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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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J.Ratzinger, Benedetto XVI, spiega il Concilio Vaticano II

Ultimo Aggiornamento: 04/08/2012 21:18
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15/12/2008 11:29
 
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 GIOVANNI PAOLO II E L’ANTI-CONCILIO


Un esempio proprio molto chiaro di quanto stiamo affermando ci viene dal magistero del nostro Papa Giovanni Paolo II infatti, nella "Pastores Dabo Vobis" al n. 11, a proposito della crisi d’identità del sacerdote, afferma che essa è nata proprio da una errata comprensione del magistero conciliare:

"Questa crisi - dicevo nel discorso al termine del Sinodo - era nata negli anni immediatamente successivi al Concilio.

Si fondava su un errata comprensione, talvolta persino volutamente tendenziosa, della dottrina del magistero conciliare.
Qui indubbiamente sta una delle cause del gran numero di perdite subite allora dalla chiesa, perdite che hanno gravemente colpito il servizio pastorale e le vocazioni al sacerdozio, in particolare le vocazioni missionarie. /.../ Per questo il Sinodo ha ritenuto necessario richiamare, in modo sintetico e fondamentale, la natura e la missione del sacerdozio ministeriale, così come la fede della Chiesa le ha riconosciute lungo i secoli della sua storia e come il Concilio Vaticano II le ha ri-presentate agli uomini del nostro tempo".


"Il Papa Giovanni Paolo II, nella Plenaria della Congregazione per la Dottrina della fede, tenutasi il 28 gennaio 2000, ha affermato: "In questi ultimi anni, in ambienti teologici ed ecclesiali è emersa una mentalità tendente a relativizzare la rivelazione di Cristo e la sua mediazione unica ed universale in ordine alla salvezza, nonché a ridimensionare la necessità della Chiesa di Cristo come sacramento universale della salvezza". /.../ In effetti il rilievo del Papa è dovuto al fatto che il relativismo "relativizza" la rivelazione cristiana, giudicando eccessiva la rivelazione di Gesù Cristo di essere l’unico Salvatore del mondo.


"La ragione di fondo di questa asserzione — ha detto Giovanni Paolo II —pretende di fondarsi sul fatto che la verità di Dio non potrebbe essere colta e manifestata nella sua globalità e completezza da nessuna religione storica, quindi neppure dal cristianesimo e nemmeno da Gesù Cristo". /.../ "È dunque errato considerare la Chiesa come una via di salvezza accanto a quelle costituite da altre religioni, le quali sarebbero complementari alla Chiesa, pur se convergenti con questa verso il Regno di Dio escatologico —aggiunge sempre Giovanni Paolo II —perché questa equiparazione toglierebbe senso al mandato del Signore (cfr. Mt 28,19-20: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato"), mandato del Signore che invita i suoi fedeli ad annunciare che Gesù Cristo è "la Via, la Verità e la Vita" (Gv 14,6)" 



 
COSTITUZIONE DOGMATICA
LUMEN GENTIUM
SULLA CHIESA

I laici e la gerarchia

37. [...] Secondo la scienza, competenza e prestigio di cui godono, hanno la facoltà, anzi talora anche il dovere, di far conoscere il loro parere su cose concernenti il bene della Chiesa. Se occorre, lo facciano attraverso gli organi stabiliti a questo scopo dalla Chiesa, e sempre con verità, fortezza e prudenza, con rispetto e carità verso coloro che, per ragione del loro sacro ufficio, rappresentano Cristo.
 
I laici, come tutti i fedeli, con cristiana obbedienza prontamente abbraccino ciò che i pastori, quali rappresentanti di Cristo, stabiliscono in nome del loro magistero e della loro autorità nella Chiesa, seguendo in ciò l'esempio di Cristo, il quale con la sua obbedienza fino alla morte ha aperto a tutti gli uomini la via beata della libertà dei figli di Dio. Né tralascino di raccomandare a Dio con le preghiere i loro superiori, affinché, dovendo questi vegliare sopra le nostre anime come persone che ne dovranno rendere conto, lo facciano con gioia e non gemendo (cfr. Eb 13,17).


 

Ha ragione Lefebvre?

(articolo dell'allora vescovo Albino Luciani)



L' ho incontrato in treno. Seduto di fronte a me, ad un certo punto ha sospesso la lettura della sua rivista e mi ha detto:

- Scusi, reverendo, ma mi pare che questo Lefebvre abbia ragione; la Chiesa ha veramente cambiato strada, ha consegnato le armi quando, al Concilio, si è pronunciata sulla libertà religiosa.

Ho chiuso piano il Breviario, che stavo recitando, e ho risposto:

- Sì, sotto un certo aspetto, il Concilio ha cambiato. Ha pensato a Carlo Magno, che tagliava le teste dei Sassoni, che rifiutavano il Battesimo; a Bernardo Gui, l' inquisitore, che inferì contro i catari della Francia meridionale, ad altri casi simili ed ha umilmente confessato: nella Chiesa del passato, "di quando in quando s' è avuto un comportamento meno conforme allo spirito evangelico, anzi contrario". (DH 12) Il Concilio ha dunque ammesso una serie di fatti non lodevoli, li ha deplorati, ha detto che essi non si devono ripettere; in questo senso ha cambiato. Quanto all' insegnamento del passato, invece, non ha cambiato, se ha potuto affermare: la Chiesa ha sempre "custodito e tramandato la dottrina del maestro degli Apostoli... che nessuno sia costretto ad abbracciare la fede". (DH 12)

- Il Maestro?, riprese il mio interlocutore. Ma qui - e diede un' occhiata alla rivista - Lefebvre cita proprio le parole di Cristo: "Chi non crederà, sarà condannato".

Ed io:

- Un momento. "Sarà condannato". Ma da Dio, ma dopo la vita presente. Il Concilio non s' è mai sognato di dire che siamo liberi davanti a Dio: tutti siamo infatti tenuti a cercare la verità, ad abbracciarla appena conosciuta, a rispondere a Dio ed alla sua Chiesa, se di questa abbiamo accettato di far parte. Il Concilio ha inteso invece parlare della sua libertà davanti allo Stato in cose religiose. Il titolo del documento conciliare, infatti, parla di "libertà sociale e civile in materia religiosa". Il potere polittico, cattolico e no, che - secondo il Concilio - né può costringere ad abbracciare la fede religiosa che non piace, né può impedire dall' abbracciare e professare una fede che piace.

- Lei, però, non mi ha ancora fatto vedere come il Concilio segua Cristo e gli Apostoli!

- Se lo desidera, cerco di dirglielo ora. Ricorda la parabola del grano e della zizzania? I servi volevano strappare dal campo la zizzania, ma il padrone: No, lasciate che l' uno e l' altra crescano insieme nel campo fino alla mietitura, cioè fino alla fine del mondo. Solo allora si farà la separazione.
In altre parole: Gesù, certo, vuole che "tutti gli uomini giungano alla conoscenza della verità"; Gesù ha tante volte invitato i suoi uditori ad aver fede e sulla fede e le opere ci giudicherà dopo la morte.
Ma la fede suppone un consenso libero. E mai, predicando, Gesù ha imposto le sue verità con la forza; mai ha impedito la propaganda delle opinioni contrarie. Quando Giacomo e Giovanni propossero di far scendere il fuoco dal cielo sui Samaritani, rimproverò i due, dicendo: "Voi non sapete di che spirito siete".


- Bene, ma mi dica: con certe idee e certi individui che girano per il mondo, non le pare che verrà il caos, se lo Stato lascia correre tutto?

- Il Concilio non dice di lasciar correre tutto; indica, anzi, due casi in cui lo Stato deve intervenire e limitare.

- E quali?

- Primo: quando la libertà religiosa sia usata da qualcuno in modo tale da mettere in pericolo la libertà o i diritti degli altri.

- E il secondo caso?

- Riguarda il bene comune e l' ordine pubblico. Lo Stato, infatti, deve essere a servizio di tutti, assicurando una vera coesistenza pacifica nel pluralismo.

- Cosicché, il Concilio pensa di aver disarmato tutti gli avversari della Chiesa con il suo documento sulla "libertà sociale in cose religiose?"

- I Padri Conciliari sapevano benissimo che la Chiesa avrà sempre avversari. Premeva loro far sapere a tutti che la Chiesa non si sente avversaria di nessuno; che desidera vivere lo spirito di Cristo suo Signore, il quale si è dichiarato mite e umile, venuto non per farsi servire, ma per servire col metodo del Servo di Jahvè: "la canna incrinata non la spezzerà, e il lucignolo fumigante non lo spegnerà".


Da "Gente Veneta", Maggio 1977

riportato da "Humilitas", Agosto 1987

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Cool I Pontefici hanno sempre combattuto l'Apostasia, in continuità nella Chiesa....

....Amici......serpeggia una certa mentalità corrotta che vedrebbe nella Chiesa di oggi un peggioramento della cattolicità a causa del Concilio Vaticano II.......ebbene.....inserirò alcuni spezzoni brevi con collegamenti ai testi integrali che vi dimostreranno come in ogni Pontificato anche i Papi prima del Concilio, scrivevano le loro preoccupazioni circa LA DISOBBEDIENZA, LE SETTE DILAGANTI E L'APOSTASIA NELLA CHIESA.......
Anche a sostegno di UN MAGISTERO LEGATO E CONTINUATO ALLA TRADIZIONE MAI SPEZZATA DAL CONCILIO, MA DA QUANTI AL CONTRARIO NON HANNO OBBEDITO AL SOMMO PONTEFICE.........


Roma, 13 marzo 1825
Leone XII
Quo graviora


Bolla
1. Quanto più gravi sono le sciagure che sovrastano il gregge di Cristo Dio e Salvatore nostro, tanta maggiore sollecitudine devono usare, per rimuoverle, i Romani Pontefici, ai quali sono stati affidati il potere e l’impegno di pascere e di governare quel gregge in nome del Beato Pietro, principe degli Apostoli. Compete infatti ad essi, come a coloro che sono posti nel più alto osservatorio della Chiesa, lo scorgere più da lontano le insidie che i nemici del nome cristiano ordiscono per distruggere la Chiesa di Cristo, senza che mai possano conseguire tale scopo; ad essi compete non solo indicare e rivelare le stesse insidie ai fedeli, perché se ne guardino, ma anche, con la propria autorità, stornarle e rimuoverle. I Romani Pontefici Nostri Predecessori compresero quale gravoso incarico fosse loro affidato; perciò si imposero di vigilare sempre come buoni pastori. Con le esortazioni, gl’insegnamenti, i decreti e dedicando la stessa vita al loro gregge, ebbero cura di proibire e di distruggere totalmente le sette che minacciavano l’estrema rovina della Chiesa. Né la memoria di questo impegno pontificio può essere desunta soltanto dagli antichi annali ecclesiastici: lo si evince chiaramente dalle azioni compiute dai Romani Pontefici dell’età nostra e dei nostri Padri per opporsi alle sette clandestine di uomini nemici di Cristo. Infatti, non appena Clemente XII, Nostro Predecessore, si avvide che di giorno in giorno si rafforzava e acquistava nuova consistenza la setta dei Liberi Muratori, ossia dei Francs Maçons (o chiamata anche in altro modo), che per molti validi motivi egli aveva considerata non solo sospetta ma altresì implacabile nemica della Chiesa Cattolica, la condannò con una limpida Costituzione che comincia con le parole In eminenti, pubblicata il 28 aprile 1738, il cui testo è il seguente.

Quo graviora - 15 marzo 1825




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Benedetto XIV 1741

Fra coloro che professano la Fede Cattolica non c’è nessuno che ignori quanta cura sia necessario usare non solo perché il Sacrosanto Sacrificio della Messa sia celebrato con tutto il culto e la venerazione propri della Religione, ma anche perché dalla dignità di così alto Sacrificio siano eliminate le occasioni di guadagno di qualunque genere, i contratti e quelle importune e illiberali richieste di elemosine (che sono piuttosto esazioni) e altre simili cose che non sono lontane dall’ignominiosa simonia, o per lo meno da un turpe guadagno.
1. In verità, non senza grande dolore del Nostro cuore siamo venuti a sapere che l’avarizia – la quale è servitù agli idoli – è progredita a tal punto che alcuni, sia da parte degli Ecclesiastici, sia dei Laici, accumulano, per la celebrazione delle Messe, tanto le elemosine quanto i compensi previsti dalle consuetudini locali o dalle Disposizioni dei Sinodi Diocesani a titolo di sussidio per gli alimenti del singolo Sacerdote. Anzi, fanno in modo che le Messe siano celebrate altrove quando le elemosine o i compensi per ciascuna Messa siano minori, secondo la consuetudine o la legge Sinodale, di quelli che si corrispondono là dove essi li ricevono.
2. Quanto ciò sia discordante e quanto sia estraneo alla volontà, sia espressa che tacita, dei devoti offerenti, tutti facilmente comprendono. Né si deve diversamente interpretare. Ciascuno infatti vuole che le Messe siano celebrate in quella Chiesa alla quale, mosso dagli stimoli della religione e della pietà, porta le elemosine, o nella quale per caso è stato seppellito qualcuno dei suoi, piuttosto che in un’altra Chiesa che gli è del tutto sconosciuta.
Questo fatto, di essere indotti quasi a mercanteggiare per una vergognosa avidità di guadagno, non solo non è esente dal sospetto e dalla colpa di avarizia, ma neppure dal reato di furto, onde soggiace all’obbligo della restituzione. Ne deriva che molte persone buone, a conoscenza di tale mercato, fortemente sdegnate si astengono dall’offrire ancora elemosine per celebrare le Messe.

Quanta cura - 30 giugno 1741

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Nel supremo governo della Chiesa Cattolica, che Dio Onnipotente Ci ha affidato per l’ineffabile generosità della sua Divina Bontà, Noi confidavamo che avremmo trovato un non lieve aiuto alla Nostra debolezza nella concordia generale dei Principi Cristiani. Donde, al Nostro animo quasi prostrato e atterrito per la grandezza e la difficoltà di un così grande impegno, era derivata una grande speranza di trovarci in tempi nei quali, spenti gl’incendi delle guerre, ottenuta l’unione dei Regni, scomparso il timore dei nemici e ottenuta la tranquillità per mezzo di Colui che comanda ai venti e al mare, avremmo potuto adempiere più facilmente ai doveri del Nostro Ufficio Pastorale e alla cura del gregge del Signore.

Ma dopo aver avuto un esordio meno aspro nell’ufficio intrapreso, in seguito si manifestò gradualmente una situazione della Cristianità sempre più triste e luttuosa, fino al punto che, deflagrando tutta l’Europa, come se fossero state poste ovunque le faci di guerra, ora Ci agitano i flutti turbolentissimi della tempesta, e quasi Ci sommergono; così da essere costretti a denunciare a Voi più apertamente e con gemiti e lamenti, con il Nostro Predecessore San Gregorio Magno, la fine di un mondo ormai senescente e l’avvicinarsi del giorno dell’ira e della vendetta.
Infatti abbiamo notizia che insorge un Regno contro l’altro Regno e un popolo contro l’altro popolo, pur essendo tutti onorati del nome di Cristiani; la loro aggressività affligge le terre e quello che accade altrove Noi, versando tante lacrime, scorgiamo che avviene qui sotto gli stessi Nostri occhi. Vari terremoti in diversi luoghi avevano dato in precedenza l’avvertimento affinché fuggissimo dalla zona di pericolo: campi e raccolti portati via da alluvioni; un pestifero contagio fra i peggiori ha spopolato in lungo e in largo diverse regioni; i campi abbandonati dai coloni; moltissimi uomini uccisi dalla sete e dalla fame. Le città vuote di abitanti; le vie coperte di cadaveri; corpi insepolti sopra altri corpi e inoltre il sangue sparso come acqua: segni evidenti dello sdegno divino apparvero ovunque e ancor oggi mostrano il braccio di una giustizia vendicatrice; anzi, affinché non appaia che manchi qualcosa a queste acerbissime calamità che sovrastano specialmente l’Italia, Noi stessi viviamo fra le spade e quasi temiamo che, percosso il Pastore, le pecore si disperdano.

In suprema Catholicae - 20 novembre 1744


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3. Ma poiché, per quanto Ci è stato riferito, alcuni non hanno avuto difficoltà di affermare e diffondere pubblicamente che la detta pena di scomunica imposta dal Nostro Predecessore non è più operante perché la relativa Costituzione non è poi stata da Noi confermata, quasi che sia necessaria, perché le Apostoliche Costituzioni mantengano validità, la conferma esplicita del successore;

4. ed essendo stato suggerito a Noi, da parte di alcune persone pie e timorate di Dio, che sarebbe assai utile eliminare tutti i sotterfugi dei calunniatori e dichiarare l’uniformità dell’animo Nostro con l’intenzione e la volontà dello stesso Predecessore, aggiungendo alla sua Costituzione il nuovo voto della Nostra conferma;

5. Noi certamente, fino ad ora, quando abbiamo benignamente concesso l’assoluzione dalla incorsa scomunica, sovente prima e principalmente nel passato anno del Giubileo, a molti fedeli veramente pentiti e dolenti di avere trasgredito le leggi della stessa Costituzione e che assicuravano di cuore di allontanarsi completamente da simili Società e Conventicole, e che per l’avvenire non vi sarebbero mai tornati; o quando accordammo ai Penitenzieri da Noi delegati la facoltà di impartire l’assoluzione a Nostro nome e con la Nostra autorità a coloro che ricorressero ai Penitenzieri stessi; e quando con sollecita vigilanza non tralasciammo di provvedere a che dai competenti Giudici e Tribunali si procedesse in proporzione del delitto compiuto contro i violatori della Costituzione stessa, il che fu effettivamente più volte eseguito; abbiamo certamente fornito argomenti non solo probabili ma del tutto evidenti ed indubitabili, attraverso i quali si sarebbero dovute comprendere le disposizioni dell’animo Nostro e la ferma e deliberata volontà consenzienti con la censura imposta dal predetto Clemente Predecessore. Se un’opinione contraria si divulgasse intorno a Noi, Noi potremmo sicuramente disprezzarla e rimettere la Nostra causa al giusto giudizio di Dio Onnipotente, pronunciando quelle parole che un tempo si recitavano nel corso delle sacre funzioni...

Providas Romanorum - 18 marzo 1751


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Papa Pio VIII
Litterae fraternitatis - 30 giugno 1829


All'Arcivescovo del Guatemala.

La lettera della tua Fraternità, indirizzata il 27 maggio dell’anno scorso al Nostro Predecessore Leone XII di felice memoria. Ci è stata consegnata più tardi di quanto l’urgente gravità dell’argomento non richiedesse. Sentimmo il cuore colpito da intima amarezza e quasi acerbamente ferito quando da essa apprendemmo che il nefando scisma, scoppiato costà da più anni, perdura ancora e si propaga con forse maggiore risolutezza per gli intensi sforzi di alcuni scellerati.

Hai comunicato che il parroco Mattia Delgado è l’istigatore o il principale promotore di così grande scelleratezza, determinato a non obbedire ai moniti e alle minacce dello stesso Nostro Predecessore, dal quale aveva ricevuto da tempo una lettera in cui erano contenute simili esortazioni e minacce; tuttavia ha ulteriormente progredito nello scisma, ed osa con estrema impudenza accordare le dispense agli impedimenti matrimoniali che sono di competenza della Santa Sede. Per questo chiedevi che egli fosse punito con anatema da questa Santa Sede come protervo scismatico e promotore di scisma, e che fosse denunziato come scomunicato alla Chiesa tutta.

Ora, per procedere in materia di tanta gravità con la circospezione e la ponderatezza che essa richiedeva, giudicammo che un accurato esame della questione fosse da affidare ad una speciale Congregazione di alcuni Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa preposti alla trattazione degli affari ecclesiastici straordinari.

Udita tale Congregazione, e attentamente valutata l’intera questione, quale risultava sia dalla tua relazione, Venerabile Fratello, sia da documenti inviatici; considerati inoltre con attenzione tutti gli atti già raccolti sull’argomento, Ci è parso opportuno aderire alla tua richiesta. Pertanto, insieme a questa Nostra lettera riceverai anche la Nostra sentenza contro lo stesso parroco e contro tutti coloro che sono complici del suo crimine, e dovrai curare che essa sia notificata a coloro cui si riferisce, e che consegua il suo effetto nel modo da Noi prescritto.

Litterae fraternitatis - 30 giugno 1829

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Questa che segue sembra scritta per noi oggi..........


Papa Pio IX

Romani, e quanti - 1848



Romani, e quanti siete Figli e Sudditi Pontifici, ascoltate ancora una volta la voce di un Padre che vi ama e che desidera vedervi amati e stimati da tutto il mondo.

Roma è la Sede della Religione, ove sempre ebbero stanza i Ministri della medesima, che sotto diverse forme costituiscono quella mirabile varietà della quale è bella la Chiesa di Gesù Cristo. Noi v’invitiamo tutti e vi inculchiamo di rispettarla, e di non provocare giammai il terribile anatema di un Dio sdegnato, che fulminerebbe le sue sante vendette contro gli assalitori degli Unti suoi. Risparmiate uno scandalo del quale il mondo intero resterebbe meravigliato, e la maggior parte dei sudditi afflitta e dolente. Risparmiate il colmo all’amarezza, ond’è già travagliato il Pontefice per fatti di simil genere testé accaduti altrove. Ché se anche fra gli uomini, che in qualunque Istituto appartengono alla Chiesa di Dio, ve ne fossero di quelli che meritassero, per la loro condotta, la disistima e la diffidenza, è sempre aperta la strada alle rappresentanze legali: quando esse siano giuste, Noi, come Sommo Pontefice, saremo pronti ad accoglierle per provvedervi.

Siamo persuasi che queste parole basteranno a far tornare in senno tutti coloro i quali (speriamo siano pochi) avessero formato qualche pravo disegno, la cui esecuzione, mentre servirebbe al Nostro cuore di acuto dolore, chiamerebbe sul loro capo i flagelli che Dio sempre scagliò sopra gl’ingrati. Ché se queste Nostre voci, per somma sventura, non bastassero a trattenere i traviati, Noi intendiamo di far prova della fedeltà della Civica, e di tutte le forze che sono da Noi destinate a mantenere l’ordine pubblico. Noi siamo pieni di fiducia di vedere il buon effetto di queste Nostre disposizioni, e di veder sostituita in tutto lo Stato all’agitazione la calma, e i pratici sentimenti di Religione, che deve professare un popolo eminentemente cattolico, sul quale hanno diritto di prendere norma le altre nazioni.

Non vogliamo amareggiare il Nostro spirito e il cuore di tutti i buoni con la previsione delle risoluzioni che saremmo costretti a prendere per non soffrire lo spettacolo dei flagelli con i quali Iddio suole richiamare i popoli dagli errori; e invece speriamo che la Benedizione Apostolica, che spargiamo sopra tutti, allontanerà ogni funesto presagio.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 14 marzo 1848, anno secondo del Nostro Pontificato.

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NON POSSIAMO NON CITARE SAN PIO X, PATRONO DI QUESTO FORUM.... ....CHE COSI' AMMONIVA:

E supremi apostolatus - 4 ottobre 1903


Imperciocché, oltre allo stimarCi del tutto indegni dell’onore del Pontificato per la Nostra pochezza; chi non sarebbe stato commosso nel vedersi designato a succedere a Colui, che avendo, pressoché per ventisei anni, retta la Chiesa con somma sapienza, di tanta sublimità di mente, di tanto lustro di ogni virtù si mostrò adorno, da trarre in ammirazione di sé pur gli avversari e lasciar memoria di se stesso in imprese preclarissime? — Per tacere poi di ogni altro motivo, Ci atterrivano, sopra ogni altra cosa, le funestissime condizioni, in che ora versa l’umano consorzio. Giacché chi non iscorge che la società umana, più che nelle passate età, trovasi ora in preda ad un malessere gravissimo e profondo, che, crescendo ogni dì più e corrodendola insino all’intimo, la trae alla rovina?

Voi comprendete, o Venerabili Fratelli, quale sia questo morbo: l’apostasia di Dio, di cui invero è più congiunto collo sfacelo, stante la parola del profeta: "Ecco che coloro i quali da te si dilungano, periranno"(Psal. LXXII, 26). Vedevamo pertanto che, in forza del Pontifical Ministero che Ci si voleva affidato, era per Noi doveroso accorrere a rimedio di tanto male, stimando come vòlto a Noi quel comando divino: "Io ti ho oggi costituito sulle genti e sui regni affinché svella e distrugga, ed edifichi e pianti" (Ier. I, 10). Ma, consapevoli della Nostra fiacchezza, rifuggivamo spaventati da un còmpito quanto urgente altrettanto difficilissimo.

Pure, poiché al voler divino piacque di sollevar la Nostra bassezza a tanta sublimità di potere, pigliamo coraggio in Colui che Ci conforta; e ponendoCi all’opera, appoggiati nella virtù di Dio, proclamiamo di non avere, nel Supremo Pontificato, altro programma, se non questo appunto di "ristorare ogni cosa in Cristo" (Eph. I, 10)cotalché sia "tutto e in tutti Cristo" (Coloss. III, 11).

Non mancheranno di sicuro coloro i quali, misurando alla stregua umana le cose divine, cercheranno di scrutare quali siano le secrete mire del Nostro animo, torcendole a scopo terreno ed a studi di parte. A recidere ogni vana lusinga, diciamo a costoro che Noi altro non vogliamo essere, né col divino aiuto altro saremo dinanzi alla società umana, se non il Ministro di Dio, della cui autorità siamo depositarî. Gli interessi di Dio saranno gli stessi Nostri; pei quali siamo risoluti di tutte spendere le Nostre forze e la vita stessa. Per lo che, se alcuno da Noi richiede una parola d’ordine, che sia espressione della Nostra volontà, questa sempre daremo e non altra: "Restaurare ogni cosa in Cristo".

Nella quale magnifica impresa C’infonde somma alacrità, o Venerabili Fratelli, la certezza che vi avremo tutti cooperatori generosi.

Del che se dubitassimo, dovremmo, ingiustamente, ritenervi o inconsci o noncuranti di quella guerra sacrilega che ora, può darsi in ogni luogo, si muove e si mantiene contro Dio. Giacché veramente contro il proprio Creatore "fremettero le genti e i popoli meditarono cose vane" (Psal. II, 1),talché è comune il grido dei nemici di Dio: "Allontanati da noi" (Iob. XXI, 14).E conforme a ciò, vediamo nei più degli uomini estinto ogni rispetto verso Iddio Eterno, senza più riguardo al suo supremo volere nelle manifestazioni della vita privata e pubblica; che anzi, con ogni sforzo, con ogni artifizio si cerca che fin la memoria di Dio e la Sua conoscenza sia del tutto distrutta.

Chi tutto questo considera, bene ha ragione di temere che siffatta perversità di menti sia quasi un saggio e forse il cominciamento dei mali, che agli estremi tempi son riservati; che già sia nel mondo il figlio di perdizione, di cui parla l’Apostolo (II Thess. II, 5).

Tanta infatti è l’audacia e l’ira con cui si perseguita dappertutto la religione, si combattono i dogmi della fede e si adopera sfrontatamente a sterpare, ad annientare ogni rapporto dell’uomo colla Divinità! In quella vece, ciò che appunto, secondo il dire del medesimo Apostolo (Sap. XI, 24),è il carattere proprio dell’anticristo, l’uomo stesso, con infinita temerità si e posto in luogo di Dio, sollevandosi soprattutto contro ciò che chiamasi Iddio; per modo che, quantunque non possa spegnere interamente in se stesso ogni notizia di Dio, pure, manomessa la maestà di Lui, ha fatto dell’universo quasi un tempio a sé medesimo per esservi adorato: "Si asside nel tempio di Dio mostrandosi quasi fosse Dio" (II Thess. II, 2).


E supremi apostolatus - 4 ottobre 1903


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VI BASTA?

Mi chiedo e vi chiedo: QUANDO I CATTOLICI O CHE TAL SI VOGLIONO DIRE INIZIERANNO A PRENDERE SUL SERIO IL MAGISTERO, A LEGGERLO , MEDITARLO E METTERLO IN PRATICA?


[Modificato da Caterina63 04/08/2012 21:18]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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