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CONCILIO ED ANTI-CONCILIO: le false interpretazioni

Ultimo Aggiornamento: 18/10/2010 00:45
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Sesso: Femminile
09/07/2010 00:36
 
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La falsa interpretazione al Concilio in un testo del 1973 quando i danni erano già visibili a tutti....


Il "modernismo" aziendale.


È un gioco da bambini, oggi, individuare in Vaticano un suo profilo dominante, una sua "maniera", in altre parole un suo "kitsch".

Si dirà di più. Se i papi che verranno dovessero por mano a una "restaurazione" in seno alla Santa Sede e le cose in Vaticano dovessero tornare così come erano negli anni di Pio XII (è una pura e forse folle ipotesi), allo storico del costume che volesse tracciare una sintesi del Vaticano dell'ultimo mezzo secolo, questi nostri anni ruggenti di "progressismo" suonerebbero come un brano di musica dodecafonica inserito, senza soluzioni di continuità, in un pezzo di musica classica. È semplicemente inimmaginabile la trasformazione che dieci anni di "nuovi orientamenti" hanno impresso al volto del Vaticano, fin nelle sue pieghe più intime. Nelle cose e negli uomini.

Con metodo e puntigliosità, temerarietà e spregiudicatezza, si è portato a termine un "trapianto cardiaco" nel secolare organismo che respira, solenne, al di là del Portone di Bronzo.

Con fredda, abbagliante, scientifica decisione si è affondato il bisturi nel gran torace inviolato di una tradizione "temporale" che ebbe solo l'eguale, nella storia del mondo, in quella carolingia dell'impero.

Tante mani fameliche, in isterica gara, hanno frugato nelle cavità fino ad afferrare l'antico cuore e strapparlo, e calare al suo posto un perfetto ordigno di plastica, capolavoro di funzionalità e tecnologia, che ha cominciato a pompare con furore nelle arterie la nuova linfa del "progressismo".

Il grande organismo ha avuto un lungo sussulto e in quel supremo, vano tentativo di "rigetto" la sua parte più bella, più significativa si è staccata dalla vita e si è rovinosamente distrutta.

Il piccolo, ma così potente lembo di "regno temporale" ("quel tanto di territorio") del papa, sopravvissuto ai miserabili eventi della storia degli uomini, il cui stile e le cui regole erano stati per secoli esempio di inaccessibile immutabilità, cominciò a trasformarsi, ad assumere la fisionomia di un colossale organismo "aziendale" nel senso più laicamente burocratico della espressione.

Di pari passo si cambiò volto all'ambiente. Con un accanimento iconoclasta che non ha risparmiato i più piccoli dettagli, si cancellò l'impronta "sovrana" della sede apostolica. Via tutto quanto poteva soltanto lontanamente odorare di "trionfalismo", senza riguardo a valori d'arte e a significati storici, via qualsiasi ricordo "tangibile" di una potenza sovrana che, pur ridotta dagli eventi a quei quarantaquattro ettari di territorio, faceva piegare il ginocchio ai più potenti della terra.

L'antica corte pontificia (sempre per "élite" la prima corte del mondo) fu sciolta con la delicatezza e il riguardo con cui si licenziano i domestici infedeli, e con l'impegno e la dovizia di spese con cui nel Rinascimento si rese il Vaticano supremamente bello e prezioso si profusero favolosi capitali per renderlo irrimediabilmente brutto.

Per quale necessità? Perché si era venuti meno a quella consuetudine che ormai era divenuta "regola" tacitamente rispettata dai pontefici, di conservare e tramandare intatto, al successore, quanto era stato lasciato dal predecessore conservato ed intatto? Eppure, anche senza ricorrere a clamorose trasformazioni, ogni papa aveva avuto la sua precisa fisionomia, la sua spiccata personalità (anche e forse soprattutto nel campo artistico estetico: nei monumenti romani è facile distinguere fin nei dettagli uno "stile Barberini", uno "stile Albani", o Altieri, o Chigi, o Pamphili e via dicendo).

Ma, evidentemente, e in sconvolgente contraddizione con quanto oggi ci si sbraccia ad affermare, il papa può tutto.

Una nuvola di arredatori e di architetti "modernisti" offuscò il sole del Vaticano, calando fracassona con operosità sulla più bella, preziosa e irripetibile dimora regale che mai si vide nel mondo.

Quando i supertecnici dell'habitat umano - come si dice oggi, e che saranno uno per uno additati alla storia - se ne andarono tutti soddisfatti di aver potuto "dare in testa" ai più grandi artisti e "addobbatori" del cinquecento europeo, loro cresciuti nel mito dei designers e con l'occhio "fatto" agli abominevoli scorci di certa architettura industriale lombarda, lo spettacolo che si offrì alla vista del visitatore fu terrificante.

Il "Palazzo Apostolico" era stato sfigurato, trasformato in una "funzionale" sede di rappresentanza qualsiasi, di un qualsiasi grosso organismo finanziario o industriale di tipo svizzero o americano.

Velluti beige e grigi alle pareti, moquette sui pavimenti, pezzi di "arte" moderna ovunque in conturbante contrasto con qualche preziosa opera d'arte sopravvissuta alla "purga"; illuminazione al neon. Nemmeno a San Pietro sono stati risparmiati i brutti altarini imposti dalla nuova liturgia insieme con gli arredi, lisci, di metallo stampato. E su questo sfondo quasi angoscioso si muove la nuova "corte" in auge, che ha in odio l'uniforme, la dignità esteriore, qualsiasi parvenza di solennità. Cosicché nessuna uniforme attornia più, in atto di solenne protezione, il Santo Padre (e più d'una volta i sassi sono rimbalzati impuniti intorno alla sua persona). Perfino la Guardia Svizzera è stata sfrattata dalla Sala Clementina. I visitatori del papa arrivano al suo appartamento in ascensore, accompagnati da impiegati che il più delle volte si esprimono soltanto in stretto dialetto romano o settentrionale. Ma si farà caso che si tratta in parte di giovanottoni zazzeruti, dallo sguardo sfuggente, dai modi curiosamente e significativamente poco franchi e virili.

E il visitatore avrà l'impressione, per la verità poco edificante, di essere in procinto di far visita a un ragguardevole presidente o amministratore delegato di un'azienda qualsiasi. Il "kitsch" degli Anni 70 in Vaticano è tutto in queste impressioni insieme. Prelati in clergyman o addirittura in borghese, "habitué" di night e ristoranti alla moda, vi rammentano che i tradizionali atteggiamenti "preteschi" appartengono al passato o son rimasti commovente sopravvivenza in qualche vecchio monsignore. Oggi, i preti che circolano nell'"entourage" hanno automobili costose e si incontrano ovunque a Roma e nelle ore più impensate.

Vi capiterà a esempio di notare, un pomeriggio d'inverno, fermo all'angolo dell'Excelsior in via Veneto, un grosso signore intabarrato in un cappotto scuro con sciarpa e cappello che sta squadrando con attentissima insistenza il capannello di marines seduti a bere al Doney. Quando gli passerete davanti, vi accorgerete con una certa emozione che quel distinto "commendatore" altri non è che un vostro conoscente monsignore che ha il suo ufficio laggiù oltre il Tevere... Nella vostra ingenuità, quando gli passerete davanti, gli farete tanto di cappello, e allora vi accorgerete che lui fingerà di non conoscervi e con un moto di stizza si allontanerà, le mani affondate nelle tasche e il cappello calato sugli occhi.

Salta agli occhi, inoltre, un certo gusto ossessivo per il "laico malmesso". Capelloni e capelloncini si sprecano negli organici del Vaticano e sono messi in mostra a ogni cantone, nei musei, negli uffici, mentre il "permissivismo" trionfa in piazza San Pietro dove, specie d'estate, bivaccano folle di sbandati, di hippy seminudi sdraiati senza alcun ritegno fin sull'ultimo gradino della scalinata della basilica. Il sagrato di San Pietro in alcune ore del giorno è un mare immondo di mozziconi di sigarette, carta straccia, sputi salivosi, lattine di Coca Cola, stracci buttati dappertutto.

E quando si attraversa quella folla che par si compiaccia di profanare quelle pietre col suo sozzume e la sua scompostezza, per entrare nella basilica, ci si dovrà tappare il naso tanto è il tanfo di umanità sporca e sudata.

Per salvare la faccia si è dovuti arrivare all'assurdo di far indossare agli sporcaccioni discinti che entrano in basilica un lungo saio di plastica nera, per nascondere le brutte nudità ostentate e imposte in giro con sfrontata presunzione.

E quei ceffi, chiusi nei sacchi di plastica che ricordano quelli dell'immondizia o, peggio, quelli usati dalla Morgue per "incartarci" i mortiammazzati, si aggirano in San Pietro, con la plastica che fruscia rumorosamente ad ogni passo; poi, all'uscita, riconsegnano il "saio" - inzuppato, ovvio, di sudore - che i custodi, all'ingresso, faranno indossare al prossimo Robinson Crusoe in arrivo.

Per concludere non si tralascia occasione per mostrare con malcelata soddisfazione il mutato volto della Santa Sede, sottolineandone l'estrema "essenzialità", quasi dimessa, del suo nuovo aspetto esteriore. Ma "l'abito non fa il monaco", ammonisce l'antico proverbio...

Eppure, quanto è costata quell'"impronta personalissima" che si è voluta a ogni costo imprimere al Vaticano! Un vecchio vescovo straniero che si trovò a visitare il palazzo apostolico dopo la "trasformazione" esclamò, sbigottito e turbato fino alle lacrime:
"Cosa hanno fatto... quanti irreparabili sfaceli... Hanno speso fiumi di miliardi per vestirsi da poveri!".


(da Zappegno-Bellegrandi, Guida ai misteri e piaceri del Vaticano, Milano, Sugar, 1973)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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