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Chiarimenti sulla questione delle LEGGI RAZZIALI

Ultimo Aggiornamento: 26/01/2011 22:02
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20/12/2008 14:55
 
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Fango contro Pio XII

di Antonio Gaspari


Antonio Gaspari
, giornalista, dirige "Greenwatch news", agenzia di stampa specializzata su tematiche ambientali. E` il corrispondente da Roma di "Inside the Vatican" e "Zenit". Collabora con importanti periodici cattolici, tra cui "Avvenire", "L'Osservatore Romano", "Mondo e Missione", "Catholic World Report", "National Catholic Register". Da questo numero inizia la sua collaborazione a "il Timone".

Un libro, pubblicizzato in tutto il mondo, accusa Pio XII di avere aiutato
Hitler a prendere il potere. Ma ciò che si vuole colpire non è un Papa:
è la concezione cattolica del papato. L' Osservatore Romano smonta le calunnie.

Nel mese di ottobre 1999, l'editrice britannica Viking ha pubblicato il libro: "Hitler's pope: The Secret History of Pius XII" (Il Papa di Hitler: la storia segreta di Pio XII). L'autore del volume è John Cornwell, fratello del più famoso John Le Carrè, che in realtà si chiama David Cornwell.
Come e gia evidente nel titolo, John Cornwell sostiene che Papa Pio XII era antisemita e che aiutò Adolf Hitler a prendere il potere.
Nella presentazione del volume la Viking ha scritto che si tratta della "storia mai raccontata del più pericoloso uomo di chiesa della storia moderna".
Il libro contiene accuse gravissime contro Pio XII, il quale non sarebbe responsabile solo del "silenzio" nei confronti delle atrocità naziste, ma addirittura avrebbe contribuito alla presa del potere da parte dei nazisti. A giudizio di Cornwell "Hitler non avrebbe mai avuto il potere di perpetrare 1'olocausto senza 1'aiuto di Pacelli".
Cornwell sostiene inoltre che Pio XII era antisemita, narcisista, e il suo pontificato è stato segnato da ambizioni politiche e spirituali, le stesse che "starebbero influenzando il pontificato di Giovanni Paolo II".
Come era ovvio, il libro di Cornwell ha scatenato un'infinità di polemiche. Padre Pierre Blet, che insieme a Angelo Martini, Burkhart Schneider e Robert A. Graham ha curato, su incarico di Papa Paolo VI, la pubblicazione dei dodici volumi: "Atti e documenti della Santa Sede durante la Seconda Guerra Mondiale", ha dichiarato che: "II libro di Cornwell è molto confuso. Non si tratta di una vera analisi storica. Mancano i documenti a sostegno delle sue tesi. Vengono mosse accuse gravissime a Pio XII, senza la prova dei fatti".
Padre Georges Cottier, teologo della Casa Pontificia e presidente della Commissione teologico - storica del Giubileo, ha spiegato che: "Contro Papa Pio XII si assiste ad uno scandalismo continuo, disonesto. Sono ormai quasi quarant'anni che accuse di ogni genere sono riversate contro la memoria del pontefice scomparso nel 1958, ma ogni volta non mi riesce di trovare una spiegazione a questo accanimento".
Padre Peter Gumpel, relatore per la causa di beatificazione di Papa Pacelli, ha scritto che: "Il libro di John Cornwell è scadente, superficiale e poco attendibile, l'autore è così prevenuto, tendenzioso e unilaterale che c'è da chiedersi che cosa lo abbia spinto a scrivere un libro così calunnioso".

La Santa Sede ha risposto indignata alla tesi di Cornwell con una precisazione pubblicata da L'Osservatore Romano in cui la credibilità dell'autore britannico viene totalmente distrutta. Cornwell ha affermato che il suo libro è frutto di mesi di lavoro nell'archivio della Segreteria di Stato. L'Osservatore Romano precisa invece che Cornwell ha consultato l'archivio della sezione per i Rapporti con gli Stati dal 12 maggio al 2 giugno 1997. Ha lavorato per meno di un'ora al giorno per circa tre settimane. Oggetto della sua ricerca sono stati la Baviera (1918-1921), 1'Austria, la Serbia e Belgrado (1913-1915), una documentazione che non ha neanche utilizzato.

Cornwell ha affermato che i documenti da lui e trovati erano stati tenuti strettamente segreti fino a quando egli svolse la sua ricerca. A questo proposito egli sostiene di aver trovato un documento esclusivo e inedito del 1919 che proverebbe 1'antisemitismo di Pacelli. Cornwell parla di questa lettera come di "una bomba a tempo" (Like a timebomb) che sarebbe stata tenuta segreta nell'Archivio Vaticano. In realtà L'Osservatore Romano fa notare che tale lettera (di cui Cornwell cita solo alcune frasi avulse dal contesto) era già stata pubblicata per intera in Italia sette anni fa, nel volume scritto da Emma Fattorini "Germania e Santa Sede - la nunziatura di Pacelli fra la Grande Guerra e la Repubblica di Weimar" (Società Editrice Il Mulino, 1992).
Critiche dure sono state mosse a Cornwell non solo dagli ambienti cattolici ma da storici e studiosi di estrazione diversa.

A questo proposito, Kenneth L. Woodward ha scritto sul settimanale statunitense Newsweek che "errori nel raccontare i fatti e ignoranza del contesto storico appaiono in quasi ogni pagina del libro". Anche 1'autorevole professore ebreo Michael Marrus, storico e preside di Graduate Studies presso 1'Università di Toronto, ha definito il libro di Cornwell "superficiale scandalistico".

Nonostante la qualità scadente e le tante mistificazioni, il libro di Cornwell è stato oggetto di una delle più vaste e diffuse campagne pubblicitarie mai fatte per un volume di questo tipo.
Sembra quindi evidente che "Hitler's pope" sia stato pensato come strumento per gettare fango sulla figura di una grande Papa come Pio XII, anche se questo sembra essere solo il primo degli scopi.
In realtà, il libro di Cornwell non mira solo a diffamare Pio XII. Si tratta di un attacco alla concezione cattolica del papato. Nel libro, infatti, Cornwell protesta contro la nomina dei Vescovi decisa dal Papa. Se la prende con la dichiarazione di infallibilità del Concilio Vaticano Primo e contro la definizione dei dogmi mariani. Cornwell sostiene che tutti i papi sono dittatori. Nell'ultimo capitolo critica Giovanni Paolo II, che a suo giudizio dirige la Chiesa in maniera più autoritaria di Pio XII.

Inoltre, analizzando alcuni commenti positivi al libro di Cornwell, che pure ci sono stati, è esplicita la richiesta di ritardare o addirittura fermare il processo di beatificazione del Servo di Dio Eugenio Pacelli. E proprio quest'ultimo sembra essere 1'obiettivo più significativo che il libro di Cornwell vorrebbe raggiungere. Ma se si vanno a guardare le reazioni della Santa Sede, del mondo cattolico ed anche della società civile in tutti i Paesi dove il libro di Cornwell è stato pubblicato, si ha la netta impressione che questa volta Cornwell e i suoi sostenitori abbiano sbagliato a fare i conti. Sembra proprio vero il detto che dice: "Chi semina vento raccoglie tempesta".

Bibliografia


Pierre Blet, Sl, Pio XII e la Seconda Guerra Mondiale negli Archivi Vaticani, San Paolo, Cinisello Balsamo (Ml) 1999.
Margherita Marchione, Pio XII e gli ebrei, Pan Logos editoriale Pantheon, 1999.
Vitaliano Mattioli, Gli Ebrei e la Chiesa. 1933-1945, Mursia, Milano 1997.
Antonio Gaspari, Nascosti in convento, Ancora, Milano 1999.



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Una suora racconta la storia degli Ebrei “nascosti in convento”
Intervista a Suor Grazia Loparco
ROMA, martedì, 18 gennaio 2005 (ZENIT.org).- Nessuno sa esattamente quanti Ebrei furono nascosti e salvati in Europa dalla Chiesa cattolica. Secondo lo storico ebreo Emilio Pinchas Lapide, già console generale a Milano “la Santa Sede, i Nunzi e la Chiesa cattolica hanno salvato da morte certa tra i 740.00 e gli 850.000 Ebrei” (cfr. E.P. Lapide, “Three Popes and the jews”, Londra, 1967).
Si calcola che in Italia più dell’80% degli Ebrei scampò al genocidio nazista. Solo a Roma la Comunità ebraica ha attestato che la Chiesa ha salvato dalla Shoah 4.447 Ebrei.
Per ricostruire le vicende e documentare una pagina di storia che nel giro di pochi anni andrebbe perduta, a causa della carenza di documentazione scritta e della rapida scomparsa dei protagonisti, l’associazione culturale “Coordinamento Storici Religiosi” (www.storicireligiosi.it), sta conducendo una ricerca sugli Ebrei ospitati nelle case religiose di Roma tra l’autunno 1943 e il 4 giugno 1944.
Intervistata da ZENIT, Suor Grazia Loparco, fma, docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Facoltà “Auxilium”, e vicepresidente dell’associazione, ha spiegato che tale ricerca “costituisce un punto di partenza, in vista di una ricostruzione più ampia, che abbraccia lo stesso fenomeno nel centro-nord Italia, dove l’emergenza assunse connotazioni proprie e più prolungate, e al tempo stesso interessò numeri localmente più contenuti rispetto alla grande comunità romana”.
Quanti Ebrei furono salvati dalla Chiesa cattolica a Roma? E chi li salvò in particolare?
Suor Grazia: La comunità ebraica nel 1943 era costituita da 10.000 - 12.000 Ebrei. Secondo gli studiosi è difficile precisare il numero, tanto più che durante il conflitto altri Ebrei raggiunsero la capitale da altri stati europei, sperando di trovare maggiore sicurezza.
La ricerca avviata nel 2002-2003 consente di accertare un numero minimo di 4.300 Ebrei circa, ospitati nelle case religiose. Sicuramente si tratta di una cifra per difetto, sulla base della prima ricognizione pubblicata da De Felice nel 1961, che riprendeva un articolo della Civiltà Cattolica dello stesso anno, firmato da padre Robert Leiber.
Nella tabella che è stata pubblicata, in caso d’incertezza, ho tenuto il numero più basso. Non sarà possibile arrivare ai numeri precisi, sia perché non tutti i testimoni sapevano distinguere tra gli ospiti chi fosse ebreo e chi no (e il più delle volte furono compresenti anche renitenti alla leva o perseguitati politici), sia perché mancano elenchi nominativi, con rarissime eccezioni. Si aggiunga che talora gli Ebrei non rivelavano la propria identità, o era nota solo ai superiori.
Un ulteriore motivo di imprecisione è dovuta al fatto che la nostra ricerca concerne le case religiose e le parrocchie affidate a religiosi, non le parrocchie affidate al clero diocesano.
Si può supporre con fondamento che almeno la metà degli Ebrei romani trovarono rifugio presso istituzioni ecclesiali. Poco più di mille furono arrestati la mattina del 16 ottobre 1943 e alcune altre centinaia in seguito, soprattutto a causa delle delazioni, poiché per ogni Ebreo segnalato e arrestato si guadagnavano 5.000 Lire, mentre per le donne e i bambini 3.000 Lire.
Gli Ebrei in estremo pericolo, a causa del 16 ottobre 1943, trovarono immediato rifugio presso conoscenti, amici, a volte personale di servizio o commercianti cattolici; case religiose maschili e femminili, fino ai monasteri di clausura che non avrebbero potuto accoglierli senza una dispensa; parrocchie, seminari.
Non sempre però rimasero nello stesso luogo. Diventava molto difficile restare nascosti presso le famiglie private, perciò in molti casi cercarono rifugio nelle case religiose. E anche lì talora si spostarono.
Dopo il nascondimento immediato nei luoghi più centrali della città, vari cercarono di spostarsi verso zone più periferiche, potenzialmente più tranquille. Non di rado religiose e religiosi nascosero gli Ebrei sotto gli occhi dei nazisti, vicinissimi a edifici requisiti.
In che modo era organizzata la rete di assistenza ai perseguitati, e in quale misura il Pontefice Pio XII intervenne per sostenerla?
Suor Grazia: Vari testimoni ricordano le direttive provenienti oralmente da ecclesiastici vaticani circa l’opportunità di aprire conventi e istituti poiché era “l’ora della carità”. E la maggioranza lo fece, nella consapevolezza di non far altro che il proprio dovere, essendo in gioco la vita di persone ingiustamente perseguitate.
C’era la Delasem, un’organizzazione che prestò aiuti economici agli Ebrei in difficoltà, e c’era il mitico padre cappuccino, p. Benoit, che insieme ad altri lavorò nei pressi della Stazione Termini per fornire carte d’identità false e altri documenti, con la collaborazione di religiosi e religiose, oltre che di dipendenti comunali, di giovani di Azione Cattolica. Anche presso le Catacombe di Priscilla ci fu un altro nodo della rete di documenti falsi.
Alcune case religiose ricordano di aver ricevuto viveri dal Vaticano per alimentare gli Ebrei, che non di rado ingrossavano a decine il numero dei membri delle comunità. Ma molte altre volte, soprattutto le testimonianze delle religiose parlano dei grossi sacrifici per condividere il poco che avevano, razionato dalle tessere; il ricorso alla questua e al mercato nero per poter acquisire il necessario.
A volte gli Ebrei potevano pagare una pensione o provvedere direttamente al vitto, e molte volte no. Quasi mai, su migliaia di persone, vennero mandati via per non aver avuto di che pagare per mantenersi. Si aggiunga che l’ospitalità avveniva in modalità differenti secondo la tipologia delle opere: a volte si potevano ospitare interi nuclei familiari, altre volte solo donne e bambini, o uomini e ragazzi, o solo bambini senza adulti. Era importante poter camuffare le presenze tra gli abituali ospiti delle case.
In vari casi tuttavia gli Ebrei furono nascosti in cantine, rifugi sotterranei, stanze occultate, solai, sottoscala, trampetti… potendo uscire per sgranchirsi le gambe e prendere aria solo dopo l’orario scolastico. Trattandosi di ospedali e cliniche erano invece mimetizzati coi degenti.
Per alcune città come Firenze è certo che il cardinal Elia Dalla Costa fornì un elenco delle case religiose a cui gli Ebrei avrebbero potuto rivolgersi. A Roma sembrerebbe che la prontezza degli interventi fosse dettata dall’immediatezza dell’emergenza, a cui fece riscontro anche una rete capillare di collaborazione. Ad esempio il Sacro Cuore dei Salesiani, nei pressi della stazione Termini, divenne un centro di smistamento di gente da collocare, e non fu l’unico.
Dalla documentazione e dalle testimonianze emerge il pieno appoggio, e anzi l’invito di Pio XII, che, seppur solo orale, all’epoca era letto come un ordine autorevolissimo. Molti fatti concreti lo provano, come l’apertura di monasteri di clausura e conventi; il fatto che molti Ebrei venissero ospitati per diretto interessamento del Vaticano; alimenti e altre attività assistenziali fornite dallo stesso.
Non potrei dire di più, poiché è precluso l’accesso sia all’Archivio storico del vicariato di Roma per quel periodo, sia l’Archivio Segreto Vaticano, dove certamente si trova documentazione a riguardo, come lasciano trasparire alcuni indizi reperiti negli archivi degli istituti religiosi.
Nelle scorse settimane ci sono state molte polemiche intorno alla questione dei bambini ebrei strappati dalla Chiesa cattolica alla furia nazista, e poi in alcuni casi battezzati. Può dirci quali erano le direttive Vaticane in merito e quale fu l'incidenza di questo fenomeno a Roma?
Suor Grazia: Nella città di Roma si verificarono dei casi di richiesta di battesimo da parte di adulti e talora di giovani. Rarissimi casi (un solo istituto su centinaia) parlano di battesimi a bambini.
Un esempio può essere indice della mentalità del tempo: una suora racconta che portava con sé la bottiglia dell’acqua quando suonava l’allarme e dovevano nascondersi nei rifugi, perché, in caso di estremo pericolo, avrebbe battezzato i piccoli orfani che le erano affidati. Era la mentalità dell’ extra Ecclesia nulla salus.
Non ci fu bisogno. Invece ci sono testimonianze di Ebrei, all’epoca giovani o ragazzini, che sentirono il pieno rispetto della loro fede; la facilitazione e l’incoraggiamento a pregare secondo i propri usi; talora la condivisione della preghiera di qualche salmo con le religiose, nei casi di pericolo e di paura.
Altre volte si è accennato a una certa insistenza affinché gli ospiti si interessassero alla fede cattolica, al dispiacere che non potessero accedere alla salvezza, alla speranza di una conversione futura. Ma chi difendeva le proprie convinzioni veniva rispettato e non di rado ammirato per la coerenza.
Qualche volta si dissuase qualcuno che chiedeva il battesimo più nella speranza di cavarsela, che per vera convinzione. E rimasero ospiti di case religiose anche alcuni ragazzi che non sapevano dove andare al termine della guerra, fino al completamento della formazione professionale. Ovviamente senza passare per il battesimo.
È certo che il contatto diretto sciolse i pregiudizi residui, reciproci, in molti casi: religiose e religiosi erano pronti a riconoscere qualità umane e morali degli Ebrei che ospitavano. Lunghe amicizie conservate negli anni provano che la stima e la condivisione reale delle ragioni della vita non furono condizionate dall’appartenenza religiosa.


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Una delle cose più ingiuste che c’è stata in questa campagna contro Pio XII è stato proprio un libro di Cornwell, intitolato Il papa di Hitler. Un libro falso a cominciare dalla copertina, in cui si vede Eugenio Pacelli, ancora nunzio apostolico, col suo mantellone arcivescovile, che esce da un portone ai due lati del quale ci sono due soldati tedeschi. Ora, quando il Papa era nunzio non c’era ancora Hitler in Germania, c’era la Repubblica di Weimar, e quei due militari non sono due soldati nazisti ma due guardie della Repubblica di Weimar. Io penso che noi potremmo illustrare una copertina di 30Giorni con la foto di uno di questi due gemelli, che sono nati in quel periodo terribile nella Villa pontificia. È qualche cosa, se volete, di patetico che facciamo, insieme alla nostra preghiera, per un Papa che, indipendentemente dalle procedure canoniche, noi veramente reputiamo un santo
http://www.30giorni.it/it/articolo.asp?id=4133


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MA CHI HA INTERESSE A NON VOLERE LA BEATIFICAZIONE DI PIO XII?
Un figlio della Chiesa di Pio XII rompe il silenzio sulla sua santità
La beatificazione di papa Pacelli torna a dividere. Tra ebrei e cattolici c’è chi la rifiuta. Pietro De Marco la difende. E spiega qual è il vero miracolo compiuto da questo papa

di Sandro Magister


ROMA, 27 gennaio 2005 – Nei rapporti tra gli ebrei e il papato le luci si alternano alle ombre.

Un grande momento di luce è stato, il 18 gennaio, l’incontro in Vaticano tra Giovanni Paolo II e 130 rabbini ebrei di diversi paesi.

La finalità dell’incontro – voluto dai rabbini e organizzato dalla Pave the Way Foundation di New York presieduta da Gary Krupp – era di ringraziare il papa per il suo straordinario impegno nel riconciliare ebrei e cristiani e nel difendere il popolo giudaico fin da quando era giovane prete in Polonia. Dopo avergli detto “grazie” e “shalom” con accento commosso, tre rabbini hanno benedetto Giovanni Paolo II con formule in ebraico e in inglese.

La sera precedente, in una conferenza a Roma al centro Pro Unione, il rabbino Jack Bemporad del Center for Interreligious Understanding ha affrontato la questione di Pio XII e dei suoi discussi “silenzi” sugli sterminii compiuti dai nazisti.

“Pio XII fece quello che giudicava doveroso fare”, ha detto. “Guardiamo a cosa accadde in Grecia, a Tessalonica, dove il 96 per cento degli ebrei furono arrestati e deportati nei campi di concentramento. Lì i vescovi sia cattolici che ortodossi protestarono pubblicamente, e furono arrestati e deportati nei campi anche loro”.

Anche dalla Polonia i vescovi chiesero ripetutamente al papa di elevare una pubblica protesta contro le uccisioni di preti e suore. Ma egli non lo fece. “Dobbiamo quindi supporre che Pio XII fosse anticattolico poiché non condannò i massacri dei cattolici in Polonia?”.

Bemporad ha concluso che è estremamente difficile esprimere giudizi su Pio XII, poste le minacce estreme che dovette fronteggiare. “Non era chiaro nemmeno chi avrebbe vinto la guerra, né se la Chiesa sarebbe potuta  sopravvivere”.

Gli ha fatto eco un altro rabbino della delegazione, Moses A. Birnbaum del Plainview Jewish Center di Long Island, New York: “Non dimentichiamo che numerosi ebrei ringraziarono Pio XII dopo la guerra”. Gli ebrei, ha aggiunto, dovrebbero star fuori dalla discussione sulla possibile sua beatificazione.

* * *

Invece, proprio contro la beatificazione di Pio XII si era espresso pochi giorni prima il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni.

Prendendo spunto da nuovi documenti vaticani apparsi sulla stampa a proposito dei bambini ebrei ospitati negli anni della guerra da famiglie e istituti cattolici – documenti da lui definiti “terribili” – l’11 gennaio Di Segni ha detto all’agenzia Apcom:

“La Chiesa ha tutti i diritti di elevare agli altari chi ritiene opportuno. Semmai il problema diventa nostro, perché se la Chiesa beatifica non fa altro che indicare un modello di perfezione spirituale ai cristiani. Di fronte a una Chiesa che identifica come ideale spirituale un soggetto che ha avuto determinati comportamenti, noi [ebrei] possiamo, come conseguenza, anche decidere se e come dialogare”.

Negli stessi giorni, contro la beatificazione di Pio XII – avviata da Paolo VI nel 1965 – si era pronunciato anche lo storico cattolico Alberto Melloni, dell’Istituto per le Scienze Religiose di Bologna fondato da don Giuseppe Dossetti e presieduto da Giuseppe Alberigo. Ha scritto sul “Corriere della Sera" del 9 gennaio:

“Un processo [di beatificazione] non è un dogma al quale dovrebbero piegarsi preventivamente gli storici, i cattolici e soprattutto gli ebrei, per non ostacolarne lo sviluppo”.

Pio XII, a giudizio di Melloni e Alberigo, fu “un papa solitario e calcolatore, nella cui figura gli elementi politici dominano per logica interna”.

Curiosamente, però, sull’ultimo numero della rivista diretta dagli stessi Alberigo e Melloni, “Cristianesimo nella Storia”, compare un saggio di Kenneth L. Woodward che registra i giudizi unanimemente positivi su Pio XII che comparvero sulla stampa in lingua inglese dopo la sua morte nel 1958.

“Per esempio – scrive Woodward – un editoriale del ‘New York Times’, oggi uno dei più impegnati forum delle critiche a [papa Eugenio] Pacelli, esaltò il papa per il suo opporsi ai nazisti [...] e ne descrisse l’intensa spiritualità”. L’unica critica che il più critico dei giornali dell’epoca, il liberal ‘The Reporter’, rivolse al papa defunto fu “d’aver trascurato di riempire i vuoti nel collegio dei cardinali”.

Woodward aggiunge che perché i giudizi su Pio XII cambiassero “bisognava aspettare altri cinque anni e la pubblicazione [nel 1963] del dramma di Rolf Hochhuth, ‘il Vicario’, generalmente considerato come l’evento che ha precipitato i mutati e largamente negativi pronunciamenti su Pacelli dei giorni nostri, almeno in alcuni ambienti”.

* * *

Insomma, Pio XII continua a essere segno di contraddizione, dentro la Chiesa cattolica e fuori. E lo sarebbe ancor più qualora fosse proclamato beato.

Ma dietro la cortina delle polemiche, rischia di sparire il Pio XII autentico. E resta inafferrabile la sua santità.

Nella nota qui sotto Pietro De Marco – che è stato figlio della Chiesa di Pio XII – penetra oltre questo muro di incomprensione e traccia di questo papa un profilo libero dagli schemi. Libero e liberante.

Pietro De Marco, specialista in geopolitica religiosa, è professore all’Università di Firenze e alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale. Ha scritto questa nota per www.chiesa:


Per una valutazione di Pio XII

di Pietro De Marco


La mia formazione cristiana è avvenuta nella Chiesa di Pio XII. I miei parroci, i miei insegnanti di religione erano uomini della Chiesa di Pio XII. Non mi fu trasmesso alcun atteggiamento antisemita, a meno che non si debba ritenere che Credo, Catechismo, Messa, Vangeli lo fossero o lo siano. Ho pregato per anni ogni venerdì santo per i “perfidi Judaei”, sapendo fin da giovane che “perfidus” significa nel latino cristiano “incredulo”, rispetto al Cristo.

Il mio insegnante liceale di religione e mio direttore spirituale – mio e di tantissimi altri a Firenze – fino alla sua morte, don Raffaele Bensi, era un prete della Chiesa di Pio XII, per quanto formato al sacerdozio nei due pontificati precedenti. Egli fu prete della Chiesa di Pio XII anche nell'intensa azione di aiuto ad ebrei e uomini della Resistenza svolta durante la guerra.

Da don Bensi ho però appreso che, con lo stesso coraggio e libertà con cui la Chiesa cercò di aiutare resistenti ed ebrei, essa intese salvare la vita anche agli uomini della parte opposta, quando sconfitti diventarono bestie cui dare la caccia.

La Chiesa di Pio XII era ancora la Chiesa sovrana nel proprio giudizio sulla storia, nelle decisioni che investono i propri uomini, negli orizzonti di scelta ultima cui questi vengono chiamati. Può sbagliare, negli uomini come in questo o quell’atto o giudizio; ma trae capacità di giudizio e di giurisdizione dal proprio fondamento soprannaturale: e in ciò nessuna istanza diversamente fondata può sostituirla o vincolarla. Questo è il senso della sua “perfectio”, che è strettamente connessa al martirio, poiché la collisione con altri poteri – anche i più legittimi – è certa.

Aggiungo che l'umanità provata e consapevole che uscì dalla guerra e dalla sua catena di ritorsioni e massacri capiva il senso di questo illimitato e sovrano esercizio della carità (anzi del perdono) della Chiesa, per cui il giorno prima si era salvato un partigiano e il giorno dopo si volle sottrarre all'esecuzione sommaria il tedesco o il fascista. Diritto di asilo, diritto di legare e sciogliere, segno della superba e mite giustizia di Dio.

Don Bensi ci parlò con ammirazione e, insieme, distacco del libro “Esperienze pastorali” del “ribelle” don Lorenzo Milani. Ma lo stesso Milani, forse il suo figlio prediletto, era nato prete e restò sempre nella dialettica austera, difficile, virile, della Chiesa di Pio XII; non fu mai "conciliare". Anche Bensi era insofferente su mode e risonanze della stagione conciliare; ci insegnò a tenere la mente e il cuore vigili su parole d'ordine, su “svolte” e "conquiste", sempre equivoche in una tradizione religiosa.

Così, anche nella mia stagione di giovane cattolico legato ai progetti di “reformatio Ecclesiae” e molto vicino alla sinistra politica – gli anni Sessanta e Settanta, per capirci – una trascendenza non spiritualistica della Chiesa e il suo primato ultimo sulla città degli uomini sono rimasti per me dati irrinunciabili. Un primato anche “sociale”, nel senso proposto da Henri De Lubac in “Catholicisme”. La Chiesa-istituzione come forma irrinunciabile di manifestazione del Santo.

Assieme alla Chiesa-istituzione e a Roma che la rappresenta, neppure il “bianco Padre” della mia adolescenza è stato mai cancellato in me da svolte o rivolte. Il mio legame cattolico con papa Pio XII ha resistito alla prova degli anni Sessanta. L'aggressione contro di lui compiuta dal “Vicario” di Hochhuth mi parve – e mi pare ancora – spregevole; ma in verità parve così a quasi tutti, anche nel mondo cattolico progressista. Va detto, però: le persone nate come me nel periodo della guerra, se non sono state poi ideologicamente “rifatte”, conservano un ineguagliabile senso della complessità della vita quotidiana e della storia, e una insofferenza antiretorica. Anzi, conservano un senso e un bisogno di verità che poco ha a che fare con l'astratto infierire, sia venti sia sessant'anni dopo, su vicende nel frattempo diventate incomprensibili, anche quando meglio note nei dettagli.

Non si sarebbe salvato dalla riprovazione di don Bensi chi gli avesse detto che Pio XII doveva "parlare", "testimoniare", "incarnare la Parola". Il “bianco Padre” fece ciò che la sua coscienza gli ordinò: ed era la coscienza di un papa, cioè di un responsabile vero e non retorico della Chiesa universale e della salute spirituale e in quel momento fisica di tanti uomini. Pio XII volle e seppe evitare d'essere impedito di agire. Ed entro lo spazio di guida, di governo, così salvato, operò realmente per il bene di molti, credo in misura enorme.

Il confronto con Gandhi – nuovamente proposto in questi giorni – è insostenibile. La Chiesa, il popolo cristiano, non sono una nazione, non si mobilitano come una grande etnia; l'esercito tedesco di occupazione non è paragonabile alle truppe inglesi; i capi britannici non erano le SS. Papa Eugenio Pacelli non ebbe decenni davanti a sé, ma una scansione serrata di giorni ognuno dei quali poteva essere l'ultimo per il suo governo. Né Gandhi – mi arrischio a dire – ha la complessità di un santo cristiano; in lui circola dall’inizio il vangelo semplificato di Tolstoi. È insensato immaginare il papa alla testa di una manifestazione non violenta in piazza San Pietro, in un qualsiasi giorno del 1943. Tale esibizione, posto che fosse pensabile dalla mente rigorosa di Pio XII, non avrebbe sgomentato l’alto comando tedesco.

Furono invece la impenetrabile nitidezza e la capacità di governo di papa Pacelli a fermare Hitler davanti ai cancelli della Città del Vaticano. Su Hitler non potevano avere successo le parole ma lo ebbero, probabilmente, sia l’evidenza del legame tra il Vicario di Cristo – sì, il Vicario! – e il suo popolo universale, ovvero uno straordinario fatto di carisma politico-religioso, sia il timore che porre le mani sul pontefice avrebbe avuto su di lui, Hitler, una portata delegittimante, sconsacrante, non solo presso i popoli cattolici.

Insomma, l'unico fondamento e l'unico spazio di azione politica rimasto a Pio XII di fronte a Hitler era la propria persona, come “corpo del papa”, e il proprio carisma d'ufficio. Li volle e li conservò liberi e operosi, per quanto gli fu possibile. La libertà di Pacelli fu la residua “libertas Ecclesiae” e questa rappresentò, e salvò, la vita di molti.

Troppo semplice è pretendere oggi – magari chiamando a controesempio il sacrificio di padre Kolbe – che Pacelli, in quel frangente, andasse incontro al personale “martyrium”. Il martirio sarebbe stato solo una liberazione dagli oneri dell'ufficio, dall'esercizio quotidiano del carisma. Ho riletto ancora una volta l'”Assassinio nella cattedrale” di T.S. Eliot. Pubblicato e rappresentato nel 1935, non so se Pacelli lo conoscesse allora. Poco prima della morte il protagonista, Tommaso Becket, affronta le antiche tentazioni (beni indegni ma concreti, “real goods, worthless but real”, come egli dice) e le nuove, presentate all’arcivescovo dall'estremo Tentatore, se stesso. Di fronte alla tentazione ultima, quella della santità certa mediante il martirio, Tommaso esamina e sceglie il subire, ovvero il non-agire: né andare incontro né sottrarsi al martirio.

Pacelli scelse l'agire. Ma tra lui e Becket vi è differenza. Tommaso per risarcire il sangue e il vuoto lasciato a Canterbury dalla propria, indifesa, offerta di sé agli assassini può rinviare al papa. Ma Pacelli “è” il papa, e non vi è altra istanza ordinatrice superiore a lui sulla terra.

In Pio XII si manifesta, dunque, l'eroicità di chi opera nell’estrema responsabilità, nel caso d’eccezione: è la santità della roccia, la meravigliosa santità cattolica che sgorga dalla decisione e non dall'omelia. Santità che, magari dopo il tormento, sa di non potersi arrestare al tormento e all'indecisione.

Il miracolo di Pio XII è la casa sulla roccia (Mt 7, 24) che egli conservò integra nel silenzio e in virtù del silenzio, capace perciò di ospitare e proteggere, laddove le parole l'avrebbero distrutta.

Certo, Pacelli niente ha a che fare, anche per la sua nascita aristocratica, con la “clasa discutidora” dell’invettiva celebre di Donoso Cortés. Della pericolosa vacuità della chiacchiera rivoluzionaria Pacelli aveva già avuto esperienza da nunzio in Germania, a Monaco, nel 1919.

Razionalità, incarnazione nel ruolo di guida – “pasce oves meas” –, opere: anche per tutto questo il "dolce Cristo in terra" guardò l'orrore con occhi che nella mia mente non assomigliano, per fortuna, a quelli delle reincarnazioni cristiche dostoevskiane che piacciono ai letterati. Un modello di santità né sorridente, né utopizzante, né sacrificale.

Per questo, anche, è ricchezza per noi – ed è un dono della “complexio oppositorum” cattolica – che la santità di Pio XII sia così, e che la Chiesa intenda proporcela. Sugli altari, sarà un altissimo modello di responsabilità e razionale rigore carismatici, dei quali abbiamo un tremendo bisogno.


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Su Pio XII, in questo sito:

> Tutti i segreti dell’Archivio Segreto Vaticano (18.1.2005)

> Silenzio. Il papa non parla (22.5.2002)

> La sassata di Davide colpisce Pio XI e Dossetti (28.2.2002)

> Revisioni. Paolo Mieli difende Pio XII (26.6.2001)

> Un nuovo libro su Pio XII e gli ebrei. E un rabbino scrive... (26.2.2001)

> Ebrei e Pio XII. Il papa tenetelo in valigia (diplomatica) (10.1.2001)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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