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S.Caterina da Siena Dottore della Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 18/01/2020 13:36
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07/03/2012 10:17
 
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IO, CATHARINA

 

Quarta parte:

LA MISTICA

Caterina da Siena. Cartapesta leccese,1930 circa. Autore Giuseppe Manzo

 

Mai più “io non lo sapevo”. Dai teologi tronfi ai cristiani “crapuloni”: un Dialogo che ne ha per tutti. Quella Carità che non è assistenzialismo o giustificazione del peccatore. Dalle “lacrime di coccodrillo” alle lacrime di gioia. Quel clero corrotto per cui bisogna pregare tanto. Chi non ama i sacerdoti, non ama la Chiesa. Ciechi che guidano altri ciechi. La vita scellerata dei sacerdoti corrotti. Non c’è solo il clero corrotto: le colpe dei laici. Dio governa il mondo e a noi tocca obbedire (ed essere umili). Quelle “sante” raccomandazioni…

 

 

RITAGLI

Santa Caterina fa presente, anche in alcune Lettere, come sia più facile per certuni vedere Cristo esclusivamente nel povero, nel bisognoso, nel carcerato, mentre poi lo si dileggia e lo si “schiaffeggia” in quel “povero Cristo” che è il sacerdote stesso, e definisce questo atteggiamento di due specie: o ipocrita, e quindi non scusabile, o “per ignoranzia” e allora la Santa consiglia ai Sacerdoti stessi una sollecita opera di diffusione della conoscenza della dottrina, accusando il clero stesso, spesso direttamente i vescovi, di tiepidezza nei confronti delle catechesi al popolo, perché viene perso tempo non ad istruire le anime come Dio vorrebbe, ma a “curare i propri interessi”. Il rimando all’attualità, come possiamo vedere, non manca!

 

 

 

di Tea Lancellotti

 

 

Invitandovi a leggere le prime tre parti se non l’avete ancora fatto, passiamo ora ad approfondire la Caterina mistica, la donna che scrisse il Dialogo della Divina Provvidenza, sintesi del suo pensiero – ma anche della sana ortodossia cattolica sulla scia della teologia di sant’Agostino e di san Tommaso d’Aquino – che è anche il testo base per la sua laurea a “Dottore della Chiesa”.

La cultura “elementare” di santa Caterina esclude un confronto diretto con le opere di sant’Agostino e di san Tommaso: tuttavia, a maggior ragione, il Dialogo risulta ancor più raggiungibile da chiunque proprio perché esprime in modo immediato la dottrina, entrando, in modo più indiretto ma più fruibile, nel cuore della teologia cattolica, alleggerendola da ogni “speculazione scolastica”. Insomma, la teologia di Caterina non è semplicemente un libro, ma è azione, lotta, lacrime, tormenti, gioie, è teologia pura e viva: oseremmo dire “incarnata”. Sotto la sua mano, o anche nelle parti dettate, infatti, possiamo dire che ogni “speculazione teologica” diventa azione; è un vissuto sperimentato dalla santa stessa; è il vivere stesso della Chiesa; è la sofferenza e la missione stessa del Sommo Pontefice, del clero, dei vescovi, dei laici. Si passa dal rimprovero tagliente a chi tradisce al pianto di compassione per chi non comprende; dalla condanna terrificante per i recidivi all’amplesso del perdono a chi si converte; dalla lotta quotidiana al mare pacifico della Divinità Incarnata.

 

MAI PIÙ “IO NON LO SAPEVO”

E’ un libro che non va letto tanto per passare il tempo, quasi fosse un romanzo, ma per conoscere la Verità che muove tutta la Chiesa e l’uomo stesso. Una volta letto il Dialogo, non si hanno più scuse per rimanere freddi o insensibili alla fede. Si deve prendere una decisione: o con Dio o contro Dio. Non c’è altra scelta e nessuno, dopo aver letto, potrà più giustificarsi dicendo “io non lo sapevo”. Perché ora, caro lettore, lo sai; ne sei venuto a conoscenza: a te l’onere della scelta.

Il titolo di quest’opera non è propriamente l’originale. Al principio, di fatto, il libro non aveva un titolo preciso: veniva chiamato “libro”, “rivelazioni”, “trattato”, “divina dottrina”. Alla fine si ritenne più idoneo il titolo che ha mantenuto fino ad oggi, Dialogo della Divina Provvidenza, perché, di fatto, è un dialogo, anche se, per certi versi. appare più come monologo della Provvidenza divina (perché in questa veste si presentava l’Autore).

Parliamo non di allocuzioni interiori o di “voci private”, che sono altra cosa, ma di “rivelazioni e dialogo”. Caterina non è “sola” ma avverte chi Gli parla e qualche volta Lo vede. Da Lui viene istruita: ripete ciò che impara, lo scrive di suo pugno oppure lo detta ai suoi discepoli, che, a turno, trascrivono.

Molti passi di questo Dialogo sono stati poi usati e trasmessi per mezzo delle lettere, di cui abbiamo già parlato, ed è stata, di fatto, la missione stessa di santa Caterina. Il suo Dialogo non è semplicemente un libro, ma un vero stile di vita cattolico: è parte integrante di quel “pane che non perisce” e che, una volta acquisito, pretende a buon diritto di essere “condiviso” con gli altri, mettendo in pratica quello che è stato appreso. Grazie a questa dottrina, Caterina da Siena può diventare Dottore della Chiesa.

 

DAI TEOLOGI TRONFI AI CRISTIANI “CRAPULONI”: UN DIALOGO CHE NE HA PER TUTTI

Per facilitarvi nella lettura e nella comprensione, dobbiamo dire che il Dialogo è impostato su 12 “trattati”, quasi con un riferimento ai dodici mesi dell’anno, durante i quali possiamo nutrirci spiritualmente meditando un trattato al mese.

Essi sono:

- trattato sulla Carità, norma della vera perfezione, fino cap.12;

- trattato sul Mistero della salvezza nel disegno di Dio, fino al cap.24;

- trattato sul Divin Verbo, ponte e via di verità, fino al cap.30;

- trattato sul fiume che travolge e la lotta contro il male, fino al cap.53;

- trattato del cammino di perfezione quale legge e virtù, fino al cap.64;

- trattato dell’orazione e stati dell’anima, fino al cap.86;

- trattato sulla dottrina delle lacrime, fino al cap.97;

- trattato dei tre lumi per la purità di spirito, fino al cap.107;

- trattato sul Corpo Mistico della santa Chiesa, fino al cap.120;

- trattato sugli scandali del clero e le conseguenze, fino al cap.134;

- trattato della Divina Provvidenza, fino al cap.153;

- trattato della vera obbedienza, fino al cap. 165;

Il Dialogo si conclude con un profondo riepilogo della dottrina e con il meraviglioso Inno alla Santissima Trinità.

Francesco Messina, Caterina va a S. Pietro, sec. XX (1961), particolare del Monumento, Roma, Castel Sant’ Angelo, bastione di Santo Spirito

Quelle del libro sono pagine di fuoco che vanno a toccare tutti i tessuti sociali e che si riflettono su tutte le gerarchie e classi sociali dei tempi di Caterina, ma anche di tutti i tempi, oseremmo dire specialmente i nostri tempi. Giovani audaci e giovani libertini, prelati ambiziosi, condottieri feroci, mercanti disonesti, usurai “luridi” – termine molto usato dalla santa – e magistrati corrotti, donne di malaffare e mogli infedeli (ma si parla anche dei mariti disonesti), governanti senza scrupoli, popolani rissosi ed ecclesiastici mediocri (per Caterina la mediocrità è uno fra i peggiori degli stati di vita), dame vanitose e cristiani “crapuloni” (altro termine usato dalla santa e inteso quale offuscamento dell’intelletto), teologi tronfi a vanesi, letterati fangosi, religiosi lussuriosi nell’intelletto e nella carne, nobili che disonorano la famiglia…. tutti, senza eccezione, vengono raggiunti dal fuoco tagliente della spada della fede che Caterina usa quale coltello dell’amore che non perdona il vizio, non perdona il peccato, non lo giustifica, ma lo mette a nudo, lo vuole estirpato, per poter poi far piovere l’immenso fiume della Carità sul peccatore pentito e convertito.

Infine, giusto per completare il quadro di presentazione del Dialogo, occorre dire che non è un trattato scientifico o un testo che segue un procedimento logico serrato. A Caterina interessa la teologia. Il contenuto del testo è, pertanto, teologicamente inappuntabile: tratta della perfezione cristiana nei suoi tre stati della vita purgativa, illuminativa e unitiva, che altro non sono che lo stato imperfetto, perfetto e perfettissimo verso i quali l’uomo deve inoltrarsi, camminare, progredire e arrivare.

 

QUELLA CARITÀ CHE NON È ASSISTENZIALISMO O GIUSTIFICAZIONE DEL PECCATORE

Non ci è possibile trattare qui tutto il Dialogo, ma possiamo far leva su alcuni punti di attuale importanza.

Partiamo dalla Carità, oggi strumentalizzata fino al punto da venir usata per giustificare ogni forma di peccato purché il peccatore sia caritatevole. Ma c’è anche una riduzione della carità: quando viene vista esclusivamente come opera materiale così da giustificare ogni forma di sincretismo sociale purché basato sulle opere assistenziali.

Se è vero che la carità è fondamentale per l’uomo e per la fede, è anche vero che in essa è contenuta la dottrina che va al di la delle opere materiali assistenziali. Questa dottrina prevede principalmente il soccorso verso l’anima, la quale necessità di aiuto per essere istruita sulla sua redenzione, nutrita con il pane che non perisce ed elevata nel suo grado di trascendenza affinché possa conoscere e raggiungere la sua piena felicità che è Dio.

Nel cap.4 così insegna la Provvidenza a Caterina: “Nessuna virtù può avere in sé vita, se non dalla carità: l’umiltà è poi balia e nutrice della carità. Nella conoscenza di te stessa ti umilierai, vedendo che tu non esisti per virtù tua, ma il tuo essere viene da Me, che Io vi ho amati prima che veniste all’esistenza, e che volendovi di nuovo creare alla grazia, per l’amore ineffabile che vi ho portato, vi ho lavato e creato un’altra volta (cfr il Battesimo) nel Sangue dell’Unigenito Mio Figliuolo, sparso con tanto fuoco d’amore”.

La mistica Caterina “vede ben lontano” e, in questo conoscimento del “non-essere”, vuole che la prima autentica forma della Carità si manifesti in questo: che solo a Dio compete l’essere in tutta la sua ampiezza, mentre in noi questo essere è limitato e semmai ricevuto da Dio per un atto di puro amore. Di conseguenza ogni creatura per se stessa non ha niente da dare al prossimo giacché nulla gli appartiene, neppure la vita, e se dunque vuole dare al prossimo qualcosa deve compiere necessariamente un atto di carità verso se stessa accogliendo Dio, da cui tutto viene dato.

Le dice infatti la Divina Provvidenza: “Subito dopo che tu e gli altri miei servi avrete conosciuto nel modo suddetto la Mia Verità, vi converrà sopportare fino alla morte molte tribolazioni, ingiurie e rimproveri, in parole e fatti, per gloria e lode del Mio Nome; e così tu pure porterai e patirai pene…”

1347. 25 marzo - domenica delle Palme e Capodanno secondo il calendario senese - da Jacopo Benincasa e Lapa de’ Piagenti nascono in Siena Caterina e Giovanna; questa muore dopo qualche giorno. L’anno seguente la nascita di un’altra Giovanna porterà a 25 il numero definitivo dei figli di Jacopo e Lapa

Il messaggio in se è “politicamente scorretto”, ma questa è la logica di Dio che per amor nostro manda il Suo unico Figlio – spiega santa Caterina – non per fare una villeggiatura sulla terra, ma per compiere una missione. Chi è discepolo di Cristo, chi è battezzato, entra in questa logica di Dio vivendo le conseguenze di questo discepolato: “per questo sono venuto” dirà Gesù poco prima di essere processato, condannato a morte, e crocefisso, e per questo – aggiunge Caterina – manderà “noi”, perché in ogni tempo si possa realizzare il progetto della salvezza per ogni uomo. Questa è la prima forma vera della Carità: accogliere il progetto di Dio e realizzarlo, e non contestarlo, discuterlo o modificarlo.

La Provvidenza stessa spiega a Caterina chi sono coloro che vivono nell’autentica carità e coloro che invece non la praticano: “Se hanno accettato per spirito di penitenza quanto hanno avuto dal Signore, e non hanno fatto resistenza alla clemenza dello Spirito Santo, ricevono vita di grazia ed escono dalla colpa. Se invece nella loro ignoranza, sono ingrati e sconoscenti verso di Me e verso le fatiche dei miei servi, allora quello stesso che era loro dato per misericordia, torna loro in rovina ed in materia di giudizio” e quello che succede a chi non vive la carità autentica, dice il Signore, accade “non per difetto della misericordia (..) ma solo per la sua miseria e durezza, avendo egli posto colla mano del libero arbitrio sul suo cuore la pietra del diamante, che non si può rompere in altra maniera che col Sangue…”

Santa Caterina definisce questa Carità la dote, una dote che colui che pecca finisce per barattare col demonio, il quale la “insozza e la imputridisce”, la scambia, e, invece di riempire la carità di delizie, la corrompe con i vizi, con la disonestà verso il Donatore, con la superbia, con l’amor proprio portando lentamente il peccatore a perseguitare i servi di Cristo, trasmettitori dell’autentica Carità.

Santa Caterina da Siena, che era sempre in trincea per esercitare l’autentica elemosina e il vero soccorso ai poveri, agli ammalati e ai carcerati, mette in guardia dall’andare verso il povero, l’ammalato, l’indigente o il carcerato senza l’autentico “Nutrimento”. In sostanza, per un cristiano, è inscindibile la Carità dal suo contenuto che è Cristo stesso: “Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui, ed egli con me” (Ap 3,20). Il Signore è il primo Mendicante da accogliere e, una volta aperta la nostra porta a Lui, Lui stesso è la dote da portare ai poveri, Lui è la ricchezza da portare agli affamati e ai carcerati, Lui è la merce, naturalmente accompagnata anche da elementi materiali di cui l’uomo ha bisogno. E’ bene ripeterlo ancora una volta: per il cristiano, la priorità rimane Cristo stesso dal quale deriva ogni dono, ogni aiuto, ogni sostegno materiale.

 

DALLE “LACRIME DI COCCODRILLO” ALLE LACRIME DI GIOIA

Cornelis Galle, Caterina va in estasi mentre gira l’arrosto, (1603), in Vita, Anversa, tav. IX

Curioso è, poi, il piccolo ma intenso trattato sulle “lacrime”. Quante volte sentiamo dire “lacrime di coccodrillo” per sottolineare un falso pianto. Ebbene, nel cap. 88, la santa traccia le “cinque specie di pianto” che definisce “morte”, perché versate nello stato di peccato. Così, le lacrime degli iniqui sono lacrime di dannazione; le seconde lacrime sono quelle dei “timorosi” che però si rialzano dal peccato e piangono per timore della pena; poi ci sono le lacrime di gioia, di coloro che, convertiti, cominciano a gustare le grazie di Dio; ci sono poi le lacrime di coloro che giunti ad un buono stato di perfezione nella carità al prossimo, piangono per loro, e questo pianto, scrive la santa, è perfetto…

Un capitolo che vi suggeriamo di meditare profondamente.

 

 

 

QUEL CLERO CORROTTO PER CUI BISOGNA PREGARE TANTO…

Il capolavoro riguardante i problemi della Chiesa e l’ampia dottrina sulla Chiesa mistica lo troviamo invece dal cap. 108 al cap.134: possiamo dire che non ha eguali.

E’ importante sottolineare, per una lettura corretta, che per santa Caterina da Siena il “corpo mistico” non è prettamente la Chiesa in generale o le membra, ma solo il clero in tutta la sua gerarchia, dall’ultimo parroco di campagna al Pontefice, quel clero al quale Cristo ha affidato il ministero sacro.

Da questo particolare si comprende l’apprensione di Caterina contro un clero corrotto a causa del quale, pur non “infettando” i Sacramenti, si perdono molte anime, rendendo spesso inefficaci i Sacramenti stessi. Un simile clero è, inoltre, nocivo per se stesso, provocando immenso dolore a Nostro Signore Gesù Cristo che nel sacerdote agisce ed opera nel mondo.

Nel Dialogo, dopo un’accorata preghiera e supplica, Caterina implora la Provvidenza Divina di svelarle i “mali della Chiesa” affinché lei possa avere riguardo a tutti i chierici “materia per accrescere nel dolore, nella compassione, nel desiderio ansioso per la loro salute…”. Il Signore Dio, scrive la santa, volgendo lo sguardo della compassione, comincia ad istruirla ma con questo monito: “…non commettere negligenza nel fare le orazioni, o nel dare l’esempio della vita e la dottrina della parola, riprendendo il vizio e raccomandando la virtù, secondo il tuo potere“.

1347. 25 marzo - domenica delle Palme e Capodanno secondo il calendario senese - da Jacopo Benincasa e Lapa de’ Piagenti nascono in Siena Caterina e Giovanna; questa muore dopo qualche giorno. L’anno seguente la nascita di un’altra Giovanna porterà a 25 il numero definitivo dei figli di Jacopo e Lapa

Vale la pena di leggere questo passo che spiega chi sono i sacerdoti e che cosa c’è nell’Ostia Santa da essi consacrata: “Questa è la grandezza data a tutte le creature dotate di ragione; ma fra queste ho eletto i miei ministri per la vostra salvezza, affinché per mezzo loro vi fosse somministrato il Sangue dell’umile e Immacolato Agnello, l’Unigenito mio Figlio. A costoro ho dato di amministrare il Sole, donando loro il lume della scienza, il calore della divina Carità e il colore unito al calore ed alla luce,cioè il Sangue e il Corpo del Figlio mio! (..)

Dello Spirito Santo è proprio il fuoco; del Figlio è propria la Sapienza; in questa Sapienza i miei ministri ricevono un lume di grazia perché somministrano questo stesso Lume con la Luce che ne proviene e con gratitudine per il beneficio ricevuto da me, Padre Eterno, seguendo la dottrina di questa Sapienza, l’Unigenito Figlio mio! Questo Lume ha in sé il colore della vostra umanità…(…) A chi l’ho dato da amministrare? Ai miei ministri nel corpo mistico della santa Chiesa, affinché aveste vita attraverso il dono del Suo Corpo in Cibo e del Suo Sangue in bevanda. (…)

E come il sole non può dividersi, così nella bianchezza dell’Ostia Io sono tutto unito: Dio e uomo! Se l’Ostia si spezzasse e fosse possibile farne migliaia di frammenti, in ciascuno è tutto Dio e tutto uomo, come ho detto! Come lo specchio può andare in frantumi, e tuttavia non si divide l’immagine che si vede in ogni suo pezzo, così anche dividendo questa Ostia non vengo diviso Io, tutto Dio e tutto uomo, ma sono tutto in ciascuna parte! (…) Essi sono i consacrati da Me, ed Io li chiamo i miei “cristi” perché ho dato loro me stesso da amministrare per voi, ponendoli come fiori profumati nel corpo mistico della santa Chiesa…”

Sappiamo come all’epoca della santa senese vi fossero gran numero di cospiratori contro il legittimo Pontefice – nulla di nuovo per noi oggi – e, nel Dialogo, Caterina non risparmia lezioni divine anche a loro: la Divina Provvidenza rivela a Caterina che la colpa di chi perseguita i ministri e il Papa stesso è ritenuta fra le più gravi delle colpe. In tutto il capitolo 116 spiega le motivazioni: “perché ogni atto di rispetto verso di loro non è fatto a loro ma a Me, in virtù del Sangue che Io ho dato loro da somministrare. Se così non fosse, li rispettereste non più di quanto rispettate ogni altro uomo di questo mondo. Invece dovete riverirli grazie al loro ministero, e dovete ricorrere alle loro mani; dovete ricorrere a loro non per loro stessi, ma in forza del potere che Io ho dato loro, se volete ricevere i santi Sacramenti della Chiesa; se, infatti, pur potendoli ricevere, voi non li voleste, vivreste e morreste in stato di dannazione.”

 

CHI NON AMA I SACERDOTI, NON AMA LA CHIESA

Cornelis Galle, Caterina va in estasi mentre gira l’arrosto, (1603), in Vita, Anversa, tav. IX

Santa Caterina fa presente, anche in alcune Lettere, come sia più facile per certuni vedere Cristo esclusivamente nel povero, nel bisognoso, nel carcerato, mentre poi lo si dileggia e lo si “schiaffeggia” in quel “povero Cristo” che è il sacerdote stesso, e definisce questo atteggiamento di due specie: o ipocrita, e quindi non scusabile, o “per ignoranzia” e allora la Santa consiglia ai Sacerdoti stessi una sollecita opera di diffusione della conoscenza della dottrina, accusando il clero stesso, spesso direttamente i vescovi, di tiepidezza nei confronti delle catechesi al popolo, perché viene perso tempo non ad istruire le anime come Dio vorrebbe, ma a “curare i propri interessi”. Il rimando all’attualità, come possiamo vedere, non manca.

Il filone principale rimane “Dio è Amore”: la Carità è la più grande di tutte, come sottolinea lo stesso san Paolo, e Caterina incide con parole di fuoco questo aspetto ma ribaltando un pò quell’immagine, spesso ipocrita, che concentra la carità esclusivamente in un attivismo che vorrebbe fare a meno di Dio, vorrebbe fare a meno dei sacerdoti e persino della Chiesa stessa. Basta rileggere attentamente la prima enciclica di Benedetto XVI, Deus Caritas est, per comprendere l’immensa dottrina racchiusa in questo Dialogo e la sua urgente applicazione ai giorni nostri. Chi non ama i sacerdoti, chi non ama la Chiesa stessa: per quante opere di bene possa compiere, viene ripreso da Dio con parole gravi e moniti severi, fino al rischio della dannazione eterna: ” …questa colpa è fra le più gravi in quanto è commessa con la malizia e spesso con deliberazione: essi, infatti, se chiedessero il Lume della Sapienza, capirebbero, ma essi sanno che questo peccato non può essere fatto in “buona coscienza”, e dunque, commettendolo, Mi recano offesa(…) Ecco perché nessuno può dire a mò di scusa: “io non offendo la santa Chiesa né mi ribello, ma colpisco i difetti dei cattivi pastori…” Costui mente sul suo capo e, come accecato dall’amor proprio, non riesce più a vedere chiaramente. Ma in realtà costui vede benissimo, anche se finge di non vedere per far tacere il pungolo della propria coscienza. Se ascoltasse la propria coscienza vedrebbe, come in realtà vede, di star perseguitando il Sangue offerto e non i suoi ministri difettosi. A Me è rivolta l’offesa, così come per Me è la riverenza e mio è ogni danno – scherni, villanie, obbrobri e persecuzioni – che sia fatto a loro! Io reputo fatto a Me quel che gli uomini fanno a loro, poiché questo Io dissi, che non voglio che i miei consacrati siano toccati da altri. Io solo ho il potere di punirli, non altri!”

Non a caso lo stesso venerabile Pio XII tornò a parlare di uno squilibrio grave, di moda, fra coloro che ostentano una fede “Cristo si, la Chiesa no“, sottolineando come questo non può essere accettabile, tanto meno taciuto, perché ne esce un’ immagine di Cristo privata del Corpo e privata dei ministri “santi e santificatori”, riflesso di un Cristo falso e non del Gesù Cristo vivo e vero.

 

CIECHI CHE GUIDANO ALTRI CIECHI

Sano di Pietro, Caterina beve al costato di Cristo, particolare di Madonna col Bambino, Angeli e Santi, sec. XV (settimo decennio), Siena, Pinacoteca Nazionale (n. 261)

C’è poi il capitolo 119 riguardante il compito che spetta ad ogni sacerdote e che, se ben esercitato e correttamente applicato, è fermento anche per la società civile. Per santa Caterina da Siena, infatti, è la Chiesa che deve istruire ed ammaestrare la società attraverso il popolo di Dio “foraggiato dai ministri” e laddove questo esercizio si corrompe o si spezza a causa dei “difetti” del clero ne risente tutta la società.

Si comincia con un avvertimento che ancora oggi è più attuale che mai: secondo la dottrina cristiana, qui testimoniata e ribadita, non ci può essere totale separazione fra legge civile e legge morale. La giustizia infatti fa capo ad un solo principio ordinatore, senza il rispetto del quale la legge civile non può né valere, né essere osservata. Dunque, la virtù della giustizia, che comincia dal dover essere praticata verso se stessi, è indispensabile non solo per la vita spirituale ma anche per la vita civile delle nazioni. Una legislazione – spiega il Dialogo – che favorisca la mollezza dei costumi e l’impoverimento spirituale della mentalità corrente non può che annunciare una decadenza civile…

E’ sbalorditivo come questo messaggio sia di una attualità così palese che solo un atto di ripudio sconsiderato può rendere vano il ricorso alla sua applicazione. Lo scopo sarebbe quello di migliorare il nostro tempo che si trova in avanzato stato di decomposizione.

Con parole che vale la pena di leggere attentamente, il Dialogo ammonisce tale sovvertimento a causa dei “sacerdoti cattivi”: “Nessuno Stato si può conservare nella legge civile e nella legge divina in grazia senza la santa giustizia; perché colui che non è corretto e non corregge fa come il membro che è cominciato ad imputridire e se il cattivo medico vi pone l’unguento solo, ma non brucia la piaga, tutto il corpo comincia ad infettarsi, imputridisce e si corrompe. (..) Per timore di perdere lo Stato, le cose temporali o la prelazione, essi non correggono, ma fanno come accecati, e per questo non conoscono in che modo si conservi lo Stato; ché se vedessero come esso si conservi con la santa e vera giustizia, la manterrebbero…(..) il vero è che essi non correggono, perché essi stessi sono in medesimi difetti, o persino maggiori! Si sentono presi dai sensi di colpa e perciò perdono l’ardire e la sicurezza e legati dal timore servile, e sospinti dalla falsa carità, fanno vista di non vedere, oppur se vedono non correggono, anzi, si lasciano contaminare e lusingare con parole d’alloro, rincorrono i molti doni, ed essi stessi trovano scuse e giustificazioni per non punire il male. In essi si compie la parola: – Costoro sono ciechi e guide di ciechi; se un cieco guida l’altro, ambedue cadono nella fossa -, in questo modo nessuna nazione potrebbe sperare nel suo proprio futuro…”

Lo situazione dipende, dunque, dallo stato in cui si trovano i ministri della santa Chiesa! Ci appare importante sottolineare la sollecitudine di Benedetto XVI nell’indire l’Anno Sacerdotale, durante il quale ha promosso una costante riforma dei costumi e della stessa formazione del clero. Sembra andare nella stessa direzione anche il recente annuncio dell’indizione dell’Anno della Fede, che sarà aperto l’11.10.2012 per concludersi il 24.11.2013, nella Solennità della festa liturgica di Cristo re dell’Universo.

 

LA VITA SCELLERATA DEI SACERDOTI CORROTTI

Rosanna Garbarini, La morte di Niccolò di Tuldo, (1979), sesto riquadro, Pavia, Collegio Universiatario “S. Caterina da Siena”, atrio

Il Dialogo prosegue con una serie di moniti per esortare i membri corrotti del clero verso un ritorno urgente alla fedeltà a Dio. “Invano si affatica colui che guarda la città, se non è guardata da Me..” (cfr. Salmo 126): vana pertanto – spiega Caterina – sarà ogni sua fatica se egli crede di guardare la città con il suo occhio corrotto; la città può risorgere dalle sue macerie soltanto se il ministro la conduce con l’occhio di Dio che è la sana dottrina della sua giustizia.

E dal cap. 121 inizia una serie di dichiarazioni contro il clero corrotto, in cui vengono sottolineate le forme di peccato più gravi: “Ora fa attenzione, carissima figlia, perché ti voglio mostrare la vita scellerata di alcuni di loro, e parlartene affinché tu e gli altri miei servi abbiate più motivi per offrirmi umili e continue preghiere per loro. Da qualsiasi lato tu ti volga, secolari e religiosi, chierici e prelati, piccoli e grandi, giovani e vecchi, e gente d’ogni specie, altro non vedi che le offese ch’essi m’arrecano; e da tutti si eleva un fetore di peccato mortale. Questo fetore a me non porta alcun danno, né può nuocermi, ma molto danno fa a loro stessi ed alle anime…. “

E’ importante sottolineare in quale modo siamo chiamati ad intervenire, noi laici, verso questi sacerdoti: pregando, soffrendo, facendo sacrifici e denunciando le mancanze.

Il capitolo appare spietato, soprattutto se in riferimento ad un clima di “politica corretta” dei giorni nostri, dove lo scandalo non è più il peccato in quanto tale ma le parole che lo denunciano: se leggiamo, invece, questo Dialogo seguendo la logica di Dio, vedremo affiorare una immensa e ardente carità, parole di vera passione per le anime. La stessa Caterina alterna il messaggio dottrinale con traboccanti accenti di squisita pietà verso le anime di questi sacerdoti corrotti, supplicando Dio per la loro conversione e offrendo la sua vita in cambio di una sola anima sacerdotale.

Sono ben 10 i capitoli che la santa dedica a questo grave problema, dove si parla dei vizi che affliggono e avviliscono la santa Chiesa. Ne esce un quadro spaventoso di miserie spirituali, ma si noti attentamente come Caterina entra in questa materia dolorosa solo dopo aver dedicato altrettanto spazio, nei capitoli precedenti, ai sacerdoti santi, esempi fulgidi che superano di gran lunga il male che deriva da quelli corrotti. E’ fondamentale, pertanto, che non si separi una parte dall’altra: l’una e l’altra – spiega Caterina – sono i risvolti di una sola medaglia. Inutile dire quale sia la faccia migliore: santa Caterina le dà molto rilievo elencando una lunga serie di nomi di santi, dottori, beati e martiri. Ciò che viene offerto a noi è di conoscere la verità dei fatti e la realtà dentro la quale, in ogni tempo, tutti ci ritroviamo: di conseguenza, ci viene chiesto di saper scegliere con intelletto istruito da che parte stare, di correggerci dagli errori, di esercitare le virtù, di aiutare il clero con la preghiera, i sacrifici ed anche rammentando ad essi il compito al quale sono stati chiamati. Caterina infatti ricorda che anche le membra secolari, i laici, non sono meno colpevoli, non sono meno “infetti dal vizio“, e ammonisce loro che, invece di giudicare i vizi dei sacerdoti, è più utile prodigarsi convertendosi, ricorrendo ai preti in sollecite confessioni, conducendo una vita santa per poter supplicare Dio di riportare i Suoi ministri sulla strada delle virtù, poiché la rovina del clero è rovina anche del popolo cristiano e, con esso, è rovina delle nazioni.

Corrado Mezzana, Caterina con la croce sulle spalle e l’ulivo della pace in mano, (1948), francobollo

Lo scopo di Caterina è la riforma della Chiesa anche attraverso le preghiere e i sacrifici dei fedeli. Ella li vuole coinvolti non perché giudichino i sacerdoti viziosi, ma per aiutare spiritualmente e fraternamente la santa Chiesa in ogni bonifica. L’amore per la Chiesa rimane inalterato, anzi riceve maggior stimolo il desiderio dell’offerta di se stessa per riformarla. Questo concetto ci riporta alle parole di un Angelus dell’anno scorso nel quale Benedetto XVI spiegava che la vera riforma nella Chiesa viene fatta dai santi e non dai moralizzatori, così come il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori.

La colpa maggiore del clero corrotto è la superbia. In effetti è questo il primo ostacolo al bene dell’uomo che condusse al Peccato Originale. La superbia è l’ottusità di mente e di cuore; è l’ostinazione e l’uso di un potere (il libero arbitrio) che è dato per altri scopi: “E’ per questa miserabile superbia e avarizia, generata dall’amore sensitivo, ch’essi hanno negletta la cura delle anime, buttandosi alla sola cura delle cose temporali, e lasciando le mie pecorelle, quelle che Io ho affidato alle loro mani, abbandonate e senza pastore…(Mt.9,36) Così le lasciano senza pascolo e senza nutrimento, né spirituale, né temporale. Spiritualmente essi somministrano sì i sacramenti della santa Chiesa – i quali non possono essere né tolti, né sminuiti nella loro potenza da nessun loro difetto – ma non vi alimentano con preghiere che vengono dal loro cuore, né vi nutrono con la fame e con il desiderio della vostra salvezza, conducendo una vita onesta e santa….(…) Guai, guai alla loro misera vita!(..) Così questi miserabili, indegni d’essere chiamati ministri, sono diventati demoni incarnati poiché per loro colpa si sono conformati con la volontà del demonio e se ne assumono i compiti all’atto in cui somministrano me, vero Lume, giacendo essi nelle tenebre del peccato mortale; e somministrano l’oscurità della loro vita disordinata e scellerata ai loro sudditi e alle altre creature dotate di ragione! In tal modo generano confusione e sofferenza nelle menti delle creature che li vedono in tal disordine.

 

NON C’È SOLO IL CLERO CORROTTO: LE COLPE DEI LAICI

Giorgio Vasari, Gregorio XI ritorna a Roma, (1572-1573), Città del Vaticano, Sala Regia

Tutto questo, però, non deve diventare – spiega santa Caterina – una scusa per lasciarci trascinare nel peccato! Qui la santa non risparmia le responsabilità dei laici che giustificano certe condotte perverse: “E’ anche vero che chi li segue non è esente dalla colpa – leggiamo nel Dialogo – dal momento che nessuno è costretto a colpa di peccato mortale, né da questi demoni visibili, né da quelli invisibili. Perciò nessuno guardi alla loro vita, né imiti quel che fanno, ma come siete stati avvertiti dal mio Vangelo, ognuno faccia quel che essi dicono…(Mt.23,3), cioè, metta in atto la dottrina datavi nel corpo mistico della santa Chiesa, pervenutavi attraverso le Sacre Scritture per mezzo dei suoi annunciatori”

È chiaro il riferimento al Magistero della Chiesa che i Laici devono mettere in pratica attraverso il dono dei talenti che ognuno riceve. Il Signore si è espresso con fermezza: non sarà loro risparmiata la mia punizione a causa della dignità che deriva dall’essere miei ministri: anzi, se non si correggeranno, saranno puniti ancor più duramente degli altri poiché, come è già spiegato nel mio Vangelo, richiederò a ciascuno i talenti che ho loro donati!

Subito dopo questi capitoli infuocati, Caterina viene addolcita, e addolcisce anche noi, attraverso la spiegazione dell’azione diretta della Divina Provvidenza: “Sì che usai grande provvidenza! Pensa carissima figliuola, che non potevo usarne una maggiore, che darvi il Divin Verbo, unigenito Mio Figliuolo“.

Gesù Cristo è la consolazione di tutta la Chiesa, di santa Caterina, di ogni sacerdote, di ognuno di noi oggi che leggiamo queste pagine…: “La mia Provvidenza non mancherà mai a chi la vorrà ricevere, come sono quelli che perfettamente sperano in Me. E chi spera in Me, chi bussa, a chi mi apre il suo cuore, a chi mi accoglie qual mendicante come mi presento, nudo ed inchiodato sulla Croce, a chi ama veramente la Verità non solamente a parole, ma con l’affetto e il lume della santissima fede, con la preghiera ardente, con l’amare la Mia Sposa, questi e non altri gusterà Me nella mia Provvidenza. (..) la perfetta speranza del cristiano è di ricevere Me nella Provvidenza, ed Io non mancherò di presentarmi a quest’anima che ardentemente Mi desidera e spera in Me.(..) Ammonisci, figliuola carissima, che la mia Provvidenza non è tolta ad alcuna creatura, perché tutte le cose sono condite con essa….”

 

DIO GOVERNA IL MONDO E A NOI TOCCA OBBEDIRE (ED ESSERE UMILI)

Crescenzio Gambarelli,, Morte di Caterina, (1602), Siena, basilica di S. Domenico, Cappella delle Volte

Qui santa Caterina sottolinea come è Dio stesso a governare la natura, senza nulla togliere ai “moti” naturali degli eventi climatici o sottoterra. Il Signore stesso, con il miracolo della tempesta sedata, fa capire come gli eventi naturali obbediscano ai suoi comandi e nel Dialogo approfondisce il concetto: “A volte per grandine o tempesta, o per saetta e terremoti, pestilenze che Io mando sul corpo della creatura, parrà all’uomo che questo sia crudeltà, quasi giudicando che Io non abbia provveduto alla salute di quella. Io invece l’ho fatto per scamparla dalla morte eterna, dalla dannazione certa, sebbene egli ritenga il contrario. E così gli uomini del mondo vogliono in ogni cosa contaminare le mie opere, ed intenderle secondo il loro basso intendimento!”

Ciò che avviene, spiega santa Caterina, Dio lo permette solo per il nostro bene e per la nostra salute eterna. Coloro che giudicano diversamente, e che sfidano Dio nei loro giudizi sul come opera, sono ciechi, mentitori e ingannatori; e se è vero che Dio, padrone della vita e della morte, non è però Dio della morte, Egli teme per la morte della sua creatura, la morte dell’anima nella condizione della dannazione eterna. In tal senso, il Signore spesso agisce prima che tale dannazione diventi definitiva perché Egli vuole salvare quante più anime possibile dai mali ci pervengono a causa dei nostri peccati: quanto maggiori saranno i nostri vizi e il decadimento nel clero, maggiori saranno i provvedimenti che il Signore eserciterà sulla terra. Come morire dipenderà anche dal come noi desideriamo vivere nella Vera Vita.

Per Caterina la chiave che disserra il cielo facendo piovere per noi la Provvidenza è la virtù dell’obbedienza! La santa senese paragona tale virtù ad una chiave da tenere sempre attaccata alla cintura con una funicella.

Dove si trova questa obbedienza?, sembra chiedere Caterina. Si trova nel Divin Verbo, le risponde la Provvidenza, e per compierla ed offrirtela corse all’obbrobriosa morte di Croce.

E chi ce la può togliere?, chiede con sacro timore la santa. La superbia, risponde la Provvidenza, l’amor proprio e tutti i vizi. La disobbedienza infatti fa perdere l’innocenza giacché per disobbedire la creatura deve compiere una scelta: dall’innocenza cade nell’immondizia, dall’immondizia cade nella miseria…

E come posso nutrirla?, si domanda Caterina. Con l’umiltà!, risponde la Provvidenza. L’umiltà è la balia e nutrice dell’obbedienza e tale nutrimento conduce alla vera Carità. La veste che questa nutrice usa per coprirla è il “morire a se stessi” perché – dice il Signore – Io possa regnare; è farsi da parte perché Io – aggiunge – possa diventare desiderio di ogni creatura.

Il tutto trovi nell’Unigenito Mio Figliuolo, in Cristo Dolce, Gesù Amore, chi si avvilì più di Lui? Chi fu paziente più di Lui? Chi più Agnello di Lui?”

Alle parole di santa Caterina, ci piace unire un breve passo del beato cardinale Newman nelle sue meditazioni sulla Passione di Gesù:

In quell’ora terribile l’Innocente stese le braccia e offerse il petto agli assalti del Suo mortale nemico, un nemico spirante veleno pestifero e il cui abbraccio era la morte.

Rimase prostrato immobile e silenzioso, mentre il nemico orribile inabissava l’anima Sua in tutto l’orrore e l’atrocità dell’umano peccato, penetrandogli Cuore e coscienza, invadendoGli sensi e pensieri e coprendoLo come di una lebbra morale. Quale terrore quando i Suoi occhi, le Sue mani, i Suoi piedi, le Sue labbra, il Suo Cuore gli sembrarono membra del nemico e non dell’Uomo-Dio, era proprio quello l’Agnello Immacolato prima innocente, ma ora macchiato del sangue di migliaia di crimini“.

 

QUELLE “SANTE” RACCOMANDAZIONI…

Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio, Pio II canonizza Caterina da Siena, (1505-1506), Siena, Duomo, Libreria Piccolomini

Forse è per questo che il Crocefisso, oggi come ieri, è “scandalo”. Riflette ciò che noi eravamo prima della Redenzione e rifiutandoLo non facciamo altro che voler rimanere in uno stato di disobbedienza per cercare di esorcizzare la Croce stessa.

Dice santa Caterina nel Dialogo: “Venne poi il Verbo, che prese in mano questa chiave dell’obbedienza e la purificò nel fuoco ardente della divina carità, la trasse dal fango lavandola con il Suo Sangue, la raddrizzò col coltello della giustizia, distruggendo le nostre iniquità sull’incudine del Suo Corpo Crocefisso. Egli così la racconciò per donarla a noi, ed è così resa perfetta che per quanto l’uomo la guasti con il suo libero arbitrio, Egli con altrettanto libero arbitrio, sempre la riacconcia…”

Ed ecco le sante raccomandazioni:

Esci dal peccato mortale con la santa confessione, con la contrizione del cuore, con la soddisfazione di una giusta penitenza, col proponimento di non voler più offendere Dio, prega incessantemente perché ti sia data tal grazia. Credi davvero di poter accedere alle Nozze dell’Agnello vestito degli stracci del peccato? Pensi davvero di potervi accedere permanendo in uno stato di grave peccato? Oppure credi potervi accedere senza l’uso di quella chiave? O uomo cieco! e che più che cieco, dopo aver guastato la chiave dell’obbedienza ti illudi che non sia necessario riacconciarla, credi davvero di poter salire al cielo con la superbia che ti attrae all’inferno? Getta per terra quel laido vestito, e corri a confessare la tua anima per renderla pura e immacolata, pronta alle Nozze.(..)

Oh, se tu sapessi quanto è gloriosa, soave e dolce questa virtù in cui vi si trovano tutte le altre! Ella è concepita dall’amore ed è partorita dalla perfetta carità, in lei è fondata la pietra della santissima Fede, lei è una regina, chi la sposa riceve in dote ogni virtù, quiete, serenità dell’anima, ogni croce che deve portare le diventa leggera.(..)Trova pace, trova la quiete, sposa questa regina! Siile fedele, ed essa ti porterà, aprendoti ogni porta, dove ti attende ogni beatitudine eterna…”

Ci piace concludere con la sua frase più famosa, famosa si, ma forse poco compresa nel suo contenuto e nella responsabilità alla quale ci chiama: “Se sarete ciò che dovrete essere, metterete fuoco in Italia e nel mondo intero!”

Santa Caterina, ora pro nobis! [SM=g1740722]

[SM=g1740738]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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