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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Il RITORNO all'Eucarestia IN GINOCCHIO

Ultimo Aggiornamento: 30/08/2015 23:56
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... ogni ginocchio si pieghi davanti AL SIGNORE (san Paolo)





Panis Angelicus

di Sua Eccellenza Reverendissima

Monsignor Andrea Gemma*

 

CITTA’ DEL VATICANO - Ha suscitato vivo interesse il fatto che il Santo Padre Benedetto XVI, nelle ultime pubbliche celebrazioni, abbia voluto dare un ulteriore segno della sua preoccupazione a che la celebrazione Eucaristica e il culto che ne deriva abbiano quella centralità e quel decoro che l’augustissimo Sacramento esige.

 

Egli, infatti, ha disposto che quanti hanno il privilegio di ricevere dalle sue mani il Corpo del Signore lo facciano devotamente in ginocchio. Non c’è bisogno di ricordare che tutte le Chiese cattoliche, fino al Concilio Vaticano II, avevano la cosiddetta “balaustra”, spesso preziosa opera d’arte.

 

A questa i fedeli che accedevano alla Santa Comunione si inginocchiavano per ottenere dal Sacerdote la Sacra particola. Altro segno evidente di grande devozione era il piattello metallico che passava di mano in mano e ciascuno, nell’atto di ricevere la Comunionecollocava sotto il mento al fine di evitare qualsiasi dispersione di frammenti.

 

In realtà, il Concilio e la sua riforma liturgica, attuata dal famigerato “Consilium ad exsequendam…”, nulla avevano detto a riguardo, per cui non sono mai mancati sacerdoti che hanno continuato nell’uso invalso.  Ora, il fatto che il Papa dia l’esempio di una più esigente forma di partecipazione e di devozione dei fedeli alla Santa Comunione, senza peraltro impartire disposizioni generali, sembra essere un chiaro invito a ritornare alla prassi antica o, perlomeno, a rivedere certi atteggiamenti piuttosto disinvolti che appannano la grandezza della Santa Eucaristia, “fonte e culmine di tutto il bene della Chiesa”.

 

È capitato anche - e il sottoscritto ne è stato testimone nella sua Chiesa - che qualche fedele, intimamente spinto dalla sua personale devozione, abbia voluto ricevere l’Eucaristia mettendosi in ginocchio: non gliel’ho mai impedito. Che il Cardinale Joseph Ratzinger, ora Benedetto XVI, abbia fatto della liturgia e della sua celebrazione oggetto di particolari ed approfonditi studi, consegnati in altrettante pubblicazioni, piene di saggezza teologica, spirituale ed ascetica, è noto a tutti. È evidente che il Papa voglia essere coerente nei suoi atteggiamenti a ciò che ritiene assolutamente confacente all’altissimo Mistero.

 

Chi non ha visto il suo atteggiamento reverenziale e di profonda devozione nell’ultima Solennità del Corpo e Sangue di Cristo a Roma? Non pensiamo che egli voglia imporre a tutta la Chiesa con una nuova normativa, qualcosa che mostra di avere molto a cuore. È’ certo tuttavia che il suo esempio diventa per i pastori ed i fedeli un monito, una raccomandazione, un motivo di seria riflessione.

 

Abbiamo notato tutti come nella celebrazione dei Divini Misteri presieduti dal Santo Padre sia cambiato qualcosa nel senso che stiamo evidenziando. Non per nulla, in qualche occasione, Benedetto XVI non ha mancato di riferirsi alla dignità della celebrazione. È’ avvenuto nella Messa del Giovedì Santo di quest’anno e dell’anno scorso. Egli, inoltre, ha detto che gli sta a cuore che Roma in questo sia esemplare.

 

Starà ad ognuno di noi trarre da tutti questi accenni, scritti, parole e atteggiamenti le dovute conclusioni perché il culto Eucaristico, nella celebrazione e nella susseguente custodia ed adorazione, risplenda per una coerente chiarezza.

 

Se non andiamo errati, certe intemperanze celebrative di un rinomato gruppo ecclesiale sono state oggetto di giusta riprensione dai vari Sommi Pontefici e di vescovi, e c’è da sperare che l’approvazione recente del rispettivo statuto, sapientemente corretto, metta finalmente le cose a posto, di modo che i fedeli - tutti, anche quelli appartenenti a gruppi determinati - sentano la necessità di una piena adesione alle norme liturgiche, vivificandole con un senso di profonda devozione.

 

Noi siamo convinti che l’aspetto conviviale della “Santa Cena” non potrà mai minimamente oscurare il tremebondo rispetto dovuto all’augustissima Presenza. Grazie a Benedetto XVI, il quale, con la solita semplicità e umiltà, non nasconde la fermezza con cui esige quanto l’insegnamento costante della Chiesa ha sempre inculcato.

 

*Vescovo di Santa Romana Chiesa

 

http://www.papanews.it/dettaglio_approfondimenti.asp?IdNews=8140#a

QUESTO E' IL MIO CORPO.....
QUESTO E' IL MIO SANGUE....

 

 

San Padre Pio spiega la devozione nella Messa
:)

Un giorno i frati chiesero a padre Pio: "Padre, spiegateci la Messa!"

Figlioli miei - disse padre Pio- come posso spiegarvela? La Messa è infinita come Gesù! Chiedete ad un Angelo che cosa sia la Messa ed egli vi risponderà con verità: "Capisco che cosa e perchè si fa, ma non è possibile rendere chiaro la quantità del suo valore, nè l'estensione"
Un angelo, mille Angeli, tutto il Cielo sanno questo e lo partecipano ad ogni Messa, ma nulla al mondo vi potrà spiegare il Mistero nascosto in Essa....

- Padre, ma almeno spiegateci come dobbiamo ascoltare la Messa?

Figlioli miei, rispose padre Pio, nulla di più semplice: dovete assistervi come assistettero la Santissima Vergine e le pie Donne, come assistette san Giovanni sia all'ultima Cena quando pose il suo capo sul cuore di Gesù e come quando stette sotto la Croce.
Avete visto come è semplice? non servono nuove liturgie, la Chiesa ci ha dato tutto, occorre imparare a stare come ai piedi della Croce. Cosa fece la Madonna Santissima? Piangendo! Come sta una persona mentre una spada le trapassa l'anima? Ecco, così dobbiamo stare alla Messa specialmente nella Consacrazione, anzi è lì che dobbiamo piangere, dobbiamo chiedere di provare tuttociò che patì la santa Madre, non v'è altro modo per stare alla Messa!

- Padre, quali benefici riceviamo assistendo alla Messa?

Figlioli cari, e chi può numerarli? Essi sono più infiniti delle stelle del cielo, non si contano le grazie, ma ne vedrete i frutti in Paradiso, questo ve lo posso assicurare anch'io.

- Padre quali attegiamenti dobbiamo assumere alla Messa?

Figlioli miei, rispose il padre, il primo ve l'ho elencato, quello assunto dalla Santa Madre sotto la Croce è il più perfetto, direi l'unico che può portare infinite grazie. Sapere che la Madre di Dio tanto ha sofferto li, in quella posizione, con un attacco al suo Cuore Immacolato, come non possiamo piegare le nostre ginocchia anche noi durante la Consacrazione e restarci fino a che il Signore si degnerà di venire a noi? Come non prendere il Corpo che ci viene dato assumendo la posizione di colui che piega le ginocchia davnti al più grande de PRODIGI? Con carità occorre educare i fedeli a ricevere Gesù in ginocchio, perchè è scritto "che ogni ginocchio si pieghi" davanti a LUI, e se i fedeli non si inginocchieranno davanti all'Eucarestia, quando e dove lo potrebbero mai più fare in terra?

- Padre, da domani saremo sacerdoti, come dovremo celebrare la Messa?

Figlioli solo due sono i modi della perfezione: state in grazia di Dio, confessatevi almeno una volta alla settimana, anche ogni giorno se fosse necessario, fate molta penitenza, ed obbedite alla lettera alle Leggi della Santa Madre Chiesa, non vi è altro manuale che possa insegnare come si deve celebrare la Messa.

 


Associazione Opus Mariae Mater Ecclesiae

 

http://www.opusmariae.it/

         



Diffondiamo la santa e vera Tradizione....




[Modificato da Caterina63 06/05/2015 09:49]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Libreria Editrice Vaticana pubblica libro di Mons. Athanasius Schneider sulla sacra Comunione, con prefazione di Mons. Malcolm Ranjith



 

“Dominus Est - Riflessioni di un Vescovo dell'Asia Centrale sulla sacra Comunione”, scritto da Mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare di Karaganda (Kazakhstan), è stato stampato di recente dalla Libreria Editrice Vaticana, con prefazione del Segretario della Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, Mons. Malcolm Ranjith.
 
Ecco la presentazione che si può leggere sulla contra-copertina di questo importante lavoro:
 
La sacra Comunione non è soltanto un momento conviviale del nutrimento spirituale, ma anche l'incontro personale più vicino possibile in questa vita del fedele con il Signore e Dio. L'atteggiamento interiore più vero in questo incontro è quello della recettività, dell'umiltà, dell'infanzia spirituale. Un Tale atteggiamento esige da parte nostra gesti tipici di adorazione e di riverenza. Ne abbiamo testimonianze eloquenti nella bimillenaria tradizione della Chiesa, caratterizzata dal detto “con amore e timore” (primo millennio) e “quanto puoi, tanto osa” (secondo millennio). L'autore riporta anche l'esempio di tre “donne eucaristiche” di sua conoscenza del tempo della clandestinità sovietica. Tali testimonianze possono incoraggiare ed istruire i cattolici del terzo millennio su come trattare il Signore nell'augusto momento della sacra Comunione.
 
*      *    *
 
 
PREFAZIONE
 
Nel Libro dell'Apocalisse, San Giovanni rac­conta come avendo visto e udito ciò che gli fu rivelato, si prostrava in adorazione ai piedi del­l'angelo di Dio (cf. Ap 22, 8). Prostrarsi o mettersi in ginocchio davanti, alla maestà della presenza di Dio, in umile adorazione, era un'abitudine di riverenza che Israele attuava sempre davanti alla presenza del Signore. Dice il primo libro dei Re: « quando Salomone ebbe finito di rivolgere al Si­gnore questa preghiera e questa supplica, si alzò davanti all'altare del Signore, dove era inginoc­chiato con le palme tese verso il cielo, si mise in piedi e benedisse tutta l'assemblea d'Israele » (1 Re 8, 54-55). La posizione della supplica del Re è chiara: Lui era in ginocchio davanti all'altare.
La stessa tradizione è visibile anche nel Nuo­vo Testamento dove vediamo Pietro mettersi in ginocchio davanti a Gesù (cf Lc 5, 8); Giairo per chiedergli di guarire sua figlia (Lc 8, 41), il Sama­ritano tornato a ringraziarlo e Maria, sorella di Lazzaro per chiedere il favore della vita per il suo fratello (Gv 11, 32). Lo stesso atteggiamento di prostrazione davanti allo stupore della presenza e rivelazione divina si nota in genere nel Libro dell'Apocalisse (Ap 5, 8, 14 e 19, 4).
Intimamente legato a questa tradizione, era la convinzione che il Tempio Santo di Gerusalem­me era la dimora di Dio e perciò nel tempio bi­sognava disporsi in atteggiamenti corporali espressivi di un profondo senso di umiltà e rive­renza alla presenza del Signore.
Anche nella Chiesa, la convinzione profonda che nelle specie Eucaristiche il Signore è vera­mente e realmente presente e la crescente prassi di conservare la santa comunione nei tabernaco­li, contribuì alla prassi di inginocchiarsi in atteg­giamento di umile adorazione del Signore nel­l'Eucaristia.
Difatti, riguardo alla presenza reale di Cristo nelle specie Eucaristiche il Concilio di Trento pro­clamò: « in almo sanctae Eucharistiae sacramento post panis et vini consecrationem Dominum nostrum Iesum Christum verum Deum atque hominem vere, realiter ac substantialiter sub specie illarum rerum sensibilium contineri » (DS 1651).

Inoltre, San Tommaso d'Aquino aveva già definito l'Eucaristia latens Deitas (S. Tommaso d'Aquino, Inni). E, la fede nella presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche apparteneva già d'allora all'essenza della fede della Chiesa Catto­lica ed era parte intrinseca dell'identità cattolica. Era chiaro che non si poteva edificare la Chiesa se tale fede veniva minimamente intaccata.

Perciò, l'Eucaristia, Pane transustanziato in Corpo di Cristo e vino in Sangue di Cristo, Dio in mezzo a noi, doveva essere accolta con stupo­re, massima riverenza e in atteggiamento di umi­le adorazione. Papa Benedetto XVI ricordando le parole di Sant'Agostino «nemo autem illam car­nem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando » (Enarrationes in Psalmos 89, 9; CCL XXXIX, 1385) sottolinea che « ricevere l'Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso, colui che riceviamo [...] soltanto nell'ado­razione può maturare un'accoglienza profonda e vera » (Sacramentum Caritatis 66).


Seguendo questa tradizione è chiaro che as­sumere gesti e atteggiamenti del corpo e dello spirito che facilitano il silenzio, il raccoglimento, l'umile accettazione della nostra povertà davanti all'infinita grandezza e santità di Colui che ci vie­ne incontro nelle specie eucaristiche diventava coerente e indispensabile. Il miglior modo per esprimere il nostro senso di riverenza verso il Signore Eucaristico era quello di seguire l'esem­pio di Pietro che, come racconta il Vangelo, si gettò in ginocchio davanti al Signore e disse «Si­gnore, allontanati da me che sono un peccatore » (Lc 5, 8).

Ora, si nota come in alcune chiese, tale prassi viene sempre meno e i responsabili non solo im­pongono i fedeli a ricevere la Santissima Eucaristia in piedi, ma hanno persino eliminati tutti gli ingi­nocchiatoi costringendo i loro fedeli a stare seduti, o in piedi, anche durante l'elevazione delle specie Eucaristiche presentate per l'adorazione. E strano che tali provvedimenti siano stati presi nelle dio­cesi, dai responsabili della liturgia, o nelle chiese, dai parroci, senza una pur minima consultazione dei fedeli, anche se oggi più che mai, si parla in molti ambienti, di democrazia nella Chiesa.
Allo stesso tempo, parlando della comunione sulla mano bisogna riconoscere che fu una prassi introdotta abusivamente e in fretta in alcuni am­bienti della Chiesa subito dopo il Concilio, cam­biando la secolare prassi precedente e divenendo ora la prassi regolare per tutta la Chiesa. Si giu­stificava tale cambiamento dicendo che rifletteva meglio il Vangelo o la prassi antica della Chiesa.

E’ vero che se si riceve sulla lingua, si può ricevere anche sulla mano, essendo questo orga­no del corpo d'uguale dignità. Alcuni, per giusti­ficare tale prassi, si riferiscono alle parole di Gesù: « prendi e mangia » (Mc 14, 22; Mt 26, 26). Quali siano le ragioni a sostegno di questa prassi, non possiamo non ignorare ciò che succede a livello mondiale dove tale pratica viene attuata. Questo gesto contribuisce ad un graduale e crescente indebolimento dell'atteggiamento di riverenza ver­so le sacre specie Eucaristiche. La prassi prece­dente invece salvaguardava meglio quel senso di riverenza. Sono subentrati invece, una allarmante mancanza di raccoglimento e uno spirito di ge­nerale disattenzione. Si vedono ora dei comuni­candi che spesso tornano ai loro posti come se nulla di straordinario fosse accaduto. Maggior­mente distratti sono i bambini e gli adolescenti. In molti casi non si nota quel senso di serietà e silenzio interiore che devono segnalare la presen­za di Dio nell'anima.

Ci sono poi abusi di chi porta via le sacre specie per tenerle come souvenir, di chi le vende, o peggio ancora, di chi le porta via per profanare in riti satanici. Tali situazioni sono state rilevate. Persino nelle grandi concelebrazioni, anche a Ro­ma, varie volte sono state trovate delle specie sacre buttate a terra.

Questa situazione non ci porta solo a riflette­re sulla grave perdita di fede, ma anche sugli ol­traggi e offese al Signore che si degna di venirci incontro volendo renderci simili a lui, affinché rispecchi in noi la santità di Dio.

Il Papa parla della necessità non solo di ca­pire il vero e profondo significato dell'Eucaristia, ma anche di celebrarla con dignità e riverenza. Dice che bisogna essere consci dell'importanza « dei gesti e della postura, come inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera Euca­ristica» (Sacramentum Caritatis, 65). Inoltre par­lando della ricezione della Santa Comunione in­vita tutti a: « fare il possibile perché il gesto nella sua semplicità corrisponda al suo valore di incon­tro personale con il Signore Gesù Cristo nel Sacramento » (Sacramentum Caritatis, 50).

In questa ottica è da apprezzare il Libretto scritto da S.E. Mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare di Karaganda in Kazakhstan dal titolo molto significativo Dominus Est. Esso vuole dare un contributo alla discussione attuale sul­l'Eucaristia, presenza reale e sostanziale di Cristo nelle specie consacrate del Pane e del Vino.

È significativo che Mons. Schneider inizi la sua Pre­sentazione con una nota personale ricordando la profonda fede eucaristica della sua mamma e di altre due donne, fede conservata fra tante soffe­renze e sacrifici che la piccola comunità dei cat­tolici di quel Paese ha sofferto negli anni della persecuzione sovietica. Partendo da questa sua esperienza, che suscitò in lui una grande fede, stupore e devozione per il Signore presente nel­l'Eucaristia, egli ci presenta un excursus storico-teologico che chiarisce come la prassi di ricevere la Santa Comunione in bocca e in ginocchio sia stata accolta e praticata nella Chiesa per un lungo periodo di tempo.

Ora io credo che sia arrivato il momento di valutare bene la suddetta prassi, e di rivedere e se, necessario, abbandonare quella attuale che difatti non fu indicata né nella stessa Sacrosanctum Con­cilium, né dai Padri Conciliari ma fu accettata do­po una introduzione abusiva in alcuni Paesi. Ora, più che mai, è necessario aiutare i fedeli a rinnovare una viva fede nella presenza reale di Cristo nelle specie Eucaristiche allo scopo di rafforzare la vita stessa della Chiesa e di difenderla in mezzo alle pericolose distorsioni della fede che tale si­tuazione continua a causare.

Le ragioni per tale mossa devono essere non tanto quelle accademiche ma quelle pastorali – spirituali come anche liturgiche – in breve, ciò che edifica meglio la fede. Mons. Schneider in questo senso mostra lodevole coraggio, perché ha saputo cogliere il vero significato delle parole di San Paolo: « ma tutto si faccia per l'edificazio­ne» (1 Cor 14, 26).

MALCOLM RANJITH
Segretario della Congregazione del Culto Divino
e della Disciplina dei Sacramenti
 
http://www.libreriaeditricevaticana.com/it/news/info.jsp?product_id=31630
Data di pubblicazione: 18 Gennaio 2008
Formato: 11x17.5cm
Codice ISBN: 978-88-209-8001-6
EUR 8.0

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Il card. Cañizares ripristina la comunione in ginocchio


Nel giorno in cui il card. Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha solennemente pontificato col rito antico in San Giovanni in Laterano, siamo lieti di riferire la notizia che egli, già Arcivescovo di Toledo ed ancora Amministratore apostolico di quell'arcidiocesi (in attesa dell'ingresso del nominato Braulio Rodrìguez Plaza, finora arcivescovo di Valladolid), ha ristabilito le balaustre per la comunione nella cattedrale ed incoraggiato i fedeli a comunicarsi in ginocchio e sulla lingua.

Egli spiega questa scelta in una lunga intervista al quotidiano spagnolo ABC, di cui traduciamo alcuni passaggi significativi

- Alcuni giorni fa, Lei ha invitato i fedeli a ricevere la S. Comunione in ginocchio. La Chiesa, riformando in questo modo la liturgia, si avvicina all'uomo?

La comunione in ginocchio significa il rispetto di Dio; è il cuore dell'uomo che si prosterna davanti a Colui che lo ama fino all'estremo. Sono dei segni. Non si tratta di cambiare per cambiare. Si tratta di coinvolgere tutti i sensi e sormontare la secolarizzazione del nostro mondo. Uno degli obbiettivi delle nostre Congregazioni è realizzare nel corso di questi anni una grande campagna di formazione liturgica.

-Lei è stato un rivoluzionario della liturgia. Da quanto è arrivato a Toledo ha cambiato tutto: il Corpus Domini, con due processioni; o l'ultima Settimana Santa, facendo entrare tutte le processioni nella cattedrale. La città è stata come un campo di prova per il suo nuovo ministero.

Credo che sia quel che Dio e la Chiesa ci chiedono. Il rinnovamento liturgico non è fare cose nuove ma entrare realmente nello spirito della liturgia. Per esempio, il Corpus Domini, è semplicemente una festa culturale del nostro caro popolo di Toledo, o è realmente l'espressione di ciò che è essere cristiano nella sua radice e fondamento?

- Immagino che anche quest'anno ci saranno due processioni e che Lei presiederà le celebrazioni del Corpus Domini. Crede che il suo successore farà altrettanto?

Perché no, perché non dovrebbe mantenere ciò che è bene? Perché questo è bene.

- Ha già parlato di questo con mons. Rodrìguez?

Non ne abbiamo parlato, tuttavia abbiamo molto tempo per parlare e vedere quali sono le motivazioni. Però in tutti i casi, che si dedichi all'Eucarestia il luogo centrale della città di Toledo, che è profondamente eucaristica e riposa su questa identità, è cosa molto buona.


E poiché il buon esempio è diffusivo, altre due diocesi spagnole a partire dalla Settimana Santa hanno disposto inginocchiatoi per la comunione: quella di Malaga e quella castrense (la cui cattedrale si trova a Madrid)



Fonte: Secretum meum mihi e Una Voce Malaga

http://blog.messainlatino.it/2009/04/il-card-canizares-ripristina-la.html


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sabato 22 agosto 2009

Primi passi

Ratzinger riforma la messa.Basta con l’ostia sulla mano




Il documento è stato consegnato nelle mani di Benedetto XVI la mattina del 4 aprile scorso dal cardinale spagnolo Antonio Cañizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino. È l’esito di una votazione riservata, avvenuta il 12 marzo, nel corso della riunione «plenaria» del dicastero che si occupa di liturgia e rappresenta il primo passo concreto verso quella «riforma della riforma» più volte auspicata da Papa Ratzinger.

Quasi all’unanimità i cardinali e vescovi membri della Congregazione hanno votato in favore di una maggiore sacralità del rito, di un recupero del senso dell’adorazione eucaristica, di un recupero della lingua latina nella celebrazione e del rifacimento delle parti introduttive del messale per porre un freno ad abusi, sperimentazioni selvagge e inopportune creatività. Si sono anche detti favorevoli a ribadire che il modo usuale di ricevere la comunione secondo le norme non è sulla mano, ma in bocca. C’è, è vero, un indulto che permette, su richiesta degli episcopati, di distribuire l’ostia anche sul palmo della mano, ma questo deve rimanere un fatto straordinario.

Il «ministro della liturgia» di Papa Ratzinger, Cañizares, sta anche facendo studiare la possibilità di recuperare l’orientamento verso Oriente del celebrante almeno al momento della consacrazione eucaristica, come accadeva di prassi prima della riforma, quando sia i fedeli che il prete guardavano verso la Croce e il sacerdote dava dunque le spalle all’assemblea.
Chi conosce il cardinale Cañizares, soprannominato «il piccolo Ratzinger» prima del suo trasferimento a Roma, sa che è intenzionato a portare avanti con decisione il progetto, a partire proprio da quanto stabilito dal Concilio Vaticano II nella costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium, che è stata in realtà superata dalla riforma post-conciliare entrata in vigore alla fine degli anni Sessanta. Il porporato, intervistato dal mensile 30Giorni, nei mesi scorsi aveva detto a questo proposito: «A volte si è cambiato per il semplice gusto di cambiare rispetto a un passato percepito come tutto negativo e superato. A volte si è concepita la riforma come una rottura e non come uno sviluppo organico della Tradizione».

Per questo le «propositiones» votate dai cardinali e vescovi alla plenaria di marzo prevedono un ritorno al senso del sacro e all’adorazione, ma anche un recupero delle celebrazioni in latino nelle diocesi, almeno durante le principali solennità, così come la pubblicazione di messali bilingui - una richiesta, questa fatta a suo tempo da Paolo VI - con il testo latino a fronte.
Le proposte della Congregazione che Cañizares ha portato al Papa, ottenendone l’approvazione, sono perfettamente in linea con l’idea più volte espressa da Jopseph Ratzinger quando ancora era cardinale, come attestano i brani inediti sulla liturgia anticipati ieri dal Giornale, che saranno pubblicati nel libro Davanti al Protagonista (Cantagalli), presentato in anteprima al Meeting di Rimini. Con un nota bene significativa: per l’attuazione della «riforma della riforma» ci vorranno molti anni.
 
Il Papa è convinto che non serva a nulla fare passi affrettati, né calare semplicemente direttive dall’alto, con il rischio che poi rimangano lettera morta. Lo stile di Ratzinger è quello del confronto e soprattutto dell’esempio. Come dimostra il fatto che, da più di un anno, chiunque vada a fare la comunione dal Papa, si deve genuflettere sull’inginocchiatoio appositamente preparato dai cerimonieri.

Andrea Tornielli


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08/07/2010 09:27
 
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Ginocchia ecumeniche


Una riflessione da Messainlatino:

Qualche immagine edificante dal blog
Cantuale Antonianum, che commenta così: "Poverini, non avendo il valido sacerdozio non hanno neppure l'integra sostanza del sacramento eucaristico, eppure ricevono quel pane "come fosse" il corpo di Cristo. Invece i cattolici, che sanno benissimo che facendo la comunione ricevono il vero corpo del Signore, vanno a prenderlo "come fosse" un pezzettino di pane!"
Eh già, essendo protestanti non hanno la Presenza Reale di Cristo, ma hanno sicuramente più rispetto di tanti cattolici...




...e adesso non dite che a noi non piace l'ecumenismo!

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14/09/2010 10:08
 
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Perché la comunione in ginocchio

Benedetto XVI la vuole così, nelle messe da lui celebrate. Ma pochissimi vescovi e sacerdoti lo imitano. Eppure i pavimenti delle chiese erano resi preziosi anche per questo. Una guida alla scoperta del loro significato

di Sandro Magister




ROMA, 13 settembre 2010 – Questa sopra è una panoramica parziale dell'immenso mosaico che ricopre il pavimento della cattedrale di Otranto, sulla costa sudorientale dell'Italia.

I fedeli, percorrendolo dall'ingresso all'altare, hanno come guida l'albero della storia della salvezza, una storia che è sacra e profana insieme, con episodi dell'Antico Testamento, dei Vangeli, del romanzo di Alessandro Magno e del ciclo di Re Artù.

Il mosaico è del XII secolo, un'epoca nella quale le chiese erano vuote di sedie e di panche e il pavimento appariva ai fedeli nella sua integrità. Anche quando non era figurato, il pavimento delle chiese era comunque prezioso per materiali e disegni. Su di esso si camminava. Si pregava. Ci si inginocchiava in adorazione.

Oggi l'inginocchiarsi – specie sul nudo pavimento – è caduto in desuetudine. Tant'è vero che suscita stupore la volontà di Benedetto XVI di dare la comunione ai fedeli in bocca e in ginocchio.

Questa della comunione in ginocchio è una delle novità che papa Joseph Ratzinger ha introdotto quando celebra l'eucaristia.

Ma più che di novità si tratta di ritorni alla tradizione. Le altre sono il crocifisso al centro dell'altare, "perché tutti nella messa guardiamo verso Cristo e non gli uni verso gli altri", e l'uso frequente del latino "per sottolineare l'universalità della fede e la continuità della Chiesa".

In un'intervista al settimanale inglese "Catholic Herald", il maestro delle cerimonie pontificie Guido Marini ha confermato che anche nelle messe del suo prossimo viaggio nel Regno Unito il papa si atterrà a questo suo stile di celebrazione.

In particolare, Marini ha annunciato che Benedetto XVI pronuncerà interamente in latino il prefazio e il canone, mentre per gli altri testi della messa adotterà la nuova traduzione inglese che entrerà in uso in tutto il mondo anglofono la prima domenica di Avvento del 2011: questo perché la nuova traduzione "è più aderente all'originale latino e di stile più elevato" rispetto a quelle correnti.

L'attrazione che ha esercitato la Chiesa di Roma su molti convertiti illustri inglesi dell'Ottocento e del primo Novecento – da Newman a Chesterton a Benson – era anche l'universalismo della liturgia latina. Un'attrazione per una fede solida e antica che oggi muove numerose comunità anglicane a chiedere di entrare nel cattolicesimo.

La "riforma della riforma" attribuita a papa Ratzinger in campo liturgico avviene anche così: semplicemente con l'esempio dato da lui quando celebra.

Ma tra i gesti esemplari di Benedetto XVI il meno compreso – sinora – è forse quello della comunione data ai fedeli inginocchiati.

Nelle chiese di tutto il mondo non lo si fa quasi più. Anche perché le balaustre alle quali ci si inginocchiava per ricevere la comunione sono state quasi dappertutto disertate o smantellate.

Ma si è perso di vista anche il senso delle pavimentazioni delle chiese. Tradizionalmente molto ornate proprio per far da fondamento e da guida alla grandezza e profondità dei misteri celebrati.

Pochi oggi avvertono che pavimenti così belli e preziosi sono fatti anche per le ginocchia dei fedeli: un tappeto di pietre su cui prostrarsi davanti allo splendore dell'epifania divina
.

Il testo che segue è stato scritto proprio per risvegliare questa sensibilità.

Ne è autore monsignor Marco Agostini, officiale presso la seconda sezione della segreteria di Stato, cerimoniere pontificio e cultore di liturgia e arte sacra, che i lettori di www.chiesa già conoscono per un suo illuminante commento alla "Trasfigurazione" di Raffaello.

L'articolo è uscito su "L'Osservatore Romano" del 20 agosto 2010.

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INGINOCCHIATOI DI PIETRA

di Marco Agostini



È impressionante la cura che l'architettura antica e moderna, fino alla metà del Novecento, riservò ai pavimenti delle chiese. Non solo mosaici e affreschi per le pareti, ma pittura in pietra, intarsi, tappeti marmorei anche per i pavimenti.

Mi sovviene il ricordo del variopinto "tessellatum" delle basiliche di San Zenone o dell'ipogeo di Santa Maria in Stelle a Verona, o di quello vasto e raffinato delle basiliche di Teodoro ad Aquileia, di Santa Maria a Grado, di San Marco a Venezia, o quello misterioso della cattedrale di Otranto. L'"opus tessulare" cosmatesco luccicante d'oro delle basiliche romane di Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano, San Clemente, San Lorenzo al Verano, di Santa Maria in Aracoeli, in Cosmedin, in Trastevere, o del complesso episcopale di Tuscania o della Cappella Sistina in Vaticano.

E ancora gli intarsi marmorei di Santo Stefano Rotondo, San Giorgio al Velabro, Santa Costanza, Sant'Agnese a Roma e della basilica di San Marco a Venezia, del battistero di San Giovanni e della chiesa di San Miniato al Monte a Firenze, o l'impareggiabile "opus sectile" del duomo di Siena, o le pelte marmoree bianche, nere e rosse in Sant'Anastasia a Verona o i pavimenti della cappella grande del vescovo Giberti o delle settecentesche cappelle della Madonna del Popolo e del Sacramento, sempre nel duomo veronese, e, soprattutto, lo stupefacente e prezioso tappeto lapideo della basilica vaticana di San Pietro.

In verità la cura per l'impiantito non è solo cristiana: sono emozionanti i pavimenti a mosaico delle ville greche di Olinto o di Pella in Macedonia, o dell'imperiale villa romana del Casale a Piazza Armerina in Sicilia, o quelli delle ville di Ostia o della casa del Fauno a Pompei o la preziosità delle scene del Nilo del santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina. Ma anche i pavimenti in "opus sectile" della curia senatoria nel Foro romano, i lacerti provenienti dalla basilica di Giunio Basso, sempre a Roma, o gli intarsi marmorei della "domus" di Amore e Psiche a Ostia.

La cura greca e romana per il pavimento non era evidente nei templi, ma nelle ville, nelle terme e negli altri ambienti pubblici dove la famiglia o la società civile si radunava. Anche il mosaico di Palestrina non era in un ambiente di culto in senso stretto. La cella del tempio pagano era abitata solo dalla statua del dio e il culto avveniva all'esterno innanzi al tempio, attorno all'ara sacrificale. Per tale ragione gli interni non erano quasi mai decorati.

Il culto cristiano è, invece, un culto interiore. Istituito nella stanza bella del cenacolo, ornata di tappeti al piano superiore di una casa di amici, e propagatosi inizialmente nell'intimo del focolare domestico, nella "domus ecclesiae", quando il culto cristiano assunse dimensione pubblica trasformò la casa in chiesa. La basilica di San Martino ai Monti sorge sopra una "domus ecclesiae", e non è la sola. Le chiese non furono mai il luogo di un simulacro, ma la casa di Dio tra gli uomini, il tabernacolo della reale presenza di Cristo nel santissimo sacramento, la casa comune della famiglia cristiana. Anche il più umile dei cristiani, il più povero, come membro del corpo mistico di Cristo che è la Chiesa, in chiesa era a casa e signore: calpestava pavimenti preziosi, godeva dei mosaici e degli affreschi delle pareti, dei dipinti sugli altari, odorava il profumo dell'incenso, sentiva la gioia della musica e del canto, vedeva lo splendore degli ornamenti indossati a gloria di Dio, gustava il dono ineffabile dell'eucaristia che gli veniva amministrata in calici d'oro, si muoveva processionalmente sentendosi parte dell'ordine che è anima del mondo.

I pavimenti delle chiese, lontani dall'essere ostentazione di lusso, oltre a costituire il piano di calpestio avevano anche altre funzioni. Sicuramente non erano fatti per essere coperti dai banchi, questi ultimi introdotti in età relativamente recente allorquando si pensò di disporre le navate delle chiese all'ascolto comodo di lunghi sermoni. I pavimenti delle chiese dovevano essere ben visibili: conservano nelle figurazioni, negli intrecci geometrici, nella simbologia dei colori la mistagogia cristiana, le direzioni processionali della liturgia. Sono un monumento al fondamento, alle radici.

Questi pavimenti sono principalmente per coloro che la liturgia la vivono e in essa si muovono, sono per coloro che si inginocchiano innanzi all'epifania di Cristo. L'inginocchiarsi è la risposta all'epifania donata per grazia a una singola persona. Colui che è colpito dal bagliore della visione si prostra a terra e da lì vede più di tutti quelli che gli sono rimasti attorno in piedi. Costoro, adorando, o riconoscendosi peccatori, vedono riflessi nelle pietre preziose, nelle tessere d'oro di cui talvolta sono composti i pavimenti antichi, la luce del mistero che rifulge dall'altare e la grandezza della misericordia divina.

Pensare che quei pavimenti così belli sono fatti per le ginocchia dei fedeli è commovente: un tappeto di pietra perenne per la preghiera cristiana, per l'umiltà; un tappeto per ricchi e poveri indistintamente, un tappeto per farisei e pubblicani, ma che soprattutto questi ultimi sanno apprezzare.

Oggi gli inginocchiatoi sono scomparsi da molte chiese e si tende a rimuovere le balaustre alle quali ci si poteva accostare alla comunione in ginocchio. Eppure nel Nuovo Testamento il gesto dell'inginocchiarsi si presenta ogni qualvolta a un uomo appare la divinità di Cristo: si pensi ai Magi, al cieco nato, all'unzione di Betania, alla Maddalena nel giardino il mattino di Pasqua.

Gesù stesso disse a Satana, che gli voleva imporre una genuflessione sbagliata, che solo a Dio si devono piegare le ginocchia. Satana sollecita ancora oggi a scegliere tra Dio o il potere, Dio o la ricchezza, e tenta ancora più in profondità. Ma così non si renderà gloria a Dio per nulla; le ginocchia si piegheranno a coloro che il potere l'hanno favorito, a coloro ai quali si è legato il cuore attraverso un atto
.

Buon esercizio di allenamento per vincere l'idolatria nella vita è tornare a inginocchiarsi nella messa, peraltro uno dei modi di "actuosa participatio" di cui parla l'ultimo Concilio. La pratica è utile anche per accorgersi della bellezza dei pavimenti (almeno di quelli antichi) delle nostre chiese. Davanti ad alcuni verrebbe da togliersi le scarpe come fece Mosè davanti a Dio che gli parlava dal roveto ardente.

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Il giornale della Santa Sede da cui è stato ripreso l'articolo:

> L'Osservatore Romano

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Tutti i servizi di www.chiesa su temi affini:

> Focus su ARTE E MUSICA

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Il programma del prossimo viaggio di Benedetto XVI:

> Viaggio apostolico nel Regno Unito, 16-19 settembre 2010

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Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

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Da quando è stato eletto, Joseph Ratzinger è bersaglio di un crescendo di assalti, da dentro e fuori la Chiesa. C'è una "mano invisibile" che li muove? Ecco come il papa giudica e spiega

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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 Chi impara a credere impara ad inginocchiarsi
tratto da Joseph Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, parte IV - Forma liturgica, cap. II – Il corpo e la liturgia, n. 3 - Atteggiamenti, pp. 181-190.



Atteggiamenti
Inginocchiarsi (Prostratio)

Vi sono ambienti, che esercitano notevole influenza, che cercano di convincerci che non bisogna inginocchiarsi. Dicono che questo gesto non si adatta alla nostra cultura (ma a quale, allora?); non è conveniente per l’uomo maturo, che va incontro a Dio stando diritto, o, quanto meno, non si addice all’uomo redento, che mediante Cristo è divenuto una persona libera e che, proprio per questo, non ha più bisogno di inginocchiarsi.

Se guardiamo alla storia possiamo osservare che Greci e Romani rifiutavano il gesto di inginocchiarsi. Di fronte agli dei faziosi e divisi che venivano presentati dal mito, questo atteggiamento era senz’altro giustificato: era troppo chiaro che questi dei non erano Dio, anche se si dipendeva dalla loro lunatica potenza e per quanto possibile ci si doveva comunque procacciare il loro favore. Si diceva che inginocchiarsi era cosa indegna di un uomo libero, non in linea con la cultura della Grecia; era una posizione che si confaceva piuttosto ai barbari. Plutarco e Teofrasto definiscono l’atto di inginocchiarsi come un’espressione di superstizione; Aristotele ne parla come di un atteggiamento barbarico (Retorica, 1361 a 36). Agostino gli dà per un certo verso ragione: i falsi dei non sarebbero infatti altro che maschere di demoni, che sottomettono l’uomo all’adorazione del denaro e del proprio egoismo, che in questo modo li avrebbero resi «servili» e superstiziosi. L’umiltà di Cristo e il suo amore che è giunto sino alla croce, ci hanno liberato – continua Agostino – da queste potenze ed è davanti a questa umiltà che noi ci inginocchiamo.

In effetti, l’atto di inginocchiarsi proprio dei cristiani non si pone come una forma di inculturazione in costumi preesistenti, ma, al contrario, è espressione della cultura cristiana che trasforma la cultura esistente a partire da una nuova e più profonda conoscenza ed esperienza di Dio.

L’atto di inginocchiarsi non proviene da una cultura qualunque, ma dalla Bibbia e dalla sua esperienza di Dio. L’importanza centrale che l’inginocchiarsi ha nella Bibbia la si può desumere dal fatto che solo nel Nuovo Testamento la parola proskynein compare 59 volte, di cui 24 nell’Apocalisse, il libro della liturgia celeste, che viene presentato alla Chiesa come modello e criterio per la sua liturgia.

***

Osservando più attentamente possiamo distinguere tre atteggiamenti strettamente imparentati tra di loro. Il primo di essi è la prostratio: il distendersi fino a terra davanti alla predominante potenza di Dio; soprattutto nel Nuovo Testamento c’è, poi, il cadere ai piedi e, infine, il mettersi in ginocchio. I tre atteggiamenti non sono sempre facili da distinguere, anche sul piano linguistico. Essi possono legarsi tra di loro, sovrapporsi l’uno all’altro.

Per ragioni di brevità vorrei citare, a proposito della prostratio, due testi, uno tratto dall’Antico Testamento, l’altro dal Nuovo.

Quello tratto dall’Antico Testamento è la teofania a Giosuè prima della conquista di Gerico, che dallo scrittore biblico è posta in stretto parallelo con la teofania a Mosè presso il roveto ardente. Giosuè vede «il capo dell’esercito del Signore» e, dopo aver riconosciuto la sua identità, si getta a terra davanti a lui. In quel momento ode le parole che, in precedenza, erano già state rivolte a Mosè: «Togli i calzari dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è santo» (Gs 5,14s). Nella figura misteriosa del «capo dell’esercito del Signore» il Dio nascosto parla a Giosuè e davanti a Lui questi si getta a terra. È bella l’interpretazione di questo testo data da Origene: «C’è un altro capo delle potenze del Signore oltre al nostro Signore Gesù Cristo?». Giosuè adora dunque Colui che doveva venire, il Cristo veniente.

Per quanto riguarda, invece il Nuovo Testamento, a cominciare dai Padri è divenuta particolarmente importante la preghiera di Gesù al monte degli Ulivi. Secondo Matteo (26,39) e Marco (14,35) Gesù si prostra a terra, anzi, cade a terra (Mt); Luca, invece, che in tutta la sua opera - Vangelo e Atti degli Apostoli - è in maniera particolare il teologo del pregare in ginocchio, ci racconta che Gesù pregava in ginocchio.

Questa preghiera, come preghiera introduttiva alla Passione, è esemplare, sia per quanto riguarda il gesto che per i suoi contenuti. I gesti: Gesù fa sua la caduta dell’uomo, si lascia cadere nella sua caducità, prega il Padre dal più profondo abisso della solitudine e del bisogno umani. Ripone la sua volontà nella volontà del Padre: Non la mia volontà sia fatta, ma la Tua. Ripone la volontà umana nella volontà divina. Fa sua ogni negazione della volontà dell’uomo e la soffre con il suo dolore; proprio l’uniformare la volontà umana alla volontà divina è il cuore stesso della redenzione.

Difatti la caduta dell’uomo si poggia sulla contraddizione delle volontà, sulla contrapposizione della volontà umana alla volontà divina, che il tentatore dell’uomo fa ingannevolmente passare come condizione della sua libertà. Solo la volontà autonoma, che non si sottomette ad alcuna altra volontà, sarebbe, secondo lui, libertà. Non la mia volontà, ma la tua – è questa la parola della verità, poiché la volontà di Dio non è il contrario della nostra libertà, ma il suo fondamento e la sua condizione di possibilità. Solo rimanendo nella volontà di Dio la nostra volontà diventa vera volontà ed è realmente libera. La sofferenza e la lotta del monte degli Ulivi è la lotta per questa verità liberante, per l’unità di ciò che  è diviso, per una unione che è la comunione di Dio.

Comprendiamo così che in questo passo si trova anche l’invocazione d’amore del Figlio Padre: Abbà (Mc 14,36). Paolo vede in questo grido la preghiera che lo Spirito Santo pone sulle nostre labbra (Rm 8,15; Gal 4,6) e àncora così la nostra preghiera spirituale alla preghiera del Signore sul monte degli Ulivi.

Nella liturgia della Chiesa la prostratio appare oggi in due occasioni: il venerdì santo e nelle consacrazioni.

Il venerdì santo, giorno della crocifissione, essa è espressione adeguata del nostro sconvolgimento per il fatto di essere, con i nostri peccati, corresponsabili della morte in croce di Cristo. Ci gettiamo a terra e prendiamo parte alla sua angoscia, alla sua discesa nell’abisso del bisogno. Ci gettiamo a terra e riconosciamo così dove siamo e chi siamo: caduti, che solo Lui può sollevare. Ci gettiamo a terra come Gesù davanti al mistero della presenza potente di Dio, sapendo che la croce è il vero roveto ardente, il luogo della fiamma dell’amore di Dio, che brucia, ma non distrugge.

In occasione delle consacrazioni questo gesto esprime la consapevolezza della nostra assoluta incapacità di accogliere con le sole nostre forze il compito sacerdotale di Gesù Cristo, di parlare con il suo Io. Mentre i candidati all’ordinazione giacciono a terra, l’intera comunità radunata canta le litanie dei santi. Resta per me indimenticabile questo gesto compiuto in occasione della mia ordinazione sacerdotale ed episcopale. Quando venni consacrato vescovo la percezione bruciante della mia insufficienza, dell’inadeguatezza davanti alla grandezza del compito fu forse ancora più grande che in occasione della mia ordinazione sacerdotale. Fu per me meravigliosamente consolante sentire la Chiesa orante invocare tutti i santi, sentire che la preghiera della Chiesa mi avvol[184]geva e mi abbracciava fisicamente. Nella propria incapacità, che doveva esprimersi corporeamente in questo stare prostrati, questa preghiera, questa presenza di tutti i santi, dei vivi e dei morti, era una forza meravigliosa, e solo essa poteva sollevarmi, solo lo stare in essa poteva rendere possibile la strada che mi stava davanti.

***




In secondo luogo bisogna ricordare il gesto del cadere ai piedi, che nei Vangeli è indicato quattro volte (Mc 1,40; 10,17; Mt 17,14; 27,29) con il termine gonypetein. Partiamo da Mc 1,40. Un lebbroso va da Gesù e gli chiede aiuto; si getta ai suoi piedi e gli dice: «Se tu vuoi, puoi guarirmi». Qui è difficile valutare la portata di questo gesto. Non si tratta sicuramente di un vero atto di adorazione, ma di una preghiera espressa con fervore, anche con il corpo, in cui le parole manifestano una fiducia nella potenza di Gesù che va al di là della dimensione puramente umana. È diverso il caso dell’espressione classica dell’adorazione in ginocchio – proskynein.

Scelgo ancora una volta due esempi per chiarire la questione che si pone al traduttore. Anzitutto la storia di Gesù che, dopo la moltiplicazione dei pani, sosta sulla montagna, in colloquio con il Padre, mentre i discepoli lottano invano sul mare con il vento e le onde. Gesù va verso di loro sulle acque; Pietro gli si affretta incontro, ma impaurito, sprofonda nelle acque e viene salvato dal Signore. Gesù, allora, sale sulla barca e il vento si placa. Il testo, poi, prosegue: ma i discepoli sulla barca «gli si prostrarono davanti» e dissero: «veramente tu sei il Figlio di Dio!» (Mt 14,33). Precedenti traduzioni scrivevano: i discepoli adorarono Gesù sulla barca e dissero... Ambedue le traduzioni sono giuste, ambedue mettono in rilievo un aspetto di ciò che accade: quelle recenti l’espressione corporale, quelle più antiche l’avvenimento interiore. Difatti, dalla struttura del racconto si desume con estrema chiarezza che il gesto di riconoscimento di Gesù come Figlio di Dio è adorazione.

Anche nel Vangelo di Giovanni incontriamo una simile problematica, nel racconto della guarigione del cieco nato. Questa storia, costruita teo-drammaticamente, si conclude in un dialogo tra Gesù e la persona sanata, che può essere considerato il prototipo del dialogo di conversione; inoltre, l’intera storia deve essere intesa come una spiegazione interiore dell’importanza esistenziale e teologica del battesimo. In questo dialogo Gesù aveva chiesto all’uomo se credeva nel figlio dell’Uomo. Alla domanda del cieco nato: «Chi è, Signore?» e alla risposta di Gesù: «Colui che ti parla», segue la professione di fede: «Io credo, Signore! Ed egli si prostrò davanti a lui» (Gv 9,35-38). Traduzioni precedenti avevano scritto: «ed egli lo adorò». Di fatto, tutta la scena mira all’atto di fede e di adorazione di Gesù, che ne segue: ora non sono aperti solo gli occhi dell’amore, ma anche quelli del cuore. L’uomo è diventato davvero vedente. Per l’interpretazione del testo è importante osservare che nel Vangelo di Giovanni la parola proskynein ricorre undici volte, di cui nove nel dialogo di Gesù con la Samaritana, presso il pozzo di Giacobbe (Gv 4,19-24). Questa conversazione è tutta dedicata al tema dell’adorazione ed è fuori discussione che qui, come del resto in tutto il Vangelo di Giovanni, la parola ha sempre il significato di «adorare». Anche questo dialogo si conclude comunque – come quello con il cieco sanato – con l'autorivelazione di Gesù: «Sono io, che ti parlo».

Mi sono trattenuto a lungo su questo testo perché in esso compare qualcosa di importante. Nei due passi qui approfonditi il significato spirituale e quello corporeo della parola proskynein non sono affatto separabili.

II gesto corporale è, come tale, portatore di un senso spirituale – quello, appunto, dell’adorazione, senza del quale esso resterebbe privo di significato – mentre, a sua volta, il gesto spirituale, per sua stessa natura, in forza dell’unità fisico-spirituale della persona umana, deve esprimersi necessariamente nel gesto corporale. Ambedue gli aspetti sono integrati in una sola parola perché si richiamano intimamente l’un l’altro.

Quando l’inginocchiarsi diventa pura esteriorità, semplice atto corporeo, diventa privo di senso; ma anche quando si riduce l’adorazione alla sola dimensione spirituale senza incarnazione, l’atto dell’adorazione svanisce, perché la pura spiritualità non esprime l’essenza dell’uomo. L’adorazione è uno di quegli atti fondamentali che riguardano l’uomo tutto intero. Per questo il piegare le ginocchia alla presenza del Dio vivo è irrinunciabile.

***

Con ciò siamo già arrivati al tipico atteggiamento dell’inginocchiarsi su uno o su ambedue i ginocchi. Nell’Antico Testamento ebraico alla parola berek (ginocchio) corrisponde il verbo barak, inginocchiarsi.

Le ginocchia erano per gli ebrei un simbolo di forza; il piegarsi delle ginocchia è quindi il piegarsi della nostra forza davanti al Dio vivente, riconoscimento che tutto ciò che noi siamo, lo abbiamo da Lui. Questo gesto appare in importanti passi dell’Antico Testamento come espressione di adorazione. In occasione della consacrazione del tempio, Salomone «si inginocchiò davanti a tutta l’assemblea di Israele» (2Cr 6,3). Dopo l'esilio, nella situazione di bisogno in cui venne a trovarsi Israele dopo il ritorno in patria, Esdra ripete lo stesso gesto all’ora del sacrificio della sera: «Poi caddi in ginocchio e stesi le mani al mio Signore e pregai il Signore, mio Dio» (Esdra 9,5). Il grande salmo della Passione («Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato») si conclude con la promessa: «Davanti a Lui si piegheranno tutti i potenti della terra, davanti a Lui si prostreranno quanti dormono sotto terra» (Sal 22,30). Rifletteremo sul passo affine di Is 45,23 in contesto neotestamentario. Gli Atti degli Apostoli ci raccontano della preghiera in ginocchio di san Pietro (9,40), di san Paolo (20,36) e di tutta la comunità cristiana (21,5).

Particolarmente importante per la nostra questione è il racconto del martirio di santo Stefano. Il primo martire cristiano viene presentato nella sua sofferenza come perfetta imitazione di Cristo, la cui passione si ripete nel martirio del testimone fin nei particolari. Stefano, in ginocchio, fa così sua la preghiera del Cristo crocifisso: «Signore non imputare loro questo peccato» (At 7,60). Ricordiamo in proposito che Luca, a differenza di Matteo e di Marco, aveva parlato della preghiera in ginocchio del Signore sul monte degli Ulivi e osserviamo, quindi, che Luca vuole che l’inginocchiarsi del protomartire sia inteso come un entrare nella preghiera di Gesù.

L’inginocchiarsi non è solo un gesto cristiano, è un gesto cristologico. Il passo più importante sulla teologia dell’inginocchiarsi è e resta per me il grande inno cristologico di Fil 2,6-11. In questo inno prepaolino ascoltiamo e vediamo la preghiera della Chiesa apostolica e riconosciamo la sua professione di fede; ma sentiamo anche la voce dell’Apostolo, che è entrato in questa preghiera e ce l’ha tramandata; torniamo ancora una volta a percepire la profonda unità interiore di Antico e Nuovo Testamento, così come l’ampiezza cosmica della fede cristiana.
L’inno ci presenta Cristo in contrapposizione al primo Adamo: mentre questi cerca di arrivare alla divinità con le sole sue forze, Cristo non considera come un «tesoro geloso» la divinità, che pure gli è propria, ma si abbassa fino alla morte di croce. Proprio questa umiltà, che viene dall’amore, è il propriamente  divino e gli procura il «nome che è al di sopra di tutti i nomi», «perché tutti, in cielo e sulla terra e sotto terra, pieghino le loro ginocchia davanti al nome di Gesù...». L’inno della Chiesa apostolica riprende qui la parola profetica di Isaia 45,23: «Lo giuro su me stesso dalla mia bocca esce la verità, una parola irrevocabile: davanti a me si piegherà ogni ginocchio...».

Nella compenetrazione di Antico e Nuovo Testamento è chiaro che Gesù, proprio in quanto è il Crocifisso, porta il «nome che è al di sopra di tutti i nomi» – il nome dell’Altissimo – ed è Egli stesso di natura divina. Per mezzo di Lui, il Crocifisso, si compie la profezia dell’Antico Testamento: tutti si pongono in ginocchio davanti a Gesù, Colui che è asceso, e si piegano così davanti all’unico vero Dio, al di sopra di tutti gli dei.

La croce è divenuta il segno universale della presenza di Dio, e tutto ciò che noi abbiamo finora udito sulla croce storica e cosmica, deve trovare qui il suo vero senso. La liturgia cristiana è proprio per questo liturgia cosmica, per il fatto che essa piega le ginocchia davanti al Signore crocifisso e innalzato. È questo il centro della vera «cultura» – la cultura della verità. Il gesto umile con cui noi cadiamo ai piedi del Signore, ci colloca sulla vera via della vita, in armonia con tutto il cosmo.

***

Si potrebbe aggiungere ancora molto, come, per esempio, la commovente storia che ci racconta Eusebio di Cesarea nella sua storia ecclesiastica, riprendendo una tradizione che risale a Egesippo (II secolo), secondo cui Giacomo, il «fratello del Signore», primo vescovo di Gerusalemme e «capo» della Chiesa giudeo-cristiana, aveva sulle ginocchia una sorta di pelle di cammello per il fatto che stava sempre in ginocchio, adorava Dio e implorava perdono per il suo popolo (II, 23, 6). Oppure il racconto tratto dalle sentenze dei Padri del deserto, secondo cui il diavolo fu costretto da Dio a mostrarsi a un certo abate Apollo, e il suo aspetto era nero, orribile a vedersi, con delle membra spaventosamente magre e, soprattutto, non aveva le ginocchia. L’incapacità a inginocchiarsi appare addirittura come l’essenza stessa del diabolico.

Ma non voglio andare troppo in là. Vorrei aggiungere solo un’osservazione: l’espressione con cui Luca descrive l’atto di inginocchiarsi dei cristiani (theis ta gonata) è sconosciuta al greco classico. Si tratta di una parola specificamente cristiana. Con questa osservazione il cerchio si chiude là dove avevamo cominciato le nostre riflessioni. Può forse essere vero che l’inginocchiarsi è estraneo alla cultura moderna – appunto nella misura in cui si tratta di una cultura che si è allontanata dalla fede e che non conosce più colui di fronte al quale inginocchiarsi è il gesto giusto, anzi quello interiormente necessario.

Chi impara a credere, impara a inginocchiarsi; una fede o una liturgia che non conoscano più l’atto di inginocchiarsi, sono ammalate in un punto centrale. Dove questo gesto è andato perduto, dobbiamo nuovamente apprenderlo, così da rimanere con la nostra preghiera nella comunione degli apostoli e dei martiri, nella comunione di tutto il cosmo, nell’unità con Gesù Cristo stesso.


 
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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07/08/2015 10:03
 
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[SM=g1740717] [SM=g1740720] In una conferenza degli anni '90 Maria Simma (1015 +2004) ha avuto modo di spiegare chiarissimamente la sua posizione nei confronti del dono che Dio le aveva dato, quello di incontrare le Anime del Purgatorio affinchè potessero ricevere i benefici, quegli aiuti necessari alla loro definitiva salvezza.

In questa parte di video e audio originali abbiamo selezionato la parte che riguarda la rivelazione di alcuni Sacerdoti in Purgatorio per aver negato la Santa Comunione in ginocchio e alla bocca, inoltre la Simma sottolinea che - sempre queste Anime - le hanno spiegato come la Comunione alla mano sia stata una delle azioni responsabili alla devastazione della Famiglia....

Qui riportiamo nove minuti in cui Sacerdoti in Purgatorio sono pentiti di aver fatto questo ed invitano ad un ritorno santo e sacro verso l'Eucaristia.

www.youtube.com/watch?v=y4wqSv9f7n8&feature=share









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Padre Livio di Radio Maria sulla ricezione della S. Comunione


 


 

 


 Una lieta sorpresa: 

"Nella sua applicazione pratica, la riforma liturgica ha avuto inaspettateconseguenze in spiacevoli deviazioni e abusi, dal generalizzato permesso della comunione sulla mano a una noncuranza che talvolta si nota nella custodia delle particole, fino a errori teologici gravi da parte di chi esprime dubbi sulla presenza reale di Cristo nell'ostia consacrata"


P. Livio Fanzaga, "La vita devota" (con Saverio Gaeta), ed.Sugarco, Milano 2015, p.13





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