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SACRA LITURGIA: Basta con la creatività distruttiva! LA LITURGIA FERITA

Ultimo Aggiornamento: 16/04/2011 11:09
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16/04/2011 11:09
 
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Non è la prima volta che sentiamo forti APPELLI atti a richiamare l'attenzione verso la "creatività liturgica" denunciata soprattutto da Benedetto XVI in diverse occasioni...
e che ancora si facciano questi appelli noi ne siamo grati!

Invitandovi a leggere con attenzione gli interventi di mons. Nicola Bux che trovate qui raccolti:
Mons. N. Bux: La riforma Liturgica e il Concilio Vaticano II 

ci piace sottolineare l'ultima recente intervista da lui rilasciata e che ripercorre senza indugi LE INTENZIONI DI RIFORMA DEL SANTO PADRE....ancora una volta ci chiediamo perchè tanti parroci e vescovi sono così OSTINATI nel non procedere con quella CORREZIONE FRATERNA atta a ristabilire IL VALORE E LA VIRTU' DELL'OBBEDIENZA vera al Pontefice e fioriera di vera unita' e concordia nelle varie Diocesi?
Suvvia!!!! BASTA CON LA CREATIVITA' LITURGICA!!! la Santa Messa ha un CANONE che deve essere rispettato ed eseguito alla lettera, la Santa Messa NON è un teatrino dove esibirsi, non è palcoscenico, non è ricreatorio, NON E' RISTORANTE, non è discoteca.... non è l'oratorio...

Leggendo la seguente intervista, vi invitiamo a leggere anche i link in essa collegati....


don Bux Don Bux, collaboratore del Papa: senza forma non esiste la liturgia
L'intervista: sull'adeguamento liturgico ci sono state cattive interpretazioni

di Andrea Zambrano

REGGIO EMILIA (6 aprile 2011) - "Le chiese devono essere luoghi di culto, non auditorium". E’ questo il giudizio di fondo che il consultore dell’ufficio delle celebrazioni del sommo pontificie don Nicola Bux dà di molti adeguamenti liturgici operati in molte chiese negli ultimi anni. Don Bux sarà protagonista giovedì sera alle 21 dell’incontro promosso nella Sala del Capitano del  Popolo dalla delegazione Emilia Occidentale dell’Ordine di Malta, con Italia Nostra, il Museo dei Cappuccini e il circolo Frassati di  Correggio e chiamato “Liturgia romana e arte sacra fra innovazione  tradizione”. Con Bux, ormai una conoscenza di molti fedeli (è la terza volta che viene nel Reggiano in pochi anni), parleranno anche don Enrico Mazza e l’ex sovrintendente Elio Garzillo.
Sarà inevitabile toccare anche il tema dell’adeguamento liturgico della Cattedrale di Reggio dopo il complesso restauro architettonico degli anni scorsi. Il GdR ha intervistato in anteprima don Bux, collaboratore di Papa Benedetto XVI non solo sui temi della liturgia, ma anche nella Congregazione della dottrina della fede.

Don Bux, che cos’è l’adeguamento liturgico?

E’ un’espressione coniata negli anni dopo il Concilio Vaticano II per indicare i lavori ritenuti necessari affinché le antiche chiese potessero essere più idonee alle celebrazioni secondo la forma rinnovata del rito Romano.

E quali risultati ha prodotto?

L’adeguamento è partito con l’intento di operare quei ritocchi per favorire la celebrazioni dei sacramenti, ma si è imposto soprattutto il tema della messa celebrata con l’altare verso il popolo. Un adeguamento vistoso del quale si è abusato.

Perchè?


Perchè lo stesso messale non dice mai che il celebrante non deve essere di spalle al popolo. E questo è dimostrato dal fatto che per ben tre volte, subito dopo l’offertorio, nell’ecce agnus Dei e nella benedizione finale si prescrive che il sacerdote si rivolga al popolo. Ne consegue che durante la celebrazione l’orientamento deve essere un altro.

Cioè spalle al popolo...

Non propriamente. Questa è una male interpretazione dello stesso messale di Palo VI e una forzatura che ha fatto si che si pensasse che dare le spalle al popolo fosse un atto di maleducazione. Come dire: “Scusate la spalle”.

Dunque?

Dunque è una questione di orientamento verso il Signore che viene. Ecco perchè la tradizione ci ha consegnato le celebrazioni con il sacerdote e i fedeli entrambi rivolti ad oriente, simbolo del Signore che viene e successivamente indicato nella croce. In sostanza il rivolgersi al popolo era indicato come una possibilità.

Così la critica principale è che il sacerdote non è in comunione con i fedeli...


Infatti Benedetto XVI, già da cardinale insisteva sul fatto che se il popolo è rivolto al crocifisso e con lui il sacerdote, tutti rivolgono lo sguardo a Cristo, che è l’aspetto centrale della liturgia. Come diceva Ratzinger con il sacerdote fronte al popolo si chiude il cerchio all’incontro con il Signore.

Come si può risolvere la questione?

Come ha giustamente proposto il Santo Padre, sarebbe opportuno che con la stessa posizione, si inserisse una croce sull’altare in modo che tutti possano avere in primo piano il soggetto centrale della liturgia: Cristo che viene. E’ bene che i sacerdoti sappiano spiegare che la loro posizione deve essere funzionaleall’orientamento della celebrazione.

Quali altri temi toccherà domani?

L’incontro è promosso dal desiderio di molti laici, preoccupati che il cosiddetto adeguamento non vada in collisione con il rispetto della tradizione. In questo caso nella Cattedrale di Reggio anche con l’aiuto del professor Mazza si vuole cercare di offrire gli strumenti per capire che è il popolo che si deve adeguare alla liturgia e non il contrario.

Un tema dibattuto a Reggio è quello della sede episcopale, portata giù dal presbiterio e davanti all’assemblea...

La sede non è l’elemento più importante in un edificio sacro. Prima vengono l’altare, la croce e il tabernacolo, che sono il segno della presenza divina permanente in mezzo al popolo. Per importanza, dopo l’ambone, quello che una volta era chiamato pulpito o pergamo e che era funzionale a stare in mezzo all’assemblea per ragioni acustiche, c’è la sede della presidenza.

Ma dove deve essere collocata?

Nelle chiese primitive siriache, eredi delle sinagoghe la sede era in testa all’assemblea, come oggi avviene quando a teatro si riserva la poltrona centrale all’autorità. Ben presto la sede di chi presiede è stata posta in testa all’assemblea a sinistra o a destra in una posizione di raccordo tra l’assemblea e l’altare.

Qual è la posizione ideale?

In testa alla gradinata, come ancor oggi fanno gli orientali che mettono la sede del patriarca in testa all’assemblea, ma non frontale. E’ bene poi che i posti dei fedeli non siano trasversali o diagonali, ma guardino tutti con un unico sguardo.

Dunque sul presbiterio, non in basso?

Il luogo dei sacerdoti e del vescovo è il presbiterio, lo dice il nome stesso. Il fatto che la sede sia posta in basso confonde le idee.

Le potrei obiettare che anche il vescovo fa parte del popolo di Dio...


E’ vero, ma anche la tradizione ha un suo peso. Non bisogna cadere nel populismo. Lo stare insieme ai fedeli non dipende dalla posizione.

Quanto pesa in questo discorso l’accusa di eccessivo formalismo?

Una cosa è la forma, un’altra il formalismo. Senza una forma la liturgia non esisterebbe e la sostanza sarebbe deforme. Il parlare di formalismo invece è un po’ ideologico e riduttivo. Ultimamente è in uso parlare di poli liturgici. Ebbene, nel rito romano deve prevalere l’unità.

Un altro tema scottante è l’assenza di inginocchiatoi...


Un’altra stranezza a cui si assiste talvolta. La liturgia prescrive di inginocchiarsi in certi momenti della messa. Il fatto è che il disincentivare l’inginocchiarsi rischia di ridurre la Chiesa ad un auditorium o la liturgia a intrattenimento. Invece il Papa ci ricorda che la liturgia è adorazione e il suo segno esteriore più visibile è proprio il mettersi in ginocchio.

Quanto conta nelle chiese la conservazione di manufatti artistici e l’introduzione di nuove opere moderne?


Ci vuole sempre del gusto nelle cose. Stranamente oggi si tende a musealizzare tutte le bellezze e gli  arredi, ma le cose vanno in un museo se non sono più fruibili. In molti casi invece arredi e suppellettili sono espressione della pietà del popolo e dei sacrifici che sono stati fatti per introdurli. Sempre che parliamo di oggetti che servano non per la nostra gloria personale, ma per quella di Dio. La stessa cosa vale per i paramenti. A volte il sacerdote mette o toglie paramenti a seconda del suo gusto o della sua comodità, come se fosse un abbigliamento privato. In realtà sono l’espressione dell’oggettività del rito che viene affidato al ministro, anche se indegno moralmente.



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mons. Nicola Bux: basta con le chiese-teatro

di Andrea Zambrano
12-04-2011



«Rivediamo le norme sull'adeguamento liturgico delle chiese». L'appello, fatto in forma di invito al dibattito, è rivolto alla Cei da don Nicola Bux, consultore dell'Ufficio delle celebrazioni del Sommo Pontefice e della Congregazione per la Dottrina della fede.

Il sacerdote barese ha fatto la sua provocazione giovedì sera nel corso di un dibattito a Reggio Emilia davanti ad una platea di oltre 200 persone. Quali e quanti sono stati gli abusi che hanno portato tanti fedeli a ricercare la forma liturgica more antiquo? Quanto ha inciso in questo processo di allontanamento dalla messa l'aver voluto privilegiare l'aspetto della parola rispetto a quello del sacrificio?

Sono alcune delle domande che don Bux ha posto al pubblico per suscitare una discussione che deve essere franca, pur nella carità, ma che, soprattutto, ha spiegato anche alla “Bussola quotidiana” che lo ha intervistato, “devono farci riflettere su quello che ha voluto dirci il Papa con il Motu Proprio e con la prossima pubblicazione dell'istruzione con il quale applicarlo”.

Don Bux, andiamo con ordine. Si incomincia con i dibattiti e poi non si sa dove si va a finire...

- Ma non possiamo pretendere di dialogare con gli altri se non sappiamo farlo tra di noi. Sono stato invitato a Reggio nel contesto della vivace discussione che si è innestata in città a seguito dell'adeguamento liturgico della Cattedrale. E ho trovato tanta gente che chiede e desidera di sapere e dire la sua. Ecco, credo che nessun vescovo dovrebbe fare nulla senza aver ascoltato prima il popolo di Dio. Insomma, un dibattito è più che mai necessario.

Proviamo a orientarci. Siamo in un contesto dove gli abusi liturgici ormai sono la prassi. Che si fa?

- Riconosciamo che in parte sono stati responsabili dell'allontanamento dalla fede di tanti.


Dopo di che?

- Credo che si debba partire da un aspetto ormai tralasciato della messa: quello sacrificale. Nell'ultimo libro del Papa leggiamo che dalla trafittura del costato escono sangue e acqua. Questo ci richiama che Gesù è venuto non solo con l'acqua, ma anche col sangue. Benedetto XVI allude a una corrente di pensiero che attribuiva valore soltanto al battesimo, ma accantonava la croce e considerava solo la parola, la dottrina, il messaggio e non la carne.

Ebbene?

- Quanti confratelli conosco oggi che dicono che basta solo la parola, che la parola è centrale! Tutto questo tende a creare un cristianesimo del pensiero e delle idee che vuole togliere la realtà della carne e il sacrificio.


Che cosa c'entra tutto questo con la liturgia?

- C'entra perchè oggi si celebra la messa intendendola come banchetto, come cena e viene assolutamente trascurato il solo pensiero che la messa possa essere il sacrificio di Cristo.


È un tema ormai annoso, ma oggi qual è l'urgenza?

- La liturgia non è più solo quella post conciliare. Il Santo Padre ha ripristinato anche quella pre conciliare. Significa che non si può pensare ad un adeguamento delle chiese che non tenga conto anche della liturgia ripristinata, la quale prevede che la celebrazione della messa si possa fare rivolti ad Dominum e non di spalle, come maliziosamente si è cercato di far passare.
 

Un momento. Prima gli adeguamenti e adesso i contro-adeguamenti?

- Questo aspetto può essere compreso solo all'interno del grande simbolismo, che l'edifico sacro cristiano possiede. La Chiesa è simbolo del cosmo ed è composta di elementi indefinibili e sensibili, allo stesso modo la chiesa, in senso di edificio, è simbolo dell'uomo composto di un corpo rappresentato dalla navata, da un'anima, il presbiterio e da uno spirito, l'altare, secondo la simbologia dei padri orientali.


Ma questi sono elementi che, più o meno, sono rispettati dappertutto...


- Non ne sarei così convinto. Da circa 40 anni, dopo il congresso di Bologna promosso nel '68 dal cardinal Lercaro, è andata avanti una forma di chiesa a teatro, dove tutti coloro che prendono posto si guardano tra loro. Che non siano rivolti più, insomma, verso un punto comune. Lentamente questa impostazione ha preso piede e ha portato alla perdita di orientamento della celebrazione che, lo ripetiamo, non ha come suo centro il popolo né, tantomeno, il sacerdote, ma il Signore, rappresentato dall'Oriente e successivamente dal Crocifisso.



Che piano piano ha perso la sua centralità...

- Di più. Non ha più un punto fermo, è in movimento continuo, è una suppellettile secondaria. Alcuni confratelli sostengono che la croce è inutile per celebrare. Il fatto è che tutto ciò che spostiamo dal nostro centro visivo, dal punto di vista psicologico perde di importanza e se perde d'importanza la croce avviene lo stesso anche per l'altare, che diventa un podio da conferenza.


Che fare allora?

- Ripartiamo dal discorso di Benedetto XVI alla Curia romana sulle due ermeneutiche del Concilio Vaticano II. Va applicato anche alla liturgia e all'arte.

Lei sceglierebbe quella della continuità? Però il suo, sembra essere un discorso di rottura con quanto avvenuto negli ultimi 40 anni.

- Partiamo anzitutto dal fatto che la Costituzione Sacrosantum Concilium dice: “Non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera ed accertata utilità, con l'avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche modo, da quelle già esistenti (n° 23)”. E' la dimostrazione che il Concilio non ha avuto un'azione così dirompente. Eppure abbiamo affidato le nostre chiese alle archistar, senza preoccuparci se sono credenti e dunque interpreti della fede che si vuole esprimere nell'opera.


Aiuto. Pioveranno critiche...

- (Ride) Ho posto il quesito in occasione del seminario con sua eminenza il cardinal Gianfranco Ravasi nel luglio scorso in un seminario. Gli ho detto: “Ma come? Chiediamo ai genitori dei bimbi che fanno i sacramenti di scegliere padrini credenti e poi per l'edificio sacro che viene consacrato con un ritto simile a quello dell’iniziazione, con l’unzione del crisma, quasi fosse una persona, ci permettiamo di affidarne la progettazione a chi spesso non sa neanche che cosa sia la fede cattolica?”.

Com'è andata?

- Sua eminenza è stato molto attento. Ho proposto che certe opere andassero nel “Cortile dei gentili”!


Intanto però, là, in chiesa il problema rimane...

- Il richiamo all'arte sacra ci deve far capire l'urgenza di riscoprire i canoni dell'arte anche perché il popolo per sua natura rigetta ciò che gli è estraneo. Prenda la croce di Pomodoro in San Giovanni Rotondo. E' già stata rimossa e sostituita con un crocifisso tradizionale. O anche a quello che sta succedendo a Reggio. Si vuole portare una scultura di un artista giapponese che sostituisca il crocifisso: una barca sormontata da un albero. Non credo che avrà molto seguito della devozione del popolo, che tra l'altro, spesso paga e fa sacrifici per sostenere certe spese.


Che cosa propone?

- Dovremmo rimettere in discussione le norme di adeguamento degli edifici di culto promulgate dalla Conferenza Episcopale Italiana nel '96. Soprattuto adesso, in presenza del motu proprio "Summorum Pontificum" e dell'istruzione applicativa di imminente pubblicazione, ritengo che sarà necessario rivederle. In merito, c’è già uno studio di un professore dell’Istituto di Scienze religiose della Diocesi di San Severo, don Matteo De Meo, che meriterebbe di essere conosciuto dall’ufficio competente della Cei.


La accuseranno di eccessivo tradizionalismo...

- Ma le norme ecclesiastiche rivedibili e andrebbero riprese ed esaminate per dare ai sacerdoti e ai fedeli, alla luce dell'evoluzione del Magistero, la possibilità di sentirsi a casa propria.


Un modo allora per porre un limite agli abusi liturgici?


- Mi è piaciuta una domanda fatta da un sacerdote l'altra sera: “Tutti questi cambiamenti hanno fatto avvicinare la gente alla fede o no?”. Le statistiche dicono di no.
Ecco, penso che mai come in questi decenni siamo stati interessati da documenti del Magistero, da Paolo VI ad oggi, che puntano a limitare gli abusi. Eppure siamo di fronte a messe show, alla scomparsa degli inginocchiatoi, che tra l'altro, costringe il fedele a venir meno al primo compito della messa, quello dell'adorazione. E ancora: ai sacerdoti che si vestono secondo il loro gusto personale, come se i paramenti non fossero l'oggettività del rito che viene affidato ad un ministro, anche se indegno. In questo modo la messa è puro intrattenimento e la chiesa un auditorium.


Perché allora non cambiare le norme dall'alto?


- Le faccio questa similitudine. La liturgia cambia nei secoli, come il paesaggio. Anno dopo anno, secolo dopo secolo, quell'albero, quel prato, quella spiaggia, mutano impercettibilmente il loro aspetto. Che però cambia. E quando introduciamo degli ecomostri, che deturpano questo aspetto, ci scandalizziamo. Allo stesso modo è la liturgia. Quando il cambiamento è stato fatto a forza di decreti sono scoppiati i tafferugli ed è successo che, dopo 40 anni, quello che si pensava sotterrato come Giona nel ventre della balena, sta tornando fuori.







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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