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S.Caterina da Siena Dottore della Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 18/01/2020 13:36
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15/12/2008 13:48
 
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SANTA CATERINA DA SIENA

A cura di Patrizia Solari



In questo numero della rivista ci vogliamo occupare di santa Caterina da Siena (ricordata nel calendario liturgico il 29 aprile), che ha esercitato la virtù della carità in un modo che ci appare diverso dall'idea che comunemente abbiamo. L"'opera" di Caterina non è propriamente un'opera di carità nel senso specifico espresso dalla vita di altri santi: a partire dall'amore di Cristo, che viene cioè da Cristo, in un tempo di grande travaglio per la Chiesa (dapprima i Papi ad Avignone, poi il Grande Scisma, con due Papi eletti dai cardinali) la giovanissima Caterina si adoperò per salvare la verità e l'unità della Chiesa ed espresse così il suo amore assoluto per Cristo. Ma è all'interno di questa verità e di questa unità che sono possibili tutte le "opere di carità" prodotte nel corso della storia della Chiesa. D'altra parte Caterina espresse la carità nel "carisma di maternità" che esercitò, con tenerezza e fermezza, nei confronti di tutte le persone che incontrava, preoccupandosi di loro nella totalità della loro vocazione.

Caterina nasce 650 anni fa, nel 1347, ventiquattresima figlia di Jacopo Benincasa, tintore, e dì monna Lapa. Il parto è gemellare, "la gemellina muore quasi subito, ma l'anno successivo nascerà una venticinquesima sorella. In più, la famiglia accoglie un cuginetto orfano, di dìeci anni: diventerà frate domenicano e sarà il primo confessore di Caterina".1)

Proprio quell'anno era scoppiata la terribile "peste nera", che in pochi mesi porterà alla tomba più di un terzo della popolazione europea. È il culmine di una situazione di angoscia che la cristianità vive verso la metà del secolo XIV: "L'Italia è in preda alle guerre civili che mettono una città contro l'altra e, nella stessa città, un partito in lotta fratricida contro un altro partito. La Germania è in preda al caos; Inghilterra e Francia hanno cominciato la tragica e interminabile Guerra dei cent'anni; l'impero d'Oriente è in disfacimento e i Turchi premono minacciosamente ai confini dell'Europa. Dovunque scoppiano guerre di contadini che si sentono oppressi ed emarginati. La carestia e le catastrofi naturali sono ricorrenti." E a causa della peste pare che a Siena la popolazione scese da ottantamila a quindicimila abitanti.

Caterina, fin da piccola, cerca il silenzio, la preghiera, l'austerità. La sua infanzia e la sua giovinezza sono costellate da miracoli, narrati nella Leggenda, di cui parla lei stessa o il suo confessore e gli innumerevoli ammiratori che la circondano. "Tutti sanno comunque, con certezza, che l'infanzia di Caterina è stata irrimediabilmente segnata da una visione di Cristo sorridente, dal cui cuore esce un raggio luminoso che la raggiunge e la ferisce. Così la bambina cresce diversa dagli altri numerosi fratelli e sorelle (dei più non sappiamo neppure il nome!): cresce 'consacrata' da un voto di verginità (cioè di amore esclusivo a Cristo) che lei stessa ha fatto spontaneamente, già a sette anni. (...) A 15 anni - per togliere ogni illusione alla madre che vorrebbe fidanzarla a ogni costo - Caterina compie un gesto decisivo: esce dalla sua stanza dopo essersi tagliati i lunghi capelli (...): adesso ella è secondo l'espressione del tempouna 'fanciulla tonduta', una fanciulla sottratta alle vanità del mondo, 'consacrata'. La madre, per punizione e per stornarla da un progetto che le sembra assurdo (Caterina è l'unica figlia che lei abbia allattato ...) licenzia la domestica e fa pesare su di lei gran parte dei lavori domestici: pensa che, con quel peso superiore alle sue forze, alla ragazza non resterà tempo per indulgere a fantasie e pratiche monacali. (...) A Caterina è tolta perfino la sua stanzetta per impedirle di ritrovarsi in preghiera ed è allora che ella ha imparato per sempre a rifugiarsi in se stessa: 'fabbricò dicono le cronache nell'anima sua una cella interiore dalla quale imparò a non uscire mai'."

Nel rapporto tra madre e figlia possiamo cogliere l'opposizione tra un progetto "per il mondo", che la madre ha sulla figlia, e la strada alla quale Caterina è stata chiamata fin da bambina.

"Con la mamma, Caterina è dolce e obbediente, ma inflessibile. Più tardi - quando dovrà continuamente viaggiare per obbedire alla sua 'missione' e la mamma si lamenterà delle sue lunghe assenze - Caterina, che è ormai diventata la guida spirituale anche della sua stessa madre, le scriverà, non senza 'ricordare': (...) voi amate più quella parte che io ho tratta da voi, che quella che ho tratta da Dio, cioè la carne vostra della quale mi vestiste (lettera 240). Nella storia del problema educativo, poche volte è stato descritto altrettanto bene, in forma così cristianamente essenziale, il torto che i genitori possono fare ai loro figli: amare in loro quella carne che essi gli han dato più di quell'anima che Dio ha messo in loro, quella irripetibile impronta e destino con cui Egli li ha fatti e segnati per Sé. Tutta la lettera, definita 'dal principio alla fine gentile e grande' è costruita su questo invito di Caterina: Con desiderio ho desiderato di vedervi madre vera e non solamente del corpo, ma dell'anima mia. (..) Fu il papà che prese finalmente le sue difese. Rivolto alla moglie e agli altri figli, il buon Jacopo decise: 'Nessuno dia più noia alla mia dolcissima figliola ... lasciate che serva come le piace il suo Sposo. Mai potremo acquistare una parentela simile a questa, né dobbiamo lamentarci se invece di un comune mortale riceviamo un Dio e un Uomo immortale'." Le categorie sono decisamente altre e, in questi paragoni, Dio è veramente una presenza.

"Finalmente, a 16 anni, Caterina può entrare fra le terziarie domenicane di Siena: porterà la veste bianca e il mantello nero dell'Ordine di S. Domenico (le chiamano perciò 'mantellate'), ma non sceglie la clausura, il monastero, perché intuisce dì avere una missione pubblica da svolgere. Comincia a distribuire il suo tempo e le sue forze tra le occupazioni familiari, le lunghe preghiere e l'assistenza agli ospedali (Siena ne contava allora 16!) e al lebbrosario."

Caterina eserciterà un vero e proprio carisma di maternità, caratterizzato da una "dolcezza tagliente come una spada", sia con le persone che le si erano raccolte attorno, sia al momento della sua missione pubblica nella Chiesa quando dovrà trattare con ogni sorta di personaggi importanti, Papi, alti prelati, nobili ...

"L'aspetto più evidente della sua intima maturazione è il fatto che attorno a lei, ragazza illetterata, si costituisce una compagnia di seguaci e di ammiratori. È chiamata in un senso tutto spirituale la 'bella brigata', composta da gente di ogni età e condizione: magistrati e ambasciatori, pittori e poeti, nobili e borghesi, cavalieri e artigiani, nobildonne e popolane. Nell'elenco ci sono anche religiosi d'ogni specie: domenicani, francescani, agostiniani, vallobrosani, guglielmiti e altri. Tra tutti si discute di teologia e di mistica, si legge la Divina Commedia e si studia S. Tommaso d'Aquino e, soprattutto si impara ad amare con tutto il cuore Cristo Redentore e la Chiesa suo mistico corpo. È un vero e proprio 'movimento cateriniano' che si allarga sempre più (durante la vita della Santa toccherà il centinaio di persone): tutti chiamano Caterina 'mamma' e lei li chiama 'dolcissimi figlioli'. Non solo li segue e li consiglia spiritualmente uno per uno, ma si sente responsabile della loro vita, della loro fede, della loro vocazione. (...) Ella se ne prenderà cura fin sul letto di morte: li vorrà attorno a sé e a molti di loro darà l'ultima 'ubbidienza' indicando dettagliatamente la strada vocazionale che ognuno dovrà percorrere."

Quando Caterina ha circa vent'anni "sente che qualcosa di decisivo deve accadere e continua a pregare intensamente con quella splendida e dolcissima formula che le è divenuta abituale: chiede al suo Signore Gesù: 'Sposami nella fede!"'. E la sera di carnevale del 1367 "mentre gli schiamazzi riempiono la città e la sua stessa casa, la giovane è lì nella sua stanzetta che ripete assorta la sua preghiera sponsale 'per la millesima volta'. Ed ecco apparirle il Signore che le dice: 'Ora che gli altri si divertono ... io stabilisco di celebrare con te la festa dell'anima tua'. (...) Fino ad alcuni anni fa (forse ancor oggi) c'era a Siena l'usanza che nell'ultimo giorno di carnevale a nessun corteo o maschera fosse concesso passare per la contrada di Fontebranda, là dove quelle mistiche nozze furono celebrate. Sul frontone dell'edificio c'è ancora scritto: 'E' questa la casa di Caterina, la Sposa di Cristo': Altri episodi fecero capire a Caterina che "Dio l'aveva investita della missione di sostenere e quasi incarnare quella Chiesa del suo tempo così bisognosa di amore forte, di decisione e di 'riforma'. Lumile ragazza illetterata cominciò a riempire il mondo di messaggi, di lettere lunghissime dettate con una impressionante velocità, spesso tre o quattro contemporaneamente e su argomenti diversi, senza confondersi e senza che i segretari riescano a mantenere il suo ritmo. (...) Ciò che impressiona in esse è la forza e la frequenza del verbo :'io voglio'. (...) Quando comincia la sua più impegnativa corrispondenza, quella con il papa Gregorio XI per convincerlo a tornare a Roma, usa formule piene di tenerezza e tuttavia non è meno decisa: Voglio che siate quello e buono pastore, che se aveste cento migliaia di vite, vi disponiate tutte a darle per onore di Dio e per salute delle creature ... Virilmente, e come uomo virile seguitando Cristo, di cui vicario siete ... Su dunque, Padre, e non più negligenzia! (Lettera 185)"

Con lo stesso tono scrive a principi e regnanti: a Bernabò Visconti, signore di Milano, alla regina di Napoli, al re di Francia. "La missione di Caterina diventa quella di pacificare le città e la Chiesa: condizione ineliminabile è il ritorno del pontefice a Roma; ma ella sa di dover incarnare personalmente il travaglio necessario. (...) sa che, in un modo misterioso, le sofferenze e i destini della Chiesa la riguardano."

"Finalmente ella poté recarsi di persona ad Avignone e vi incontrò subito lo scherno dei Cardinali: 'Essendo tu povera donniciola, córne ti àrroghi di parlare di un simile argomento col nostro Signor Papa?' Ma non sapevano di avere a che fare con una che li poteva contemporaneamente amare e onorare con tutto il cuore per la dignità e il sacerdozio di cui erano rivestiti, ma non temeva anche di definirli `servi del Dimonio' quando ostacolavano la volontà di Dio e la sua missione."

Nel 1376, Gregorio XI torna a Roma e nei pochi anni che trascorrono tra questo ritorno e il Grande Scisma "che nuovamente impegnerà Caterina nella lotta per la Chiesa, nasce in brevissimo tempo, ma preparata da tutta la vita, quell'opera che farà di lei un Dottore della Chiesa. La Santa lo chiamò semplicemente, ma in forma quasi assoluta: Il Libro'. (...) Sono 167 capitoli strutturati attorno a quattro domande che Caterina rivolge al Padre celeste, 'con ansietato desiderio'. La prima domanda è misericordia per Caterina': e Dio risponde aiutandola col cognoscimento di te e di me', immergendola cioè nella luce abbagliante di chi finalmente comprende di essere 'nulla' davanti al 'tutto' che è Dio, eppure scopre con stupore infinito che di questo piccolo nulla Dio è da sempre innamorato. La seconda domanda è: 'Misericordia per il mondo'; la terza è: 'Misericordia per la Santa Chiesa'. Caterina chiedeva che il Padre 'tollesse le tenebre e la persecuzione' e di poter portar lei il peso dì ogni iniquità. La quarta domanda è 'provvidenza per tutti'. Ad ogni domanda dunque Dio Padre risponde lungamente e tutta la dottrina cristiana vi si dipana nei suoi vari aspetti teologici, morali e ascetici. Ciò che il divin Padre soprattutto dice è che la misericordia è già stata donata quando volendo rimediare a tanti mali v'ho dato il Ponte del mio Figliolo".

Poi scoppiò il Grande Scisma. "Due papi vennero eletti dagli stessi cardinali e la cristianità si spaccò in due e per quarant'anni il dubbio sul legittimo pastore devasterà la Chiesa. Caterina chiamata a Roma da Urbano VI, il vero papa, lo sostenne a spada tratta contro ogni dubbio e ogni tentennamento (...) Dicono i biografi che si potrebbe ricostruire quasi mese per mese l'attività che Caterina svolse a favore del papa: lettere e messaggeri inviati a quasi tutti i regnanti d'Europa; consigli al pontefice per un totale rinnovamento della curia e soprattutto il tentativo di far stringere attorno al papa quella che lei chiamava 'la compagnia dei buoni' (Lettera 305). (...) Contemporaneamente ella, con sano realismo, si rendeva conto che il carattere impetuoso e violento di papa Urbano non facilitava la riconcifazione. (...) E con delicatezza, il giorno di Natale, regalò al pontefice cinque melarance piene di confettura, lavorate secondo un'antica ricetta senese: ne approfittò per spiegare al papa come un frutto naturalmente aspro possa riempirsi di dolcezza in modo da corrispondere al suo rivestimento dorato. (...) Dicono gli storici che di fatto Caterina 'obbligò il mondo a riconoscere papa Urbano VI'. Intanto, benché non avesse ancora trentatré anni, lei era distrutta dalla fatica e dalla passione. Sapeva di dover offrire soprattutto se stessa. Pregava: O Dio eterno, ricevi il sacrifizio della mia vita in questo corpo mistico della Santa Chiesa. lo non ho che da dare altro se non quello che tu hai dato a me (Lettera 371)."

"Durante la quaresima del 1380, benché quasi non potesse più camminare, fece voto di recarsi ogni giorno a S.Pietro. (...) E quell'ultimo faticosissimo pellegrinaggio quotidiano è ormai un simbolo: quando giunge nella Basilica che rappresenta il cuore della cristianità, ogni mattina si ferma davanti al mosaico disegnato da Giotto (che allora era al centro sul frontone dei porticato), che raffigura la scena evangelica della navicella sbattuta dalle onde in tempesta, simbolo della Chiesa che sembra andare alla deriva, ma che nulla può sommergere. Era un'immagine che piaceva molto a Caterina: spesso aveva scritto nelle sue lettere: 'pigliate la navicella della Santa Chiesa' (Lettera 357)".

"Così Caterina passò la sua ultima quaresima: soffrendo assieme a quella Chiesa che chiama 'dolcezza dell'anima mia' e aspettando, assieme a lei, il dono della Resurrezione. Non riuscì a completare il voto; la terza domenica di quaresima si accasciò davanti al mosaico, mentre s'era fermata lì in preghiera; le sembrò disse che tutto il peso di quella navicella e dei peccati che portava fosse addossato alle sue fragili spalle. La condussero nella sua celletta in via del Papa (anche i particolari hanno una loro tenerezza) e lì restò immobile per circa otto settimane in una lunghissima agonia. La domenica che precedeva l'Ascensione tutti ebbero l'impressione che subisse una lotta indicibile. La udirono ripetere a lungo: 'Dio abbi pietà di me, non mi togliere la memoria di te' (...) Morì l'ultima domenica di aprile, a trentatré anni, alle tre del pomeriggio (...) dicendo come il Crocifisso: 'Padre, nelle tue mani affido il mio spirito'. Il teologo agostiniano, che Caterina aveva convertito e che l'aveva assistita in punto di morte, non riuscì a predicare al suo funerale. "Balbettò soltanto: 'Non riesco a parlare. Ma non importa. Caterina parla da se stessa!"'



1) Tutte le citazioni sono tratte da: A. Sicari, "Nuovi ritratti di Santi", Ed. Jaca Book, 1991

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Aspetti del linguaggio di Santa Caterina da Siena
di G. GETTO


Dopo aver inquadrata l'ispirazione cateriniana nella cornice della letteratura mistica, il critico esamina alcuni aspetti del linguaggio della Santa, sottolineando in particolare il vigoroso processo di oggettivazione dell'espressione interiore, mediante il ricordo alla similitudine, alla metafora, all'allegoria.

Diremo subito che questo [il linguaggio cateriniano] si accosta, nel suo fondamentale atteggiarsi, a quel tipo caratteristico che si può ritrovare in quasi tutti gli scritti dei mistici. Perché se è vero che il linguaggio mistico in sé è una pura astrazione, e che nella realtà esiste solo il linguaggio di questo o di quel mistico, è però anche vero che esiste un atteggiamento espressivo comune a tutti i mistici, che costituisce come una trama storica che raccoglie in un'unica tradizione stilistica questi scríttori, pur restando poi ancor sempre diverso il modo con cui ognuno si inserisce in essa, e nuovo il contributo di ogni singola individualità. Anche un rapido esame della letteratura mistica permette subito di cogliere quello che è un aspetto costante dell'espressione religiosa, quel gusto cioè delle antitesi, delle metafore, dei termini superlativi, quell'amore del linguaggio figurato (come lo chiamavano i retori della vecchia scuola, distinguendo un parlar proprio da un parlar figurato), gusto che, per esser tipico della letteratura del seicento, è stato da alcuni chiamato barocco. La genesi di tale atteggiamento linguistico è evidente. Essa deve essere ricercata nella natura particolarissima dell'esperienza religiosa assolutamente nuova, intensa ed ineffabile. La corposità, la sensuosità, la stranezza espressiva sono in stretta relazione con la sfuggente realtà spirituale che essi vogliono chiarire e fissare.

Anche Santa Caterina rientra in questa tradizione. Anche per lei si è parlato di barocchismo. Espressione questa che va naturalmente presa in senso metaforico, poiché da un lato il suo linguaggio risente della letteratura religiosa medievale e dei testi biblici, dall'altro esso sorge per un bisogno intimo. Ora tutto starà nel capire come spontaneità e tradizione coesistano, e nel cogliere quindi, insieme alla sincerità dell'ispirazione, il tono particolare di essa.

Fra le caratteristiche essenziali del linguaggio mistico vi è quella che si potrebbe dire la « esteriorizzazione » della realtà interiore e spirituale. In esso gli elementi e le situazioni della vita dell'anima sono oggettivati in concrete entità fisiche mediante elementi desunti dal mondo fenomenico. Anche Santa Caterina, per esprimere la sua intima esperienza sfuggente ed intensa, ricorre al mondo esterno. Perciò i suoi modi espressivi vanno, in una crescente progressione; dalla semplice similitudine alla metafora e all'allegoria: le quali sono pur rivelatrici, nella loro qualità particolare, dell'animo della scrittrice che le usa. Con esse s'introducono nel linguaggio cateriniano in gran numero le più diverse immagini, ricavate sia dalla società umana sia dalla natura.

Un primo vasto gruppo di similitudini è derivato dal mondo umano. Esse sono tutte documento di quella larga simpatia della santa verso gli uomini, che costituisce una delle note più intime della sua personalità. Santa Caterina è lontanissima da quel sentimento ostile o almeno pessimistico di fronte alla società che si trova in altri mistici, e fortissimo ad esempio in Iacopone. Ella si sente legata da un saldo vincolo affettivo agli altri uomini, alle loro cose, alla loro vita, che osserva con cordiale interesse, senza distoglierne con disgusto lo sguardo. Così l'amore di Dio verso la sua creatura è illuminato da lei con questa similitudine: « Dio ha fatto a voi e ad ogni creatura come fa il padre che mette alcun tesoro in mano del figliuolo suo e per farlo grande e arricchito il manda fuora della città sua ».

E Gesú che espia su di sé le colpe degli uomini è da lei assomigliato alla balia:

«Egli ha fatto come fa la balia che nutrica il fanciullo che quando egli è infermo, piglia la medicina per lui perché il fanciullo è piccolo e debile, non potrebbe pigliare l'amaritudine perché non si nutrica altro che di latte».

Questa similitudine efficacissima appartiene in particolare, a quel gruppo di immagini materne, che ritornano assai di frequente, e che sono quasi una eco di quel sentimento della maternità secondo cui si atteggia essenzialmente la sua vita interiore. Bellissima però fra tutte queste immagini umane è quella introdotta per descrivere l'aspetto esterno e insieme la situazione psicologica di Tuldo, il giovane condannato a morte da lei convertito:

«Volsesi come fa la sposa quando è giunta all'uscio dello sposo suo e volge l'occhio e il capo addietro inchinando chi l' à accompagnata e con l'atto dimostra segni di ringraziamento».

È questo uno tra gli accenti più vivi e più delicatamente umani dell'opera di Santa Caterina e tale da illuminare quest'anima che, tutta raccolta nel mondo del «cognoscimento di sé», sa raccogliere a volte tutto un fremito di pulsante vita in una rapida e chiara sintesi degna quasi di un poeta.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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