte di Nostro Signore per la seconda volta, nella persona dei suoi membri, nella persona della Chiesa? Noi non possiamo ammettere questo dialogo! Noi sappiamo che cosa ha comportato il dialogo col diavolo, il primo dialogo di Eva col diavolo. Non si dialoga col diavolo. Si predica a tutti quelli che sono sotto l’influenza del diavolo, affinché si convertano e vengano a Nostro Signore Gesù Cristo.

Non si dialoga con i comunisti. Si dialoga con le persone. Ma non si dialoga con l’errore. Noi sappiamo che cosa accadrebbe se gli eserciti raggruppati dietro la cortina di ferro la passassero, se un giorno, dopo le numerose sedute del soviet supremo, si arrivasse ad una maggioranza perché questi eserciti piombino sui nostri paesi in cinque giorni…

Miei cari fratelli, non siate turbati. Lasciamo coloro che non comprendono le cose come noi, ma chiediamo al buon Dio di darci la luce.

Ma precisamente, perché noi siamo fortemente risoluti a non accettare questa unione adultera della Chiesa con la Rivoluzione? Perché noi affermiamo la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo. Perché Pietro è stato fatto Pietro? Ricordatevi del Vangelo. Pietro è diventato Pietro perché ha professato la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo. E anche tutti gli Apostoli hanno professato questa Fede pubblicamente, dopo la Pentecoste, e sono stati perseguitati immediatamente. I capi dei sacerdoti hanno detto loro: “Non parlate più di questo nome, non vogliamo più sentire questo nome: Nostro Signore Gesù Cristo”. E gli Apostoli hanno risposto: «Non possumus, non possiamo non parlare di Nostro Signore Gesù Cristo, del nostro Re».
Ma voi mi direte: E’ possibile? Lei sembra accusare Roma di non credere nella divinità di Nostro Signore Gesù Cristo!
Il liberalismo ha due facce: afferma la verità, che esso pretende sia la tesi, e poi nella realtà, nella pratica, nell’ipotesi, com’esso dice, agisce come i nemici della Chiesa. Di modo che si è sempre nell’incoerenza.

Ma che vuol dire la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo? Che Nostro Signore è la sola persona al mondo, il solo essere umano al mondo che ha potuto dire: «Io sono Dio». E per il fatto stesso che ha potuto dire: «Io sono Dio», Egli è stato il solo Salvatore dell’umanità, Egli è stato il solo Sacerdote dell’umanità, Egli è stato il solo Re dell’umanità. Per la Sua natura, e non per privilegio, né per titolo, per la Sua natura, perché è il Figlio di Dio!

Ora, adesso cosa dicono? Non vi è salvezza solo in Gesù Cristo. Vi è salvezza al di fuori di Nostro Signore Gesù Cristo. Non vi è sacerdozio solo in Nostro Signore Gesù Cristo. Tutti i fedeli sono sacerdoti, tutti sono sacerdoti, mentre invece bisogna partecipare sacramentalmente al sacerdozio di Nostro Signore Gesù Cristo per poter offrire il Santo Sacrificio della Messa.

E infine, terzo errore. Non si vuole più il Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, col pretesto che non è più possibile. E questo, io l’ho sentito dalla bocca del Nunzio di Berna, l’ho sentito dalla bocca dell’inviato del Vaticano, il Padre Dhanis, antico rettore dell’Università gregoriana, che è venuto a chiedermi a nome della Santa Sede di non fare le ordinazioni del 29 giugno. Egli era a Flavigny, il 27 giugno, mentre io predicavo il ritiro ai seminaristi. E mi ha detto: “Perché sei contro il Concilio?” E io gli ho risposto: «E’ possibile accettare il Concilio quando in nome del Concilio voi dite che bisogna distruggere tutti gli Stati cattolici, che non servono più Stati cattolici, dunque Stati su cui regna Nostro Signore Gesù Cristo? Questo non è più possibile!».
Ma una cosa è che questo non sia più possibile, altra cosa è che noi si prenda questo come principio e di conseguenza non si ricerchi più questo Regno di Nostro Signore Gesù Cristo.
Che diciamo allora tutti i giorni nel Padre Nostro: «Venga il Tuo Regno, sia fatta la Tua Volontà, così in terra come in Cielo»? Che cos’è questo Regno? Proprio adesso voi avete cantato nel «Gloria»: «Tu solus Dominus, Tu solus Altissimus, Jesu Christe. - Tu solo il Signore, Tu solo l’Altissimo, Gesù Cristo». Ecco, noi lo cantiamo, e una volta usciti diciamo poi: «No, non serve più che Nostro Signore Gesù Cristo regni su di noi»? Ma allora viviamo nell’illogismo, siamo cattolici o no? Siamo cristiani o no?

Non vi sarà pace su questa terra se non nel Regno di Nostro Signore Gesù Cristo. Gli Stati dibattono ogni giorno; nei giornali vi sono pagine e pagine, alla televisione, alla radio, e anche adesso con il cambio del Primo Ministro. Che faremo per raddrizzare la situazione economica? Che faremo per il ritorno del denaro? Che faremo perché le industrie prosperino? Tutti i giornali del mondo intero ne sono pieni.
Ebbene! Anche dal punto di vista economico, bisogna che Nostro Signore Gesù Cristo regni. Perché il Regno di Nostro Signore Gesù Cristo è giustamente il regno di quei princípii d’amore che sono i comandamenti di Dio e che mettono equilibrio nella società, che fanno regnare la giustizia e la pace nella società. Ed è solo nell’ordine, nella giustizia e nella pace nella società che l’economia può reggere, che l’economia può rifiorire. Lo si vede bene.
Prendete il caso della Repubblica Argentina. In quale stato si trovava solo due o tre mesi fa? Una anarchia completa, i briganti che uccidevano a destra e a manca, le industrie completamente rovinate, i proprietarii delle fabbriche rinchiusi e presi in ostaggio, una rivoluzione inverosimile. In un paese tuttavia così bello, così equilibrato, così simpatico come la Repubblica Argentina. Una Repubblica che potrebbe essere di una prosperità incredibile, con delle ricchezze straordinarie. Viene un governo d’ordine, che ha dei princípii, che ha un’autorità, che mette un po’ d’ordine negli affari, che impedisce ai briganti di uccidere gli altri, ed ecco che l’economia si riprende, che gli operai hanno del lavoro e che possono rientrare a casa sapendo che non saranno malmenati da qualcuno che li vorrebbe fare scioperare quand’essi non lo vogliono.


E’ il Regno di Nostro Signore Gesù Cristo che vogliamo, e professiamo la nostra Fede dicendo che Nostro Signore Gesù Cristo è Dio. Ed è per questo che noi vogliamo anche la Messa detta di San Pio V: perché questa Messa è la proclamazione della regalità di Nostro Signore Gesù Cristo. La nuova messa è una specie di messa ibrida, che non è più gerarchica, che è democratica, in cui l’assemblea occupa più posto del prete, e quindi non è più una Messa vera che afferma la regalità di Nostro Signore Gesù Cristo. Perché, come è divenuto Re nostro Signore? Egli ha affermato la Sua regalità con la Croce. «Regnavit a ligno Deus», Gesù Cristo ha regnato col legno della Croce. Perché ha vinto il peccato, ha vinto il demonio, ha vinto la morte con la Sua Croce! Sono quindi queste tre magnifiche vittorie di Nostro Signore Gesù Cristo. Si dirà che si tratta di trionfalismo.
Ebbene! Sì! Certo, noi vogliamo proprio il trionfalismo di Nostro Signore Gesù Cristo. E’ per questo che i nostri antenati hanno costruito queste magnifiche cattedrali. Perché hanno speso tanto denaro, queste persone che erano molto più povere di noi? Perché hanno speso tanto tempo per costruire queste magnifiche cattedrali che sono ammirate ancora oggi, perfino da coloro che non ci credono? Perché? Per l’altare! Per Nostro Signore Gesù Cristo. Per marcare il trionfo della Croce di Nostro Signore Gesù Cristo. Ebbene! Sì! Noi nella nostra Messa vogliamo professare il trionfo della Croce di Nostro Signore Gesù Cristo. Ed è per questo che ci inginocchiamo, che amiamo inginocchiarci davanti alla Santa Eucarestia. Se avessimo tempo, se non volessimo trattenervi troppo, avremmo girato in mezzo a voi con il Santissimo Sacramento, perché poteste manifestare a Nostro Signore Gesù Cristo, alla Sua Santa Eucarestia, che voi l’adorate: «Signore, Tu sei il nostro Dio! Oh! Gesù Cristo, noi Ti adoriamo! Noi sappiamo che è da Te che siamo nati, che è da Te che siamo diventati cristiani, che è da Te che siamo stati riscattati, che sei Tu che ci giudicherai nell’ora della nostra morte. Che sei Tu che ci donerai la gloria del Cielo se l’avremo meritata».

Poiché Nostro Signore Gesù Cristo è presente nella Santa Eucarestia come Lo era nella Croce.

Ecco cosa dobbiamo fare, ecco cosa dobbiamo chiedere.
Noi non siamo contro alcuno. Noi non siamo dei commandos. Noi non vogliamo male ad alcuno. Noi vogliamo solo che ci si lasci professare la nostra Fede in Nostro Signore Gesù Cristo. E’ a causa di questo che ci si caccia dalle nostre chiese, che si cacciano quei poveri sacerdoti che celebrano la Messa tradizionale con la quale si sono santificati tutti i nostri santi: Santa Giovanna d’Arco, il Santo Curato d’Ars, Santa Teresa del Bambino Gesù. Ed ecco che dei sacerdoti vengono cacciati, crudelmente, brutalmente, dalle loro parrocchie perché celebrano questa Messa che ha santificato dei santi per secoli! Questo è assurdo! Direi quasi che è roba da pazzi. E noi ci chiediamo se stiamo sognando! Non è possibile che questa Messa sia divenuta una specie di orrore per i nostri vescovi, per quelli che dovrebbero conservare la nostra Fede.
Ebbene! Noi conserveremo la Messa di San Pio V! Perché? Perché la Messa di San Pio V rappresenta la nostra Fede, essa è un bastione per la nostra Fede e noi abbiamo bisogno di questo bastione per la nostra Fede.

Allora, ci si dirà che noi ne facciamo una questione di latino e di talare. Evidentemente, è facile screditare in questo modo coloro con i quali non si è d’accordo. Certo, il latino ha la sua importanza, e quand’ero in Africa era magnifico vedere tutte quelle folle africane che avevano lingue diverse – c’erano talvolta cinque, sei tribù diverse che non si capivano – assistere alla Messa nelle nostre chiese, cantando gli stessi canti in latino con un fervore straordinario. Andate a vedere adesso: essi bisticciano nelle chiese perché si dice la messa in una lingua che non è la loro e chiedono che vi sia una messa nella loro lingua. E’ la confusione totale! Mentre un tempo c’era una perfetta unità. E’ un esempio. Senza dubbio, l’avrete notato, noi abbiamo letto in francese l’Epistola e il Vangelo, non vi vediamo assolutamente alcun inconveniente, e non vedremmo alcun inconveniente anche se ci fosse qualche preghiera in comune in francese. Ma ci sembra che comunque il corpo della Messa, l’essenziale della Messa che va dall’Offertorio alla Comunione del sacerdote, debba rimanere in un’unica lingua, affinché tutti gli uomini di tutte le nazioni possano assistere insieme alla Messa e sentirsi uniti in questa unità della Fede, in questa unità della preghiera.

Così noi chiediamo veramente, rivolgiamo un appello ai vescovi e rivolgiamo un appello a Roma, perché vogliamo prendere in considerazione il desiderio che abbiamo di pregare come i nostri antenati, il desiderio che abbiamo di conservare la Fede cattolica, il desiderio che abbiamo di adorare Nostro Signore Gesù Cristo e di volere il Suo Regno. E’ questo che ho scritto al Santo Padre nella mia ultima lettera – e credo proprio che sia l’ultima, perché non penso che il Santo Padre vorrà ancora mandarmi altre lettere – gli ho scritto: “Santissimo Padre, ridateci il diritto pubblico della Chiesa, e cioè il Regno di Nostro Signore Gesù Cristo; ridateci la vera Bibbia e non una bibbia ecumenica, ma la vera Bibbia che un tempo era la Vulgata e che è stata tante e tante volte consacrata dai concilii e dai papi; ridateci la vera Messa, la Messa gerarchica, la Messa dogmatica che difende la nostra Fede e che è stata quella di tanti e tanti secoli e che ha santificato tanti cattolici; infine, ridateci il nostro catechismo che segue il modello del Concilio di Trento, poiché senza un catechismo preciso, che sarà domani dei nostri figli? Che ne sarà delle generazioni future? Esse non conosceranno più la Fede cattolica, e noi lo constatiamo già adesso.”

Ecco! Non ho avuto alcuna risposta, se non la sospensione a divinis! Ed è per questo che io non considero queste punizioni come punizioni valide, sia canonicamente, sia teologicamente. Io penso, in tutta sincerità, in tutta pace, in tutta serenità, che non posso contribuire, con queste sospensioni, con queste punizioni con cui sono colpito, con la chiusura dei miei seminarii, col rifiuto di fare delle ordinazioni, alla distruzione della Chiesa cattolica. Io considero che nell’ora della mia morte, quando Nostro Signore mi chiederà: “Che ne hai fatto della tua grazia episcopale e sacerdotale?” io non abbia a sentire dalla bocca del Signore: “Tu hai contribuito con gli altri a distruggere la Chiesa”.

Miei carissimi amici, termino dicendovi: “Che dovete fare?”
Oh! Io lo so bene, molti gruppi mi chiedono: “Monsignore, dateci dei sacerdoti, dateci dei veri sacerdoti, è di questo che abbiamo bisogno. Noi abbiamo il posto per loro, costruiremo una piccola cappella ed essi staranno là con noi, istruiranno i nostri figli secondo il vero catechismo, secondo la vera Fede. Noi vogliamo conservare la vera Fede, come hanno fatto i Giapponesi per tre secoli, quando non avevano più sacerdoti. Dateci dei sacerdoti!”
Ebbene! Miei cari fratelli, io farò tutto il possibile per prepararveli e posso dire che è la mia grande consolazione sentire in questi seminarii una Fede profonda, da veri sacerdoti. Essi hanno capito cos’è Nostro Signore Gesù Cristo. Essi hanno capito cos’è il Santo Sacrificio della Messa, i sacramenti. Essi hanno una Fede profondamente radicata nel loro cuore. Essi sono – se posso dirlo – meglio di quello che potevamo essere cinquant’anni fa nei nostri seminarii, perché essi vivono, giustamente, in una situazione difficile. Molti di loro peraltro, hanno fatto degli studii universitarii. E ci si rinfaccia che non sarebbero adatti, non saprebbero parlare alle generazioni moderne. Ma allora, dei giovani che hanno fatto tre, quattro, cinque anni d’Università, non conoscerebbero la loro generazione? Perché sono venuti allora a Ecône per diventare sacerdoti? Proprio per rivolgersi alla loro generazione. Essi la conoscono bene, meglio di noi, meglio di tutti quelli che ci criticano. E quindi saranno capaci di parlare il linguaggio necessario per convertire le anime. Ed è per questo – e sono molto felice di dirlo – che quest’anno avremo ancora 25 nuove reclute nel seminario di Ecône, malgrado le difficoltà, e ne avremo dieci nuove nel nostro seminario degli Stati Uniti, a Armada, e quattro nuove nel nostro seminario di lingua tedesca, nella Svizzera tedesca.

Come vedete, malgrado le difficoltà che ci vengono fatte, i giovani comprendono molto bene che noi formiamo dei veri sacerdoti cattolici. Ed è per questo che noi non siamo nello scisma: noi siamo i continuatori della Chiesa cattolica. Sono quelli che s’inventano le novità ad essere nello scisma. Noi continuiamo la Tradizione, ed è per questo che dobbiamo avere fiducia, che non dobbiamo disperare perfino davanti alla situazione attuale.
Noi dobbiamo mantenere, mantenere la nostra Fede, mantenere i nostri sacramenti, poggiati su venti secoli di Tradizione, poggiati su venti secoli di santità della Chiesa, di Fede della Chiesa. Non dobbiamo temere.

Certi giornalisti, qualche volta mi hanno chiesto: “Monsignore, si sente isolato?”. “Nient’affatto, nient’affatto, non mi sento isolato, io sono in compagnia di venti secoli di Chiesa e di tutti i santi del Cielo”. Perché? Perché essi hanno pregato come noi, perché si sono santificati, come cerchiamo di fare noi, con gli stessi mezzi.

Allora, sono convinto che essi gioiscono per questa assemblea di oggi; e dicono: “Ecco almeno dei cattolici che pregano, che pregano veramente, che hanno veramente nel cuore questo desiderio di preghiera, questo desiderio di onorare Nostro Signore Gesù Cristo.”
I santi del Cielo gioiscono. Non dobbiamo essere sconfortati, ma preghiamo, preghiamo e santifichiamoci.

Ed ora vorrei darvi un consiglio. Bisogna che si dica di noi di quei cattolici che siamo; io non amo il termine cattolici tradizionalisti, perché non vedo cosa possa essere un cattolico che non sia tradizionalista, dato che la Chiesa è la Tradizione; e d’altronde che sarebbero degli uomini che non fossero nella Tradizione? Non potrebbero vivere: noi abbiamo ricevuto la vita dai nostri genitori, abbiamo ricevuto l’educazione da quelli che c’erano prima di noi, noi siamo una tradizione. Il buon Dio ha voluto così. Il buon Dio ha voluto che delle tradizioni passassero da generazione a generazione, sia per le cose umane sia per le cose divine. Di conseguenza, non essere tradizionali, non essere tradizionalisti significa la distruzione di noi stessi: è un suicidio; ed è perché siamo cattolici che continuiamo a rimanere cattolici; vi dicevo che non devono esserci divisioni tra noi. Proprio perché siamo cattolici, noi siamo nell’unità della Chiesa, l’unità della Chiesa che è nella Fede.

Allora ci si dice: “dovete essere col Papa, il Papa è il segno di Fede nella Chiesa”. Sì, nella misura in cui il Papa manifesta il suo stato di successore di Pietro, nella misura in cui egli si fa eco della Fede di sempre, nella misura in cui egli trasmette il tesoro che deve trasmettere. Perché, ancora una volta, chi è il Papa, se non colui che ci dà i tesori della Tradizione e il tesoro del Deposito della Fede e la vita soprannaturale per mezzo dei sacramenti e del Sacrificio della Messa? Il vescovo non è altro, il sacerdote non è altro che colui che trasmette la verità, che trasmette la vita che non gli appartiene. L’Epistola lo ha appena detto: la verità non ci appartiene. Essa non appartiene né al Papa né a me. Egli è il servitore della verità, come anch’io debbo essere il servitore della verità. Se accadesse che il Papa non fosse più il servitore della verità, non sarebbe più Papa. Io non dico che egli non lo sia più – beninteso – non fatemi dire quello che non ho detto -, ma se accadesse che fosse vero, noi non potremmo seguire qualcuno che ci condurrebbe nell’errore. E’ evidente.

Ci si dice: “Voi giudicate il Papa”. Ma dov’è il criterio della verità? Mons. Benelli mi ha rinfacciato: “Non è lei che la fa verità”. Certo, non sono io che faccio la verità, ma neanche il Papa. La Verità è Nostro Signore Gesù Cristo, e quindi, per sapere dov’è la verità, dobbiamo ricondurci a quello che ci ha insegnato Nostro Signore Gesù Cristo, a quello che ci hanno insegnato i Padri della Chiesa e tutta la Chiesa. Non sono io che giudico il Papa, è la Tradizione.

Anche un bambino di cinque anni può rispondere al suo vescovo. Se il suo vescovo gli arrivasse a dire: “Nostro Signore non è presente nella Santa Eucarestia. Sono io che sono il testimone della verità che ti dico che Nostro Signore non è presente nella Santa Eucarestia”. Ebbene! Questo bambino, che malgrado i suoi cinque anni ha il suo catechismo, gli risponde: “Ma il mio catechismo dice il contrario”. Chi ha ragione? Il vescovo o il catechismo? Evidentemente il catechismo, che rappresenta la Fede di sempre e che è semplice, è infantile come ragionamento.
Ma noi ci troviamo nella stessa situazione. Se oggi ci si dice che si può fare l’intercomunione con i protestanti, che non c’è più differenza fra noi e i protestanti, Ebbene! Questo non è vero! Vi è una differenza immensa.
Ecco perché siamo veramente stupefatti quando pensiamo che si è fatta impartire la benedizione all’arcivescovo di Canterbury, che non è prete, perché le ordinazioni anglicane non sono valide – come ha dichiarato papa Leone XIII ufficialmente e definitivamente -, e che è eretico come lo sono tutti gli anglicani – mi dispiace, non amo neanche questo termine, ma è questa la realtà, ed io l’impiego non per insultare, perché non chiedo che la sua conversione -; quando si pensa quindi che questi è un eretico e che gli si chiede di benedire col Santo Padre la folla dei cardinali e dei vescovi presenti nella chiesa di San Paolo! E’ una cosa assolutamente inconcepibile!

Concludo ringraziandovi d’essere venuti numerosi, ringraziandovi anche di continuare a fare di questa cerimonia, una cerimonia profondamente pia, profondamente cattolica.
Pregeremo dunque insieme, chiedendo al buon Dio di darci i mezzi per risolvere le nostre difficoltà. Sarebbe così semplice che ogni vescovo, nella sua diocesi, mettesse a nostra disposizione, a disposizione dei cattolici fedeli, una chiesa, dicendo loro: «Ecco questa chiesa è vostra». Quando si pensa che il vescovo di Lille ha donato una chiesa ai musulmani, io non vedo perché non vi sarebbe una chiesa per i cattolici della Tradizione. E in definitiva, la questione sarebbe risolta. Ed è questo che chiederò al Santo Padre se vorrà ricevermi: «Lasciateci fare, Santissimo Padre, l’esperienza della Tradizione. In mezzo a tutte le esperienze che si fanno attualmente, che vi sia almeno l’esperienza di ciò che è stato fatto per venti secoli!»

In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Così sia.

+ Marcel Lefebvre


   
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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